La storia di Mircea Eliade, del suo pensiero, quale ci viene raccontata nel denso libro di Alessandro Mariotti (Mircea Eliade. Vita e pensiero di un Maestro d’iniziazioni, Castelvecchi ed. Roma, 2016) sulla scorta delle fonti biografiche, è piuttosto la storia di tante vite che si dispiegano in un arco temporale lunghissimo e in contesti e luoghi di volta in volta differenti. Un percorso esperenziale spesso segnato da ostacoli e contraddizioni, ma che rivela sin dall’inizio nel pensatore rumeno una tensione ideale verso l’altrove, un bisogno di trasposizione in una dimensione non comune, quella del sacro.
Maestro d’iniziazioni lo definisce l’Autore, avvertendo che la vita intera di Eliade è un continuo susseguirsi di prove da superare in vista di una rigenerazione, un abbassarsi per poi rialzarsi, un morire e un rinascere. C’è, in questo processo graduale verso lo spiritualismo una puntuale corrispondenza fra i fatti concretamente vissuti e le costruzioni teoriche che lo studioso andava via via elaborando: quasi che l’esperienza personale gli offrisse ogni volta una nuova occasione e unostimolo per una più profonda riflessione sulla condizione umana.
Già da bambino si manifesta in Eliade una sensazione di totale astrazione nei confronti degli altri e una ricerca interiore verso uno stato fuori dal tempo, come di trance. Questi aspetti della sua personalità incideranno profondamente anche nella giovinezza, rivelando un senso diffuso di inadeguatezza verso i coetanei che spesso si traduce nella consapevolezza di una superiorità. Trascorre le sue giornate immerso nella lettura, malgrado l’incalzante miopia, ma di contro avverte un’attrazione verso l’attivismo politico del tempo, idealizzando lo scrittore italiano Giovanni Papini per il pragmaticismo e l’interventismo.
Gli anni del suo apprendistato universitario gli forniscono inoltre alcuni spunti che daranno origine alle tematiche più importanti del suo pensiero: dalla lettura del De docta ignorantia di Nicola Cusano nascerà quella coincidentia oppositorum che accompagnerà tutto il suo percorso scientifico e la conoscenza di Rudolf Otto, autore de Il sacro rafforzerà l’interesse per la storia delle religioni. Determinante sarà a questo proposito un viaggio in Italia e l’incontro con Raffaele Pettazzoni.
L’occasione di una borsa di studi in India segnerà profondamente la sua esistenza, consacrando l’attrazione verso le società orientali e l’ascetismo. Qui per la prima volta Mircea fa esperienza diretta del sacro, mettendo in atto un tentativo di fuga dalla materialità e dall’attrazione dei sensi, da tutto ciò che lo assilla nella sua tormentata vita. Egli si dibatte continuamente fra due poli opposti, nella lotta fra il corpo e la mente, materiale e spirituale, tensione verso Dio e attaccamento alla carne. Nell’assoluta convinzione che non è possibile liberarsi completamente dell’esistenza materiale se prima non si conosce concretamente la vita. Si abbandona al tantrismo come forma di liberazione del corpo, conoscenza carnale che si ricollega al significato primigenio dell’orgia rigenerativa del caos.
In India conosce Maitreyi, l’amore della sua vita, quello ideale, extraterreno, a cui Mircea dedica un libro Maitreyi. Incontro bengalese: la fine della sua storia amorosa segnerà la fine della sua esperienza in India e il rientro in Romania nel 1931. Il ritorno in patria lo vede impegnato in una fase di militanza politica, durante la quale Mircea partecipa e diviene acceso sostenitore della Guardia di ferro in favore del nazionalismo rumeno. Qui si rivela la posizione antisemita di Eliade che tuttavia non approda mai del tutto a un pregiudizio razziale. Il disprezzo verso gli Ebrei appare dettato, almeno in questa prima fase, più da ragioni economiche e religiose che di razza, per via dell’eccessivo attaccamento ai beni materiali e all’accumulazione del capitale nutrito da quel popolo, motivo di contaminazione per la cultura rumena.
L’adesione alla Guardia di Ferro ha dunque per Mircea una convinzione religiosa che vede nella rivoluzione legionaria uno strumento di riscatto e di purificazione per la sua stirpe. Nel 1938 ha luogo l’arresto e la deportazione nel campo di concentramento, seguita dall’improvviso trasferimento a Londra. Sotto i bombardamenti della capitale inglese lo studioso matura la concezione della “morte collettiva” causata dalla guerra, si rende conto della fugacità della vita, del mistero di ciò che accade e passa e non può più ritornare. Il “terrore della storia” si può combattere solo elevandosi in una dimensione altra, diversa dal presente.
Gli anni del soggiorno a Lisbona sono molto stimolanti per lo studioso, favoriti anche dal clima cordiale e accogliente della città. In quest’occasione Mircea annota costantemente nel Diario portoghese i nodi cruciali della sua esistenza, quell’eterno oscillare fra elementi opposti, anelito alla spiritualità e all’ascesi e antitetica caduta nel materiale e nel bisogno carnale. La tensione e la spinta verso un archetipo ideale si scontrano con un realismo sfrenato che sfocia a volte nei livelli più bassi della degradazione. Di fronte a questo eterno dilemma fra ascetismo e orgia, Mircea assegna alla creazione letteraria una funzione terapeutica. Sono gli anni in cui Eliade approfondisce e definisce il concetto di religione. La religione, le religioni non sono un fatto storico, ma una condizione dell’esistenza. La religione è una forma universale della coscienza che sconfina nel bisogno di ascesi. Per questo è irrilevante aderire all’una o l’altra religione, in quanto ognuna è intuizione profonda del reale come assoluto e trascendente.
Un evento doloroso colpisce in modo devastante la vita di Mircea e insieme anche la elaborazione teorica del pensiero: la morte di Nina, l’amata moglie, nel 1944. Egli è invaso da una sofferenza lancinante che lo porta ad affidarsi totalmente alla fede e alla lettura dei Vangeli. Vive questa esperienza come una prova iniziatica e riprende l’idea del labirinto dentro il quale ci si perde senza trovare una via d’uscita. Elabora il concetto della morte simbolica, rappresentata dal labirinto, che annuncia una reintegrazione spirituale.
In questo periodo della sua vita sviluppa il mito dell’eterno ritorno, reso celebre nel famoso saggio del 1949. Di nuovo l’esperienza personale gli offre lo spunto per sistematizzare lo stato d’angoscia provocato dal tempo storico, che cancella in modo irreversibile vissuti e affetti personali. Solo il sacro, come dimensione circolare del tempo, qualitativamente inteso e non quantitativo e cronologico, può conferire l’eternità, in cui gli opposti coincidono in vista della rinascita.
Come in un gioco di specchi, esperienza individuale e teoria approdano a una riflessione sulla morte creatrice e sul sacrificio, proposto nel saggio Mastro Manole e il sacrificio di fondazione. Nessun evento reale, neanche l’atto di costruzione di un edificio, può prescindere da una morte violenta di un individuo offerto per sacrificio, per far sì che l’anima venga trasferita nelle fondamenta. Nel sacrificio rituale si ripete l’atto primordiale della creazione e della cosmogonia. In questo senso si spiegherebbe anche l’antisemitismo professato da Eliade, quale esponente della Guardia di Ferro, come una forma di sacrificio rituale, di purificazione religiosa, secondo l’ideale di una morte violenta come atto mistico e creatore che potrebbe ricondurre la stirpe rumena alla rigenerazione.
Il periodo del soggiorno parigino a partire dal 1945 è rappresentato da una totale rinascita e dalla massima creatività del pensiero di Eliade. Nel 1948 viene pubblicato il Trattato che lo consacra definitivamente come storico delle religioni e l’anno successivo, il mito dell’eterno ritorno. Ma l’incontro determinante sarà quello con Christinel, grazie al quale lo studioso vivrà di nuovo un’autentica e travolgente passione e un innamoramento adolescenziale, che si rivelerà invece duraturo fino alla fine dei suoi giorni. Mircea entra in contatto col mondo intellettuale della capitale francese e sviluppa i temi fondanti del suo pensiero: la ierofania come manifestazione del sacro nel mondo, attraverso gli oggetti profani che rivelano la loro alterità. Le ierofanie sono dunque contraddittorie per eccellenza, ecumeniche e universali, presenti in ogni tempo e in ogni luogo, ma sono anche storiche e transitorie, sorte in un tempo e in un luogo determinato, recano in sé una dualità permanente nel loro essere sacre e profane, rassicuranti e inquietanti, eterne e finite secondo il principio della coincidentia oppositorum. E così che l’uomo religioso, quello primitivo, interpreta i segni ierofanici per orientarsi nell’universo circostante, sempre relazionandosi ad un Centro, come Axis mundi, punto di unione fra il cielo e la terra.
Il mito, secondo Eliade, altro non è che la spiegazione di ciò che accadde allora, in “illo tempore”, quando il sacro si è rivelato nelle cose e negli oggetti del quotidiano, cambiando il corso degli eventi e sottraendo l’umanità alla fugacità della morte sensoriale. Attraverso i riti gli uomini riattualizzano nella ripetizione quell’evento mitico di un tempo primigenio, arcaico, rifondando la cosmogonia e instaurando il tempo circolare, quello dell’eterno ritorno. Anche nello sciamanismosi ritrova un’ulteriore conferma di quei presupposti: l’uso sfrenato della danza e del tamburo, l’assunzione di droghe e di narcotici, determinano nei riti sciamanici, una forma di iniziazione che passa per la decomposizione del corpo fino ad una nuova nascita dell’essere con poteri rinvigoriti.
L’arrivo in America scandisce l’ultima tappa dell’insegnamento universitario di Eliade, in una meta sempre sognata dallo scrittore. A Chicago, sede del suo magistero, avverte un iniziale disagio e un senso di estraneità dovuto all’allontanamento dagli amici dell’ambiente parigino. A ciò si aggiunge un’istintiva diffidenza verso una società industriale e capitalizzata, responsabile di aver imposto al mondo intero bisogni e consumi basati su interessi materiali, devianti da quelli che sono i valori spirituali. Per altri versi apprezza tuttavia quella società giovane, dal passato recente, che non ha radici profonde nella storia, e dunque più propensa al cambiamento e al rinnovamento continuo.Con questo spirito si avvicina ai movimenti hippies giovanili di quegli anni, alla beat generation di Kerouac, condividendone la rivolta verso i modelli borghesi dell’Occidente. Incontra Ginsberg, riprendendo col poeta il dialogo mai interrotto sulla filosofia indiana.
L’ultima fase della sua vita lo coglie profondamente indebolito sotto il peso degli anni e della malattia, tormentato dal pensiero del distacco definitivo dalla sua terra, la Romania. L’esilio è stato fra le prove iniziatiche di Mircea, forse la più dolorosa, malgrado quella stessa condizione di estraneità e allontanamento gli abbia spesso fornito una funzione vivificante per la sua opera letteraria. La riflessione sulla condizione di esule procede contestualmente alla consapevolezza dell’approssimarsi del suo ultimo viaggio. Riecheggia in lui la figura dell’Ulisse errante alla ricerca del proprio centro, la sua Itaca. Torna sui temi del labirinto e delle smarrimento esistenziale, del perdersi e del ritrovarsi.
La sua vicenda terrestre si conclude nel 1986, attraverso innumerevoli tappe, segnate da successi e insuccessi, aspirazioni e delusioni, vittorie e sconfitte, premi e riconoscimenti accademici. Il contributo di Alessandro Mariotti, ricco nella bibliografia e nelle fonti autobiografiche dello studioso rumeno, ha certamente tanti meriti, primo fra tutti di aver riportato all’attenzione la versione più intima e personale, a volta inedita, dell’uomo Eliade, facendo luce e approfondendo molti aspetti del suo pensiero. Quell’intrinseco legame fra la vita vissuta e la produzione letteraria e saggistica è quello che oggi ci mostra un intellettuale consapevole di una missione, che consiste nell’aver decifrato i segni che il mondo gli ha progressivamente rivelato, dando un senso allo scorrere assoluto dei suoi giorni e ritrovando la strada verso l’eternità.
Di fatto – a trent’anni dalla sua morte – l’opera del Maestro ha dimostrato un potere metastorico e un’efficacia simbolica piuttosto forte che ne fa un punto di riferimento fondamentale per gli antropologi. In tal senso la pubblicazione di questo volume è stata illuminante.
Dialoghi Mediterranei, n.23, gennaio 2017
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Orietta Sorgi, etnoantropologa, lavora presso il Centro Regionale per il catalogo e la documentazione dei beni culturali, dove è responsabile degli archivi sonori, audiovisivi, cartografici e fotogrammetrici. Dal 2003 al 2011 ha insegnato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Palermo nel corso di laurea in Beni Demoetnoantropologici. Tra le sue recenti pubblicazioni la cura dei volumi: Mercati storici siciliani (2006) e Sul filo del racconto. Gaspare Canino e Natale Meli nelle collezioni del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino (2011); Gibellina e il Museo delle trame mediterranee (2015); La canzone siciliana a Palermo. Un’identità perduta (2015).
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