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L’antropologo del quotidiano

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Palermo 2019 (ph. Garofalo)

di Concetta Garofalo

«Buongiorno – Buongiorno – Un croissant? – Si, certo! Classico, con farina integrale o vegano? – Classico – Con crema gialla, crema di pistacchio, di nocciole, cioccolato, miele, marmellata di albicocca, ciliegie o fragola… o vuoto? – Marmellata di ciliegie, grazie – Potrei anche un caffè? – Sì, certo! Adesso? – In che senso? – Lo gradisce prima del croissant, dopo, durante? – Lo sorseggio, grazie! – Caffè lungo, espresso, di ginseng, d’orzo, con panna, caldo o freddo? – Espresso, grazie – Bene, servo al tavolo, prego! –Bene, grazie!»

E finalmente al tavolo, sorseggio il caffè, guardo fuori, la via si popola di pedoni e automobilisti che si recano al lavoro, gusto il croissant, croccante fuori e morbido al suo interno, sfoglia alla giusta temperatura impreziosito dalla marmellata… mi sento in un piccolo e circoscritto dipinto di inizio secolo! 

Dunque, l’Arte! Scorre lento il pennello, lascia traccia del suo passare, sfiora la superficie e dal fondo informe dà vita al racconto. Il succedersi attento, preciso, pensato, programmato, guidato, orientato e misurato del tratto apre direzioni, chiude linee ascendenti e discendenti, continue, spezzate o miste si guardano, si attraversano, incrociano e percorrono, incidenti o parallele, orizzonti finiti, strutturati e strutturanti.

Lo Scatto! Un fermo-immagine in 1:1, 3:2, 5:3, 4:3, 5:4, 7:5, 16:9. Non ha un inizio, non ha una fine; offre una realtà inesorabilmente frontale, vicina, lontana, panoramica, nel dettaglio del primo piano e lo sfondo disteso che trattiene il racconto. Sensi e significati racchiusi in pochi centimetri visivi si offrono e guidano l’interpretazione del racconto; nella simultaneità dei dettagli. L’esperienza visiva assume la dimensione più personale per esulare in una esperienza esistenziale irripetibile, tale e quale nel tempo del differimento dell’atto.

Creare, Narrare, Scrivere e Comunicare è, anche, tutto ciò! Esprimere e suscitare emozioni e opinioni ne sono gli esiti performanti? O performativi?

Ognuno di noi compie innumerevoli azioni di vita quotidiana in maniera più o meno automatizzata, ripetuta giorno dopo giorno, da soli o in compagnia, mettendo in atto comportamenti incorporati che ci definiscono inconsapevolmente dal punto di vista sociale, culturale, storico e geografico e che inscrivono la nostra esistenza in sistemi strutturati economici e politici intrecciati ai diversi livelli dell’organizzazione e gestione della cosa pubblica. Le scienze umane studiano il senso dell’umano che si dispiega nelle innumerevoli forme dell’atto creativo nell’agire quotidiano. Comunicare, esprimere, condividere, partecipare sono azioni sociali, sono contesti, sono cornici, sono atti creativi. Gli antropologi focalizzano le analisi su fermo-immagini ritagliate applicando metodologie e strategie di lavoro, testando assunti, strutturando impianti epistemologici. La scientificità, presunta o perseguita, permea il lavoro di ricerca e di studio. Questo, a mio avviso, è l’assunto e presupposto, che autorizza gli antropologi a dare la propria versione dei fatti!

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Palermo, 2019 (ph.  Garofalo)

Non è “data” un’esperienza “purissima”, al netto delle interazioni e delle intersezioni ai confini del sapere, del reale, dell’agito. Un’esperienza è vera “sempre”, concepita dall’assunto della dimensione soggettiva. La versione oggettiva comporta i processi di condivisione e pubblicizzazione e, quindi, il passaggio ad un diverso livello di astrazione. Ciò, a mio avviso, comporta una necessaria depersonalizzazione del vissuto, e, solo in seguito, la ri-umanizzazione degli eventi riferiti. Il lavoro etnografico passa attraverso i processi del differimento, della rappresentazione e della rielaborazione finalizzate al riposizionamento degli attori rispetto ai fatti riferiti, rispetto agli altri, rispetto a sé stessi. Se il contesto di ricezione del lavoro etnografico è da considerarsi un ulteriore livello meta-narrativo rispetto ai fatti, definiamo una cornice di partecipazione i cui attori, principali e secondari, soggetti e oggetti del discorso etnografico, osservatori e osservati, non costituiscono certo una platea inerme nelle mani dell’antropologo (Foucault, 1996). Ribadisco, invece, che le condizioni di contesto, di varia natura e di diverso livello narrativo-descrittivo, siano parti “totali” di una configurazione data, soprattutto nell’hic et nunc della ricezione, in una dimensione sia reale-concreta sia reale-virtuale. Per meglio comprendere, provo ad applicare il concetto ad un esempio attualissimo di quotidianità sociale e diffusa. Come ho già esposto altrove, anche le forme di comunicazione multimediale, nelle dimensioni online, chat e social non vanno considerate, opportunamente, dematerializzate, poiché il supporto tecnologico, hardware e software, il contesto esterno alla comunicazione e il contesto interno alla chat, la personalizzazione e l’attribuzione di protagonismo principale e secondario, in disposizione di azione, ricezione e interazione, concorrono alla configurazione unitaria e coerente della comunicazione in atto.

In tal senso, soprattutto, la narrazione etnografica è una modalità di ricerca dichiarativa di un ordine delle cose. Essa comporta l’attribuzione di senso agli eventi e ai soggetti, agli oggetti, ai tempi, ai luoghi degli eventi negli eventi. La narrazione dispiega, sulle coordinate spazio-temporali, la successione, diacronica e anche sincronica, delle istanze individuali e collettive, materiali e immateriali. L’antropologo, come lo spettatore o l’ascoltatore di certo teatro, di certa arte e musica, si ritrova innanzi a sé questa “grande opera” che è la realtà sociale, culturale, storico-politica, in un dato luogo e in un dato ritaglio temporale. Egli, peraltro, nel suo lavoro di ricerca non è il creatore e neanche il produttore o esecutore di siffatta partitura narrativa. Ne fa parte soltanto in qualità di antropologo. È la scelta del suo ruolo e del suo conseguente posizionamento che inseriscono l’antropologo sulla scena determinando una sorta di meta-teatro sociale e culturale. Il cortocircuito narrativo e osservativo tra soggetto e oggetto crea un nuovo evento discorsivo dotato delle potenzialità aleatorie discrete della sperimentazione. L’evento nuovo, cui mi riferisco, si svolge secondo regole differenti riscritte dall’antropologo. Egli approccia la grande opera per comprenderne i processi, le modalità, la morfologia e la sintassi degli agenti in azione e interazione, nel luogo e nel tempo dell’oggetto etnografico reinscritto nel discorso della scrittura etnografica (Clifford, 1993).

Detto questo, passo, ora, ad un’altra questione fondamentale! L’antropologo strappa e sottrae l’istanza individuale dal senso comune che tende a riportare le soggettività molteplici all’universalità delle interazioni sociali. Lo studioso preserva la quotidianità osservata dal rischio di omologazione insito nella percezione della ripetizione e ripetibilità delle azioni e degli eventi. Sovente, ciò che può apparire abitudine non perde di unicità e creatività dell’atto. Ma questo punto merita di essere approfondito e ritengo opportuno riferirmi alla faconda trattazione di Deleuze a riguardo. In particolare, Deleuze affronta il rapporto fondativo fra l’immaginazione e la memoria, e, rispettivamente, fra la contrazione e la riflessione.

«L’immaginazione contrae i casi, gli elementi, le vibrazioni, gli istanti omogenei, fondendoli in un’impressione qualitativa interna […]. La contrazione non è una riflessione ma, per esprimerci con precisione, forma una sintesi del tempo» (Deleuze, 1997: 96).

Deleuze, ricorrendo a Hume, propone una sorta di scomposizione della ripetizione nella successione temporale per somiglianza e differenza. Le azioni che disegnano la quotidianità solo apparentemente si ripropongono uguali a sé stesse nella reiterazione delle interazioni. Il processo di elaborazione che va dall’esperienza all’interiorizzazione del senso di assoggettamento attraversa due diversi piani (esperienziale e soggettivo) di appropriazione dell’esperienza stessa (dall’esterno verso l’interno e, viceversa, dall’interno verso l’esterno):

«Il tempo non si costituisce se non nella sintesi originaria che si fonda sulla ripetizione degli istanti, la quale contrae gli uni negli altri gli istanti successivi indipendenti, costituendo così il presente vissuto, il presente vivente, in cui il tempo si dipana. A questo presente appartengono sia il passato sia il futuro: il passato nella misura in cui gli istanti precedenti sono trattenuti nella contrazione; il futuro, in quanto l’attesa è anticipata nella stessa contrazione. Il passato e il futuro non designano gli istanti, distinti da un istante che si suppone presente, ma le dimensioni dello stesso presente in quanto contrae gli istanti, e non deve uscire da sé per muoversi dal passato al futuro» (Deleuze, 1997: 96).

La percezione della quotidianità passa per la contrazione degli eventi in un presente che a sua volta si dilata nella sintesi passiva della sua durata. Nella dimensione interna e soggettiva (spirituale) la memoria e i processi di previsione ne elaborano la rappresentazione riflessiva:

«La memoria ricostituisce i casi particolari come distinti, conservandoli nello “spazio di tempo” suo proprio. Il passato non è più allora il passato immediato della ritenzione, ma il passato riflessivo della rappresentazione, la particolarità riflessa e riprodotta. Correlativamente, il futuro cessa altresì di essere il futuro immediato dell’anticipazione per divenire il futuro riflessivo della previsione, la generalità riflessa dell’intelletto (l’intelletto proporziona l’attesa dell’immaginazione al numero di casi simili distinti, osservati e ricordati), significando così che le sintesi attive della memoria e dell’intelletto si sovrappongono alla sintesi passiva dell’immaginazione, fondandosi su di essa» (Deleuze, 1997: 97).

Quindi, schematizzando per tirare le somme, ciò che nella quotidianità sembra un ripetersi immutato viene rielaborato attraverso i processi di:

immaginazione               contrazione                 anticipazione

memoria                           riflessione                   previsione

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Palermo 2019 (ph. Garofalo)

La percezione del quotidiano e il reiterarsi dell’abitudine non sussistono in-e-per-sé ma originano da quel sistema di contrazione della successione temporale di eventi dotati di inizio – durata – veridicità – riconoscimento. Ogni presente passa, si lega all’imminenza attraverso le molteplici modalità di anticipazione, si fonda sul ritmo agito e percepito della somiglianza – ripetizione – differenza. Tale sistema processuale ci rende saggi! E ci mette in guardia dalle insidie dell’omologazione delle interazioni sociali. Non siamo mai uguali a noi stessi in ogni azione di contesto che ci definisce al cospetto degli altri. La ripetibilità del quotidiano è l’altra faccia della medaglia del cambiamento. L’istanza individuale e l’istanza collettiva ne sono i descrittori; i sistemi di elaborazione e interpretazione per somiglianza e differenza ne sono le declinazioni di senso.

È complesso il rapporto fra i sistemi culturali, inglobanti per lo più in base ad una serrata struttura dicotomica per opposti (dentro-fuori), e la ripetitività delle azioni individuali connotate dal sistema collettivo di riferimento che si stabilizzano nel tempo della storia individuale e della storia collettiva. Se lo spazio di questo mio contributo lo permettesse, oserei affrontare la delicata questione applicando addirittura i concetti prettamente matematici dello spazio topologico, considerando le azioni e le interazioni individuali come insiemi aperti e analizzandone i legami di unione e intersezione fra gli insiemi e i sottoinsiemi. Le condizioni necessarie all’analisi di uno spazio topologico e i concetti fondamentali sono, in termini estremamente semplificati: forma, compattezza, connessione, limite, intorno, continuità. L’intenzione la lascio qui naturalmente aperta nella convinzione di poter, in futuro, descrivere le azioni sociali ricorrendo a formule matematiche di calcolo e analisi degli spazi topologici con un taglio applicativo del tutto sperimentale senza alcuna pretesa di scientificità disciplinare ma soltanto in un’ottica interdisciplinare e collaborativa mettendo in campo gli impianti disciplinari epistemologici aperti a forzature ai confini della trasversalità del sapere e della conoscenza. Perché lo studio del quotidiano agire permetterebbe a mio avviso anche questo!

Inoltre, vorrei far riferimento ad Umberto Eco al fine di delineare le strade interdisciplinari percorribili nello studio del quotidiano agire in tutte le sue molteplici potenzialità di analisi e comprensione e, nel fare ciò, non credo di discostarmi poi tanto dal semplice incipit con il quale ho deciso di avviare la mia trattazione: dunque la mattina prendo un caffè al bar! Potrei scomporre il contesto azionale in questione individuando una serie infinita di tipi cognitivi e relazionandoli al relativo Contenuto Nucleare e Contenuto Molare.

«Il Contenuto Nucleare è visibile, toccabile, confrontabile intersoggettivamente perché viene fisicamente espresso attraverso suoni e, all’occorrenza, immagini, gesti o persino sculture di bronzo. Il Contenuto Nucleare, come il Tipo Cognitivo che esso interpreta, non rappresenta tutto quello che sappiamo su una data unità di contenuto. Rappresenta le nozioni minime, i requisiti elementari per poter riconoscere un dato oggetto o capire un dato concetto – e capire l’espressione linguistica corrispondente. […].
A livello del Contenuto Nucleare ci dovrebbe essere un consenso generalizzato, sia pure con qualche sfrangiamento e zone d’ombra, mentre il Contenuto Molare, che può assumere formati diversi a seconda dei soggetti, rappresenta un vasto insieme di competenze settoriali. Diciamo che la somma dei Contenuti Molari si identifica con l’Enciclopedia» (Eco, 2010: 88 e sgg.)
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Palermo 2019 (ph. Garofalo)

Ben consapevoli che Umberto Eco utilizza tali nozioni per affrontare le questioni di traduzione e interpretazione dei testi, mi sembra fruttuoso rapportarle al lavoro dell’antropologo, studioso dell’agire quotidiano. Egli, l’antropologo, individua il Contenuto Nucleare e ne formula l’interpretazione del significato in «una forma di conoscenza allargata» sul piano delle diverse implicazioni di significato estensivo delle azioni e delle interazioni quotidiane e contestualizzate. Siffatto lavoro è un processo di negoziazione fra il livello minimo di conoscenza della realtà quotidiana e i livelli di implicazione collettiva, strutturale dai molteplici punti di vista disciplinari (sociale, politico, storico, geografico, ecc…). In tal senso, lo studio del quotidiano agire è la rappresentazione del quotidiano negoziare i ruoli e le posizioni, i livelli e le modalità di inclusione e partecipazione sociale insite e implicite nelle azioni, ripetizioni e interazioni individuali e collettive. Ciò comporta l’assunzione di un grave senso di responsabilità culturale ancor prima che disciplinare e scientifica.

Questo mio contributo non vuole ingenuamente essere avulso dalle circostanze storiche in cui si scrive e se la quotidianità contestualizzata di cui stiamo trattando si inscrive necessariamente nell’attualità dell’autore, allora corre l’obbligo di sottolineare la convinzione sempre più diffusa di essere ancora ben lontani dalla volontà fattiva del cambiamento sociale e culturale tanto declamato nel nome di un progresso e sviluppo delle società civili! L’antropologo oggi più che mai ha il dovere di interpretare i fatti sociali, partendo dai fatti della quotidianità, per comprenderne la portata culturale e collettiva, restando immune e resistendo al dilagante populismo, al falso dialogismo intercategoriale, affermandosi voce fuori dal coro di massa, di certo settorialismo d’occasione, di certa opinione pubblica di interesse, di certa manipolazione collettiva, di attuale sorda megafonia. Concludo con una metafora: i contesti azionali sono “spazi sonori totali” si esprimono nel dispiegarsi dei suoni. Dice Cage:

«Un suono non si ritiene un pensiero, una necessità, o come bisognoso di un altro suono per essere spiegato o altro. Non ha il tempo per una qualsiasi considerazione, è troppo impegnato nell’esecuzione delle proprie caratteristiche. Prima di estinguersi deve aver chiarito perfettamente la propria frequenza, intensità, durata, il suo spettro armonico, l’esatta morfologia di queste componenti e di se stesso. Il suo divenire, impellente, unico, ignaro di teoria e storia, oltre l’immaginazione, centro di una sfera senza superficie, non conosce ostacoli, si trasmette con energia […]. Un suono non ottiene nulla; senza di esso la vita non durerebbe oltre l’istante. L’azione che incide è teatrale […], inclusiva e volutamente priva di finalità. Il teatro avviene di continuo, e avviene che evolve, e ogni essere umano è nella posizione ideale per la ricezione» (Cage, 2019: 48). «Oppure possiamo volare soltanto se siamo disposti a smettere di camminare» (ivi: 42).
Dialoghi Mediterranei, n. 41, gennaio 2020
Riferimenti bibliografici
Cage J., Silenzio, il Saggiatore, Milano, 2019
Clifford J., “Sull’autorità autobiografica”, in Clifford, I frutti puri impazziscono. Etnografia, letteratura e arte nel secolo XX, Bollati Boringhieri, Torino, 1993
Deleuze G., Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina, Milano, 1997
Eco U., Dire quasi la stessa cosa, Bompiani, Milano, 2010
Foucault M., “Che cos’è un autore?”, in Foucault M., Scritti letterari, Feltrinelli, Milano, 1996

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Concetta Garofalo, laureata sia in Lettere sia in Studi storici, antropologici e geografici presso l’Università degli Studi di Palermo, studia i molteplici aspetti teorici e pragmatici della agency e i processi, a breve e lungo termine, di interazione fra soggetti, instaurati nel mondo contemporaneo in relazione ai sistemi culturali di appartenenza, in spazi e tempi configurati soprattutto dai contesti urbani e dai contesti di apprendimento. La sua prospettiva di ricerca interdisciplinare attinge agli ambiti di studio più specifici dell’etnopragmatica e della sociosemiotica.

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