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Le identità molteplici. Una chiave di lettura alternativa dell’appartenenza culturale

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di    Chiara Dallavalle

Il significato attribuito dalle persone ai legami che le uniscono è fondamentale ogni volta che cerchiamo di catturare le dinamiche alla base della produzione culturale nello scenario delle migrazioni contemporanee. Maggiore è il contatto tra persone di provenienza lontana, da un punto di vista geografico, maggiore è la sottolineatura della differenza culturale che le contraddistingue, quest’ultima fortemente ancorata ad un’appartenenza territoriale ben precisa. Infatti, nonostante il recente dibattito antropologico abbia mostrato come il legame concettuale tra cultura e spazio si sia sgretolato, curiosamente questo sgretolamento non ha visto il parallelo affievolirsi del significato attribuito a questo legame. Al contrario le persone sembrano aggrapparsi con ancora maggiore forza alla nozione di cultura come qualcosa di chiaramente circoscritto e territorialmente definito.

Come sottolineano Gupta e Ferguson, «tanto i luoghi e le località reali sono divenute sempre più sfumate e indeterminate, tanto l’idea di luoghi culturalmente ed etnicamente distinti diventa sempre più saliente»[1]. Questo significa che le persone continuano ad attribuire grande rilevanza a nozioni come patria, cultura di appartenenza e comunità, quali elementi distintivi per la propria identità, considerandoli delle entità durevoli nel tempo e date per natura. Quindi, nonostante le migrazioni contemporanee assumano sempre più una dimensione transnazionale, con una forte enfasi sulla fluidità dei processi di formazione identitaria e il minore radicamento al territorio, la forza dei legami di appartenenza a gruppi ben delimitati è ancora notevole. Infatti, i migranti vengono rappresentati nel discorso pubblico come collettività coese ed internamente omogenee, con scarsa attenzione ai singoli individui, che vengono invece ridotti a semplici membri della propria comunità etnica.

Le identità individuali sono perciò sostituite dalle identità collettive, maggiormente evocative, e che vengono percepite come maggiormente rappresentative di una presunta diversità culturale. Questo è particolarmente evidente, ad esempio, quando si parla di identità etnica in relazione alle giovani generazioni di immigrati. Osservando il fenomeno delle seconde generazioni secondo una prospettiva che rappresenti la cultura come un sistema stabile di significati, durevoli nel tempo, i figli degli immigrati vengono percepiti come soggetti in uno stato di completa passività davanti al patrimonio culturale dei propri genitori, che sarebbe trasmesso loro automaticamente e senza varianti, quasi fosse un pesante fardello che transita dalle spalle dei vecchi alle spalle dei giovani. Tuttavia questa visione estremamente rigida della cultura, intesa come qualcosa di “puro” e che va preservato dalla contaminazione, è opposta invece ad un’accezione alternativa, che vede la cultura e l’identità come un processo creativo, la cui vitalità si rinnova in un costante svolgersi attraverso l’azione delle persone. In questo caso l’attenzione si sposta dalla cultura al soggetto agente, che non è il mero prodotto delle contingenze esterne, bensì il suo artefice. La recente letteratura antropologica [2] mostra quindi l’inefficacia di una nozione di identità fondata sull’assunto che essa possiede una natura stabile e fissa, optando invece per una sua rappresentazione quale mobile e spesso instabile sistema di relazioni.

Tuttavia se manteniamo lo sguardo non tanto sugli assunti teorici, quanto invece sulle azioni quotidiane delle persone, scopriremo che esse spesso si appropriano di nozioni di identità del primo tipo, ovverosia ben circoscritte, costituite da elementi “naturali” e chiaramente individuabili, e fortemente legate all’appartenenza territoriale. Non solo il discorso pubblico classifica i migranti sulla base dell’appartenenza rigida a gruppi etnici prestabiliti, ma i migranti stessi fanno ricorso a questa rappresentazione di se stessi, enfatizzando i tratti culturali che li differenziano da altre comunità di migranti. Questo sembra disconfermare quanto affermato dalla ricerca antropologica, proprio perché le persone ricorrono al tema dell’omogeneità e distintività culturale come qualcosa di estremamente reale nelle loro vite. Pertanto è possibile affermare che esiste una sorta di opposizione tra l’identità intesa come sistema stabile di elementi che segnano l’appartenenza ad un dato gruppo, che potremmo definire reificata proprio in virtù delle sue forme rigide di appartenenza, e l’identità intesa invece come processo creativo, mai uguale a se stesso, sviluppato con modalità assolutamente innovative dalle persone per relazionarsi strategicamente al contesto sociale.

La ricerca antropologica ci mostra che l’identità etnica reificata è solo un’invenzione, mentre nella vita reale essa è una variabile particolarmente fluida e flessibile. Tuttavia la stessa ricerca antropologica mette in evidenza che entrambe queste dimensioni sono presenti nelle pratiche quotidiane delle persone, perdendo il carattere dicotomico che le connota quando rimangono semplici astrazioni analitiche, e diventando invece differenti opportunità offerte alle persone per negoziare il proprio rapporto con il contesto sociale in cui vivono.

Gerd Baumann offre un’interessante prospettiva antropologica in tal senso, teorizzando la nozione di identità mobili, ovverosia l’idea che identità possa significare cose diverse in contesti diversi, e che le persone possano equiparare identità etnica, cultura e comunità in alcuni contesti, ma non in altri [3]. Nelle pratiche quotidiane le persone mostrano continue negoziazioni del proprio concetto di cultura e comunità, appellandosi a nozioni fisse di questi stessi concetti e contemporaneamente utilizzandone varianti più fluide e malleabili. Questa chiave di lettura ci offre uno sguardo completamente nuovo, attraverso cui rivolgerci ai fenomeni migratori nel nostro Paese. Infatti ci permette di sfuggire alle facili categorizzazioni imposte da una visione del mondo e della differenza culturale rigida e reificante. Al contrario, parlare di identità molteplici e mutevoli ci consente di cogliere l’estrema creatività attraverso cui le persone manipolano, appropriano e modellano la cosiddetta cultura di appartenenza, mostrando come essa venga ogni volta definita e reinventata a seconda dell’uso strategico che le persone intendono farne.

Dialoghi Mediterranei, n.6, marzo 2014
Note

1Gupta A. e Ferguson J., 1997, Culture, Power, Place. Explorations in Critical Anthropology, Duke University Press, 39.

2 Clifford, J., 1988 (2002), The Predicament of Culture. Twentieth-Century Ethnography, Literature, and Art, Harward

3 Baumann, G., 1996 (2006), Contesting Culture. Discourses of Identity in Multi-ethnic London, Cambridge: Cambridge University Press.

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