Stampa Articolo

Lasciare il certo per l’incerto: un’esperienza concreta

Panorfama sulla Valle (ph. Pro Loco Fiamignano)

Panorama sulla Valle del Salto (ph. Pro Loco Fiamignano)

di Settimio Adriani, Emma Santarelli 

Fiamignano è un piccolo paese montano della provincia di Rieti, da sempre soggetto alle partenze e ai ritorni. La fragile economia di sussistenza, storicamente incardinata sulla pastorizia transumante e sulle migrazioni stagionali, ha lungamente costretto un’ampia fetta della piccola popolazione ad allontanarsi a caccia di un reddito, anche minimo, che consentisse di sopravvivere.

Tuttavia, fino alla metà del secolo scorso, i distacchi erano quasi sempre temporanei. Potevano durare da alcuni mesi a qualche anno, ma nella quasi totalità dei casi si concludevano con il ritorno a casa. Cosicché, partire e tornare avevano assunto un andamento ciclico: si andava per guadagnare risorse e si tornava per portarle a casa.

Tutto ciò accadeva regolarmente con la transumanza orizzontale (Adriani 2020), verso i caseifici della Sardegna (Adriani et al. 2019), per prestare opera nella tosatura transumante degli ovini (Adriani & Adriani 2008), o per svolgere lavori stagionali e occasionali laddove la campagna era più generosa (Ibidem).

Partenza e ritorno erano indissolubilmente congiunti; unità che Vito Teti (2019: 20) ha voluto sancire con un proverbio della sua terra: «Lu jire e lu venire Deu lu fice», ovverosia, l’andare e il tornare sono stati creati da Dio. Finché questo equilibrio non si è rotto, e non sempre al partire è corrisposto il tornare.

L’inevitabile effetto che ne è conseguito è stato lo spopolamento, che ha raggiunto il suo apice nella seconda metà del secolo scorso. Sempre più spesso, chi lasciava il paese portava con sé la famiglia e non tornava più, se non per qualche breve soggiorno estivo.

A risentirne per prima fu la scuola, seguita dai piccoli artigiani (Adriani & Pistoni 2025), dai negozi di alimentari e dalle osterie, che hanno via via chiuso i battenti. Di conseguenza, il paese si è sempre più impoverito, non soltanto di persone ma anche di attività e di opportunità per chi restava. A eccezione di qualche sporadico pensionato che decideva di lasciare la città, per lunghissimi anni non si è più registrato alcun ritorno. La desolazione causata dall’allontanamento definitivo è stata magnificamente descritta da un rimatore locale che in due strofe di un suo componimento così lo stigmatizza: 

d’ogni porte che se chiue
pare che se perde ‘a chiae
I funghi (ph. Elena Santarelli)

I funghi (ph. Emma Santarelli)

Ovverosia, ogni porta che si chiude è destinata a non aprirsi più, come se si smarrisse la chiave.

Solo recentemente, tra i giovani, si sta registrando un nuovo fenomeno, sebbene ancora tenue, che sta mostrando al territorio «le figure dei restanti, dei ritornanti, dei ‘nuovi’ abitanti» (De Bonis, Giovagnoli 2019: 7).

Si tratta di una dinamica che, da un lato, non sembra avere le dimensioni necessarie per garantire la sopravvivenza della comunità locale, ma che, dall’altro, è comunque meritevole di essere descritta. Per farlo, abbiamo deciso di affrontare la questione in modo sistematico, raccogliendo (tramite apposite interviste) e restituendo (con una breve serie di articoli), di volta in volta, la storia di almeno uno dei protagonisti delle diverse “categorie” appena menzionate. Per ognuno di loro saranno evidenziate le motivazioni e le aspettative sottese alla scelta, chiedendo anche un primo bilancio sulla nuova esperienza vissuta.

Il primo caso che abbiamo deciso di analizzare riguarda «il fenomeno dei ‘ritornanti’ che abbandonano le città [escludendo, però, dalla cernita coloro che] decidono di passare gli anni della pensione nei territori d’origine familiare o in quelli eletti a piccola patria affettiva» (Renzi 2019: 81).

Tra i pochi giovani che hanno accettato questa sfida c’è Bruno Di Marco.

Bruno era ancora bambino quando arrivò a Fiamignano, ed è cresciuto tra i vicoli silenziosi e nella tranquillità di un mondo che sembra ormai appartenere al passato. La sua vita, presto segnata dalle scarse opportunità e da un futuro incerto, lo spinse a prendere una decisione radicale: a poco più di vent’anni, con una valigia di sogni e una speranza di riscatto, lasciò la sua terra e si trasferì al Nord in cerca di lavoro. Lì, immerso tra le frenesie della città e della modernità, trovò un impiego in una fabbrica, e riuscì a stabilirsi e a costruire una nuova vita.

Con il passare degli anni si adattò alla routine urbana, ma qualcosa dentro di lui rimase ancorato alla sua montagna. I ricordi del paese, delle tradizioni e delle persone che aveva lasciato, cominciarono a riaffiorare, diventando sempre più presenti. Bruno si rese conto che, pur avendo trovato una certa stabilità, gli mancava quel legame profondo con la sua terra d’origine.

Dopo qualche anno di vita metropolitana, decise quindi di fare un passo coraggioso: lasciare tutto. Abbandonò il lavoro, la città, la vita che si era costruito, per fare ritorno al paese in cui era cresciuto. La montagna, che un tempo gli sembrava un luogo di solitudine, ora gli appariva come l’unico posto in cui sentirsi davvero se stesso.

Con il cuore carico di esperienze e un po’ di nostalgia, Bruno tornò nel paese spopolato, pronto a ricostruire, a contribuire a quel mondo che tanto gli aveva dato, e a dare nuova vita a un angolo di terra quasi dimenticato. La sua scelta non è stata solo un ritorno fisico, ma anche un ricongiungimento alle radici, al senso di comunità e a una vita più semplice ma infinitamente più autentica.

I tetti del paese (ph. Pro Loco Fiamignano)

I tetti del paese (ph. Pro Loco Fiamignano)

In un mondo che corre veloce, Bruno aveva scoperto che la vera felicità non risiede unicamente nei successi materiali, ma nella pace interiore che nasce dal sentirsi parte di qualcosa di più grande, qualcosa che è sempre stato lì, immutabile, sulle pendici della montagna.

Tornare a Fiamignano non è solo un atto di nostalgia, bensì la necessità di ritrovare un equilibrio. La sua vita al Nord gli ha insegnato molto, ma è nei legami con gli amici di sempre che l’uomo riscopre la sua vera forza. Certo, non è sempre tutto perfetto: ci sono divergenze, silenzi, momenti di incomprensione. Tuttavia, quella complicità che lo lega alla sua gente, quella capacità di condividere tutto, anche le piccole frustrazioni quotidiane, gli dà la sensazione di essere finalmente a casa.

Il ritorno alla montagna non è dunque un gesto romantico, ma una scelta consapevole. Bruno non solo recupera il contatto con le sue radici, ma riscopre anche il valore della condivisione con chi lo ha visto crescere. In una società in cui tutto muta continuamente, egli trova rifugio nei volti familiari, nelle risate degli amici, nei piccoli gesti che non hanno prezzo. E sebbene abbia difficoltà a esprimere a parole quanto tali legami significhino per lui, non c’è dubbio che siano proprio questi a dargli la forza di affrontare le sfide, a confermargli che anche nelle difficoltà la vita conserva comunque un senso.

Ecco la testimonianza di Bruno: 

Che rapporti avevi con Fiamignano?

«Le mie origini in realtà si dividono tra Casette e Avezzano; il mio primo contatto con Fiamignano avvenne infatti nel 1996 quando, all’età di 6 anni, mi sono trasferito al paese con la mia famiglia per motivi lavorativi di mio padre.  Il posto per me era bellissimo, un paese di montagna dove comunque c’erano poche persone e, chiaramente, anche pochi bambini; infatti, eravamo solamente in tre, me compreso. Via via questi rapporti si sono fortificati, diventando sempre più profondi ed emozionanti nel tempo…vivevamo prettamente nell’ambiente, dove non c’erano il traffico e la confusione che si possono trovare nei grandi centri; poi nel periodo estivo tornavano dalla città anche altri ragazzi e così da pochi diventavamo molto numerosi, sono tutti amici che ho da una vita e che continuo a frequentare e a tenere nel cuore.  Papà faceva parte della forestale, quindi soprattutto grazie a lui è avvenuta una certa conoscenza del territorio e della natura, ho sviluppato tante passioni, in particolar modo quella per i funghi. Insomma, posso dire che Fiamignano è casa per me, qui ho vissuto gli anni più felici e spensierati della mia vita». 

Perché hai deciso di andare via?

«Non è stata tanto una mia decisione quella di andare via; nel 2014, all’età di 24 anni, ho fatto domanda per l’esercito e, inevitabilmente, sono stato trasferito prima ad Ascoli Piceno poi a Pordenone, in cui sono rimasto per sei anni». 

Come ti trovavi nel luogo che hai raggiunto?

«È stata dura inizialmente perché non conoscevo nessuno, in più gli abitanti del posto erano persone molto chiuse e poco espansive e questo, avendo tutti i miei affetti lontano, non mi ha per niente facilitato la cosa. Col tempo però, grazie al lavoro, sono riuscito a creare la mia cerchia di amici e a farmi apprezzare; nonostante questo, non riuscivo comunque a vivere serenamente la mia vita». 

Cosa ha innescato il distacco?

«Come ho anticipato nella domanda precedente, ero arrivato a un punto per cui la mia soddisfazione a livello lavorativo non riusciva a bilanciare e a colmare i vuoti che provavo a livello affettivo. Non mi trovavo più bene in quell’ambiente, semplicemente non rappresentava il modo in cui volevo vivere la mia vita». 

Perché hai deciso di tornare a Fiamignano e cosa contavi di trovarci?

«Ho scelto di tornare a Fiamignano perché mi mancava casa e tutti i miei cari e non mi aspettavo di trovare nulla di diverso di quello che avevo lasciato; per me voleva dire ricominciare da capo e sicuramente riprendermi in mano la mia vita: volevo tornare ad essere sereno e sapevo che dovevo tornare lì, non ho neanche provato un altro posto, solo Fiamignano, senza esitazioni». 

Puoi fare un bilancio dopo quattro anni dal ritorno?

«Inizialmente ho avuto difficoltà nel trovare un lavoro che mi soddisfacesse, infatti ne ho cambiati molti – ora fa l’operaio in un’azienda di carpenteria metallica pesante, a Rieti, ed è pendolare –. È chiaro che in un posto nel nord Italia, come quello in cui sono stato io, le possibilità sono maggiori. Ad oggi però, dopo anni faticosi, mi sono sistemato e posso dire di averci guadagnato in tutto, ho vicino la mia famiglia e i miei amici e sto nel posto che amo, ho riacquistato la mia serenità ed è questo quello che contava di più per me». 

Consiglieresti ad altri di fare la tua scelta?

«Non posso dare una risposta precisa a questa domanda, secondo me è molto soggettivo. Ho amici che da Fiamignano si sono spostati a Roma o a Rieti per motivi lavorativi o per altre questioni e che al paese non ci tornerebbero mai a vivere; altri ancora che fanno i pendolari o che lavorano fuori e poi il fine settimana tornano su perché amano il posto tanto quanto me e ci sono legati. Io ho deciso di tornare a prescindere da quello che avrei trovato. È stata una scelta». 

Vedi il paese come limitante?

«Il paese non è limitante di per sé, chiaramente offre poco. Il lavoro maggiormente si trova a Rieti o ad Avezzano, quindi bisogna spostarsi, a volte anche in posti più lontani; questo potrebbe essere causa di stress. Anche per quanto riguarda gli svaghi, il paese offre solo un bar, se si vuole andare al ristorante o a vedere qualcosa di diverso bisogna sempre spostarsi, a portata di mano c’è ben poco. Secondo me è una scelta di vita, o ti piace o non ti piace, il periodo estivo è sempre bello per tutti, i paesi vengono ripopolati in quei mesi, ma la vita durante tutto l’anno non è facile perché non c’è veramente nessuno. Dal mio punto di vista però ci guadagniamo sulla qualità della vita, non ci stressiamo con la caoticità delle città e siamo immersi nella natura. Perciò per me è limitante ma solo in parte, ha i suoi pro e i suoi contro». 

Se sì, cosa si potrebbe fare per aumentare le opportunità?

«Se Fiamignano si trova in queste condizioni è colpa di tutte le giunte comunali che ci sono state nel corso degli anni che, anziché fare qualcosa per il paese, hanno solamente guardato ai loro interessi e hanno mandato un paese allo sfascio…anche noi che ci viviamo abbiamo probabilmente le nostre colpe perché troppo “accomodanti”, ma il problema reale è che se qualcuno sopra di noi non fa nulla per il bene del posto di certo non possono essere le persone comuni a fare la differenza o a creare qualcosa di significativo. Solo la Proloco, nella mia opinione, ha creato delle cose belle, ha fatto tante iniziative che hanno attirato attenzione e creato interesse, cose che ci hanno fatto conoscere perlomeno nel territorio regionale. Pensare che in tutto il Cicolano ci sono solamente due B&B che neanche tutti conoscono; abbiamo il lago del Salto, abbiamo un territorio meraviglioso e niente di tutto ciò è mai stato adeguatamente valorizzato: si dovrebbero mettere a posto le strade, si potrebbero creare sentieri per camminate, o magari anche piste per le biciclette; invece, è tutto abbandonato a se stesso. Non abbiamo niente di meno di tanti altri posti che invece hanno saputo sfruttare e valorizzare i propri territori facendoli diventare dei posti bellissimi. Bisognerebbe cominciare da queste cose, creare più turismo, e allora forse sarebbe tutto diverso». 

Nel bosco (ph. Emma Santarelli)

Nel bosco (ph. Emma Santarelli)

Ciò che lascia spazio a un minimo di speranza in chi, come noi, ha in cuore la sopravvivenza delle aree abbandonate, è questa considerazione di Vito Teti (2019: 22): «A voler restare e tornare non sono tanto i vecchi in cerca di un luogo dove morire, ma i giovani che cercano un posto dove creare nuova vita, nuova socialità». Lo stesso autore sostiene che: «La scelta di tornare o di restare è una pulsione che tende alla costruzione di una nuova polis, un nuovo modo di abitare e organizzare spazi, economie, relazioni, alla nascita di una nuova comunità» (Ivi: 20).

Tale riflessione, che sottolinea come la volontà di restare o tornare non sia più la ricerca di un luogo nel quale concludere la propria esistenza, ma un desiderio di nuovi inizi da parte delle nuove generazioni, rappresenta un segno di speranza per il destino delle aree segnate dallo spopolamento. Non sono più soltanto gli anziani a cercare un angolo in cui trascorrere il tempo della pensione, bensì i giovani, animati da vitalità e creatività, a volere tornare per costruire una nuova comunità e dare vita a economie e relazioni inedite. Questa visione di rinascita delle piccole realtà locali, come luoghi di innovazione sociale e culturale, apre una possibilità concreta di recupero di territori che sembravano destinati all’oblio.

Tuttavia, sebbene queste parole offrano una visione positiva, la realtà che si vive nelle aree periferiche e marginali, come ha sottolineato Bruno Di Marco durante l’intervista, è purtroppo segnata da anni di incuria e negligenza politica. La lentezza delle amministrazioni nel rispondere alle necessità urgenti di questi territori, l’incapacità di valorizzare il loro potenziale, l’assenza di un piano organico e realmente fattivo per lo sviluppo delle aree interne, sono i principali fattori che ne alimentano il continuo e apparentemente inarrestabile declino. La politica, spesso lontana dai bisogni concreti delle persone che vivono nelle zone più isolate, si interessa troppo poco e tardi alle loro problematiche. Nonostante le molteplici crisi che queste comunità affrontano, dallo spopolamento alla carenza di servizi essenziali, la risposta istituzionale rimane spesso insufficiente e frammentata.

Tra i vicoli abbandonati (ph. Emma Santarelli)

Tra i vicoli abbandonati (ph. Emma Santarelli)

Il divario tra le necessità delle comunità locali e l’azione delle istituzioni rende sempre più difficile la prospettiva di un cambiamento reale. Mentre alcuni giovani cercano di riscoprire e riabitare questi luoghi, senza il sostegno di politiche attive e tempestive, il rischio è che il loro impegno e il loro slancio vengano vanificati, nonostante la visione di rinnovamento che li anima.

Come sottolineato da Teti, il cambiamento deve essere rapido, poiché per i piccoli paesi, come per le loro comunità, il tempo è un fattore determinante. Ogni giorno che passa senza interventi concreti è un passo in più verso l’abbandono definitivo. L’auspicio finale è che la visione di Teti possa davvero tradursi in azioni concrete ed efficaci, ma è necessario che la politica si svegli di fronte all’urgenza di una svolta. Non c’è più tempo da perdere: per riscrivere il futuro di questi luoghi è necessario un impegno collettivo e complesso, che veda l’azione coordinata di amministrazioni locali e comunità più ampie. Solo così sarà possibile dare vita a una nuova polis che non sia solo un sogno ma una realtà concreta, un segno tangibile di speranza e resilienza. La rinascita dei luoghi periferici, infatti, dipende tanto dalle capacità di innovazione e dalla forza delle comunità locali (che si indebolisce sempre più rapidamente), quanto dall’abilità della politica di ascoltare, intervenire e orientare le risorse adeguate.

Vogliamo assolutamente confidare in quanto asserisce Vito Teti, ma l’augurio è che questa inversione di tendenza si realizzi al più presto, poiché per i piccoli paesi il tempo stringe. 

Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025 
Riferimenti bibliografici 
Adriani S., Adriani B., Il Cicolano terra di migranti; le migrazioni primaverili: gli ultimi Carosini, in Maceroni G., Tassi A.M. (a cura di), Atti del Convegno: Dalla nascita del Fascismo alla Repubblica nel Cicolano, Arti Grafiche Celori, Terni, 2008: 197-202.
Adriani S., Adriani V., Morelli E., Casari transumanti del XX secolo, dal Cicolano ai caseifici della Sardegna, in Salvatori F. (a cura di) L’apporto della Geografia tra rivoluzioni e riforme, Atti del XXXII Congresso Geografico Italiano (Roma, 7-10 giugno 2017), Roma, A. Ge. I., 2019: 1585-1592.
Adriani S., La transumanza in dodici “strofe” di tradizione orale. Nel Cicolano (Rieti), tra necessità delle greggi e aspettative dei pastori, «La ricerca folklorica», n. 75, 2020: 207-219.
Adriani S., Pistoni F., Mastr’Eligio calzolaio e gli ultimi baratti, «Di Questa e d’Altre Terre», n. 4, 2025. In stampa
Renzi F., Il grande spazio urbano dell’Appennino. Un cambio di paradigma per la ricostruzione, «Scienze del Territorio. Rivista di Studi Territorialisti», n. 7, 2019: 80-83.
De Bonis L., Giovagnoli M., Editoriale, «Scienze del Territorio. Rivista di Studi Territorialisti», n. 7, 2019: 6-10.
Teti V., La restanza, «Scienze del Territorio. Rivista di Studi Territorialisti», n. 7, 2019: 20-25. 

________________________________________________________ 

Settimio Adriani (settimioadriani@gmail.com) – Laureato in Scienze Naturali e Scienze Forestali, si è specializzato in Ecologia e ha completato la formazione con un Dottorato di ricerca sulla Gestione delle risorse faunistiche, disciplina che ha insegnato a contratto presso le Università degli Studi della Tuscia di Viterbo (facoltà di Scienze della Montagna, sede di Rieti), “La Sapienza” di Roma (facoltà di Architettura Valle Giulia) e dell’Aquila (Dipartimento MESVA). Per passione studia la cultura del Cicolano, sulla quale ha pubblicato numerosi saggi e monografie. Coordina il comitato editoriale della rivista quadrimestrale della Valle del Salto denominata Di Questa e d’Altre Terre, edita dalla Pro Loco di Fiamignano (RI). 
Emma Santarelli (emma.santarelli2014@gmail.com) – Ha frequentato il Liceo Scientifico Plinio Seniore, di Roma. Attualmente è iscritta al corso di laurea in Psicologia e Processi Sociali presso la facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università La Sapienza, con l’obiettivo di accedere alla specializzazione in Psicologia del lavoro. Intende promuovere il benessere lavorativo aziendale e individuale, garantendo buone condizioni psicologiche e favorendo l’identità lavorativa della persona. È socia della Pro Loco di Fiamignano (Rieti), per conto della quale si occupa attivamente delle indagini attinenti il proprio percorso formativo e, più in generale, delle attività culturali promosse dall’associazione.
__________________________________________________________________________________ 

 

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Società. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>