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Le Collezioni di sedie: storie da raccontare

Sedia, cjadrèe, Collezione  Comune Manzano

Sedia, cjadrèe, Collezione Comune Manzano

di Angela Zolli 

Il Comune di Manzano nel 2017 ha dato avvio ad un’attività di inventariazione e catalogazione delle collezioni di sedie di proprietà dell’Amministrazione comunale, attività resasi necessaria per creare le premesse del museo della sedia a Manzano. In questo lavoro si propone una lettura del processo di patrimonializzazione descrivendo il contesto storico, sociale e culturale di afferenza. 

Le premesse del progetto museale 

Il progetto di inventariazione e catalogazione delle sedie si è inserito in un contesto complesso per capire il quale è necessario risalire alla genesi delle collezioni. Una prima fase corrisponde con la  fine degli anni Ottanta quando l’Assessorato alla Cultura del Comune di Manzano e  l’Associazione Centro Europeo del Friuli per la Gioventù (CEF) si fanno promotori di un’iniziativa culturale riguardante una mostra sulla “produzione, storia ed arte della sedia”. La finalità consisteva nel portare a conoscenza del pubblico e degli operatori del settore le origini e lo sviluppo della manifattura della sedia con l’idea di istituire una mostra permanente. A questo periodo risale l’attuale Collezione storica originata da uno «slancio» [1] che si esaurisce in quegli anni. Parallelamente, nel 1995, Promosedia realizzava la sedia di legno più grande del mondo, alta 20 metri, collocandola su una rotonda di Manzano. Si trattava di un’operazione di marketing, non collegata al progetto museale, che però includeva delle componenti culturali simbolicamente rilevanti in quanto favoriva un processo di identificazione della comunità con un oggetto.

Una seconda fase corrisponde con il 2006 quando l’Università degli Studi di Udine, su incarico del Comune di Manzano, avvia un progetto di antropologia museale che si conclude in quegli anni principalmente con l’impostazione di un metodo, l’inventario dei manufatti e la catalogazione di alcuni di essi.

Le acquisizioni danno avvio alla terza fase, quando nel 2011 l’ex Banca Manzano dona al Comune di Manzano l’area in Borgo del Pozzo affinché venga realizzato il progetto di tutela e valorizzazione del borgo che includeva anche il museo della sedia. Al 2016 risalgono le donazioni dei prototipi di sedie del designer locale Werther Toffoloni, dell’archivio e dei prototipi dei concorsi/premi di design di Promosedia, parallelamente la grande sedia veniva rimossa a causa del suo deterioramento.           

norIl contesto storico, sociale e culturale 

Si è trattato quindi di sviluppare il progetto di riordino e catalogazione e di ricollocare le sedie delle collezioni nel loro contesto storico, sociale e culturale, allestendo uno spazio espositivo aperto al pubblico, ma soprattutto di coinvolgere amministratori e operatori locali affinché questo “patrimonio industriale diffuso” fosse oggetto di ripensamento, presa di coscienza e comprensione.

Nel secondo dopoguerra l’Italia ha conosciuto un processo di industrializzazione diffuso con lo sviluppo dei distretti industriali che ha riguardato soprattutto il Nordest e il Centro Italia, aree che non appartenevano al cosiddetto triangolo industriale. È questo il caso del distretto della sedia in provincia di Udine, chiamato anche “triangolo” della sedia con riferimento alla comunità produttiva specializzata nella fabbricazione della sedia e stanziata originariamente nei tre comuni di Corno di Rosazzo, Manzano e San Giovanni al Natisone, nucleo storico oggi esteso ai comuni limitrofi. L’origine della manifattura della sedia risale alla fine dell’Ottocento quando il nuovo confine tra l’Italia e l’Austria nel 1866 separò i seggiolai di Mariano del Friuli dai mercati di sbocco, la crisi che contraddistinse il settore culminò con l’introduzione dei dazi doganali nel 1878 e la conseguente migrazione dei seggiolai [2].

La storia di questo distretto industriale può essere rappresentata come la storia di imprese, famiglie e istituzioni, ovvero la storia del sistema di relazioni da loro posto in essere nell’espressione della loro cultura materiale. La “relazione totale” stabilita dalla comunità produttiva con i manufatti della principale filiera produttiva ne costituisce il punto nevralgico, in un contesto caratterizzato da una stretta interpenetrazione dell’attività produttiva con la famiglia, dal senso di appartenenza al territorio, da un sistema di valori basato sul lavoro, da un linguaggio tecnico condiviso e spesso da una storia, un mito delle origini.

I primi cambiamenti della struttura economico-produttiva, dall’agricoltura verso l’industria, determinarono un processo di trasformazione identitaria, i contadini-artigiani procedevano applicando un modello organizzativo noto, la famiglia, all’organizzazione dell’attività di impresa, ignoto [3]. Lo sviluppo di una famiglia-impresa diventò così il modello organizzativo dominante, indipendentemente dalla necessità di dover integrare il lavoro agricolo e artigianale, un modello applicato per imitazione, una cellula essenziale della produzione economica e dei rapporti sociali, a fondamento della “relazione totale” individuata tra la comunità, l’attività produttiva e l’oggetto “sedia” [4].

Dopo gli esordi ottocenteschi e gli sviluppi del primo Novecento, gli anni Venti videro la nascita delle prime fabbriche e il consolidarsi del tessuto delle piccole imprese artigiane e dei laboratori domestici. Lo sviluppo negli anni Cinquanta e Sessanta, il boom economico, provocò in Friuli una ricomposizione settoriale del manifatturiero attraverso una fortissima contrazione del settore tessile e l’espansione del settore meccanico e del legno-arredo. La trasformazione della comunità produttiva di seggiolai in un classico distretto industriale [5] risale a questo periodo, caratterizzato da uno spirito di rinnovamento sociale e da un quadro economico in cui la domanda era superiore all’offerta, con il conseguente aumento della natalità imprenditoriale e della popolazione residente. Parallelamente si svilupparono le prime istituzioni, fra le quali il Gessef per promuovere e vendere i prodotti all’estero, il Conseg, un consorzio tra imprese artigiane, l’Istituto Professionale di Stato per il Legno e l’Arredamento e il Centro di Assistenza Tecnica Aziende del settore della Sedia in legno (Catas). Con notevole spirito di iniziativa molti ex dipendenti, dopo un periodo di apprendimento nelle imprese maggiori, fondarono la propria impresa per imitazione, in tali imprese i fondatori tendevano a riprodurre il modello della famiglia-impresa. La divisione sessuale del lavoro uomo-donna corrispondeva con i mestieri del seggiolaio e dell’impagliatrice. La lavorazione del legno era un mestiere maschile, le donne impagliavano con l’erba palustre, imballavano, svolgevano compiti di finitura, i bambini giocavano con gli strumenti e i materiali di lavoro dei genitori e giocando apprendevano il mestiere.

imagesIn Italia gli anni Settanta furono contrassegnati dalla crisi petrolifera, dall’inflazione e da conflittuali relazioni sindacali, mentre l’economia regionale fu profondamente segnata dalla tragedia del terremoto del 1976. Fino agli anni Ottanta la sedia era ancora un complemento di arredo distribuito da mobilieri e importatori, le reti di vendita erano scarsamente sviluppate, questo in un periodo storico caratterizzato da cambiamenti epocali: la caduta del muro di Berlino, la rivoluzione digitale, lo sviluppo di reti produttive transnazionali, del commercio internazionale e della concorrenza. Gli anni Ottanta costituirono una fase di discontinuità con il rallentamento della crescita del distretto. Le modalità di reazione furono diverse e non possono essere riassunte esclusivamente in una lettura del distretto come sistema; la necessità di rendere competitive le produzioni determinò cambiamenti di tipo organizzativo, investimenti tecnologici e nella ricerca, l’inizio della progettazione di nuove collezioni a marchio proprio e di reti di vendita, l’orientamento al mercato e l’affermarsi del design per agire sulla differenziazione del prodotto. Nel 1983 fu fondata la società consortile Promosedia per organizzare il Salone internazionale della sedia con l’obiettivo di promuovere a livello internazionale la diffusione dei prodotti dell’area.

A partire dagli anni Duemila si palesano gli effetti di un’ulteriore trasformazione. Tutti i Paesi economicamente avanzati hanno registrato una ristrutturazione del sistema produttivo con l’espansione dei servizi e la compressione dell’industria. Anche il distretto della sedia si è ridimensionato, con la fuoriuscita definitiva dal mercato di molte imprese e la tenuta e il rafforzamento di altre. Rispetto alla sedia in legno impagliata delle origini, la gamma dei prodotti finiti del distretto della sedia [6], ampliata e orientata al design, include ora sedie, poltrone, poltroncine, sgabelli, quindi diverse tipologie di sedute, ma anche mobili, complementi di arredo, in legno e altri materiali per arredare case, uffici, ambienti collettivi interni ed esterni [7]. 

: la sedia Marocca era la tradizionale sedia di legno realizzata localmente, impagliata manualmente, con nodo centrale sulla struttura, utilizzando l’erba palustre e i paglietti di segala

La sedia Marocca era la tradizionale sedia di legno realizzata localmente, impagliata manualmente, con nodo centrale sulla struttura, utilizzando l’erba palustre e i paglietti di segala [9]

Il ruolo dei soggetti pubblici e privati nel processo di patrimonializzazione 

Operare in questo contesto ha significato soprattutto valorizzare la storia del processo di trasformazione della comunità produttiva in distretto industriale, coinvolgendo gli stakeholder del territorio,  i soggetti pubblici, istituzionali, e privati, la popolazione e gli imprenditori, cercando di superare l’evidente dicotomia tra economia e cultura, ampliando la partecipazione e creando i presupposti per un progetto di antropologia museale. La sedia acquisiva lo status di bene culturale, si trattava quindi di conservare, ordinare e interpretare le collezioni, di curare in via permanente l’inventariazione, la catalogazione e la documentazione dei beni, sviluppare lo studio e la ricerca [8].

L’accordo di collaborazione siglato dal Comune di Manzano con l’Ente Regionale per il Patrimonio Culturale ha reso possibile la catalogazione di trecento manufatti e l’identificazione di due collezioni: la Collezione storica e la Collezione moderna. La Collezione storica, risalente alla fine degli anni Ottanta, è stata catalogata con la scheda BDM in quanto include principalmente un’ampia ed eterogenea selezione di sedie, dalla seconda metà dell’Ottocento agli anni Settanta del Novecento: sedie impagliate, tornite, curvate,  diverse tipologie di sedute, seggiolini, sgabelli, poltrone, poltroncine, dalla produzione domestica a industriale. 

sedia Marocca, 1958, design di Werther Toffoloni e Piero Palange (Studio TiPi), impresa Romano Bolzicco (Manzano)

Sedia Marocca, 1958, design di Werther Toffoloni e Piero Palange (Studio TiPi), impresa Romano Bolzicco (Manzano) [1o]

La Collezione moderna include le Serie Manzano, Toffoloni e Promosedia, costituite da sedie di design catalogate con la scheda OAC quando premiate a livello internazionale o nei concorsi/premi di design organizzati da Promosedia.

A completamento di tale attività è stato avviato un ulteriore percorso di ricerca, di tipo sperimentale, realizzando nel 2021 un documentario, cambiando radicalmente linguaggio con una volontaria cesura rispetto al passato, coinvolgendo le imprese e le persone protagoniste della storia del distretto della sedia finora assenti dal processo di patrimonializzazione, demandando il compito di raccontare la storia delle collezioni a chi le sedie le aveva costruite che in questo modo sono diventati produttori di significato e di racconti. L’obiettivo consisteva nell’inserire i manufatti nel loro contesto storico, sociale e culturale e di comunicarli ad un’utenza più ampia con l’utilizzo delle tecnologie di tipo audiovisivo.

sedia Marocca, 1958, design di Werther Toffoloni e Piero Palange (Studio TiPi), impresa Romano Bolzicco (Manzano)

Sedia Marocca, 1958, design di Werther Toffoloni e Piero Palange (Studio TiPi), impresa Romano Bolzicco (Manzano)

Del documentario dal titolo Le Collezioni di sedie: storie da raccontare, sono stati protagonisti (e attori) alcuni produttori di sedie, unitamente agli operatori specializzati in alcune lavorazioni, quali la curvatura, l’incannettatura, l’impagliatura, infine alcuni imprenditori/professionisti che nell’ambito di Promosedia avevano contribuito allo sviluppo di un cultura di progetto e la ricercatrice. Ai produttori di sedie, in particolare, è stato chiesto di raccontare la storia della loro impresa e dell’evoluzione del (loro) prodotto; nel rispondere hanno fatto riferimento alla famiglia-impresa e alla sedia impagliata delle origini per arrivare al design e ai manufatti moderni, il futuro, documentando così non solamente le collezioni di sedie, ma le trasformazioni culturali derivanti da più di 140 anni di storia economica locale. La presentazione del documentario ai suoi protagonisti/attori, nonché co-autori, e alla popolazione ha emozionato, raggiungendo il suo obiettivo; le sedie delle collezioni si intrecciavano ora con i racconti dei protagonisti dello sviluppo economico dell’area, restituendo volti, parole, storie, a testimonianza della «centralità dell’oggetto» [11] nelle loro vite e nel distretto della sedia, come nella vita di un museo.

cop-lab-rea-n5-300x428-optimizedLa presentazione del documentario ha inoltre attirato l’attenzione delle emittenti televisive e radiofoniche, così come la concomitante presentazione di un Quaderno di ricerca il cui saggio introduttivo riporta l’evocativo titolo Economia e cultura del distretto industriale della sedia realizzato con l’obiettivo di divulgare alcuni punti fondanti della ricerca [12]. Molteplici sono stati gli snodi critici solo parzialmente risolti di tale percorso audiovisivo, fra i quali la selezione dei diversi soggetti, la condivisione del progetto, il rapporto tra la scaletta del documentario e l’improvvisazione, la relazione tra l’oggetto, il racconto e le immagini, tra il materiale e l’immateriale, ciononostante il documentario ha documentato in modo efficace le collezioni. Durante la tavola rotonda svoltasi durante il convegno organizzato dal Comune di Manzano proprio durante la settimana delle riprese, è emersa la consapevolezza della caratteristica necessariamente collettiva e interdisciplinare del processo di patrimonializzazione.

In futuro si tratterà di realizzare il  piano strategico del costituendo museo della sedia, argomento trattato durante il convegno annuale del 2022, dal titolo Il patrimonio industriale: pianificazione, gestione, valorizzazione, in cui questi temi sono stati trattati alla luce del D.M. 113/2018 Adozione dei livelli minimi uniformi di qualità per i musei e i luoghi della cultura di appartenenza pubblica e attivazione del Sistema museale nazionale, con la finalità di creare la necessaria consapevolezza rispetto all’importanza del museo quale spazio sociale rivolto ad un ampio ed eterogeneo pubblico con la finalità di valorizzare e rendere fruibile il patrimonio industriale utilizzando diversi modelli di narrazione, dalla scheda catalografica ad una polifonia di storie da raccontare, diversi linguaggi e media e tenendo conto del processo di digitalizzazione del patrimonio culturale.

Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025
Note
[1]  Il periodo presenta alcuni punti di contatto con le premesse del “progetto Museo” ad Alberese, cfr. Clemente P., 2004, Il  progetto del Museo di Alberese in Museografia e comunicazione di massa, Roma, Aracne Editrice: 7-30.
[2] Cfr. anche Bosco F., Deganutti A., 1986, Manzano, San Giovanni al Natisone, Corno di Rosazzo. Aspetti sociali ed economici tra Sette e Novecento, Cassa Rurale ed Artigiana di Manzano; Fabi L., 1992, La cultura della sedia: storia, origini e sviluppo del “Triangolo della sedia”, Udine, Cooperativa Editoriale Il Campo.
[3] Si tratterebbe di un processo di “domesticazione del mondo”, di “appaesamento”, cfr. De Martino E., 1977, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, a cura di Gallini C., Torino, Einaudi.
[4] Zolli A., 2018, Da comunità produttive a distretti industriali. Antropologia economica dei distretti friulani della sedia e del coltello, Padova, Cleup.
[5] Per quanto riguarda i distretti industriali cfr. Becattini G., Piccole e medie imprese e distretti industriali nel recente sviluppo italiano, in Note economiche. Rivista del Monte dei Paschi di Siena, n. 3, 1989: 397-411; Bagnasco A., 1977, Tre Italie. La problematica territoriale dello sviluppo italiano, Bologna, Il Mulino.
[6] Per distretto industriale della sedia si intendono le imprese operanti nel settore del legno-arredo (ateco 2007 C16 e C31) in undici comuni della provincia di Udine, precisamente Aiello del Friuli, Buttrio, Chiopris Viscone, Corno di Rosazzo, Manzano, Moimacco, Pavia di Udine, Premariacco, San Giovanni al Natisone, San Vito al Torre e Trivignano Udinese (DGR n. 456/2000). Per il quadro normativo dei distretti industriali cfr. Zolli Da comunità produttive a distretti industriali, op. cit.
[7] Per approfondimenti cfr. Zolli A., 2024, La fabbrica di sedie. Imprenditori, manufatti e design nel Friuli industriale. XIX-XXI secolo, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale.
[8] Cfr. il D.M. 113/2018 Adozione dei livelli minimi uniformi di qualità per i musei e i luoghi della cultura di appartenenza pubblica e attivazione del Sistema museale nazionale.
[9] Cfr. https://patrimonioculturale.regione.fvg.it/, consultato in data 23/1/2025.
[10] Cfr. Delneri A. (a cura di), 2012, Werther Toffoloni per sedersi, Catalogo della mostra a Gradisca d’Isonzo nel 2012-2013, Cormòns, Poligrafiche San Marco: 86-87.
[11] Aimi A., 2002, I frutti puri impazziscono ma gli ibridi sono sterili, Antropologia musealeˮ, n.1: 25-29.
[12] Zolli A., 2021, Economia e cultura del distretto industriale della sedia, in Zolli A. (a cura di), Quaderno di ricerca Lab REA, n. 5, Pasian di Prato, L’Orto della cultura: 9-25. 
Riferimenti bibliografici 
Aimi A., 2002, I frutti puri impazziscono ma gli ibridi sono sterili, Antropologia musealeˮ, n.1: 25-29.
Bagnasco A., 1977, Tre Italie. La problematica territoriale dello sviluppo italiano, Bologna, Il Mulino.
Becattini G., Piccole e medie imprese e distretti industriali nel recente sviluppo italiano, in Note economiche. Rivista del Monte dei Paschi di Siena, n. 3, 1989: 397-411.
Bosco F., Deganutti A., 1986, Manzano, San Giovanni al Natisone, Corno di Rosazzo. Aspetti sociali ed economici tra Sette e Novecento, Cassa Rurale ed Artigiana di Manzano.
Clemente P., 2004, Museografia e comunicazione di massa, Roma, Aracne Editrice.
De Martino E., 1977, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, a cura di Gallini C., Torino, Einaudi.
Delneri A. (a cura di), 2012, Werther Toffoloni per sedersi, Catalogo della mostra a Gradisca d’Isonzo nel 2012-2013, Cormòns, Poligrafiche San Marco.
Fabi L., 1992, La cultura della sedia: storia, origini e sviluppo del “Triangolo della sedia”, Udine, Cooperativa Editoriale Il Campo.
Zolli A., 2018, Da comunità produttive a distretti industriali. Antropologia economica dei distretti friulani della sedia e del coltello, Padova, Cleup.
Zolli A., 2021, Economia e cultura del distretto industriale della sedia, in Zolli A. (a cura di), Quaderno di ricerca Lab REA, n. 5, Pasian di Prato, L’Orto della cultura.
Zolli A., 2024, La fabbrica di sedie. Imprenditori, manufatti e design nel Friuli industriale. XIX-XXI secolo, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale. 
FONTI ARCHIVISTICHE
Archivio fotografico dell’Ente Regionale per il Patrimonio Culturale (ERPAC).
Archivio fotografico di Mulloni Bruna.
FONTI NORMATIVE
D.M. 113/2018, Adozione dei livelli minimi uniformi di qualità per i musei e i luoghi della cultura di appartenenza pubblica e attivazione del Sistema museale nazionale. 
SITOGRAFIA
https://patrimonioculturale.regione.fvg.it, consultato in data 23/1/2025.

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Angela Zolli, laureata in Economia e Commercio all’Università di Trieste, ha lavorato in importanti aziende in diversi settori. Dal 1999 è occupata nell’ambito delle scienze sociali, si è specializzata in Antropologia Culturale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e ha conseguito il Dottorato in Sociologia e Antropologia all’Università Lumière Lyon 2 di Lione. Nel 2006 ha fondato Lab REA, il Laboratorio di Ricerca Economica e Antropologica in cui attualmente opera.

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