di Orietta Sorgi
A Terrasini, piccolo borgo costiero della provincia di Palermo, dalle origini agricole oggi prevalentemente a vocazione marinara e turistica, si svolge da almeno duecento anni un rito dell’albero che coincide con la Settimana Santa. Nei giorni che precedono la festa, alcuni giovani, riuniti in un comitato di schetti (scapoli), si allontanano dal paese per raggiungere gli agrumeti circostanti e scegliere l’albero da sacrificare per l’occasione: un melangolo, arancio amaro, airu, di circa cinquanta chili di peso, verrà infatti sollevato pubblicamente, nel giorno della Resurrezione, come prova della prestanza fisica dei suoi portatori. Il vincitore sarà quello che avrà tenuto in alto il fusto per il maggior tempo possibile. La scelta della pianta, il taglio e il rivestimento del tronco e della chioma sono pertanto le operazioni preliminari all’inizio della cerimonia.
Ma ciò che inaugura realmente il tempo festivo è il sacrificio dell’agnello nel bosco e il consumo collettivo della carne che prelude alla prova. Prima ancora di recidere il tronco dalle radici, gli schetti, abbigliati in un modo che ne rivela l’appartenenza, si recano in una mànnara, nella contrada dello Zucco, dove eseguono in modo cruento l’uccisione dell’animale. La pecora viene sgozzata e muore all’istante per dissanguamento, scuoiata e appesa come un trofeo. L’esecuzione si consuma in brevi attimi con gesti concisi e solenni che rivelano ancora, nei suoi artefici, il carattere rituale di una prova di virilità.La cottura della carne sulla brace e l’orgia alimentare che ne consegue, accompagnata da grandi bevute di vino (Giallombardo 1995; 2003) sono azioni determinanti la buona riuscita del rito.
L’albero reciso viene trasportato in paese e conservato in un magazzino dove da lì a poco verrà trasformato in artefatto cerimoniale. La fase più impegnativa è quella della preparazione della base che, una volta sfrondata e assottigliata, dovrà essere incastrata in una sorta di remo per rendere più agevole ai portatoril o sforzo del sollevamento e il mantenimento dell’equilibrio. Tutto il tronco, ora privato della corteccia esterna, viene rivestito di stoffe colorate e la chioma, ben ariosa dopo la potatura, arricchita di altre fronde e circondata da nastri tricolore, fiocchi e piccoli giummi di fili di lana intrecciata, oltre a varie forme di pasta di formaggio.
L’albero così rivestito a festa viene portato in processione per le vie del paese, accompagnato dalla banda musicale. Di tanto in tanto gli schetti si soffermano davanti alle case, dando prova delle loro abilità.
Il gesto del sollevamento richiede infattit ecniche e competenze tramandate oralmente da generazioni di arbulara.L’albero deve essere impugnato dal basso col concorso di un aiutante che posiziona il tronco al centro del palmo della mano.Quindi con un leggero scatto in avanti, il candidato si spinge in piedi protendendo il palo verso l’alto, parallelo alla testa rivolta con lo sguardo verso la chioma, per mantenere l’equilibrio quanto più possibile. In attesa della gara, ogni alzatore trascorre il tempo della vigilia allenandosi di continuo per mantenere l’esercizio ed essere in piena forma per la fatica.
Il giorno della festa, la domenica di Pasqua, si apre con la benedizione dell’albero eseguita dal sacerdote nella pubblica piazza, dove, nelle prime ore del pomeriggio avrà luogo la gara. Di fronte alla chiesa della Matrice si alternano, sotto gli occhi della giuria, schetti, maritati e bambini che solo di recente si sono aggiunti alla competizione. Alla fine vi sarà la premiazione accompagnata dalla musica della banda.
In origine la festa era rivolta esclusivamente agli scapoli del paese e a loro ancora oggi è intitolata: come in un rito di iniziazione, i giovani sollevavano l’albero davanti le case delle fidanzate, manifestando, prima del matrimonio, la loro virilità.
Nel 2012 il Centro Regionale per il Catalogo e la documentazione ha voluto ripercorrere con la cinepresa la genesi di questo evento (DVD 27’, regia di Salvo Cuccia), nel tentativo di individuarne gli antichi legami con le feste agrarie di primavera (Frazer 1973; Propp 1978). Ne è nato un resoconto visivo a più voci, di studiosi e informatori locali, testimoni anziani della tradizione e giovani impegnati a mantenere il rito dell’albero come vessillo dell’identità locale. Un continuo oscillare fra passato e presente quale è emerso dal confronto fra immagini storiche di repertorio e riprese dei fenomeni nel loro attuale divenire.
In atto il primigenio significato è appena percepibile, riducendosi il rito al momento agonistico fra i candidati, oggi divisi indistintamente fra schetti, maritati e bambini. Tuttavia – come lo stesso titolo del video e il suo sottotitolo avvertono in apertura – sembrerebbero confermate, al di là delle manifestazioni apparenti, le ragioni più profonde legate alle valenze simboliche proprie dell’albero della vita. Si tratta di una singolare persistenza che assegna all’albero cerimoniale il ruolo di elemento rigeneratore del cosmo e della natura in generale. Non a caso, come Ignazio Emanuele Buttitta ha eloquentemente dimostrato (1992; 2002; 2008), tutte le cerimonie di specie vegetali sempreverdi ricadono in particolari momenti liminari dell’anno, esorcizzandone i rischi e ponendosi come momento augurale di prosperità e benessere.In questo senso l’albero, elemento centrale dell’universo, contiene in sé la potenza rigenerativa del cosmo: è axis mundi, punto di unione fra il cielo e la terra (Eliade1976). Nel caso della festa di Terrasini vi sono altri elementi ravvisabili anche nella forma fallocratica del palo che viene eretto verso il cielo. La forza vitale sprigionata dall’eros, energia creativa ma in quanto tale portatrice di disordine, va incanalata attraverso delle prove rituali che richiedono particolare forza e resistenza fisica.
In passato l’atto di sollevare l’albero davanti alla fidanzata era condizione determinante la possibilità stessa del matrimonio,cosicchèil fallimento della prova ne pregiudicava il conseguimento. Con un atto di forza il giovane dimostrava così di essere in grado non solo di procreare ma anche di garantire alla famiglia una stabilità economica.
Gli atti preliminari relativi al taglio dell’albero e al sacrificio animale sembrerebbero richiamare inoltre i riti iniziatici dell’antichità, laddove gli iniziandi per compiere atti sacrificali dovevano spingersi nella silva (Augè 1979). Malgrado oggi il sacrificio della pecora avvenga in luoghi del tutto antropizzati, rimane vivo il ricordo negli anziani a proposito dell’addentrarsi nella foresta di Partinico, intesa come luogo non ancora addomesticato, della selvatichezza e dell’incolto.
Parimenti in declino appare il rito della cosiddetta manciata, un tempo destinata rigorosamente agli schetti e consumata nel bosco, evolvendosi piuttosto in un’occasione conviviale alla marina, rivolta a tutti gli abitanti e con vistosa offerta delle più svariate pietanze.
Anche la scelta dell’albero destinato al rito è eloquente: si tratta, come si è detto, di un arancio amaro, presente allo stato di natura, ma selvatico e non commestibile. L’airu è perciò detto sarbaggiu, in quanto, malgrado contenga in sé tutte le proprietà energetiche e fertilizzanti, tuttavia, per dare buoni frutti, deve essere innestato in una pianta domestica, u mansu. Il melangolo rappresenta dunque la pianta allo stato naturale, primigenio, prima dell’intervento civilizzatore dell’uomo che avviene con la tecnica dell’innesto: da questa unione nasce l’agrume commestibile. Il richiamo allo stato vergine del frutto è pertanto assimilabile a quello della donna che come la terra coltivata dà i suoi frutti. Attraverso l’eros e l’accoppiamento sessuale, la donna partorisce i suoi figli, garantendo la sopravvivenza della specie. Tale unione, per non generare rischi, va controllata e incanalata attraverso quelli che Van Gennep definisce i riti di passaggio (1981).
Il fatto poi che l’albero venga tagliato alla base, privato delle radici e della linfa vitale che sta sottoterra, innestato e reso artefatto cerimoniale, attraverso addobbi e rivestimenti dalle chiare forme simboliche, conferma la presenza dell’ordine culturale sul caos della natura e dunque l’intervento del logos (Buttitta A. 1996). La pianta vegetale recisa muore per artificio dell’uomo: ma morendo garantisce la vita stessa, assurgendo a simbolo dell’eternità. Da qui la continua associazione dell’albero di Terrasini con la vicenda del Dio che muore e rinasce.Nel giorno della rinascita anche l’albero che era stato fino a quel momento custodito e sorvegliato in un luogo particolare, viene innalzato al cielo nel segno di una nuova vita.
L’antico Palo della Cuccagna (Cocchiara 1980) ricco di messi e addobbi si rinnova dunque nel tempo, mantenendo, malgrado le pressioni turistiche e commerciali cui è sottoposto attualmente il folklore religioso, un evidente ruolo propiziatorio. Nel nostro caso, l’albero di Terrasini affonda le sue radici nel passato, espressione di un rito agrario, oggi non più in uso; ma nello stesso tempo si proietta nel futuro investendo i giovani e i bambini in questo nuova missione. Così fra persistenza e mutamento la festa non sembra risentire della crisi della tradizione,manifestando il suo proposito di coesione sociale e di riaffermazione delle appartenenze locali.
Dialoghi Mediterranei, n.5, gennaio 2014
Riferimenti bibliografici
Augè, Marc
1979 Iniziazione, in Enciclopedia Einaudi, VII, Torino: 631-649
Buttitta, Antonino
1978 Pasqua in Sicilia, Grafindustria edizioni, Palermo
1996 Dei segni e dei miti. Un’introduzione all’antropologia simbolica, Sellerio, Palermo
Buttitta, Ignazio E.
1992 Feste dell’alloro in Sicilia, «Archivio delle tradizioni popolari», 29-30, Palermo
2002 La memoria lunga. Simboli e riti nell’Italia Meridionale, Meltemi, Roma
2008 Verità e menzogna dei simboli, Meltemi, Roma
Cocchiara, Giuseppe
1980 Il paese di Cuccagna, presentazione di Leonardo Sciascia, Boringhieri, Torino
Eliade, Mircea
1976 Trattato di storia delle religioni, trad. it. Boringhieri, Torino
Frazer, James G.
1973 Il ramo d’oro, I, trad. it. Boringhieri, Torino
Giallombardo, Fatima
1995 La cucina di strada a Palermo, in Giovanni Ruffino (a cura di), Percorsi di geografia linguistica. Idee per un atlante siciliano della cultura dialettale e dell’italiano regionale, Centro di studi filologici e linguistici, Palermo: 513-527.
2003 La tavola l’altare la strada. Scenari del cibo in Sicilia, Sellerio, Palermo
Propp, Vladimir JA.
1978 Le feste agrarie russe, trad. it. Dedalo, Bari
Van der Leeuw, Gerard
1975 Fenomenologia della religione, trad. it. Boringhieri, Torino
Van Gennep, Arnold
1981 I riti di passaggio, trad. it. Boringhieri, Torino