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Le piante raccontate, dall’incanto dei miti alle pratiche d’uso

miti-e-magie-delle-erbedi Silvia Pierantoni Giua

Probabilmente il fascino delle piante deriva dall’incredibile varietà di fiori e arbusti che sembrano rappresentare tutte le sfumature della vita dell’individuo: dal bisogno di ingannare l’idea della morte incarnato nelle sempreverdi all’inevitabile riflessione sulla caducità della vita rappresentato dal ciclo dei fiori; dal desiderio di piacere, fornito dal loro profumo e dagli innumerevoli prodotti da essi derivati alla tentazione di oltrepassare i limiti psico-fisici grazie alle proprietà allucinogene ed esaltanti di alcune piante; dal senso di delicatezza e dolcezza dato dal gusto di un frutto al bisogno di difesa e protezione manifesto nelle spine di una rosa, nel veleno di certe bacche.

Chissà che l’incanto per fiori e piante non sia dato anche dalla loro vitalità visibilmente pulsante nonostante la loro impossibilità di movimento, vitalità da cui dipende l’esistenza stessa dell’essere umano (dall’ossigeno al nutrimento, dal loro ruolo determinante nel clima alla cura del corpo). Ed è proprio alla solidità delle radici che l’uomo fa riferimento quando pensa alle proprie origini, a ciò che sente come casa; sono chiamate “radici” l’appartenenza a un luogo, a un Paese, a una cultura, alla propria identità e stabilità.

Ma stabilità non è sinonimo di staticità e così come le nostre origini non ci impediscono di viaggiare e fare esperienza dell’altrove, così l’ancoraggio al terreno delle piante non ha certo impedito loro di spostarsi nello spazio e nel tempo, anzi! Durante i secoli, esse hanno attraversato culture diverse, sono state trasportate da animali ed esseri umani, immortalate da opere d’arte e poesie; ne sono stati tramandati gli utilizzi medici e le sapienze popolari, le tradizioni e le pratiche magiche, i miti e i racconti. Fiori e piante adornavano le pareti del regno dell’antico Egitto, accompagnavano il viaggio nell’aldilà dei faraoni; decoravano i giardini persiani dei sultani e, a partire dal VIII secolo con la conquista della Spagna da parte degli arabi, quelli europei.

Nel libro Miti e magie delle erbe di Maria Immacolata Macioti (DeriveApprodi edizioni 2019) l’importanza del mondo vegetale è esplorato in modo approfondito e curioso, spaziando dalle funzioni medicinali a quelle magiche di alcuni arbusti, dall’utilizzo di certe piante in cucina alla loro presenza in arte e letteratura; dalla citazione di aneddoti e pratiche popolari di alcuni fiori al loro legame con l’astrologia celtica; dal loro ruolo nella mitologia al loro valore simbolico in religioni come il Cristianesimo e Buddismo.

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Alberi (ph. S. Pierantoni)

Nella premessa, l’autrice introduce il lettore nel mondo fantastico delle piante con il loro incanto magico-simbolico, in antiche leggende e dentro alle storie di elfi e fate. Il testo si struttura poi in diversi capitoli suddivisi per macro-aree. Nel primo vengono illustrate le varie funzioni medicinali di alcuni alberi, fiori e arbusti, come l’alloro, capace di combattere i reumatismi e di favorire la digestione, utile contro il bacillo di Koch e la caduta dei capelli; il frassino, ancora utilizzato in certe campagne come febbrifugo, e il noce, depurativo e ottimale per il fegato. Nello stesso capitolo viene illustrato anche il legame degli alberi con la vita e con la morte. Il tasso, ad esempio, è da sempre venerato ma non amato in quanto sacro a Ecate, dea degli Inferi che presiede agli incantesimi, a magie oscure, ai crocicchi, luoghi magici per eccellenza dove tutto può accadere; le sue proprietà mortifere sono richiamate in letteratura, come nell’Amleto di Shakespeare, dove il succo derivato dall’albero avvelena il padre del protagonista. Vengono poi presentate le proprietà calmanti di alcune piante contro ansie e intossicazioni proprie della civiltà industriale. È il caso della menta, antispasmodico e tonico notevole, amatissima in Gran Bretagna dov’è presente ovunque in pasticceria e in cosmetica e il cui olio da bagno combatte la stanchezza del corpo. Questa prima sezione cita anche la medicina popolare che utilizza, ad esempio, il decotto della ginestra contro la bronchite e la pressione bassa, la calendula come diuretico e astringente, la pervinca, utile a regolare la pressione e a migliorare la circolazione.

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Luci e ombre (ph. S. Pierantoni)

Segue il capitolo “La tradizione e la vibrazione” dove ci si addentra maggiormente nelle leggende legate agli alberi, ai frutti e ai fiori. La scrittrice ci racconta come mirti, querce, cipressi e pini affondino le loro radici nell’antichità: protagonisti indiscussi dei giardini romani, ispirati a loro volta a quelli del paradiso, sono piante decorative ma hanno anche un forte valore simbolico. Ad esempio, si dice che fu dove sorse il mirto che nacque Roma, lo stesso mirto che veniva usato nel Medioevo come filtro d’amore, come pozione per combattere oscure malie. Grande importanza riveste la quercia, albero solare che ha sempre rappresentato la forza e la robustezza, considerata pianta divina degli oracoli e quindi della saggezza, così veritiera e sapiente che Socrate giurò sulle sue fronde. Fiori che trovano ampio spazio in questo capitolo sono rose e viole, spesso insieme nella tradizione letteraria e poetica occidentale a partire dal mondo greco-romano. Esse sono presenti nell’architettura, nelle arti, nell’astrologia, nella magia e nella medicina popolare. Sono entrambe fra i più noti simboli della primavera e della bellezza ma anche segno del sonno eterno, della fragilità e della caducità della vita: nei giorni commemorativi dei morti, nell’antica Roma, le tombe venivano decorate con rose e viole; d’altro canto le corone di questi fiori ornavano Dionisio e le sue Baccanti e aiutavano a conservare i segreti in pericolo a causa dell’ebbrezza. Non a caso, l’espressione “sub rosa” è indice di silenzio, di segretezza ed è sempre per il legame con questa credenza che nei confessionali sono spesso scolpite rose a cinque petali. La rosa è da secoli pegno d’amore: d’amore mistico, quella bianca, legata alla Vergine Maria, immortalata da Dante; d’amore sensuale, in quanto simbolo della donna pronta all’amore, la rosa rossa. Il colore della violetta è invece associato alla fedeltà e alla perseveranza ma pure al pentimento e al raccoglimento; così diventa anche caratteristico dell’Avvento cristiano.

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Petunie (ph. S. Pierantoni)

La parte successiva del libro si dedica alle piante della luna e del sole, sezione dove la mandragora ha un ruolo di rilievo. Pianta sacra per eccellenza, è stata protagonista di molteplici riti e impieghi, fonte insieme di gioia e dolore, saggezza e follia, appagamento amoroso e quiete profonda tanto da rappresentare il sonno eterno. In letteratura essa è presente nell’omonima commedia di Macchiavelli, dov’è connessa alle sue proprietà erotiche e fecondanti, ma anche nelle novelle di Boccaccio, in Shakespeare e nel Faust di Goethe. Le storie legate alla mandragora giungono a noi anche attraverso la credenza popolare, la medicina, il teatro e il cinema. Pianta sacra a Ecate, dea delle tenebre e legata ad Artemide, dea associata alla luna, guarisce l’epilessia, dona il sonno ristoratore ma provoca anche la pazzia. In bilico fra la vita e la morte, essa incarna incertezza e ambiguità.

Un capitolo è dedicato interamente al mondo dei Druidi, casta sacerdotale celtica di cui si sono tramandate poche informazioni, lacuna che conferisce alla loro storia un alone di mistero. Gli usi e costumi dei Celti – ci racconta la Macioti – arrivano a noi attraverso la mediazione dei loro avversari, Giulio Cesare in primis. Sappiamo che utilizzavano l’alfabeto greco solo per gli affari pubblici, altrimenti si rifacevano alla tradizione orale; credevano nella trasmigrazione delle anime, si interessavano al moto degli astri, all’esplorazione della forza e potenza degli dèi. Il loro legame con gli alberi era molto forte, in particolare con la quercia e il vischio, ma anche col nocciolo, del quale si servivano per le loro bacchette magiche. Il noce invece pare fosse amato e temuto: amato perché bello e imponente, dispensatore di doni; temuto perché veicolatore di flussi occulti, di mistero e carisma.

L’ultima parte del libro è dedicata al legame dei profumi con i segni zodiacali: l’autrice ci rivela che bisogna seguire le corrispondenze astrali per acuire le proprietà dei fiori ed evitare effetti contrari. Ad esempio, i nati sotto il segno del Cancro hanno come essenza magica il lillà che li aiuterebbe a regolare l’intensità delle loro emozioni. Il glicine orienterebbe le idee dei pesci, i quali hanno tendenza a perdersi nel vago e nell’irrealtà; la verbena, essenza astrale della bilancia, sarebbe capace di suscitare una passionalità amorosa travolgente, mentre l’iris accentuerebbe nei nati sotto questo segno l’equilibrio e l’armonia del carattere, oltre ad infondere intuizioni e illuminazioni.

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Londra, Green Park (ph. S. Pierantoni)

Nel testo dunque emergono chiaramente la rilevanza e il valore di fiori e piante: come sottolinea l’autrice, frutti, bacche, tuberi, fiori e foglie sono serviti a sfamare gli uomini, hanno fornito riparo con le loro ombre a viandanti stanchi e accaldati; hanno dato legna per riscaldare e offerto fuochi per illuminare e fatto dono di sé per ristabilire equilibri psico-fisici; ma sono anche stati oggetto di rispetto e venerazione in tutto il mondo, spesso simbolo di gloria, vittoria e potere. Già agli inizi del terzo millennio a.C. i frutteti e i giardini della città di Uruk erano motivo di orgoglio per il re Gilgamesh e, dopo un millennio, tutti i palazzi reali della Mesopotamia avevano corti interne ombreggiate da alberi e adornate di fiori. I giardini di Babilonia, costruiti da re Nabuccodonosor II (605-562), rappresentavano l’ideale del piacere paradisiaco, l’appannaggio del potere e della ricchezza, proprio come avverrà più tardi per la villa di Adriano a Tivoli, l’Alhambra di Granada e Versailles.

Ma il potere della flora di cui parla il libro della Macioti è legato ad una sfera più elevata rispetto a quella dello sfoggio della ricchezza di re e imperatori: è connessa al divino, al cielo, al mondo dell’invisibile e dell’ignoto e quindi al mito, alla magia e alla religione. Il lettore viene accompagnato in un viaggio verso la conoscenza del valore simbolico di fiori e piante e del cambiamento delle pratiche che ruotano intorno ad esse. Infatti può essersi perso il rito legato alla venerazione di tale o talaltro albero ma ne resta ancora traccia attraverso canti e danze popolari; magari è scomparsa una determinata credenza intrecciata ad un fiore ma ne rimane il segno in una festa patronale o in un detto proverbiale. Il mutare delle modalità, il cambiamento del rito non è forse indice della sua permanenza, della sua vitalità, della sua attrazione, ancora oggi, per le persone? La studiosa sottolinea come il progresso della tecnica non abbia portato ad un allontanamento da certe pratiche e rituali e, al contrario, rileva che mai come oggi la società sembra aver bisogno dell’incanto magico-simbolico di certi fiori poiché «[…] le grandi innovazioni scientifiche e tecnologiche non hanno sopito le ansie, le incertezze e le paure circa il futuro: anzi, in certi casi, sembrano destinate ad accrescerle».

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Londra, Hyde Park (ph. S. Pierantoni)

Gli esseri umani tendono a ricercare le proprie radici, a sentire il richiamo dell’attaccamento alla terra, ad aver bisogno di accostarsi ad una medicina dolce e alternativa, all’utilizzo di rimedi erboristi. D’altra parte, c’è un dilagare del culto per il corpo, per la salute, il benessere e la bellezza cosicché piante e fiori mantengono il loro primato in cosmesi, profumeria, tisane e decotti dietetici, integratori alimentari, energetici e così via.

Fiori e piante fanno dunque parte della nostra realtà quotidiana e, allo stesso tempo, sono oggetto prediletto per la creazione di miti e leggende, mezzo attraverso il quale l’uomo prova a dare un senso alla realtà e così, necessariamente, al suo opposto: l’invisibile, l’impalpabile, la morte. Il mito, infatti, si propone di risolvere l’impasse che l’essere umano ha di fronte alla domanda sul senso della vita e agli infiniti interrogativi che da questa scaturiscono. Tali quesiti non sono propri di un popolo in particolare bensì sono universali; così il racconto mitologico: il contenuto può variare a seconda delle civiltà ma è trasversale il bisogno dell’uomo di organizzare e dare un orizzonte di senso all’esistenza attraverso il racconto poiché la narrazione gli permette di relazionarsi al mondo, a se stesso e all’alterità.

Nel libro della Macioti troviamo la citazione di molti passi mitologici legati alla storia delle piante come, ad esempio, il melograno, frutto fatale per Proserpina, o l’alloro, strettamente legato nella tradizione occidentale al dio del Sole Apollo e alla ninfa Dafne che, per fuggire al suo amore, implora il padre di cambiarle forma. E ancora, la menta che pare sia legata alla giovane ninfa degli Inferi Menta trasformata in pianta da Ade per sottrarla ai maltrattamenti della moglie Persefone. Che dire poi del mito di Narciso? La studiosa cita anche numerosi testi tratti dalla letteratura di diversi Paesi – dal Nepal all’Italia, dall’India all’Inghilterra – da cui sgorgano versi su fiori e alberi di ogni tipo. Troviamo anche l’importanza che essi ricoprono nelle religioni, com’è il caso della mela nella tradizione giudaico-cristiana e del loto nel Buddismo.

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Apollo e Dafne, di Bernini (1622)

Il filo rosso che emerge dal libro è proprio quel filo che accomuna mito, religione e magia e che attraversa la storia dell’uomo e delle civiltà del mondo, ovvero la credenza, che muove dalla precarietà esistenziale. Anche nella nostra epoca, il cui mito è il progresso della scienza e della tecnologia, non assistiamo a un abbandono dei culti in favore di una maggiore aderenza alla logica e alla ragione. Ci troviamo invece – solo in apparenza paradossalmente – di fronte ad una tendenza opposta, ovvero al ritorno della religione, alla mitizzazione del consumo delle piante, alla ricerca di pratiche magico-esperienziali che riconsegnino all’uomo la possibilità di esplorare quello spazio di simbolismo di cui ha necessità. Pensare di poter eliminare la parte irrazionale dell’essere umano è un’utopia e, se mai, porta ad un’esaltazione del progresso frenetico, della perfezione estetica, dell’esorcismo dell’avanzare del tempo, miti che quanto quelli del passato cercano di rispondere all’angoscia della finitezza, della fragilità, della morte. Del resto, la peculiarità dell’epoca attuale sembra consistere nell’accelerazione, nel consumo fagocitante di ogni secondo, fretta che impedisce di avere il tempo per la riflessione e quindi per lo sviluppo del giudizio, del pensiero critico.

Prendersi un momento per scoprire la vastità delle storie del mondo vegetale offre la possibilità di immergersi in un’atmosfera magica dove la primula rende visibile l’invisibile e la pervinca è simbolo di verginità, emblema della città di Ginevra e sinonimo di primavera in Russia. Durante questo tempo di lettura si scopre che in passato venivano poste intere cappelle, fonti battesimali e statue di santi nelle cavità di certi tassi; che in varie zone europee c’era l’uso di dipingere un’artemisia sulle portiere delle carrozze  – e successivamente delle macchine – per garantire un viaggio felice e sicuro; che il mirto era sacro ai persiani e segno di pace per gli ebrei mentre l’iris, simbolo della cessazione del temporale, era coltivato in Egitto e portato in Europa dagli arabi. Qualunque sia l’origine e la storia, fiori e piante racchiudono in sé l’emblema dell’esistenza poiché rappresentano la danza degli opposti: la vita e la morte, il sacro e il profano, la guerra e la pace, la conoscenza e la perdizione, il benessere e la follia.

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Stagno delle ninfee, armonia verde, di Monet (1899)

Posto il segnalibro tra le pagine e ritornati sulla terra ferma, come non pensare alle conseguenze che il cambiamento climatico e il comportamento irresponsabile dell’uomo accecato dalla sete di progresso stanno apportando al mondo e così anche a quello vegetale? Nonostante questa criticità non venga menzionata in modo esplicito nel libro, tale considerazione sorge spontanea dopo aver preso coscienza dell’importanza della natura e di tutte le ricchezze che offre all’uomo. Inevitabilmente si apre dentro al lettore l’evidenza delle contraddizioni del nostro tempo: l’importanza fondamentale che ricoprono per noi piante e fiori sotto tutti i punti di vista e l’avanzamento verso la rovina dell’ecosistema che ne pregiudica la sopravvivenza. Senza cadere nella malinconia del passato né nel disprezzo del presente, la studiosa stimola il lettore a prendere coscienza dell’immenso valore che piante e fiori ricoprono nella nostra vita, nella nostra quotidianità e, indirettamente, invita a riflettere su come sarebbe il nostro futuro senza di esse.

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Ninfee, di Monet (1919)

Il libro della Macioti è quindi un viaggio alla scoperta dell’incanto magico-simbolico delle piante, delle loro proprietà officinali e del loro legame con l’astrologia, ma è anche un mezzo attraverso il quale riscoprire l’importanza del mito in quanto strumento per indagare noi stessi, capire come viviamo il nostro tempo. Essendo trasversale ad ogni epoca e civiltà, il mito avvicina le culture, unisce i vari punti delle differenze creando un disegno raffigurante la splendida complessità umana. Di fronte al mito ci rendiamo conto di quanto l’uomo abbia le stesse paure, gli stessi limiti, gli stessi dubbi e desideri; esso non è solo un racconto fantastico ma una sorta di mappatura della molteplicità di mondi di cui si compone l’individuo e dei suoi rapporti con l’alterità e, in ultima istanza, con Dio. Il mito dà un senso alle contraddizioni della vita, struttura, organizza e rende logico l’irrazionale, l’incomprensibile, il limite e la finitezza umana, in altre parole, è un antidoto contro la paura della morte e un cantico alla vita.

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Ninfee, di Monet (1919)

Ancora oggi, come in ogni epoca, c’è la necessità di sentirsi parte di un universo più complesso rispetto alla realtà che si riesce a descrivere e a definire, di spingersi oltre ciò che la ragione ci mostra. Quel soffio divino che fa tendere l’uomo oltre la sua finitezza può essere utile a ricordarci quanto facciamo tutti parte di un unico mistero: la vita. Un albero o un fiore ne incarnano l’essenza: si nutrono dalla terra e tendono al cielo. Immergersi nelle innumerevoli proprietà di un fiore e del suo legame al divino ci ricorda che se ogni terra porta frutti diversi, tutti hanno in comune lo stesso cielo e tutti, indistintamente, hanno bisogno dell’energia del sole per vivere. Anche per l’uomo è importante la “terra” ma può trovarsi in condizioni di doverla (o di volerla) abbandonare e andare altrove. Quel che è certo è che, come ogni pianta, egli avrà bisogno di una nuova terra per sopravvivere, poter gettare fiori e produrre frutti.

Ce lo ha ricordato recentemente Stefano Mancuso, in un libro significativamente intitolato La nazione delle piante, in cui propone un nuovo punto di vista sul regno vegetale, e immagina che le piante «dopo averci reso possibile vivere, vengano a soccorrerci suggerendoci una vera e propria Costituzione su cui costruire il nostro futuro di esseri rispettosi della Terra e degli altri esseri viventi. Sono otto gli articoli della Costituzione della Nazione». Forse dobbiamo cominciare a rispettarli, perché le piante esistevano prima di noi e continueranno ad esistere senza di noi.

Dialoghi Mediterranei, n. 38, luglio 2019

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Silvia Pierantoni Giua, si specializza in arabo e cultura islamica durante il corso di Laurea Magistrale in Lingue e culture per la comunicazione e la cooperazione internazionale all’Università degli studi di Milano. Approfondisce poi la tematica della radicalizzazione islamista in occasione della stesura della sua tesi di laurea di Ricerca in Psicoanalisi diretta dallo psicoanalista F. Benslama, che ha discusso nel giugno 2016 all’Università Paris VII di Parigi. Attualmente si occupa della stesura di un progetto per la prevenzione del fenomeno del fanatismo.

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