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L’Antropocene dopo la pandemia. Lo sguardo di Giuseppe Barbera

copertinadi Antonino Cangemi

Alcuni libri si svelano già dall’esergo, dalla suggestione che evoca l’epigrafe che li introduce. Così per Antropocene, Agricoltura, Paesaggio – Considerazioni a margine di un viaggio in Cina, il breve ma assai ricco di contenuti ultimo saggio di Giuseppe Barbera. La citazione di Alexander Langer che, richiamando il motto olimpico “citius, altius, fortius”, più veloce, più alto, più forte, pone l’accento su uno spirito competitivo estremo tale da indirizzare la crescita nella direzione di uno sviluppo patologico con effetti letali per l’economia, “necro-economia”, e per la tecnologia, “necro-tecnologia”, e apre il sipario, come meglio non potrebbe, su uno scenario per molti aspetti preoccupante: l’azione dell’uomo mette a rischio gli equilibri naturali del pianeta. È l’era dell’Antropocene, su cui Barbera si sofferma diffusamente citando vari studi di esperti, e l’uomo è il protagonista del destino della terra che abita e, in fondo, del suo: l’ingordigia, l’avidità di “conquiste” che deviano il suo cammino dai binari della saggezza, la sua “grande cecità” avranno effetti devastanti?

Tanti gli interrogativi, inquietanti e di assoluto rilievo, in un libro che Giuseppe Barbera – ordinario di Colture Arboree all’Università di Palermo, noto per le sue molte pubblicazioni oltre che scientifiche anche d’interesse editoriale non squisitamente settoriale e per il suo spessore etico e impegno ambientalista – presenta ai lettori di “Dialoghi Mediterranei” attraverso questa intervista.

rock-wood-formation-soil-terrain-geology-991241-pxhere-com_-1024x658 Il tema di un corretto rapporto tra l’uomo e l’ambiente, dei pericoli che incombono a causa del mancato rispetto delle leggi che governano la natura è molto avvertito dalla comunità scientifica, lo è altrettanto dai decisori politici?

«Studio gli alberi da quarant’anni in università, in un dipartimento che si è soprattutto occupato di agricoltura, e, anno dopo anno, ho visto e ho partecipato alla crescita di un’attenzione che non andava solo verso gli aspetti economici della produzione, ma riguardava anche quelli ambientali e culturali. Se all’inizio dovevo fare ricerca per far produrre di più, poi mi sono posto il problema di una qualità che non fosse solo estetica ma riguardasse anche gli aspetti nutrizionali e salutistici, quindi quello degli impatti ambientali e, in ultimo, quello culturale del paesaggio, cioè insieme la natura dei luoghi, la storia dell’uomo che li ha modificati per i suoi interessi, la percezione di chi li vive e li ha creati e quella, sempre più importante, di chi li visita, ne trae piacere. Insomma gli aspetti materiali e immateriali, quelli che le agenzie delle Nazioni Unite chiamano i servizi ecosistemici: insieme produttivi, ambientali e culturali.

La consapevolezza delle drammatiche conseguenze del global change, del conclamarsi con l’Antropocene del cieco e distruttivo dominio della specie Homo sapiens sul resto della biosfera, non vale solo per i temi agronomici di cui mi occupo ma è condivisa dal 98% degli scienziati, in particolare con riferimento all’origine antropica del riscaldamento globale. I decisori politici fino ad ora hanno proclamato scadenze per ridurre l’emissione di gas di serra che l’originano, per prorogarle subito dopo. Adesso, dopo la pandemia di Covid 19, lo sforzo messo in atto con il Recovery Fund è davvero impressionante, addirittura decisivo. Non possiamo permetterci il lusso di non essere fiduciosi».

Le risorse di cui l’uomo dispone debbono fare i conti con l’incremento demografico. Nel suo saggio lei si sofferma sull’aumento della popolazione nel nostro pianeta e dei rischi a ciò connessi. Quali sono le stime scientifiche dell’incremento demografico a breve scadenza, che cosa comporta tale fenomeno e come affrontarlo?

«9, 7 miliardi tra venti anni, secondo scenari che tengono conto degli attuali tassi di crescita demografici. Due miliardi di esseri umani da sfamare che si aggiungono al miliardo che già oggi soffre la fame. Si stima che la produzione agricola dovrebbe aumentare del 70%!

Ma al contempo sappiamo che non possiamo continuare a deforestare per dare spazio alle coltivazioni, che continua il consumo di suolo e che il modello produttivo agricolo intensivo contemporaneo è causa di grandi fenomeni negativi che lo rendono “major driver” dei cambiamenti climatici e responsabile principale della perdita di biodiversità, del consumo di acqua dolce, della rottura di cicli biogeochimici essenziali agli equilibri ecosistemici. E allora è il caso di ricordare che il 30% di quello che produciamo si trasforma in rifiuto, che ci sono un milione di obesi, che la produzione di carni rosse è la più inquinante attività agricolo zootecnica. Cambiamo modelli di consumo, adottiamo stili di vita più sobri. Lì è la risposta».

landscape-nature-light-cloud-plant-field-70998-pxhere-com_-1024x550 In questi giorni si sta vivendo il dramma dell’immigrazione soprattutto nordafricana in Europa, aggravata dall’emergenza Covid-19. La questione si prospetta sotto diverse angolazioni, politiche, sociali, culturali, antropologiche e anche dell’equilibrio demografico e di tutti quegli aspetti che incidono sui rapporti tra diversi Continenti. Dal suo punto di vista, come porsi di fronte al tema della migrazione?

«I cambiamenti climatici hanno maggiore effetto distruttivo proprio nelle aree del globo che più oggi soffrono fame, malattie e guerre. È impensabile che chi le abita non fugga verso regioni dove possa vivere e lavorare. È sempre stato così. Siamo tutti migranti africani! Chiudere gli occhi, il cuore e le menti non serve neanche a ritardare il disastro. Siamo ricchi, capaci e intelligenti per accogliere chi ha fame e fugge dalla guerra».

Nel suo saggio si sottolinea come nell’epoca dell’Antropocene occorre che i saperi scientifici e umanistici s’incontrino. Il tema del rapporto tra uomo e natura non investe cioè solo gli ecologisti, gli agronomi, i naturalisti, ma anche i letterati, i sociologi, gli antropologi. In che misura?

«L’Antropocene ha molte concomitanti ragioni e i suoi effetti negativi si ripercuotono sulle diverse necessità degli uomini. Impone modelli alternativi che rallentino il degrado e anzi si oppongano virtuosamente ad esso. Ciò che serve per comprenderne ragioni e soluzioni non sono tanto (o soltanto) nuove tecnologie, ma un approccio complessivo che sollevi il sapere dell’uomo dalle angustie di una visione ristretta. Una reale soluzione potrà trovarsi solo attraverso una visione di sistema che non guardi a risposte locali, a misure parziali per quanto utili e che coinvolga saperi diversi, scientifici e umanistici. Sul pianeta Terra la vita è, in tutte le differenti forme, intimamente collegata; le società umane non possono isolarsi in ambiti circoscritti, in bisogni materiali trascurando gli immateriali (l’utilità e la bellezza si potrebbe dire a partire dalle radici della cultura occidentale). Il paradigma economico e tecnologico che finora ha dominato, la visione riduzionista iperspecialistica che ha smarrito la visione sistemica complessiva ha con tutta evidenza fallito».

132608384-fbb8d8af-08a8-4bfd-bbff-82aa895518c6 Il suo libro si presta a due chiavi di lettura: una pessimistica per l’allarme di un “collasso”, di una devastazione della natura e della “rottura” dei suoi equilibri; l’altra ottimista, nella speranza di un rinnovato spirito costruttivo dell’uomo che, nel suo rapporto col proprio pianeta, si lasci guidare dalle cinque E da lei invocate: Ecologia, Etica, Estetica, Economia, Energia. A quali, tra le due chiavi di lettura, dare la priorità?

«Le E di Ecologia, Economia, Energia, Estetica, ed Etica, le elenco appositamente in ordine alfabetico per non indicare alcuna supremazia ma una comune considerazione olistica. E, in una specie di gioco enigmistico, aggiungerei anche le E di Educazione, Emozione, Eros. Insieme obiettivi e necessità materiali e immateriali. La priorità è data!».

Non sfugge il sottotitolo del suo saggio: “Considerazioni a margine di un viaggio in Cina”. Peraltro uno degli ultimi capitoli è intitolato all’Esempio cinese. Si può parlare di un modello riferito a un Paese non democratico e nel quale lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo è abbastanza marcato? Modello perché e in che senso?

«Come in passato ho fatto per i temi di mio interesse scientifico, mi sono cimentato in libri “tra scienza e letteratura” (Tuttifrutti, Abbracciare gli alberi, Conca d’oro). Da questo punto di vista, considerando i paesaggi non solo in termini estetici (come spesso si ritiene ancora) ma anche etico (il rispetto per il pianeta e tutti gli esseri che lo vivono), economico ed ecologico, ho provato a ragionare sull’Antropocene, in un libro che ha le dimensioni e lo spirito di un pamphlet. La scintilla è nata dopo un viaggio in Cina della Fondazione Benetton Studi e Ricerche (faccio parte del Comitato Scientifico) per uno studio sui paesaggi del tè nella contea di Wuyuan, a poche ore di treno da Shangai, per l’assegnazione del Premio Carlo Scarpa per il Giardino. In pochi giorni ho visto con i miei occhi l’Antropocene, la complessità del mondo dell’uomo contemporaneo, tra picchi ipertecnologici, catastrofi ambientali, sopravvivenza di antiche tradizioni e di spazi apparentemente incontaminati. La Cina, si è detto, è insieme la prima colpevole, la prima vittima e, insieme (e tra mille contraddizioni) la grande speranza per il futuro del pianeta. Ed è in Cina che è quanto mai evidente che le 5 E (anzi 8!) devono stare insieme. Solo popoli liberi, dotati di pieni diritti, possono svolgere una così radicale e decisiva rivoluzione. C’è bisogno di partecipazione e consapevolezza, non di imposizioni e costrizioni».

abbracciare-gli-alberi Nel titolo del suo saggio ricorre il termine “paesaggio” e un suo capitolo è specificamente dedicato a “I paesaggi tradizionali”. Sembra che tra i messaggi racchiusi nel suo testo vi sia anche il monito a conservare il valore della bellezza del paesaggio. Qualcuno in ciò potrebbe leggervi anche qualcosa in senso lato “religioso”: tutto nella natura pare rispondere a un ordine superiore in cui la bellezza è espressione della tendenza alla perfezione del creato. Quanto è arbitraria o fantasiosa tale chiave di lettura?

«L’Antropocene può essere affrontato, e gli effetti negativi attenuati, solo attraverso una visione di paesaggio, luogo dell’incontro tra la natura e la storia, spazio possibile di ordine e non di “disordine”. Il paesaggio è espressione del progetto di società i cui bisogni, materiali e immateriali, si riconoscono nei servizi ecosistemici e possono cambiare in relazione ai tempi della natura e dell’uomo: il paesaggio, nella sua dinamicità connaturata, è in grado di confrontarsi con il futuro e di adeguarsi a esso, alla sua inevitabile imprevedibilità, alle domande che si porranno, ai bisogni che nasceranno dalla storia passata e presente di una comunità attraverso la partecipazione, la condivisione, l’incontro di saperi diversi. Il paesaggio è il risultato della cultura di un popolo, esprime attraverso sé stesso o le forme che lo rappresentano i valori estetici (la bellezza) e, confrontando i bisogni personali e della collettività con risorse e vincoli della natura (vivente e non) con cui interagisce, si relaziona con l’etica. Attraverso il paesaggio (il suo governo, il suo progetto) si possono cercare e trovare risposte alle domande dell’Antropocene. Questo hanno fatto per secoli i paesaggi tradizionali: hanno messo insieme bisogni materiali e spirituali. Penso che non ci sia necessità di un “ordine superiore” per trovare nella perfezione del creato o della natura (cosa non diversa) stimoli e impulsi al nostro futuro. Nella nostra cultura le ultime Encicliche di Francesco sono straordinarie. In quella cinese le radici confuciane sul legame tra uomo, terra e cielo ritornano anche esse».

L’interesse di un saggio può misurarsi dalle riflessioni che suscita, e quello di Barbera, come conferma l’intervista, ne stimola tantissime: sui problemi legati all’incremento demografico, sulla necessità di adottare stili di vita sobri, sui cambiamenti climatici, sui flussi migratori, sulle responsabilità dell’uomo dinanzi al futuro del nostro pianeta. Il tutto in un momento storico connotato dal persistere dell’emergenza Covid-19 (né la pandemia può ritenersi estranea alle questioni sollevate da Antropocene, Agricoltura, Paesaggio – Considerazioni a margine di un viaggio in Cina, così come, alla luce degli allarmi in esso contenuti, se ne possono escludere, nel tempo, altre e similari). Ma il libro di Barbera non solo fa insorgere riflessioni e pone domande: indica anche prospettive risolutive o comunque tali da ridimensionare la portata di problemi che, se non affrontati, presentano aspetti perfino drammatici. Il saggio, se non offre rimedi facili e demagogici, indica vie da seguire, percorsi da attraversare, indirizzi a cui attenerci coniugando – e qui sta uno dei suoi maggiori pregi – il rigore delle discipline scientifiche e la ragionevolezza delle discipline umanistiche. Senza mai dimenticare i valori dell’etica e di una bellezza specchio di una sana relazione tra l’uomo e l’ambiente.

Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020

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Antonino Cangemi, dirigente alla Regione Siciliana, attualmente è preposto all’ufficio che si occupa della formazione del personale. Ha pubblicato, per l’ente presso cui opera, alcune monografie, tra le quali Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi e Mobbing: conoscerlo per contrastarlo; a quattro mani con Antonio La Spina, ordinario di Sociologia alla Luiss di Roma, Comunicazione pubblica e burocrazia (Franco Angeli, 2009). Ha scritto le sillogi di poesie I soliloqui del passista (Zona, 2009), dedicata alla storia del ciclismo dai pionieri ai nostri giorni, e Il bacio delle formiche (LietoColle, 2015), e i pamphlet umoristici Siculospremuta (D. Flaccovio, 2011) e Beddamatri Palermo! (Di Girolamo, 2013). Più recentemente D’amore in Sicilia (D. Flaccovio, 2015), una raccolta di storie d’amore di siciliani noti e, da ultimo, Miseria e nobiltà in Sicilia (Navarra, 2019). Collabora col Giornale di Sicilia, col quotidiano on-line BlogSicilia e con vari periodici culturali.

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