umane dimenticate istorie
di Ornella Fazzina
Parlare di mio padre, Tony Fazzina, in un momento in cui le parole sembrano perdere un senso logico e con grande fatica si riescono a comunicare sentimenti e stati d’animo, poiché il dolore vero non ha bisogno di parole ma di religioso silenzio, l’invito a scriverne mi consente, invece, di ripiegare nel conforto del suo ricordo che non vuol dire rassegnazione, ma rendere un’assenza ancor più presente. Ed è in questa dimensione sospesa che si fa largo la memoria che lo riporta alla sua vibrante vitalità, prorompente di ironia e autoironia, come tutti lo hanno conosciuto, istrionico nel suo modo di fare, con quel guizzo luminoso che lasciava trapelare, con disincanto, nei rapporti familiari e in modo più provocatorio nella sua veste attoriale, offrendo al pubblico autentiche lezioni sulle illusioni e disillusioni della vita che interpretava con fervore e intensa passione, guidato com’era dallo spirito dell’arte.
Una incessante ricerca e operosità lo ha sempre portato a cogliere dettagli della realtà, poi rielaborati in chiave teatrale, dove è sempre emersa la necessità di dare voce e forma alla sua creatività. Qualità che lo hanno reso indelebile nella mente di chi lo ha conosciuto, muovendosi con disinvoltura fra ironia, satira, grande intelligenza e sapienza del vivere. Un vivere che, però, non è stato sempre all’insegna della battuta, del dire tra il serio e il faceto, del sottile umorismo a volte spiazzante.
Vi erano momenti in cui il suo sguardo si perdeva lontano, contemplativo e inquieto, magnetico e sfuggente, attendendo trepidante risposte rassicuranti ai molteplici e ingiusti fatti della vita, celando delusione e amarezza dietro un sorriso beffardo o sprofondandoci dentro. L’eterno dualismo tra oscurità e luce, tra cadute e riprese, segnano soprattutto gli animi più sensibili, quelli che dietro l’accensione di una irriverente ma bonaria risata, velano spesso un’inestinguibile malinconia.
Fine dicitore, regista, attore, commediografo e poeta, l’amore per la scrittura e la passione per il teatro dialettale e in lingua non lo hanno mai abbandonato, intendendolo come scuola di vita, di formazione e di crescita civile, dando spazio ai giovani e valorizzandoli anche grazie ai tanti corsi di dizione e recitazione che generosamente ha offerto. Ha scritto molte commedie, tutte nel rispetto delle migliori tradizioni siciliane, ha riportato sulla scena tre commedie in lingua italiana delle quali “Il diritto di famiglia” gli ha meritato importanti riconoscimenti, in dialetto siciliano ha prodotto due commedie, un prologo e un epilogo all’atto unico “A giara” di Pirandello, altrettanto a “I civitoti in pretura” di Martoglio e, nel mettere in scena “Sua Eccellenza”, operò in quello spettacolo il miracolo della ricreazione del capolavoro di Martoglio. Ha rappresentato testi di autori consacrati dalla letteratura teatrale oltre a repertori orientati alla commedia umana. Inoltre innumerevoli sono le sue poesie e i suoi racconti improntati al genere letterario nonsense, sapendo essere anche pungente contro gli inetti e rammaricandosi giustamente del fatto che, malgrado i sacrifici personali e di tutta la sua Compagnia “La Comarca” nel mettere in scena gli spettacoli, i sostegni da parte della pubblica amministrazione nei riguardi dei gruppi amatoriali sono stati piuttosto deboli. Una disattenzione che fa dire che questo genere di teatro che attinge alla nostra ricca tradizione popolare non ha mai avuto vita facile, anzi!
Mio padre è andato comunque avanti e mentre la vita scorreva tra alti e bassi, proprio questa in modo inatteso e con inaudita crudeltà lo ha fatto piombare per la prima e definitiva volta nella greve penombra del silenzio, lasciando a tutti noi che lo abbiamo sempre ascoltato il compito di far rivivere le sue parole nei nostri ricordi.
Da maestro di teatro qual era, ha scelto il giorno di Pasqua per far calare il sipario della sua vita, un giorno in cui il cielo plumbeo sembrava unirsi alla nostra mestizia, uscendo di scena da primo attore attirandosi gli applausi degli affetti che lo hanno accompagnato da lontano in questo ultimo atto. Seppur cercando di sentirci appagati per tutto quello che ci ha lasciato, contenere l’angoscia della perdita è più difficile per le circostanze che hanno determinato la sua dipartita.
La casa di riposo Villa Padre Pio a Siracusa che lo ospitava da due anni, luogo sicuro e protetto secondo la mia famiglia, avendo noi tutti riposto fiducia in chi la gestisce, si è rivelata purtroppo un posto di approssimazione e superficialità nel prevenire e gestire l’emergenza epidemiologica che da più di un anno ci affligge. Contraendo il virus e arrivando gravissimo in ospedale dopo più di una settimana, tra l’altro non vaccinato per ritardi ancora da chiarire, ha concluso la sua esistenza terrena tra indicibili sofferenze. Nelle tre settimane in cui ha lottato, essendo così tanto attaccato alla vita, ho potuto vedere la sua immagine attraverso alcune videochiamate.
Purtroppo è consapevolezza di quanti hanno vissuto tale esperienza che il codiv-19 ha reciso ogni relazione e contatto umano, abolito rituali che ci appartengono e rappresentano i fondamentali valori della nostra esistenza, e interrogarsi sulla fine e sul tempo che attraversiamo significa anche parlare di una società dominata dalle immagini, quindi di un rapporto con la realtà che si è modificato, poiché l’immaginario visivo preesiste la realtà stessa, predisponendosi questa ad essere letta come se fosse un “film”. Vi è una inversione tra mondo dell’esperienza concreta e mondo delle immagini, tra il reale e l’immaginario. La nostra epoca è ridondante di immagini smaterializzate dei social network che si infiltrano fino a diventare, in qualche misura, la forma del mondo in cui viviamo. L’istantaneità dei messaggi scritti e visivi regna ma i rapporti sono evanescenti, sottilissimi e di breve durata. Quindi l’elemento relazionale si espande in modo tale che i flussi personali appaiono inafferrabili, illeggibili, eppure sono presenti.
La pandemia ha innescato un processo di vera e propria disumanizzazione, ci mette di fronte a una prova durissima fatta di dolore, solitudine, negazione dei necessari affetti familiari per chi viene strappato alla vita, rende il distacco ancor più lacerante per la mancanza e l’impossibilità di un contatto. Ma nel rappresentare la morte a distanza, la tecnologia crea una percezione insolita, destabilizzante che, in una sorta di cortocircuito emozionale, se per un verso dà l’impressione che il fatto non sia “accaduto”, interponendosi uno strato di pixel tra noi e la nostra esperienza, dall’altro lato la forza dell’immagine, nella sua apparente leggerezza, contribuisce alla permanenza nella memoria di quel vuoto angoscioso lasciato dalla dipartita della persona cara nella coscienza di questa epoca, un solco incolmabile che segna per sempre.
Dialoghi Mediterranei, n. 49, maggio 2021
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Ornella Fazzina, laureata al D.A.M.S. Facoltà di Lettere e Filosofia, indirizzo Arti, Università degli Studi di Bologna, insegna Storia dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Catania. Storico e critico d’arte, cura mostre d’arte in Italia e all’estero e svolge attività convegnistica. Si interessa di arti visive, architettura, museologia, museografia, didattica museale e beni culturali. Collabora con riviste nazionali d’arte/cultura e con fondazioni e musei privati e pubblici. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni di arte contemporanea, scritti critici e storico-artistici.
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