Immaginiamo: Stai andando al lavoro in auto, ora di punta, il traffico è immane. Poi, miracolosamente, il semaforo diventa verde, la strada si libera, il cielo si ingrigisce e alla radio parte una canzone che parla proprio di te. La voce sembra la tua, e tutti i tuoi sentimenti celati, giusti o sbagliati che siano, si esprimono in musica. Non sarà la canzone migliore del mondo, ma è quella che racconta la tua storia.
Ed è esattamente quello che cerca di fare il regista Jacques Audiard con “Emilia Pérez”, il suo musical presentato a Cannes 2024. Un’opera che mescola dramma e thriller per raccontare la storia, detto in maniera semplicistica, di Manitas Del Monte (Karla Sofía Gascón), un potente narcotrafficante messicano che decide di intraprendere un percorso di transizione di genere, assumendo una nuova identità: Emilia Pérez per l’appunto. Ma non aspettatevi un film politicamente corretto. Non ci sono eroi, non c’è redenzione, non ci sono risposte facili. Audiard trasforma la sua narrazione in un’opera non cinematografica ma teatrale che strizza l’occhio all’arte bohémien, con un’estetica volutamente artificiale e una messa in scena che si nutre di esagerazione e simbolismo. Il film sembra quasi prendere vita sotto gli occhi dello spettatore, tra scenografie surreali e costumi che non nascondono la loro teatralità.
Ricordiamo che l’arte bohémien, con le sue radici nella Parigi dell’Ottocento, è caratterizzata da passioni sfrenate, decadenza e anticonformismo. Audiard trasporta questa estetica in un Messico immaginario, attraverso costumi di scena realizzati da tessuti semplici, senza portare grandi marchi al pubblico oltre che proprio all’interno della narrazione in sé. Il film diventa così un musical che rifiuta il realismo per abbracciare il sogno, un’esperienza che oscilla tra il cinema e la performance teatrale. Tuttavia, il film presenta diversi elementi di regia riconducibili allo stile Noir. Come, ad esempio, la continua atmosfera cupa esaltata da chiaroscuri marcati con forti ombre, la trama intricata e una visione pessimistica della società in cui, come da manuale, il protagonista è l’antieroe. L’equilibrio tra questi due elementi, la sfarzosità teatrale e l’oscurità del noir, è la vera forza del film. Lo spettatore si trova immerso in un universo che non è mai completamente realistico, ma che riesce a colpirci con la sua crudezza emotiva.
La storia raccontata non è solo quella di Emilia, infatti, ci sono altre due protagoniste femminili, che raccontano la loro storia, inevitabilmente legata a quella di Manitas Del Monte / Emilia. Questo legame deriva sia dalle scelte delle protagoniste stesse, sia da un triste gioco del destino.
Il primo personaggio femminile che il regista vuole presentarci è Rita Moro Castro interpretata da Zoe Saldana. Rita è un giovane avvocato, nello specifico, talentuosa nel trovare le strategie più adatte per raccontare storie convincenti alle giurie, in modo che il suo studio legale risulti sempre vincente e i clienti di quest’ultimo soddisfatti. Nonostante la sua preparazione e il suo talento, Rita non riesce a emergere. Rimane in disparte come “suggeritrice”, mai come vera protagonista. La sua insoddisfazione deriva dalla consapevolezza che il mondo non si può cambiare e che bisogna giocare con le carte che si hanno, anche se il mazzo è composto da ingiustizia.
Come racconta nella canzone “Todo y Nada” lei ha dato tutto per la sua carriera, ma ora è stanca, frustrata e arrabbiata. Di conseguenza, quando le arriva una strana proposta da parte di un cliente sconosciuto, forse pericoloso, si rende conto che non ha più nulla da perdere e accetta.
Quel cliente è proprio Manitas Del Monte, che la ingaggia per assisterlo nella sua transizione. Il temuto Boss esprime il desiderio di sottoporsi segretamente a un intervento chirurgico di riassegnazione del sesso per riappropriarsi della vita che non ha mai potuto scegliere fino a quel momento. I due fanno un patto che ha una forza tale da poter essere paragonato al “Voto infrangibile”. Un Voto magico che può essere spezzato solo dalla morte. Da quel momento il loro rapporto diventa un patto silenzioso, una danza di segreti e ambizioni. Rita è la fata madrina di questa metamorfosi, ma sa che ogni scelta ha un prezzo. La futura vita di Juan comporta inevitabilmente una nuova vita per Rita.
La decisione segreta di Manitas incide anche su Jessi Del Monte (Selena Gomez), la giovane moglie del boss. Cresciuta fin dall’adolescenza sotto il suo controllo, si troverà in balia e succube delle scelte dell’amato marito, che anche se in segreto cambierà identità, non perderà il suo potere. Solo quando Jessi si ribellerà i due avranno un vero confronto.
Rita, Emilia, Jessi: tre donne diverse, tre percorsi intrecciati. “Emilia Pérez” racconta il loro destino con una colonna sonora potente e una messa in scena che si muove tra intimità e spettacolo. Le canzoni, che diventano veri e propri monologhi interiori, amplificano la tensione e danno voce ai sentimenti più nascosti. Ed è proprio su questo versante che il regista strizza l’occhio all’America.
Non tanto sulla scelta di ambientare la narrazione in Messico e neanche tanto per fare un musical di per sé quanto per il modo “americano” di fare musical. Il musical occupa e ha occupato un posto centrale nella cultura americana, rappresentando un’importante espressione artistica che fonde musica, teatro e danza.
E non vi è dubbio che in questo film si possano riscontrare alcune caratteristiche tipiche del musical americano. Per esempio, l’idea che, come per magia, le comparse presenti nella scena del protagonista diventino quasi degli “angeli custodi” o l’incarnazione dei suoi pensieri. Questo viene ben trasmesso dalla loro posizione fisica nella scena, spesso raggruppate dietro il personaggio principale. Proviamo adesso a confrontare questa scena, con quella di un famosissimo musical americano: “Grease.”
Le ballerine come flusso di coscienza interagiscono direttamente con la protagonista, stando tuttavia o dietro o attorno a lei. Incorniciandola come una cornice in movimento, fatta di pensieri. Inoltre, per dare risalto ai pensieri dei personaggi, come se non bastassero la musica e le danze, a volte il palcoscenico viene svuotato di alcuni elementi per focalizzare l’attenzione su altri. Questo espediente viene riproposto più volte nel corso del film.
Un’altra cosa che fa Audiard è giocare sugli stereotipi del Messico durante la narrazione. La pellicola si apre con una scena emblematica, quasi una cartolina iperrealista: un gruppo di mariachi suona mentre sullo schermo compare la scritta “Città del Messico”. Il paese è ritratto come un luogo di eccessi, dove la corruzione e la brutalità convivono con la normalità quotidiana, soprattutto quando si parla di femminicidio.
Anche il tema dei desaparecidos, introdotto nel film, viene trattato con un distacco emotivo da parte dai malviventi e usato in un certo senso come “opportunità” di redenzione da parte di Emilia Pérez. La violenza non è mai spettacolarizzata, ma diventa un elemento ripetitivo, impersonale, parte di un sistema che inghiotte chiunque. La pellicola ci suggerisce quasi che, in certi contesti, la sparizione non è un’eccezione, ma una prassi in Messico.
Quello che risulta interessante è come il regista crea l’ambientazione in maniera volutamente caricaturale, mentre, i personaggi femminili, sono profondi e complessi. Al di fuori quindi dall’immaginario comune. Emilia non è un’eroina, né un carnefice totalmente pentito. La sua transizione non è stato un atto di completa purificazione, ma un’altra fase di una vita segnata dal controllo. Porta con sé gli stessi tratti della mascolinità tossica che la caratterizzava prima, e il suo desiderio di cambiamento è intrecciato a una profonda ambiguità morale.
Detto questo, “Emilia Pérez” non è un film perfetto. È un’opera ambiziosa, che mescola generi, che sperimenta, che osa. Audiard non cerca di compiacere, ma di stupire. La sua regia è audace, i suoi personaggi sfaccettati, la colonna sonora avvolgente. Alcune scelte possono apparire estreme, ma il risultato è un musical cupo e folgorante, che lascia domande aperte e immagini potenti nella mente dello spettatore. Non per tutti, ma sicuramente difficile da dimenticare.
Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025
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Bianca Navarra, giovane laureata in Scienze della Comunicazione per I Media e le Istituzioni, specialistica in comunicazione il patrimonio culturale LLO di Erasmus Student Network Palermo.
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