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Le facciate delle dimore italiane a Tunisi tra stilemi, mode e gusto personale

Tunisi (ph. Jamel Chabbi)

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di Rosy Candiani 

Della ricchezza artistica e culturale della Tunisia si conoscono il lascito millenario della civiltà cartaginese-romana, e al più le testimonianze antiche o recenti della cultura islamica o l’unicità urbanistica delle Medine. In realtà esiste, soprattutto a Tunisi, un patrimonio culturale disconosciuto ma importante, in quanto testimonianza della pluralità e della coesistenza di popoli su questo territorio, luogo di incontro e di métissage esistenziale, prima ancora che culturale, tra due continenti uniti dalle acque del Mediterraneo.

Questo contributo non è uno studio specialistico di storia dell’arte o dell’architettura, ma  vuole essere un invito alla memoria, a fissare in qualche modo testimonianza di un patrimonio della cultura italiana a Tunisi in grave pericolo, trascurato o piuttosto in via di sparizione quando non già distrutto, ma che ci interpella ogni volta che ci capita di percorrere il quartiere di Lafayette, la” Petite Venise”,  i quartieri dell’epoca del protettorato ai bordi della Medina o  il quartiere italiano tra il mercato centrale e la stazione del TGM, la “Petite Sicile”.

Il periodo è quello tra la fine dell’Ottocento e gli anni Trenta del Novecento, quello di una grande vitalità della comunità italiana, per quanto compressa tra le autorità francesi, ottomane e poi tunisine. Gli italiani sono protagonisti della espansione edilizia della Capitale, sia come maestranze, progettisti e imprenditori, sia come committenti e abitanti degli immobili. Insieme danno vita a una nuova lettura del concetto di dimora, creando nuove tipologie abitative e interpretando in un eclettismo spontaneo ma elegante le tendenze decorative europee.

Tunisi (ph. Jamel Chabbi)

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Le forme architettoniche di questo periodo del protettorato, espressione della nuova classe media e dirigente (una comunità di italiani con primato nelle professioni e nei settori produttivi) e degli architetti progettisti, sono state studiate attentamente anche in tempi recenti: per esempio la nascita delle nuove tipologie, come le maisons de rapport, o case a pigione, i villini unifamiliari, e i palazzetti padronali in condivisione di spazi o di funzioni.  Ugualmente è stato ben inquadrato l’apporto di architetti, capomastri e maestranze italiani, artigiani qualificati spesso protagonisti anche quando, per ragioni politiche, la “firma” del progetto e dell’immobile è francese. Per alcuni di loro recenti studi hanno ricostruito identità e carriera; iniziano ad emergere i nomi di botteghe o società specializzate nella finitura delle strutture peculiari degli immobili, come, per il ferro battuto, la S.I.F.F.A., la Societé Industrielle de Fer Forgé Artistique, fondata dall’architetto Mario De Simoni, che ne fu anche Art Director.

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Art Nouveau, Arabisance, Art Déco, Liberty fino al debutto del Razionalismo: gli stili si susseguono rapidi in un trentennio di edificazione a Tunisi, sull’onda delle mode imperanti in Europa, in Francia e in Italia (soprattutto in Sicilia) e secondo la formazione di questi professionisti, sia che scelgano Tunisi per un periodo della loro carriera o per un trasferimento definitivo, sia che tornino ad esercitare a Tunisi dopo una formazione all’estero.

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Nei nuovi quartieri della città si assiste alla costituzione di una proprietà “europea”, stranieri e italiani per primi, che si fanno costruire le abitazioni. Per alcuni di loro i progetti depositati e le fonti ci lasciano i nomi: come madame Calafato (rue de Salines, 54), la maison Pavia, Guidi, Ingrassia o Bensasson (avenue de Paris) etc. 

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Abbastanza rapidamente il processo di edificazione di queste dimore ad abitazione multipla, che spesso presentano un piano nobile per il proprietario e appartamenti per la locazione, segue un percorso su una duplice direzione: da un lato la omologazione o assimilazione della struttura dell’immeuble de rapport come raggruppamento di stanze in appartamenti autonomi, dapprima con una distribuzione attorno a un patio, o corte interna, su modello delle abitazioni tradizionali tunisine (ne resta testimonianza in avenue de la Liberté) e successivamente secondo il sistema di distribuzione di atrio e corridoi. Per altro verso, questi immobili cercano di differenziarsi tra loro e acquisire una originalità sul piano delle facciate, personalizzate nei balconi, persiane, modanature, ferro battuto e decorazioni ornamentali.

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Di questo patrimonio ancora visibile, le decorazioni esteriori delle facciate in stucco o in gesso (Godoli – Saadaoui 2019: 42) rappresentano un aspetto meno studiato ma di grande interesse, in quanto affiancano o sovrappongono elementi ornamentali prefabbricati, a stampo e seriali, motivi ripresi dalle mode europee del momento, le decorazioni Art Déco o Art Nouveau, talora sovrapposti a motivi orientali e a stilemi decorativi “siciliani”. Soprattutto questa ricca e fascinosa decorazione ornamentale sembra rivelare il desiderio di lasciare una traccia, da parte del proprietario committente o del decoratore e progettista, del proprio gusto, della propria persona, della propria identità. Di questa attività artigianale restano scarse notizie, e l’unica è inerente la ditta Piemontese di scultura e decorazione, attiva dal 1848 e ancora nel 1930, la cui specialità era «lo stile arabo e gli ornamenti in gesso e staf (stucco)» (Finzi 2003).

Gli immobili tunisini ci raccontano il fascino per la decorazione come status symbol, come esibizione del lusso e del superfluo, che diventa accessibile anche alle famiglie della classe media con i sistemi di riproduzione seriale e ne viene a rappresentare il gusto e la posizione sociale; per contro il progettista, imprenditore edile, decoratore si fa interprete dei desideri dei suoi clienti e della condivisione della medesima cultura.

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Per esemplificare e tradurre in immagini questo assunto scelgo un percorso personale e trasversale, che esamina la tipologia di decorazione “prevalente” nelle diverse dimore, perché spesso gli elementi si sovrappongono: decorazioni bi-tridimensionali, astratte, floreali e fitomorfe, zoomorfe, temi mitologici più o meno complessi, figure umane. Per ognuna di queste tipologie iniziamo da esempi seriali, spesso rivisitazione di elementi decorativi classici, per osservare poi scelte più personali e anche audaci, e convergere infine con le diverse tipologie su una piccola abitazione a Lafayette, in rue Said Derwish, dalla struttura architettonica anonima ma ben identificata. 

Tunisi (ph. Jamel Chabbi)

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Se si può sintetizzare in una parola la chiave delle decorazioni astratte di queste abitazioni si potrebbe ricorrere al termine “sinuosità”, elemento evidente nelle immagini: per esempio a partire da quanto rimane della combinazione di decorazioni prefabbricate nel selvaggio e incompiuto tentativo di ristrutturazione. Raramente si trovano decorazioni puramente geometriche comunque accompagnate da linee dinamiche e da grafismi sinuosi. Quando la scelta cade su uno stile ornamentale non naturalistico in genere prevalgono le linee dinamiche, a spirale o “à coup de fouet”, a schiocco di frusta: nella decorazione della parte alta della facciata, nelle parti sottostanti dei balconi; nelle lunette dei portoni dove spesso attorniano il medaglione che reca l’anno di costruzione o le iniziali del proprietario. Queste linee dinamiche possono virare verso uno stile decorativo barocco o verso le morbide linee delle mode più recenti; possono infine riprodursi in una sorta di “horror vacui”, un «delirante montaggio di buona parte dell’abaco degli elementi architettonici dell’eclettismo classicista» (Sessa 2008: 53), nell’immobile di rue dell’Atlas, attribuito all’architetto Salvatore Desiato e che purtroppo non è più possibile vedere attualmente, poiché il balcone è caduto, così come altri elementi, e l’edificio, benché abitato, è ormai pericolante.

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Un’altra costante decorativa è la presenza di elementi ornamentali floreali: dalla ripresa del motivo “classico” della cornucopia, per esempio sdoppiata e rivolta verso i balconi sottostanti, a riversare copiosamente frutta e fiori; alla inserzione di dettagli attorno alle finestre, che si possono allargare sulle facciate, ripresi in fregi orizzontali o verticali, a cascata. Li compongono elementi vegetali tradizionali, come le spighe, o più originali come girasoli, campanule, foglie di quercia, margherite che talora si raccolgono in corbeilles o in cornici cariche e strabordanti di decorazioni, virtuosismi che «sembrano scappati dalle mani di un pasticcere» (Sessa 2008: 22).

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Questo percorso floreale si conclude (prima di approdare in rue Said Derwish) davanti a un edificio di avenue de Madrid del 1925 per il quale le due placche all’angolo ci hanno fortunatamente lasciato i nomi di due italiani, l’entrepreneur (impresario, progettista, direttore dei lavori, il termine è ancora all’epoca polivalente) Marchi e Guglielmo Vella, il decoratore, che arricchisce le scanalature verticali della sua decorazione con fregi a basso rilievo a mazzi di fiori, papaveri e girasoli,  ripresi anche dalle balaustre in ferro battuto e nella parte inferiore dei balconi del piano nobile.

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Allo stesso modo, la ricognizione di decorazioni con soggetti animali mostra il ricorso frequente a temi consueti come il leone  o l’aquila; ma un’osservazione attenta arricchisce il repertorio con scelte meno usuali e dettate dal committente al decoratore per un richiamo personalizzato: per esempio i due cavalli che “resistono” alle modernità e si affacciano sopra l’insegna del negozio;  la papera, o il cigno, attorniato da nudi femminili ormai poco decifrabili; o ancora i due dragoni simmetrici dell’immobile di rue de Londres 32 .

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Le facciate di questi palazzi ottocenteschi dei nuovi quartieri a Tunisi sono inoltre un vero repertorio di presenze antropomorfe, che ancor oggi si mostrano e ci osservano nel nostro affaccendarci più sotto, lungo vie sovraffollate e rumorose.

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Miti, classici o moderni, maschere e volti rimangono, come decoro di dimore che hanno ormai perso memoria del loro significato e identità, talora in un lento disfacimento, talora oggetto di restauri raffinati o maldestri, ostinate presenze malgrado la sensualità o la nudità e la perdita del loro ruolo originario.

Tunisi (ph. Jamel Chabbi)

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Osserviamo figure della mitologia riprodotte secondo gli stilemi classici: i puttini, in giocosa posizione tra ghirlande sulle lunette delle finestre, o in tenere effusioni con una ninfa, o una Venere dai lineamenti “popolani”, in una più discreta nicchia sottostante un balcone; e figure attinte alle più moderne mitologie e stilizzazioni floreali: giovani ninfe o divinità attorniate da ghirlande o decorazioni floreali che nella morbidezza  fluttuante della forma e della postura ricordano il repertorio Déco europeo (a puro titolo di esempio si può vedere la scultura funebre di Francesco Petroni, al cimitero di Lucca).

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E poi ci sono i volti: si tratta a mio parere dell’aspetto più interessante di tutto l’apparato decorativo in gesso e stucco di queste dimore: repertoriare questi visi mostra chiaramente sia il ricorso a elementi stilizzati del bagaglio del decoratore, sia la via tunisina a una decorazione risultante anche da specifiche richieste della committenza.

Si può partire da un riferimento più che classico, per esempio le maschere dei fregi dei colonnati della città di Afrodisia, di età imperiale, presenti come modelli nei manuali di studio per la loro varietà ed espressività; basta osservare alcuni esempi tunisini di mascheroni decorativi per constatarne l’aderenza ai canoni stilistici e al contempo la personalizzazione, attraverso dettagli minimi o tratti individualizzanti: la lunga barba “nettuniana”, lo sberleffo dell’azouza, e le variazioni sul modello di base della “Medusa”, capelli e occhi in particolare: dalla versione più agée della signora (ben personalizzata nell’espressione degli occhi, nella rotondità matura delle guance, nella collana di pietre e oro), forse la proprietaria del palazzo di Avenue de Madrid, o adolescenziale della fanciulla di Avenue de la Liberté.

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Dalla maschera stereotipa al ritratto, a lineamenti unici e individualizzanti di giovani fanciulle, più volitive donne mature, che talora si occhieggiano o si danno le spalle da lati opposti della facciata, fino alla serie di ritratti di famiglia al piano nobile di Avenue de la Liberté. Sulle variazioni  del tema “giovane donna al balcone” (la seconda purtroppo non esiste più e fa parte del crollo di rue d’Atlas), il paragone con il ritratto di Sarah Bernhardt nel ruolo di Ofelia vuole solo mostrare la presenza di stilemi Déco ma in una rivisitazione “locale” meno raffinata ed estenuata ma più spontanea e realistica: la giovane donna ha un viso “mediterraneo” e braccia più tornite, osserva i passanti ed è a sua volta osservata ai suoi lati da due ritratti femminili di donne più mature e meno sorridenti e spensierate.

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Tunisi

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Dal repertorio alla personalizzazione, questo tema decorativo delle “case parlanti”, così evidente e suggestivo negli edifici della Tunisi del Protettorato, non è prerogativa unica di questa città tanto pluriculturale, e nemmeno una peculiarità dei movimenti artistici di inizio Novecento, dalla Parigi di Lavirotte alle città spagnole. Precedentemente, nell’età della nuova borghesia e della moda del ritratto, anche in pittura, nella più continentale Milano la moda della decorazione delle facciate con volti umani si diffonde a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, per espandersi poi nel resto del Nord Italia. La fortuna tutta milanese delle “case parlanti” vale una piccola parentesi perché mostra analogie con il corrispettivo tunisino (per esempio nella volontà del proprietario di lasciare un tratto personalizzante anche all’esterno dell’edificio) anche se in modalità peculiarmente milanesi, come l’uso prevalente della terracotta, la scelta di riprodurre volti per lo più noti, lo spirito imprenditoriale, che da un gusto individuale lancia un mercato produttivo.

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La moda prende avvio a Milano quando il barone Gaetano Ciani decide di decorare una sua proprietà in Corso Venezia con terrecotte riproducenti busti, volti e scritte inneggianti all’Unità d’Italia. Rilevate le quote della Ditta Boni che aveva prodotte le terrecotte, Ciani ne stampa catalogo e prezziario, lanciando una moda in tutta la città, dove le facciate delle abitazioni delle ricche famiglie milanesi  si ricoprono delle terrecotte del Boni e del Ciani: dalla casa del Manzoni, in piazza Belgiojoso, alle case Candiani tra via Bandello e via Vico, al Museo di Storia Naturale, fino alla dimora di Piazzale Baiamonti, la “Ca’ di Facc” (casa delle facce), uno degli ultimi esempi di case parlanti: edificata dall’architetto Buzzi nel 1878, ancora oggi esibisce sulla facciata decine di altorilievi, in questo caso di italiani illustri, una sorta di introduzione al Famedio del Cimitero Monumentale che si apre alla fine del viale.

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Tornando a Tunisi, il percorso figurativo intrapreso converge e si conclude in una piccola impasse di avenue de la Liberté pressoché ai Passages, davanti a una dimora non particolarmente sontuosa o imponente, ma che rappresenta bene la sintesi e la summa dell’assunto del mio lavoro. Edificata nel 1907, è l’abitazione di Andrea Pavia, imprenditore edile. 

Secondo il progetto, anonimo e forse dello stesso Pavia, conservato negli Archives de la Municipalité di Tunisi (Quattrocchi 1998: 27), l’edificio a un solo piano presentava una facciata principale con finestre sovrastate da lunette a decorazioni fitomorfe, che furono trasformate in fase di realizzazione in una serie stupefacente di decorazioni in rilievo, che rendono unica la maison Pavia nel panorama cittadino e che resistono nel tempo, malgrado i rimaneggiamenti legati al suo nuovo utilizzo, e malgrado l’indubbia audacia dei soggetti scelti in rapporto ai valori culturali e ufficiali del Paese (soprattutto attuali).

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Sicuramente c’è un preciso senso nelle scelte del decoratore, non completamente decifrabile se non nei singoli tasselli, e altrettanto sicuramente sarebbe interessante ricostruire la figura del proprietario committente, il Pavia, la cui cultura – conoscenze classiche e occhio malizioso e sorridente – non possono essere circoscritte alle conoscenze tecniche di un costruttore o decoratore.

Nella  porta e nelle tre finestre della facciata ritroviamo tutto il catalogo decorativo in auge: decorazioni astratte e in leggero bassorilievo come sfondo o cornice alle altre figure; decorazioni fitomorfe come la doppia cornucopia dell’ultima finestra a destra; sontuosi tralci di vite e grappoli d’uva ai due lati del portone, un unicum nel repertorio figurativo a Tunisi, forse richiamo a una delle attività introdotte dagli italiani, nelle coltivazioni del Cap Bon o dell’entroterra verso Beja, forse un’allusione a investimenti, proprietà o attività familiari del Pavia.

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Un elemento decorativo zoomorfo ricorrente è l’aquila, rappresentata in forme che richiamano antiche figurazioni, come le arpie del mosaico di Ulisse o l’aquila della tarsia marmorea del mausoleo di Tourbet El Bey: è rappresentata in verticale, in forma allungata con atteggiamento aggressivo e a becco aperto nella decorazione del portone, in atto di divorare il grappolo d’uva, esattamente come nella tarsia di Tourbet El Bey; a fianco della figura femminile del pannello centrale, sovrastante il portone; e, in sdoppiamento simmetrico, ad ali spiegate e ancora col becco adunco aperto, a contornare il cammeo sovrastante una delle finestre, anche in questo caso una figura femminile.

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Un altro animale domina la lunetta del portale e ci porta nel mondo del mito, secondo un’angolazione sensuale e maliziosa, ben oltre il casto nudo femminile riprodotto. Anche in questo caso non ci sono confronti nel repertorio dei decoratori attivi a Tunisi: il mito di Leda e il cigno viene immortalato nell’atto topico del cigno-Zeus che sinuosamente avvolge la figura femminile; questa dal canto suo ci rivela un’altra sorpresa: osservando i dettagli, non arriviamo a rintracciare la bellezza efebica e adolescenziale della giovane violata da Zeus; anzi, sono le fattezze del viso a catturarci, il naso curioso e un po’ alla francese, le labbra carnose e, soprattutto, l’acconciatura, per niente spettinata, malgrado la situazione, e attualissima a inizio Novecento, a chignon alto e gonfio, riprodotto in moltissimi ritratti della Bella Époque, nei primi dagherrotipi, come quello che ci ricorda la bella Amélie Elie per cui persero la testa molti giovani parigini.

Tunisi (ph. Jamel Chabbi)

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È chiaro che, come già notato in molti dei volti presenti sulle facciate del quartiere, si tratta di un vero ritratto, così come quello femminile attorniato dalle aquile – che riprende il topos della giovane donna al balcone – con capelli sciolti, braccia e spalle scoperte, volto vagamente androgino, se visto frontalmente, e un naso pronunciato, simile a quello del volto di uomo, collocato sopra la seconda finestra. Sono tratti somatici ben personalizzati, il desiderio di “firmare” la propria dimora, attraverso i motivi decoranti la facciata; questo colto divertissement suggerisce suggestive ipotesi per dare un volto e per raccontare la storia di questo italiano di Tunisia; e a noi, italiani in Tunisia, offre la possibilità di visitare una gipsoteca a cielo aperto. 

Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023
[*] Questo lavoro approfondisce il mio intervento al convegno “Per una rilettura del concetto di dimora, confine, frontiera tra arte, letteratura e storia: percorso interdisciplinare”; IX Convegno internazionale di Studi Mediterranei, Tunisi, La Manouba, 27-28 aprile 2023. Tutto l’apparato fotografico è stato realizzato con le prese scattate da Jamel Chabbi, che ringrazio vivamente per il paziente lavoro di documentazione.
Riferimenti bibliografici
CICALÒ Enrico, 2016: B.I.M. per la rappresentazione del patrimonio costruito e storico. Il rilievo delle facciate Liberty e Art Déco, in “Disegnare con”, vol.9 n.16
FINZI Silvia, a c. di, 2003: Métiers et professions des Italiens de Tunisie, Tunisi, ed. Finzi
FINZI Silvia, a c. di, 2002: Architectures italiennes de Tunisie, Tunisi, ed. Finzi,
GODOLI Ezio, SAADAOUI Ahmed, a c. di, 2019 : Architectes, ingénieurs, entrepreneurs et artistes décorateurs italiens au Maghreb, Pisa, Edizioni ETS.
MIRANDA Marilù, 2015: Liberty. Architetture e decorazioni della Belle Époque, Palermo, Ediguida
MONTAMAT Bruno, 2021: Jules Lavirotte (1864-1929) ou l’Art nouveau symboliste, in Les Cahiers de la recherche architecturale urbaine et paysagère. Actualités de la recherche, mise en ligne 2021, 23 Mars
QUATTROCCHI Luca,1998: L’Art Nouveau à Tunis. 1900 – 1905, Tunis, agence de mise en valeur du patrimoine et de Promotion Culturelle.
SESSA Ettore, 2008: La produzione architettonica dei progettisti, decoratori e imprenditori edili italiani in Tunisia durante il Protettorato francese: https://it.readkong.com.
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Rosy Candiani, studiosa del teatro e del melodramma, ha pubblicato lavori su Gluck, Mozart e i loro librettisti, su Goldoni, Verdi, la Scapigliatura, sul teatro sacro e la commedia musicale napoletana. Da anni si dedica inoltre a lavori sui legami culturali tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, sulle affinità e sulle identità peculiari delle forme artistiche performative. I suoi ultimi contributi riguardano i percorsi del mito, della musica e dei concetti di maternità e identità lungo i secoli e lungo le rotte tra la riva Sud del Mediterraneo e l’Occidente.

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