di Olimpia Niglio
In occasione dell’Intercultural and Inter- faith Forum Colombo che si è svolto in Sri Lanka il 4 novembre del 2012, mons Francesco Follo, Osservatore Permanente della Santa Sede presso UNESCO in Francia, ha ribadito l’importanza del ruolo dei diritti paritari all’interno di una comunità sempre più multiculturale e dove solo le culture che accettano e promuovono i valori della pace, della tolleranza, della giustizia e, soprattutto, l’apertura e il rispetto per l’altro devono essere considerate di pari dignità. Così leggiamo nel manoscritto (Follo, 2012, manoscritto)
«The multiplicity of cultures is a fact which seems to justify ethical and anthropological agnosticism; yet, people’s aspiration to a unity which can overcome dispersion is also a fact, as testified to by the Declaration of Human Rights – and by the presence here of all of us. In this sense, I am glad to affirm that the Holy See is in agreement with the affirmation of the equal dignity of all the society and social groups (Art. 2.4), and it also wishes to underline, as other States, that only the cultures which accept and promote the values of peace, tolerance, justice and above all openness and respect for the other must be considered of equal dignity, because one cannot be recognized if one does not recognize – or worse, refuses – others».
Ai valori della pace e della tolleranza si associano le pratiche delle buone relazioni a cui appartengono i princìpi propri della “diplomazia culturale”. Ancora nella relazione di mons. Follo leggiamo:
«Exchange and dialogue – the practice of good relations with the other – is the only birthplace and development of peace. It cannot be imposed from the exterior if it is not at the heart of the relation. Moreover, the dangerous notion of the “clash of civilizations” must be refused and, should the case arise, talk of the “clash of ignorances” or, to use a positive notion: the “dialogue of cultures” must be continued to have a “civilization of love”».
Lo “scontro tra civiltà” deve così essere superato non attraverso provvedimenti imperativi esterni ma con la conoscenza, la condivisione delle differenti esperienze culturali, con il dialogo e lo scambio di opinioni e quindi con processi di “diplomazia” in grado di rimettere al centro l’uomo e la sua dignità, quale premessa e condizione di eguaglianza e al tempo stesso di diversità nonché frutto di solidarietà e fondamento di libertà (Flick, 2015).
Al fine di procedere in tale direzione è fondamentale conoscere e analizzare le singole identità culturali e il patrimonio ereditato non identificando quest’ultimo in relazione ai principi dell’utilitarismo e del consumismo, quindi secondo leggi che potremmo definire globalizzanti, ma piuttosto favorendo la capacità di ogni individuo a riconoscere e valorizzare la propria cultura, quale espressione di libertà e di eguaglianza sociale (Niglio, 2012: 28).
Pertanto questo riconoscimento del valore ereditato e della partecipazione collettiva stabilisce uno stretto legame tra la società e anche il patrimonio culturale di interesse religioso, quale memoria e identità di un luogo. Tale condivisione collettiva del patrimonio culturale di interesse religioso è favorita dalle numerose e diversificate azioni che investono aspetti sensoriali ed emozionali propri di ogni singolo individuo che usufruisce di tale bene. Si comprende pertanto come l’analisi del valore di un bene ricevuto in dono, senza una transazione economica sia legato al contesto sociale e culturale cui il bene stesso si riferisce e quindi all’identità storica e sociale osservata (Niglio, 2016: 50).
Infatti non è difficile constatare la complessità di questa trattazione proprio in relazione alla rimessa in discussione di quei princìpi culturali fondativi che, specie in questi ultimi anni, sono stati fortemente compromessi. Allo stesso tempo emerge la necessità di ripercorrere itinerari di lettura che siano in grado di oltrepassare le barriere che noi stessi edifichiamo quotidianamente a discapito di un costruttivo dialogo tra le diversità culturali come ribadito dalla Convention on the protection and promotion of the diversity of cultural expressions (Paris 2005).
Tuttavia i concetti di valore, di dignità e di confronto, pongono certamente le basi per stabilire un dialogo culturale tra esperienze e approcci metodologici diversificati in relazione ai princìpi riguardanti la conservazione del patrimonio culturale di interesse religioso e quindi della sua trasmissione come dono alle generazioni future. La consapevolezza di questo valore consente di analizzare con maggiore oggettività le dinamiche che caratterizzano i differenti approcci teorici e metodologici che si possono riscontrare non solo tra diverse realtà geografiche ma anche all’interno di uno stesso Paese e quindi tra contesti socio-culturali diversificati. La conoscenza della diversità diventa quindi la risorsa principale e fondamentale per il rispetto e la conservazione della diversità stessa.
Considerare quindi l’identità del valore culturale e il significato che questo ha avuto nel corso della storia nonché le sue differenti interpretazioni, costituiscono un’esigenza fondamentale all’interno di una realtà nella quale l’uomo contemporaneo vive in una condizione di continua mobilità. Egli sente l’allontanamento e spesso lo sradicamento dal proprio luogo di nascita ma allo stesso tempo partecipa all’estraneità della nuova residenza con la quale raggiunge una certa confidenza solo dopo aver conosciuto i valori culturali del luogo.
Se analizziamo questa situazione all’interno della crescente mobilità, sempre più crescente negli ultimi anni, è facile verificare il rischio di una progressiva perdita di riferimenti culturali ma allo stesso tempo anche la possibilità di creare presupposti di arricchimento di conoscenze, il tutto però se supportato da un costruttivo e programmato percorso formativo. Infatti la dimensione di una cultura che va oltre i propri confini nazionali ha un significato fondamentale che è possibile constatare all’interno delle differenti epoche storiche.
Il filosofo Martin Heidegger nel 1954 analizzava i concetti di “essere con gli altri” e di “essere nel mondo” (Heidegger, 1991:104), due qualità fondamentali dell’uomo al fine di poter stabilire delle relazioni culturali. Questi principi in qualche modo sono stati elaborati nel 1972 dalla Conferenza generale dell’UNESCO (Convention concerning the Protection of the World Cultural and Natural Heritage) che ha stabilito per la prima volta i princìpi per la conoscenza e la protezione del patrimonio culturale mondiale. La Convenzione del 1972 invita anche a valutare una dimensione mondiale del concetto di patrimonio culturale, senza rinunciare però alle singole identità e ai valori propri di ogni singola comunità.
La conoscenza di questi valori è fondamentale soprattutto nelle società sempre più multiculturali al fine di valutare metodi e modi differenti di proteggere e conservare le rispettive eredità. Ovviamente il tema non è estraneo ad argomenti che investono anche la pedagogia e quindi l’educazione alla cultura della diversità (Arcomano, 2010: 54) e né tanto meno, a ragion veduta, tutti i beni culturali di interesse religioso. Sul tema dell’educazione interviene anche l’economista, premio Nobel nel 1998, Amartya Sen, affermando che in ogni comunità oltre alla riconosciuta appartenenza ad una etnia, che da sola già costituisce un’identità di riferimento molte forte, noi possediamo anche una pluralità di identità successive che acquisiamo nel corso della vita in relazione alle differenti situazioni che possono capitare. Tali identità fanno parte di un patrimonio non ereditato biologicamente ma acquisito nel corso della vita in base a diversificate relazioni sociali e questo costituisce un dato fondamentale nella nostra ricerca del valore del patrimonio culturale in quanto non è regolato da una legge universale.
Il problema dell’identità è spesso associato al concetto di appartenenza ad un gruppo o ad un contesto urbano e ciò esprime anche la negatività del concetto perché ghettizzante e poco disponibile al confronto (Sen, 2006). Differentemente Sen afferma che l’umanità non può essere analizzata in base all’appartenenza ad un gruppo o ad una categoria perché in tal modo non sarebbe possibile valutare e conoscere le numerose correlazioni esistenti tra singoli individui che appartengono a culture differenti. Verrebbe così negato parte di un patrimonio culturale collettivo che riveste un ruolo fondamentale nel processo evolutivo dell’umanità. Ciò è quanto emerge anche all’interno dei percorsi di studio che nell’analizzare, ad esempio, il patrimonio artistico di una nazione e le rispettive procedure di conservazione stabiliscono delle priorità in base a un elenco che suddivide in categorie le differenti opere assegnando loro un giudizio valoriale dettato dalla ragione piuttosto che dalla riconosciuta testimonianza che quell’opera ha per la comunità.
Tutto questo mette a riparo solo una parte del patrimonio culturale lasciando il resto ad un proprio destino e da qui la negatività che Amartya Sen definisce del valore stesso di identità soprattutto quando questo non tiene conto della relatività dei giudizi ma piuttosto dell’indiscutibile assolutezza di pochi.
Comprendiamo pertanto l’importanza di recuperare un dialogo interculturale al fine di valorizzare la pluralità delle identità e delle loro diverse implicazioni nel riconoscimento del valore culturale, anche del patrimonio religioso. Tali valori devono essere individuati all’interno delle singole comunità di appartenenza senza rinunciare ad un dialogo tra le culture (Madonna, 2007). Solo intraprendendo questa direzione operativa possiamo contribuire a costruire un nuovo cammino che conduca la comunità internazionale verso un processo di valorizzazione culturale in cui il patrimonio di interesse religioso possa così assumere uno strategico ruolo di intermediazione “diplomatico-culturale” fondato sulla fede.
Nella Lettera redatta in occasione della Fondazione del Pontificio Consiglio della Cultura del 20 maggio 1982, Papa Giovanni Paolo II affermava (Lettera di Fondazione Pontificio Consiglio della Cultura, 1982)
«[…] E, se la cultura è ciò per cui l’uomo, in quanto uomo, diviene maggiormente uomo, è in gioco, in essa, lo stesso destino dell’uomo. Di qui l’importanza per la Chiesa, che ne è responsabile, di un’azione pastorale attenta e lungimirante, riguardo alla cultura, in particolare a quella che viene chiamata cultura viva, cioè l’insieme dei princìpi e dei valori che costituiscono l’ethos di un popolo: “La sintesi tra cultura e fede non è solo un’esigenza della cultura, ma anche della fede… Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”».
Comprendiamo da queste parole il ruolo che da sempre il patrimonio culturale di interesse religioso svolge nell’ambito della multiculturalità propria di tutte le comunità del mondo, sia occidentale che orientale. Inoltre questo ruolo “diplomatico” della fede e della cultura che, oggi ancor più, è fondamentale perseguire nel rispetto dell’evoluzione della comunità internazionale è quanto è stato evidenziato anche nella costituzione del Gaudium et spes del Concilio Vaticano II (1962-1965). Quest’ultimo infatti prende in esame anche il fondamentale dialogo tra fede e cultura, fede e arte e quindi tra fede e patrimonio culturale all’interno di un mondo in cui lo sviluppo delle scienze e i fenomeni di globalizzazione hanno rimesso in discussione la forma stessa di cultura.
Per questo motivo è fondamentale approfondire la conoscenza di quelli che sono gli obiettivi prioritari del processo di valorizzazione di un bene culturale e rimettere al centro l’uomo, la comunità e tutti i princìpi che sono alla base di una crescita fondata sulla “interculturalità” la quale necessariamente implica un interesse costruttivo e propositivo nei confronti delle altre culture e religioni nonché necessita di un processo di aperta e viva disponibilità e tolleranza nei confronti del prossimo (Follo, 2010: 66). Per questo motivo il patrimonio culturale di interesse religioso viene a svolgere un ruolo cardine in cui la cultura torna ad essere una delle priorità delle politiche di collaborazione e di cooperazione internazionale.
La cultura diviene così uno strumento geopolitico di condivisione, di dialogo e di sviluppo a favore della libertà individuale. È quanto è stato ribadito qualche anno fa nell’ambito del 1° Simposio Internazionale sulla diplomazia culturale (Roma, 13-14 giugno 2013) da Massimo Bray, a quei giorni Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo che, parlando di liberalizzazione dei processi di condivisione, affermava che liberalizzare significa riconoscere l’importanza della cultura e del suo intrinseco valore in uno scenario di diversità culturale. Infatti rispettarne le diverse componenti non è solo un atto di fede e di dignità nei confronti delle comunità e della loro storia, ma principalmente un atto di coraggiosa difesa dei valori di democrazia e del rispetto nei confronti della pluralità culturale.
Ed è proprio su questo cammino che è necessario avviare e poi consolidare un costruttivo processo di conoscenza, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale di interesse religioso che più di ogni altro, da sempre, è impegnato nel fortificare il dialogo tra cultura, dignità umana ed interculturalità.
Dialoghi Mediterranei, n.24, marzo 2017
Riferimenti bibliografici
V. Arcomano, Il valore educativo del patrimonio culturale nell’educazione della persona umana, Cqia Rivista, n°1, novembre, 2010, Università degli Studi di Bergamo: 50-62.
G.M. Flick, Elogio della dignità, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2015.
F. Follo, Inculturation ou inter-culturalité et rencontre des cultures? in “Réflexion“, Missions Étrangères de Paris, aprile 2010 : 63-67.
F. Follo, Permanent Observer of the Holy See to UNESCO. On the occasion of Intercultural and Interfaith Forum Colombo, Sri Lanka, 4th November 2012. Manuscript.
Giovanni Paolo II, Lettera di fondazione del Pontificio Consiglio della Cultura.
Madonna M. (a cura di), Patrimonio culturale di interesse religioso in Italia. La tutela dopo l’Intesa del 26 gennaio 2005, Marcianum Press, Venezia 2007.
O. Niglio, Sul concetto di Valore per il patrimonio culturale, in Niglio O. “Paisaje cultural urbano e identitad territorial”, Atti del 2° Coloquio Red Internacional de pensamiento crítico sobre globalización y patrimonio construido (RIGPAC), Aracne Editrice, Roma 2012, vol. I: 23-38.
O. Niglio, Il Patrimonio Umano prima ancora del Patrimonio dell’Umanità, in CITIES OF MEMORY. International Journal on Culture and Heritage at Risk, vol. 1, n.1, anno 2016, Edifir, Firenze 2016: 47-52.
A.K. Sen, Identità e violenza, Laterza, Roma-Bari 2006.
http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/letters/1982/documents/hf_jp-ii_let_19820520_foundation-letter.html. Consultata il 6 febbraio 2016.
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Olimpia Niglio, architetto, PhD e Post PhD in Conservazione dei Beni Architettonici, è docente titolare di Storia e Restauro dell’Architettura comparata all’Universidad de Bogotá Jorge Tadeo Lozano (Colombia). È Follower researcher presso la Kyoto University, Graduate School of Human and Environmental Studies in Giappone. Dal 2016 in qualità di docente incaricato svolge i corsi Architettura sacra e valorizzazione presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Santa Maria di Monte Berico” della Pontificia Facoltà Teologica Marianum con sede in Vicenza, Italia.
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