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Le fonti sonore delle musiche di tradizione orale italiane: questioni di metodo, di descrizione e di uso

Catalogo CNSMP, 1961

Catalogo CNSMP, 1961

di Roberta Tucci 

 È fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi

con i panni e le scarpe e le facce che avevamo

Rocco Scotellaro, 1954  

Epifanie

Cinquant’anni fa, nel 1973, in occasione del Primo convegno sugli studi etnomusicologici in Italia (Roma, 29 novembre – 2 dicembre 1973), l’Associazione italiana Museo Vivo pubblicava l’Inventario delle fonti sonore della musica di tradizione orale italiana (fascia folklorica), con il coordinamento di Edward Neill e con il contributo scientifico di Anna Barone (allora direttrice della Discoteca di Stato), Diego Carpitella, Elsa Guggino, Roberto Leydi, Edward Neill, Gianfranco Zaccaro: un corposo dattiloscritto ciclostilato, suddiviso in due volumi per complessive 1394 pagine, con una Premessa di Diego Carpitella (1973). Si è trattato di un’impresa ambiziosa e impegnativa, ancorché realizzata in economia e distribuita in misura limitata.

Catalogo CNSMP, 1963

Catalogo CNSMP, 1963

Scopo dell’Inventario era quello di testimoniare l’esistenza e il valore di un’etnomusicologia italiana matura, fondata su una solida metodologia scientifica e basata su una consistente e allargata attività di rilevamento sonoro sul campo condotta in tutto il territorio nazionale; con questa pubblicazione veniva richiamato un corpus di almeno 18.000-20.000 documenti etnico-musicali (cifra sicuramente sottostimata), conservati in archivi pubblici e privati sorti in Italia dal 1948 al 1973, in tutto o in parte dedicati a questa tipologia di materiali. Al centro dell’Inventario vi erano senza dubbio il Centro Nazionale Studi di Musica Popolare (CNSMP) dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e l’Archivio Etnico Linguistico-Musicale (AELM) della Discoteca di Stato, che rappresentavano – e rappresentano tuttora – le due strutture nazionali “portanti”, fondative di un percorso di ricerca e di una precisa impostazione metodologica, pur differenziandosi per ampiezza disciplinare e per condizione giuridica. Oltre a queste due strutture, l’Inventario prendeva in considerazione anche altri importanti archivi nazionali e regionali che si erano formati prevalentemente a partire dagli anni sessanta: Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari (Roma); Folk Studio (Palermo); Istituto De Martino (Milano); Archivio etnofonico siciliano (Palermo); Istituto Sardo di Studi Etnomusicologici (Sassari), Istituto di Storia delle tradizioni popolari dell’Università di Messina; Istituto di Storia delle tradizioni popolari dell’Università di Palermo; oltre a numerose collezioni private, fra cui quelle di Roberto Leydi e dello stesso Edward Neill.

La maggior parte di queste strutture, dedicate alla raccolta, alla conservazione e allo studio del patrimonio musicale di tradizione orale in Italia, pur differenziandosi per aspetti e finalità, condividevano il presupposto di fondo che aveva determinato la nascita del CNSMP nel 1948, vale a dire l’indispensabilità del rilevamento sonoro per la conoscenza delle musiche di tradizione orale. Si tratta di un aspetto che Diego Carpitella ha ben sintetizzato con i due punti chiavi del «come» e del «dove» «raccogliere la musica popolare»: il «come» implicava che vi dovesse essere una ripresa sonora dell’evento musicale me­diante apparecchiature di registrazione, «condizione preliminare per qualsiasi seria ricerca scientifica»; il «dove» poneva la ne­cessità di effettuare le registrazioni sonore direttamente sul campo (Carpitella 1961).

Tale impostazione di metodo da applicare alla ricerca andava a correggere la distorsione che vi era stata nella precedente tradizione di studi letterari sui “canti popolari”, basata su un approccio filologico applicato ai soli testi dei canti, senza tenere conto degli aspetti musicali ed esecutivi né del loro afferire a sistemi di trasmissione basati sull’oralità: aspetti che, come ormai è stato abbondantemente dimostrato, sono invece gli elementi portanti di quelle esecuzioni musicali, tali da condizionarne anche le forme letterarie i contenuti semantici.

Dunque, in una nuova temperie della ricerca etnomusicologia in Italia, il «come» e il «dove», così intesi, avevano cominciato a dare vita a campagne di rilevamenti sonori sul terreno, da parte di ricercatori, singolarmente o in équipe pluridisciplinari, in tutta Italia, per rilevare le forme e i comportamenti musicali trasmessi oralmente nelle diverse tradizioni locali.

Gli esiti di tali rilevamenti, condotti con le necessarie professionalità e non senza passione, avevano consentito, già nei primi anni di attività del CNSMP, di testimoniare concretamente l’esistenza di un patrimonio musicale vivente al di fuori della tradizione colta, che era stato sino ad allora del tutto ignorato dalla cultura italiana, la quale, scambiando lucciole per lanterne, aveva creduto di riconoscere la musica popolare nella distorta rappresentazione folkloristica del ventennio fascista. Qualcuno ricorderà, a tale riguardo, come Massimo Mila avesse polemizzato con Diego Carpitella circa la reale esistenza di un’espressività musicale autonoma dall’influenza colta o chiesastica, e come Diego Carpitella gli avesse indicato, a riprova di una tale esistenza, proprio i documenti sonori raccolti nei primi otto anni di vita del CNSMP (Carpitella, Mila 1956).

L’Inventario giungeva dunque al culmine di un processo di approccio diretto alle alterità musicali presenti nel nostro Paese, colte nei loro contesti, senza i filtri etnocentrici che precedentemente ne avevano impedito una reale conoscenza e in tal senso ha contribuito, per certi versi, all’istituzione del primo insegnamento universitario di etnomusicologia, che fu attivato presso la Sapienza di Roma nel 1976.

Come ho già accennato, in questo processo i punti di riferimento nazionali sono stati indubbiamente il CNSMP e l’AELM.

Il CNSMP venne costituito nel 1948, per iniziativa di Giorgio Nataletti, quale «istituto per la raccolta e lo studio del folklore musicale italiano», sotto gli auspici dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e con l’assistenza tecnica della RAI Radiotelevisione Italiana, che metteva a disposizione le proprie attrezzature di registrazione e i propri fonici per i rilevamenti sonori sul campo e inoltre assicurava la diffusione dei materiali raccolti attraverso la radio, rispondendo in tal modo agli scopi anche divulgativi del Centro: un’idea di restituzione del tutto anticipatoria rispetto a quanto è avvenuto successivamente (Ricci 2015). Nataletti, che ne fu direttore fino al 1972, potè contare sulla determinante collaborazione di Diego Carpitella sin dai primi anni Cinquanta, ma collaborarono altresì con il Centro molti ricercatori e studiosi italiani e stranieri, etnomusicologi, musicologi, demo-antropologi, fra i quali F. Cagnetta, A. M. Cirese, L. Colacicchi, P. Collaer, E. de Martino, A. Lomax, L. M. Lombardi Satriani, C. Marcel-Dubois, E. Neill, A. Pasqualino, A. Rossi, P. Sassu, M. Schneider, T. Seppilli, O. Tiby, A. Uccello, A. F. Weis Bentzon, A. Ziino.

La presenza attiva di demo-antropologi nelle attività di ricerca del Centro trovava la sua ragione nella vicinanza che esisteva fra i due campi di studio per via del comune metodo d’indagine basato sulla ricerca sul terreno e sull’uso della ripresa sonora: a livello universitario in effetti le due aree disciplinari sono state per lungo tempo contigue, fino a che non si sono divaricate, negli anni Novanta, con la costituzione dei settori scientifico-disciplinari M-DEA/01 (Discipline demoetnoantropologiche) e L-ART/08 (Etnomusicologia).

Le campagne di rilevamento del CNSMP erano impostate su base tematica o territoriale e i materiali sonori registrati andavano a costituire le Raccolte, ciascuna individuata da un numero progressivo cronologico, uno o più raccoglitori, una o più regioni.

Alla morte di Nataletti, nel 1972, seguì un lungo periodo di chiusura del Centro, che venne riaperto nel 1989 con la nuova denominazione di Archivi di Etnomusicologia (AdE), per iniziativa di Diego Carpitella il quale ne fu conservatore per un breve periodo, fino alla sua prematura scomparsa avvenuta nel 1990. L’AdE si dotò successivamente di un gruppo di lavoro di etnomusicologi composto da G. Adamo, S. Biagiola, W. Brunetto, F. Giannattasio, G. Giuriati, A. Ricci; avviò una serie di progetti, fra cui il riordino, la digitalizzazione e la schedatura informatizzata dei documenti sonori e dei connessi documenti fotografici, affidati rispettivamente a Brunetto (2021) e a Ricci (2007), oltre all’acquisizione di raccolte preesistenti. Diede inoltre vita a una parallela attività di divulgazione e restituzione, attraverso la rivista annuale EM. Annuario degli Archivi di etnomusicologia (1993-2000) e soprattutto attraverso la collana editoriale AEM Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, specificamente dedicata alla pubblicazione dei documenti sonori contenuti nelle Raccolte, con accompagnamento di ampi e dettagliati corredi informativi e critici (https://www.squilibri.it/catalogo/aem-archivi-di-etnomusicologia.html).

L’AELM nacque nel 1962 in seno alla Discoteca di Stato, per iniziativa di Diego Carpitella e Antonino Pagliaro, sulla base della precedente esperienza del CNSMP, di cui ricalcava il metodo, gli scopi e le modalità attuative, sebbene con un compasso di interesse più ampio che includeva anche le forme dell’espressività orale di interesse linguistico e demologico. La filiazione progettuale e metodologica dal CNSMP per la parte etnico-musicale fu messa in chiaro dalla stessa direttrice Anna Barone, nel suo bilancio dei primi nove anni di attività dell’Archivio, pubblicato in Lares:

«L’attività etnico-musicale si è svolta […] tenendo conto dell’esperienza del Centro nazionale studi di musica popolare il cui Corpus di registrazioni è un punto di riferimento obbligato per qualsivoglia estensione e approfondimento in questo campo di ricerche […]. La maggior parte delle registrazioni sono state effettuate con strumenti tecnici a livello professionale, fatto questo di rilievo ai fini della qualità e quindi della validità del materiale, anche perché ciò significa che l’aspetto tecnologico della ricerca viene considerato essenziale, di metodo e non invece, come si è ritenuto erroneamente nel passato, e talvolta ancora nel presente, un elemento accessorio e complementare» (Barone 1971: 21). 

Le attività di rilevamento sonoro, sistematicamente attive fino al 1981, si configuravano anch’esse in campagne, i cui esiti confluivano in Raccolte, distinte fra musicali (M), linguistiche (L) e linguistico-musicali (LM). Analogamente al CNSMP, l’AELM si avvaleva di raccoglitori, in parte proprio gli stessi, etnomusicologi, musicologi, demologi, antropologi, linguisti, ecc.: fra gli altri, oltre a Carpitella e a Pagliaro, si ricordano M. Agamennone, P. Arcangeli, S. Biagiola, C. Bianco, A.M. Cirese, G. Di Iorio, S. Facci, C. Gallini, F. Giannattasio, E. Guggino, R. Leydi, L. M. Lombardi Satriani, M. Melillo, A. Milillo, P. Modugno, E. Neill, D. Perco, A. Pasqualino, O. Parlangeli, G. Profeta, A. Ricci, G. Sanga, P. Sassu, L. Sole, I. Sordi, P. Toschi, R. Tucci, A. F. Weis Bentzon.

    3. Catalogo AELM, 1967

Catalogo AELM, 1967

A differenza del CNSMP, l’AELM nasceva in seno a una struttura pubblica, la Discoteca di Stato, collocata dapprima presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio della Proprietà Letteraria Artistica e Scientifica (UPLAS), e poi, dal 1975, presso il neonato Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio Centrale per i Beni Librari. Nel 2007 alla Discoteca di Stato è subentrato l’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi (ICBSA), il quale ha mantenuto la natura di istituto bibliografico in quanto Polo del Servizio bibliotecario nazionale (SBN). Nonostante tale collocazione, l’AELM ha potuto mantenere a lungo una sua specificità di struttura di ricerca, grazie anche alla stabile consulenza di specialisti, prima assicurata da Diego Carpitella e Antonino Pagliaro, poi dal 1970 al 1975, dalla “Commissione incaricata di coordinare le ricerche e le campagne di registrazione di documenti folklorici”, composta da importanti studiosi quali D. Carpitella, A.M. Cirese, R. Leydi, L.M. Lombardi Satriani, A. Pagliaro, G.B. Pellegrini, P. Toschi, A. Ziino. Purtroppo tale commissione fu sciolta con l’ingresso della Discoteca di Stato nel nuovo Ministero.

Catalogo AELM, 1970

Catalogo AELM, 1970

A partire dal 1969 l’AELM ha pubblicato il Bollettino di informazione dell’AELMdi cui sono usciti 32 numeri (1969-1984) e 3 numeri unici (1973, 1976 e 1982), in cui erano fornite dettagliate notizie sulle campagne di registrazione che si venivano effettuando, oltre a notizie relative a istituti di ricerca demo-antropologica ed etnomusicologica in Italia e in Europa (AELM 1969-84). La pubblicazione del Bollettino fu accolta con entusiasmo negli ambienti scientifici, tanto che la rivista Lares ne annunciò la nascita compiacendosi «per la bella pubblicazione» e riproducendone l’intero primo numero (Notiziario 1968).

Progressivamente però l’iniziale impianto di struttura di ricerca sui generis dell’AELM, poco omogeneo all’impostazione di istituto librario propria della Discoteca di Stato e non supportato da figure tecnico-scientifiche interne di etnomusicologi, inesistenti nel ruolo funzionale del Ministero, è venuto meno: le raccolte non sono state più incrementate e l’Archivio si è andato sempre più configurando come un fondo documentale dell’ICBSA, accanto agli altri fondi (Cavallari, Fischetti 2021).

Nel tempo diversi materiali dell’AELM sono stati pubblicati in edizioni discografiche, accompagnate da corredi documentali per la lettura dei brani (http://www.icbsa.it/index.php?it/164/pubblicazioni-discografiche), senza però mai giungere a progettare una collana specifica al riguardo. 

   Inventario delle fonti sonore della musica di tradizione orale italiana, 1973

Inventario delle fonti sonore della musica di tradizione orale italiana, 1973

Descrivere, archiviare 

Sin dalla loro nascita i due archivi “capostipiti” hanno elaborato degli strumenti di descrizione e di archiviazione dei documenti sonori che andavano registrando sul campo e conservando. Il CNSMP ha inizialmente utilizzato tre diverse schede, ideate da Giorgio Nataletti (1961): una prima «di campagna», una seconda e una terza di dati anagrafici. Dallo sviluppo di questi prototipi è derivata una scheda d’archivio, con 18 voci, condivisa dalla Registroteca Centrale della RAI, presso la quale le raccolte del Centro sono conservate in copia: 1. Raccolta N.; 2. Raccoglitore; 3. Data; 4. Numero; 5. Regione; 6. Provincia; 7. Comune e luogo; 8. Titolo; 9. Capoverso; 10. Incipit melodico; 11. Autore; 12. Occasione-funzione; 13. Esecuzione; 14. Genere letterario; 15. Forma metrica letteraria; 16. Numero versi; 17. Autore versi; 18. Portatori; il lato destro della scheda conteneva inoltre dati tecnici e archivistici: formati, riversamenti, collocazione delle bobine, ecc.

Per la raccolta dei dati durante i rilevamenti sonori l’AELM ha creato una scheda da campo, adottata poi anche da altri archivi, composta da 13 voci: 1. Raccolta; 2. Regione; 3. Numero; 4. Lì (data) ; 5. Bobina (numero), 6. Brano (numero nella bobina); 7. Disco; 8. Località; 9. Informatore-i (nomi); 10. Documento (titolo); 11. Esecuzione; 12. Note; 13. Velocità (di registrazione). Ai ricercatori a cui erano affidati i rilevamenti sonori veniva inoltre indicato di aggiungere sulle scheda età, scolarità e mestiere degli esecutori («Informatori») e di utilizzare la voce «Note» per le varie informazioni di contesto raccolte durante il rilevamento dei brani; mentre veniva precisato di intendere per titolo («Documento») «il capoverso, il genere musicale o letterario, oppure il modo in cui il brano viene designato secondo la consuetudine del luogo ove è stato registrato» (Barone 1971: 23). Come abbiamo già visto per il CNSMP, sia i dati tecnici che le numerazioni erano riferiti a registrazioni analogiche su nastro magnetico in bobina, mentre la voce «Disco» derivava probabilmente da modalità di registrazione obsolete, su lacca discografica.

Le schede erano riunite in blocchi, abitualmente chiamati “libretti da campo”. Nei libretti da campo che corredano le prime raccolte, ogni scheda era corredata da un secondo foglio contenente tre pentagrammi e uno spazio bianco per annotarvi i testi, musicali e verbali.

Folk documenti sonori, 1977

Folk documenti sonori, 1977

Le schede del CNSMP e dell’AELM presentavano una forte convergenza d’impianto e inoltre molte voci delle une e delle altre erano sovrapponibili fra di loro. Tralasciando i dati tecnici, che, come ho ricordato, erano riferiti a registrazioni analogiche su nastro magnetico, per tutti gli altri dati si evidenziavano due blocchi omogenei di informazioni: i dati sulla raccolta (numero, nomi dei raccoglitori, regioni interessate); i dati su ciascun singolo brano di una raccolta (numero, luogo e data del rilevamento sonoro, modo di esecuzione, nominativi degli esecutori). Nella scheda d’archivio del CNSMP comparivano anche le voci Autore e Autore dei versi, con riferimento a quelle rare situazioni in cui gli esecutori tradizionali potessero essere riconosciuti formalmente come “autori”, ad esempio quando le loro esecuzioni venivano pubblicate in dischi “da bancarella”, oppure quando i versi cantati erano attribuiti a poeti socialmente riconosciuti in quanto tali.

Dunque, sin dalla loro costituzione questi due archivi di riferimento a livello nazionale avevano individuato con chiarezza quali fossero i parametri, anagrafici e descrittivi, da applicare ai documenti etnico-musicali raccolti sul campo e allo scopo avevano prodotto degli strumenti catalografici atti a restituire le specificità di fondo di brani musicali eseguiti e trasmessi al di fuori di qualsiasi procedimento esistente nella produzione musicale scritta, veicolati per via aurale/orale: brani a cui non corrispondono autori, nel senso di produttori di opere dell’ingegno, tranne in casi del tutto particolari, e che non vengono eseguiti da interpreti, ma da musicisti come tali riconosciuti nei contesti di appartenenza, in grado di gestire i materiali tradizionali ricreandoli di continuo nell’atto stesso dell’esecuzione; esecuzioni uniche e irripetibili, le cui durate non sono prevedibili a priori, le cui denominazioni non sono codificate e i cui riferimenti imprescindibili sono dati dal contesto: luogo, tempo, situazione, partecipanti, rilevatori, astanti, ecc.

L’impostazione di fondo dei due archivi “capostipiti” nel definire i parametri dell’anagrafica di un brano o di una raccolta, che ho qui sintetizzato, è stata ed è condivisa dai tanti archivi che si sono costituiti a seguire: sia quelli presenti nell’Inventario del 1973, sia i successivi, come, per fare un paio di esempi fra i più rilevanti: il Folkstudio (Sorgi 2009) e l’Archivio Etnofonico Siciliano, ora Archivio Etnomusicale del Mediterraneo (Perricone 2018; www.archivioetnograficosiciliano.it); il Servizio Cultura del Mondo Popolare, ora Archivio di Etnografia e Storia Sociale della Regione Lombardia (https://aess.regione.lombardia.it).

Etnomusica, 1986

Etnomusica, 1986

Va ricordato che nel tempo, oltre alle schede da campo e alle schede d’archivio, sono state sviluppate anche delle schede specialistiche per l’analisi sistematica dei documenti sonori d’interesse etnomusicologico (Giuriati 1990-91), fra cui alcune basate su un approccio particolarmente approfondito (Palombini 1994). Tali schede, nelle quali fu altresì compresa la scheda FKM dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (Carpitella, Biagiola 1978; Agamennone, Facci 1984; Giuriati 1990-91), non senza fraintendimenti (Tucci 2019 e 2021), pur esulando da una funzione prettamente archivistica, avevano alla base analoghi insiemi di dati anagrafici e descrittivi.

In tempi a noi più vicini però gli sviluppi catalografici dovuti alla digitalizzazione e all’informatizzazione dei documenti sonori dei due archivi storici, hanno divaricato le loro strade. Sicuramente le diverse afferenze istituzionali e nature giuridiche hanno determinato delle progressive inconciliabilità dei modelli, ma ha anche pesato un rapporto mutato nel tempo fra la ricerca scientifica e l’azione amministrativa pubblica. L’AdE, che non ha avuto vincoli di riferimento a piattaforme o a sistemi informativi e ha potuto avvalersi di un solido comitato scientifico, ha sviluppato una scheda archivistica perfettamente allineata con i parametri già individuati, perfezionata nella sua struttura dei dati e integrata da diverse voci: è strutturata in una scheda madre che contiene i dati sulla Raccolta (numero, ricercatore, cronologia, regione-i) e in schede figlie che ereditano i dati della scheda madre e inoltre contengono i dati specifici di ciascun brano (numero, titolo, luogo e data della registrazione, modo di esecuzione, nomi degli esecutori), a cui si aggiungono importanti voci di precisazione, come «Fonte del titolo» e «Note al titolo». La consultazione online del catalogo delle Raccolte dell’AdE avviene sulla base dei medesimi parametri su cui la scheda è impiantata.

Cofanetto discografico AELM, 1974

Cofanetto discografico AELM, 1974

Le Raccolte dell’AELM invece sono state di recente digitalizzate e catalogate secondo le norme e gli standard del Servizio Bibliotecario Nazionale, analogamente alle collezioni dei dischi conservati presso l’ICBSA. Nonostante siano stati applicati dei correttivi per rendere le schede SBN adatte a venire applicate a materiali multiformi, l’impostazione di tali schede resta sostanzialmente difforme da quei parametri iniziali che abbiamo visto essere necessari per definire i documenti etnico-musicali. In queste schede figurano termini e concetti del tutto disomogenei, calibrati per essere applicati a libri, o anche a dischi di autore (ma non a dischi di ricerca etnomusicologica): anzitutto il ricercatore figura come «Autore principale» e sebbene nella voce «Nomi» sia poi specificato «autore dell’inchiesta», il termine «Autore» resta del tutto improprio e anche deontologicamente non corretto in relazione ai musicisti-esecutori, i quali, eventualmente, sarebbero loro gli autori, sebbene anche loro non lo siano nel senso che il diritto d’autore assegna a questo termine. I musicisti-esecutori, invece, figurano come «Interpreti» (o peggio ancora «interpreti di musica popolare»). Inoltre i dati sul rilevamento sonoro, impropriamente definito come «registrazione dal vivo», che dovrebbero essere centrali, sono forniti in modo parziale e non chiaro.

Ovviamente una tale restituzione impropria non dimostra un’inadeguatezza della scheda SBN: tutt’altro, si tratta di una scheda validissima e utilissima per la descrizione e la ricerca bibliografica. Dimostra semplicemente che quella scheda non è lo strumento adatto per restituire fonti sonore musicali di tradizione orale e che per tali fonti andrebbero individuati altri strumenti, fra quelli esistenti o meno. D’altra parte, già alla metà degli anni settanta dello scorso secolo Carpitella (1975) aveva fatto notare come non fosse opportuno assimilare i documenti dell’AELM al patrimonio librario, perché in tal modo si mettevano insieme due sistemi di produzione della cultura, quello della scrittura, «recensio chiusa», e quello dell’oralità, «recensio aperta», totalmente diversi, i quali necessitavano di apparati descrittivi differenziati per poter essere restituiti nelle loro intrinseche qualità. 

    9. Rivista” EM. Annuario degli Archivi di etnomusicologia”, primo numero, 1993

Rivista” EM. Annuario degli Archivi di etnomusicologia”, primo numero, 1993

Divulgare, restituire: pertinenze e forzature 

Come ho già accennato, la questione della necessità di divulgare i documenti etnico-musicali contenuti negli archivi era stata posta sin dall’inizio: oltre alla diffusione radiofonica dei brani musicali registrati, il CNSMP già nel 1961 si era dotato di un articolato catalogo delle sue registrazioni, aggiornato poi in una successiva edizione del 1963 (CNSMP 1961 e 1963): in entrambi, oltre all’elencazione sintetica dei dati delle Raccolte, erano contenuti testi, indici analitici, bibliografie, fotografie (Ricci 2007). Analogamente l’AELM aveva pubblicato un suo primo catalogo delle Raccolte nel 1967 e un secondo, notevolmente ampliato, nel 1970 (AELM 1970), anche in questo caso con l’aggiunta di testi e di articolati indici della materia.

Tali cataloghi avevano una duplice funzione: luoghi di riepilogo generale dei corpora sonori etnico-musicali; strumenti di consultazione e di iniziali approfondimenti sulla materia. L’organizzazione di questi primi cataloghi, che si sarebbe ritrovata nel già citato Inventario del 1973 e in molti altri successivi, rifletteva l’individuazione dei parametri anagrafici e descrittivi che ho già messo in luce. L’AELM, in collaborazione con il CNSMP, anticipando una modalità oggi comune, elaborò anche uno strumento di restituzione cartografica, la Cartografia Regionale delle Registrazioni Etnico Musicali (AELM 1973), che includeva le Raccolte del CNSMP e quelle dell’AELM, a riprova della sempre più stretta vicinanza metodologica fra i due archivi nazionali.

Dopo la data-chiave del 1973 il CNSMP e l’AELM produssero dei cataloghi più aggiornati. Quando il CNSMP era ancora “dormiente”, fu la RAI a prendere l’iniziativa di realizzare un catalogo complessivo, riveduto e corretto, delle sue raccolte, Folk documenti sonori (1977), affidandone la cura scientifica a Diego Carpitella. L’AELM invece nel 1986 pubblicò un nuovo, corposo, catalogo, Etnomusica, curato da Sandro Biagiola (1986), concernente il solo materiale d’interesse etnomusicologico, avendo già in precedenza dedicato un volume specifico alle fonti orali non cantate (Cirese, Serafini, Milillo 1975). In ambedue questi cataloghi i parametri per definire l’anagrafica di Raccolte e brani continuavano a restare gli stessi già individuati in precedenza dai due archivi.

Volume collana “AEM Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia”, 2012

Volume collana “AEM Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia”, 2012

Va ricordato che Folk documenti sonori fu anche corredato da tre saggi, di Diego Carpitella, Roberto Leydi e Tullio Seppilli che affrontavano il tema della restituzione, a partire dalla diffusione radiofonica per arrivare alla costituzione di archivi e banche dati territoriali, anche regionali, con lo scopo di rendere fruibili i documenti ai territori e contribuire in tal modo a una socializzazione di quei materiali, entro una cornice di politica democratica dei beni culturali (Ricci 2015; Giannattasio 2019). In questi testi veniva anche sottolineato come i documenti etnico-musicali di tradizione orale, per poter essere fruiti in modo pienamente consapevole, devono sempre essere accompagnati da un corredo critico che ne traduca il codice “linguistico” entro cui sono stati creati e trasmessi: un codice che non è di pubblico dominio, ma si lega a specificità locali presenti in determinati contesti. Nei suoi tanti scritti Carpitella ha molte volte ripetuto questa raccomandazione di metodo, non sempre, però, e non da tutti recepita.

Finché non sono confluiti negli Archivi di Etnomusicologia nel 1989, i documenti sonori del CNSMP sono rimasti pressoché inaccessibili alla pubblica consultazione e hanno circolato quasi solo attraverso la diffusione radiofonica e, localmente, attraverso le sedi regionali della RAI. Dopo il 1989 le raccolte sono state digitalizzate e rese disponibili, parzialmente (i primi 40 secondi) online attraverso il Portale della Mediateca dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (http://bibliomediateca.santacecilia.it/bibliomediateca), interamente in sede. Inoltre molte di esse sono ormai fruibili nelle già citate pubblicazioni della collana AEM Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.

Le raccolte dell’AELM sono sempre state accessibili alla consultazione e a tale scopo venivano utilizzate le “salette” predisposte dalla Discoteca di Stato per l’ascolto delle sue collezioni discografiche. Agli utenti venivano messi a disposizione sia i cataloghi sia le schede da campo. Inoltre, grazie alla collaborazione fra AELM e CNSMP, di cui ho già riferito, presso le salette d’ascolto dell’AELM era anche possibile ascoltare le raccolte 1-23 del CNSMP, in virtù di una convenzione tra i due archivi nazionali (AELM 1967: 14).

Le ricerche dell’Archivio di Etnografia e Storia Sociale (Lombardia) 2008

Le ricerche dell’Archivio di Etnografia e Storia Sociale (Lombardia) 2008

Non è questo il luogo per riepilogare le vicende dei tanti, più o meno analoghi, archivi sorti già prima del 1973, non presenti nell’Inventario, e soprattutto dopo il 1973, sul solco metodologico tracciato dal CNSMP e dell’AELM e più in generale in seguito all’intensa attività della ricerca etnomusicologica italiana, che ha prodotto una gran quantità di documenti sonori, e poi anche audiovisivi, da cui non si può prescindere oggi. Anche perché, già a partire dagli anni Cinquanta, molti dei documenti etnico-musicali rilevati e conservati in archivi e centri di ricerca sono stati oggetto di un’ingente quantità di pubblicazioni discografiche – o di libri con dischi – curate da ricercatori e accompagnate da corredi critici, in cui le modalità di individuazione delle anagrafiche e delle descrizioni dei contenuti si sono sostanzialmente mantenute nel solco della tradizione di studio che ho sinteticamente delineato. E dunque il vasto patrimonio di “suoni” di tradizione orale conservati in centri di ricerca e archivi di varia natura, che fino a un certo momento è stato disponibile in modo limitato, oggi è pienamente accessibile e largamente diffuso. Molti brani etnico-musicali conservati negli archivi e/o pubblicati in dischi sono anche accessibili nel web, più o meno legittimamente, spesso purtroppo riprodotti “nudi e crudi”, privati cioè di quella parte di informazione e di “traduzione” che è necessaria per la loro piena comprensione e senza la quale rischiano di diventare dei meri prodotti di consumo.

Nel momento in cui tali materiali vengono veicolati attraverso mezzi di diffusione di massa, si pone il problema della piena consapevolezza, anche da parte istituzionale, della specificità di questi documenti musicali, per i quali il rischio di essere condannati a un processo di massificazione e di distorsione è concreto. In tal senso appare sintomatico ciò che è avvenuto con la creazione del portale Canzone Italiana,realizzato nel 2018 dal MIBACT in collaborazione con l’ICBSA, con la SIAE e con i principali fornitori di contenuti musicali in rete (http://www.canzoneitaliana.it/); nel portale è stata inserita la sezione Tradizioni popolari (http://www.canzoneitaliana.it/tradizioni-popolari/), in cui sono riprodotti documenti etnico-musicali dell’AELM, privati dei necessari, basilari, dati di riferimento e in alcuni casi persino abbinanti a dati errati. Oltre alla mancanza dei corretti corredi informativi, la sezione è del tutto fuorviante perché i materiali dell’AELM non sono riconducibili a “canzoni”, proprio per il loro derivare da processi di creazione di trasmissione orale a cui ho sinteticamente fatto cenno e di cui esiste un’abbondante letteratura scientifica. 

Ritorno al metodo 

A distanza di 75 anni dalla fondazione del CNSMP e di 61 anni dalla fondazione dell’AELM, sembra necessario riconoscere il carattere di storicità che i due archivi hanno assunto nel tempo, conservando, nel loro insieme, un patrimonio musicale di tradizione orale che in gran parte oggi non è più presente nei territori italiani in quelle stesse forme, in quegli stili, in quel sistema performativo in equilibrio fra modelli condivisi e improvvisazione, per cui ogni esecuzione assume valore di unicità e di irripetibilità: lo avvertiva opportunamente Carpitella, sottolineando come quelle musiche testimonino non soltanto «la produzione di determinati “oggetti” folklorici […], ma anche un “modo” di creazione» (Carpitella 1992: 57; cfr. anche Giannattasio 1992: 166-204 e De Simone 2010: 42-44).

    12. L’Archivio Etnomusicale del Mediterraneo (Sicilia) 2018

 L’Archivio Etnomusicale del Mediterraneo (Sicilia) 2018

Anche molti di quei ricercatori e di quei musicisti “popolari” non sono più in vita e il loro essersi incontrati e avere in vario modo dialogato e attivato dei contesti performativi assume oggi il senso di un patrimonio di storie individuali, di incontri e di processi che, per essere compresi, vanno collocati nelle dimensioni culturali, professionali e politiche, oltre che esistenziali, dei vari soggetti coinvolti. I loro ruoli non sono inquadrabili in uno schema convenzionale applicabile in generale alla produzione musicale, ma vanno piuttosto collocati in quella particolare forma di alleanza che si crea fra i ricercatori e i musicisti-esecutori sulla base di una comune volontà di attribuzione di valore: ai primi spetta la responsabilità scientifica delle proprie ricerche, ai secondi la proprietà culturale delle proprie esecuzioni. Nel momento in cui tali esecuzioni musicali, rilevate sul campo, vengono depositate in archivi audiovisivi, ai ricercatori dovrebbe essere riconosciuto il ruolo di figure referenti, garanti della corretta restituzione scientifica o divulgativa di quegli stessi materiali e tale ruolo dovrebbe restare attivo nel tempo mediante l’avvicendarsi di figure scientifiche in grado esercitare analoga pertinenza.

Cosa fare dunque di questi archivi di suoni che riflettono le tanto elogiate, ma non sempre davvero comprese, “diversità culturali”? Come trattare le fonti sonore delle musiche di tradizione orale italiane, rispettando le specificità di fondo che le individuano e le qualificano? Sembra paradossale doversi porre oggi una tale domanda riguardo a “oggetti” per i quali, come ho cercato sinteticamente di delineare, non è certo mancata la costruzione, nel tempo, di un solido statuto scientifico disciplinare, né sono mancate figure di autorevoli studiosi di riferimento.

Sembra anche inverosimile che, in un’epoca di crescente sviluppo di piattaforme digitali iper perfezionate, non sia possibile progettare e realizzare un adeguato “ambiente” per questa tipologia di fonti, evitando le forzature derivate dal loro inappropriato inquadramento in sistemi informativi di descrizione e di restituzione creati per altre tipologie di documenti. Forse il problema potrà trovare una soluzione nel Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (PND) del Ministero della cultura, elaborato ai fini dell’attuazione degli obiettivi del PNRR in materia di Strategie e piattaforme digitali per il patrimonio culturale, quale «riferimento metodologico e operativo […], sia in ambito pubblico che privato» rivolto «in prima istanza ai musei, agli archivi, alle biblioteche, agli istituti culturali» (https://digitallibrary.cultura.gov.it/il-piano/).

Sicuramente, al di là del cosa e del come fare, la questione non può restare elusa e va affrontata con la consapevolezza che, come ha spesso sottolineato Diego Carpitella, per poter trattare queste tipologie di materiali in modo corretto occorrono le necessarie competenze. 

Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023 
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Roberta Tucci, docente della Scuola di Specializzazione in Beni demoetnoantropologici di “Sapienza” Università di Roma, ha effettuato ricerche di interesse etnomusicologico ed etno-oganologico in Calabria e in altre regioni centro-meridionali. Si è occupata di catalogazione dei beni culturali demoetnoantropologici presso il Centro Regionale di Documentazione della Regione Lazio e presso l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del Ministero della cultura. Dal 2016 è membro del Comitato tecnico-scientifico dell’Ecomuseo delle Acque del Gemonese. Tra le sue pubblicazioni più recenti: I beni culturali etnografici nella Commissione Franceschini: una presenza marginale, in “Il capitale culturale”, 23, 2021; La descrizione dei documenti sonori nella scheda di catalogo BDI-Beni demoetnoantropologici immateriali, in Documenti sonori, a cura di D. Brunetti, D. Robotti, E. Salvalaggio, Torino, Centro Studi Piemontesi, 2021; Dietro il film Calabria: zampogna/chitarra battente di Diego Carpitella, in Sounding Frame, a cura di A. Cosentino, R. Di Mauro e G. Giordano, Palermo, Edizioni Museo Pasqualino, 2021; I beni culturali DEA nel Ministero della Cultura fra oblii, riconoscimenti, apparentamenti, marginalità, in “Dialoghi Mediterranei”, 58, 2022.

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