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Le relazioni nel vissuto migratorio. Tracce e voci di siciliani all’estero

Lawrence, Massachusetts, 1925.La famiglia  di Joseph Bella

Lawrence, Massachusetts, 1925. La famiglia di Joseph Bella

di Grazia Messina 

La riflessione che mi accingo ad esporre si muoverà in una retrospettiva storico-antropologica nel tentativo di mettere a fuoco alcuni tratti del massiccio esodo dei siciliani nel corso del Novecento [1]. Farò per questo riferimento anche a dati e contenuti presenti nel Museo etneo delle migrazioni di Giarre, che ha come contesto specifico di osservazione quello ionico-etneo, inserito nel più ampio quadro relativo alla fascia orientale e all’intera Isola [2].

Vorrei iniziare con due testimonianze della nostra emigrazione. La prima si riferisce alle partenze per gli Stati Uniti tra Ottocento e Novecento, l’altra agli espatri in Germania del secondo dopoguerra:

«Mi chiamo Joseph G. Bella e sono un membro della St. Alfio Society di Lawrence, nel Massachusetts. Sono anche cittadino italo-americano di seconda generazione. Entrambi i miei genitori erano di origine siciliana, provenivano dalla provincia di Catania. Mia nonna materna venne a Lawrence per la prima volta nel 1893 da Viagrande Trecastagni. Si chiamava Giuseppina Petralia e aveva 13 anni. Il fratello Nunzio e la sorella Agata vennero dopo. La famiglia di mio padre, Bella, arrivò a Lawrence tra il 1906 e il 1908 da Aci Sant’Antonio. Prima vennero insieme Anna Raciti Bella e sua figlia Santa: era il 1906. Nel 1908 arrivarono il marito Rosario, e due figli, Antonia e Vito Giuseppe. Dopo il loro arrivo, i siciliani hanno subito iniziato a lavorare nelle fabbriche tessili e, in alcuni casi, in occupazioni corrispondenti alle loro competenze. Alla fine, hanno formato club e organizzazioni in città, simili a quella a cui appartengo». 
«Nel 1970, all’età di quasi 19 anni, dopo il conseguimento della maturità scientifica a Giarre e a seguito di incomprensioni con i miei genitori, presi la decisione di trasferirmi in Germania. Qui mi sono ritrovato con una moglie ed un figlio da mantenere, senza una lira in tasca. Come molti amici siciliani che erano partiti con me, da trasportatore di bibite e lavapiatti sono diventato cameriere. Le mie capacità di apprendimento e i miei studi mi hanno permesso di imparare il tedesco in poco tempo e di lasciare lavori molto umili per altri più dignitosi, tanto da diventare infine direttore in importanti ristoranti italiani. Vivo tuttora in Germania e non penso di trasferirmi più in Italia, anche se devo ammettere di avere un po’ di nostalgia di casa. Ormai tutti i miei interessi sono qui, a Monaco, dove vivo con mia moglie da oltre 50 anni» (Salvatore Pavone). 

Cosa hanno in comune le due storie qui presentate, per quanto diverse tra loro per protagonisti, luoghi e tempi di sviluppo? Entrambe mettono a fuoco un tratto fondamentale nell’esperienza del migrante, e cioè il suo costante “essere in relazione”: con il paese di origine, con quello di destinazione, con gli altri siciliani in cammino, con la realtà lavorativa e quella associazionistica, laica e religiosa, con lingua, cultura, affetti [3]. L’attenzione rivolta ai tanti processi relazionali, sempre in fieri, e alla  loro implicita ineliminabile complessità [4]  che ne impedisce una precisa quantificazione, diviene pertanto fondamentale al fine di comprendere il processo di maturazione identitaria dell’emigrante, sia esso personale che collettivo.

Non vi è inoltre dubbio che eventuali interventi politici, sociali e legislativi, in riferimento tanto alle partenze quanto agli arrivi, debbano tener conto degli studi coltivati in simile direzione, che potremmo definire di tipo socio-antropologico-culturale. Il ricorso alla pluralità di fonti disponibili (museali, archivistiche, letterarie, teatrali, cinematografiche e di altro respiro artistico), ha permesso di valorizzare le diverse esperienze di vita, senza trascurare le difficoltà incontrate dai siciliani nel paese di accoglienza e le risposte date dai singoli e dai gruppi per reagire a forme di marginalità o discriminazione.

Contemporaneamente ha preso forma un crescente interesse per le comunità e le forme di associazione laica e religiosa nate all’estero, così come per i legami con la terra d’origine e per le relazioni e gli scambi che nel tempo si sono conservati fra i due mondi dell’emigrante siciliano. In quest’ottica hanno assunto rilievo le testimonianze, le biografie, le lettere, le narrazioni sia dirette che indirette, i memoir, aggiungendo al patrimonio documentale della storia d’emigrazione anche il peso e il valore delle fonti orali [5]. 

copertina-volume-migrantiDal laboratorio storico al Museo 

Quanto fin qui indicato definisce l’orizzonte di riferimento in cui ho cercato di portare avanti ricerche e attività come docente e come studiosa del fenomeno. Ho infatti adottato tale prospettiva di lettura del movimento per avviare nel 2001, nel liceo scientifico di Giarre in cui insegnavo, il “Progetto Migranti” [6], al fine di ricostruire con un trasversale gruppo di lavoro il flusso di emigrazione dall’isola, recuperando storie familiari ancora custodite nei cassetti dei nonni con lettere e fotografie, oppure trasmesse con racconti privati. In ogni caso, storie ancora sconosciute, che rischiavano di rimanere nell’oblio.

Si è trattato di sperimentazione molto fertile sotto vari punti di vista. L’entusiasmo degli studenti, dei colleghi, delle famiglie, degli emigrati, delle associazioni e dei tanti coinvolti nella ricerca ha generato un clima attivo e coinvolgente in tutta la scuola: ogni giorno nei corridoi qualcuno mi fermava per chiedere di poter consegnare una nuova storia, un nuovo racconto. I ragazzi che avevano individuato un parente, un vicino di casa, un conoscente erano entrati spontaneamente in una relazione intergenerazionale assai vivace, ricca di valori in transito, di confidenze preziose. Avevamo aperto, insieme ai cassetti di famiglia, anche valigie di ricordi a lungo soffocati, rimossi, che adesso venivano alla luce con una valanga di emozioni e sentimenti. Come si può ben comprendere, da quel momento non è stato più possibile fermarsi.

Nel contempo in classe i docenti presentavano la cornice storica del movimento, con la sua genesi a cavallo tra Ottocento e Novecento, le tante sfaccettature della sua evoluzione nelle due fasi successive fino alla vigilia del secondo millennio (all’epoca la quarta fase di mobilità in corso non aveva preso del tutto forma). Attraverso quel laboratorio storico [7] che aveva aperto la scuola al territorio e ai suoi abitanti, sono stati ricostruiti, con varietà di contenuti e di documenti (passaporti, fotografie, biglietti di viaggio, bauli, oggetti vari), alcuni aspetti del lungo cammino dei siciliani dell’area ionico etnea nel mondo, che nel 2008, con il sostegno della “Rete dei musei siciliani dell’emigrazione” e del comune di Giarre,  hanno permesso la creazione del “Museo etneo delle migrazioni”.

Un Museo dunque dalla genesi singolare, in cui gli studenti sono stati autentici  ‘costruttori di storia’ in ogni fase: hanno contribuito alla raccolta delle storie (circa un centinaio) e del materiale documentale da esporre nelle sale, alla definizione di tavole statistiche, alla realizzazione di sceneggiature e brevi docufilm in cui hanno potuto collegare all’emigrazione dalla Sicilia il processo opposto di  immigrazione nell’isola, presente com’è noto con numeri in crescita dagli ultimi decenni del Novecento. In più occasioni, infine, proprio i ragazzi hanno guidato i visitatori attraverso il percorso di narrazione delle partenze e degli arrivi illustrato nelle sale museali, e hanno anche incontrato comunità emigrate all’estero (Germania, Polonia, Romania, Spagna, Australia).

Negli anni successivi ho continuato a studiare il fenomeno con ricerche personali o altri laboratori didattici, uno dei quali inserito in un PCTO [8] con studenti del triennio liceale. Dall’analisi del fondo del CGE [9] relativo al periodo 1901-1925, consultato nell’Archivio storico comunale di Giarre, è nato nel 2022 il volume La Sicilia Migrante, scritto con Antonio Cortese e sostenuto dalla Fondazione Migrantes [10]. 

Passaporto per gli Usa, Museo etneo delle migrazioni di Giarre

Passaporto per gli Usa, Museo etneo delle migrazioni di Giarre

L’emigrazione transoceanica 

Quale quadro emerge dalle esperienze e dagli studi appena presentati? Prima di trattare dell’emigrazione europea, e in particolare di quella diretta in Germania, meta da anni preferita dai siciliani che si spostano all’estero per studio e lavoro, vorrei rispondere alla domanda evidenziando brevemente due tratti specifici del primo esodo siciliano, il più copioso fino ad oggi con un milione e mezzo di partenze, per lo più verso le Americhe, dalla fine dell’Ottocento al 1925. Questo mi permette di riprendere, anche in senso cronologico, il ruolo fondamentale delle relazioni nell’esperienza migratoria a cui ho accennato in apertura. Gli stessi tratti, seppure con diversa espressione, li ritroveremo nella successiva emigrazione in Germania.

Un aspetto di quel primo movimento riguarda un carattere specifico dell’emigrazione siciliana, sin dal suo esordio decisamente plurale: le partenze sui piroscafi, anche quando furono prevalentemente maschili, riguardarono gruppi di persone in marcia (parenti, amici, paesani) che, una volta arrivati nella nuova destinazione, chiamarono presto con lettere e biglietti di viaggio prepagati altri familiari e conoscenti. Fu quello l’inizio delle catene migratorie, che vide stanziarsi negli stessi luoghi oltreconfine emigrati provenienti dalle medesime aree della Sicilia. Da tali aggregazioni spontanee derivarono tante società di mutuo soccorso [11], come pure associazioni laiche e religiose, il cui compito non fu solo volto a tessere reti di sostegno e assistenza, ma anche orientato a custodire lingua, valori, tradizioni, ideali, riti religiosi del paese d’origine. Per unire, collegare, attenuare le lacerazioni del distacco e accorciare le distanze.

Un secondo aspetto da non trascurare nella prima fase dell’esodo di massa riguarda il ruolo della Chiesa cattolica [12], dell’attività missionaria di scalabriniani, salesiani, cappuccini, pallottini e altre congregazioni, che «ancor più di ‘consoli e filantropi’, si attivarono non soltanto nell’ambito dell’associazionismo assistenziale protettivo, ma anche in relazione al superamento delle divisioni campanilistiche esistenti in quello mutualistico-ricreativo» [13], correggendo l’eccessiva frammentazione che aveva accompagnato la formazione delle varie comunità italiane.

La nascita di molte scuole parrocchiali e delle Chiese nazionali, specie nelle Americhe, favorirà una accelerazione dei processi unitari tra gli immigrati e ne aiuterà l’inserimento [14]. La religiosità popolare, specie quando ha saputo adattarsi con culti, riti e cerimonie ai contesti di adozione, pare essere stata a sua volta per gli emigranti un autentico baluardo contro incertezze, sradicamento, nostalgie, fungendo da trait d’union con il paese delle origini, le sue tradizioni, i valori di formazione e gli affetti lontani [15]. Tutti elementi, quelli presentati, che hanno avuto la funzione di una autentica mediazione culturale tra gli emigrati, le istituzioni locali e le autorità governative, dinamica che ha impedito che l’iniziale spaesamento portasse al fallimento dell’esperienza migratoria. Nuove relazioni si sono in ultima istanza intrecciate alle precedenti, per modellarle e orientarle al fine di  un migliore inserimento nei paesi di adozione. 

logo-museo-etneo-delle-migrazioniL’emigrazione europea 

Nel secondo dopoguerra prende forma con numeri rilevanti, seppure più contenuti rispetto al primo periodo, l’emigrazione italiana in Europa. Una sfaccettatura politica distingue senz’altro l’ultimo ciclo migratorio del secolo dai precedenti, dato che si delineò da una serie di accordi intergovernativi (nel 1946 con il Belgio, nel 1947 con la Francia, nel 1948 con la Svizzera, nel 1955 con la Germania federale) nati per fronteggiare la crisi postbellica e orientare in altri Paesi, come ebbe a dire Alcide De Gasperi nel 1949, l’«esuberanza non solo di forze manovali, ma anche tecniche e professionali» [16]. Le prime partenze dall’isola riguardarono in verità manodopera scarsamente qualificata e prevalentemente maschile (miniere, edilizia, industrie), che si spostava per brevi periodi lavorativi, con contratti stagionali a termine in cui si prevedevano rientri reiterati.

All’emigrazione verso l’estero, dalla Sicilia si aggiunse dagli anni Cinquanta agli anni Novanta una massiccia migrazione interna verso il Centro e il Nord Italia, mentre proseguiva quella dalle aree interne alla zona costiera e urbana: tutti movimenti che hanno inciso in modo significativo non solo sulla demografia ma anche sul profilo socioeconomico dell’Isola. 

societa-mutuo-soccorso-ripostousa-museo-etneo-delle-migrazioniCaratteri del movimento 

Con i dati di cui disponiamo possiamo prendere in considerazione l’evoluzione del movimento nel comune di Giarre nell’arco temporale che va dal 1931 al 2002.  Non dissimile per direzioni, tempi e modalità si è presentato lo sviluppo negli altri comuni del circondario di cui ci siamo occupati, seppure ovviamente con numeri differenti. Si tratta, va precisato, di cifre relative alle richieste ufficiali di residenza all’estero, confluite dal 1988 in AIRE, mentre poco in verità ci dicono del carattere temporaneo e stagionale degli espatri, specie di quelli diretti in Germania, carattere tipico del primo periodo del movimento.

Nel 1950 Giarre contava circa 18mila abitanti, saliti a quasi 27mila nel 2002 per incremento demografico in parte legato a nuove nascite, come pure allo spostamento di popolazione dalla campagna retrostante alla rete urbana. Nel comune sono infatti presenti tutte le scuole superiori del circondario etneo, fattore attrattivo per molte famiglie, prima dimoranti nell’area collinare e montana. Alla crescita demografica ha inoltre contribuito a partire dagli anni Settanta il flusso immigratorio, che nel 2013 farà registrare nell’area nuove presenze da oltre 56 nazioni, per lo più extraeuropee (erano 46 nel 2008).

Dei 2.202 trasferimenti ufficialmente registrati in AIRE dal 1931 al 2002 – cifre che vanno considerate comunque parziali, e dunque sottostimate specie per i Paesi europei, come si è detto – la maggior parte riguarda trasferimenti in Australia (545 unità) [17], con un movimento senza interruzione e in crescita fino agli anni Novanta (con un picco di 42 partenze nel 1993), che ne fa il paese col maggior numero di espatri nelle tabelle anagrafiche [18]. Tra le destinazioni europee è la Germania a generare un flusso che cresce rapidamente a partire dal 1961[19], con il picco di 41 registrazioni nel 1994 e un totale di 428 espatri complessivi dal comune fino al 2002. Il Paese europeo si colloca in tal modo al secondo posto nella tabella generale delle cancellazioni anagrafiche dal comune siciliano [20].

Le testimonianze presenti nel Museo di Giarre e nelle pubblicazioni del “Progetto Migranti” raccontano di partenze per la Germania tra gli anni Sessanta e Ottanta, per lo più a carattere temporaneo, seguite da rientri nel paese di origine. E di tante relazioni alle stesse correlate [21]. Elementi questi che arricchiscono la rilevazione quantitativa e le statistiche italiane disponibili.

Per meglio comprendere cosa caratterizza il nuovo flusso verso la Germania risulta così ancora una volta utile fare appello, seppure senza pretesa di definizioni generali, ad alcune testimonianze [22].  Cause della partenza, scelta della destinazione, esperienza lavorativa all’estero con successi e fallimenti, diventano nel racconto tessere del movimento del secondo Novecento dall’Isola: 

«Mi chiamo Carmelo Moschella, sono nato il 16 marzo 1949 a Calatabiano (CT) e nel 1970, alla maggiore età, che ai tempi si raggiungeva a 21 anni, ho lasciato la mia terra natia.  
Ero un ragazzino semplice di periferia, avevo frequentato l’Istituto Professionale per Industria e Artigianato e mi ero diplomato nel 1967, interrompendo lì i miei studi.
La mia non fu inizialmente una scelta volontaria: avevo lasciato il mio paese di nascita solo per seguire – o meglio andare alla ricerca di – mio fratello Salvatore, che era fuggito a seguito di un litigio con il padre. Quindi, sapendo che si trovava a Berlino, ho preso un treno e dopo un viaggio di 36 ore sono giunto alla meta. Ai tempi nel mio paese, ma più in generale in Sicilia, l’emigrazione era una pratica alquanto diffusa; nella mia stessa  famiglia  infatti diversi parenti avevano deciso di lasciare l’isola per recarsi in Australia al fine di provare a costruire un futuro migliore.
Arrivato a Berlino in un primo momento fu alquanto difficile relazionarsi con la gente del luogo, anche perché non conoscevo la lingua. Mio fratello però stava lavorando nella pizzeria di proprietari italiani e così, non sapendo bene inizialmente cosa fare, decisi di andare a lavorare con lui. A Berlino gli stranieri comunemente cercavano lavoro nelle fabbriche oppure nell’ambito della ristorazione, come me, quindi fu anche divertente lavorare con persone che provenivano da una realtà simile alla mia. Invece di trattenermi per il mese che avevo prefissato, e cioè il tempo di riportare mio fratello a casa e continuare la mia solita monotona vita in Sicilia, sono rimasto fino al 1991, ho aperto una pizzeria tutta mia in via Kaiserstrasse 10 e ho anche trovato l’amore in una donna del luogo con la quale è nata una lunga relazione. La permanenza in Germania è stata un’esperienza fantastica che ha fruttato in ogni campo, e malgrado fosse faticosa, dato che lavoravo ininterrottamente 11 mesi all’anno […] Credo che se non fosse stato per la grave malattia che mi ha colpito negli ultimi anni, non sarei mai rientrato in Sicilia». 
«Salvatore Ligato lascia Giarre all’età di 20 anni, nel 1981.  Aveva alle spalle gli studi presso l’Istituto Tecnico per geometri fino ai suoi 16 anni. Per un po’ di tempo aveva provato a cercare lavoro in Sicilia, ma non aveva trovato nulla che lo interessasse. Partì così per Monaco, sia perché voleva andare verso posti nuovi, sia perché aveva lì alcuni amici da raggiungere. Per quanto riguarda l’inserimento all’interno della città, conosceva già alcuni italiani perché erano partiti con lui, ed altri li ha conosciuti durante gli anni trascorsi in Germania. Piuttosto che con i tedeschi, ha potuto meglio interagire con altri stranieri appartenenti alle varie comunità residenti a Monaco. Ha sempre pensato di raccogliere delle somme per rientrare: l’ha fatto per due volte, ma in entrambi casi  non ha trovato possibilità di lavoro simili a quelle tedesche. Così è ritornato in Germania e non crede che tornerà più in Sicilia, perché oltre all’offerta di lavoro gode di parecchi servizi all’interno dello Stato tedesco» (testimonianza raccolta dal nipote, Dario Ligato). 

CACCIATELI!Come nella “grande emigrazione” di fine Ottocento, anche questo nuovo ciclo di partenze presenta un carattere plurale, confermato dalle testimonianze sopra riportate. Chi si allontana dal paese raramente si muove da solo, in genere si associa ad altri parenti o paesani o li raggiunge al suo arrivo in Germania. I primi viaggi si fanno in treno (specie con la Freccia del Sud, ma anche con altre linee che prevedevano cambi di vettura in vari snodi di transito durante il percorso), con partenza dalla vicina stazione ferroviaria. Solo con l’acquisto dell’auto, dopo qualche anno di permanenza all’estero e i primi guadagni – acquisto che viene visto anche funzionale alla dichiarazione del nuovo status raggiunto a seguito del sacrificio dell’espatrio – le famiglie iniziano a muoversi più facilmente e per periodi più lunghi, in genere per l’intero periodo delle ferie estive. Il bagagliaio dell’auto diviene esso stesso mezzo per coltivare relazioni tra i due mondi dell’emigrante: lo si utilizza per portare oggetti per la casa in Sicilia o regali ai parenti quando si viene in paese, e poi per portare beni, soprattutto alimentari, dal paese, al rientro in Germania. Si cerca in questo modo di alleggerire il peso delle distanze, ma i ritorni all’estero rimangono sempre dolorosissimi, strazianti.

Concetto Vecchio, giornalista del quotidiano «la Repubblica», nato a Zurigo da genitori emigrati dal comune etneo di Linguaglossa e lì vissuto fino ai 14 anni, così racconta quei rientri [23], recuperando, come fotogrammi impressi nella sua memoria di bambino, le emozioni della partenza annuale dal paese per la Svizzera. In quei momenti la destinazione non faceva differenza, divenivano tutti uguali i luoghi lontani, sia per chi partiva che per chi rimaneva: 

«La Simca carica di cuddure calde e barattoli di sugo nella piazzetta della stazione, la nonna che soffoca papà di carezze: “Gesù, sei rimasto appena quattro giorni”, gli dice; io penso: “Ma perché dice quattro giorni se siamo rimasti un mese intero?” Mia madre alza gli occhi al cielo, infastidita da quella cerimonia interminabile. “Melo, perché non partiamo?”; mio padre mette in moto, ingrana la prima, avanza di qualche metro, poi di scatto si arresta, scende risoluto. “Melo dove vai?” prova a fermarlo la mamma. Mi giro e dal finestrino polveroso oso osservarli: la nonna Nina e mio padre che in mezzo alla piazza assolata si fondono in un abbraccio. […] Poi papà rientra nell’abitacolo, oscilla come un albero scosso dalla tempesta. Mamma gli prende la mano “Adesso calmati”, gli sussurra. Ripartiamo. Prima della curva della via Umberto vedo per l’ultima volta la nonna: è ancora lì, immobile come una statua […]». 

Specie per la prima e la seconda generazione di emigranti, le relazioni sono state coltivate soprattutto all’interno della comunità italiana che si era costituita nel paese di accoglienza, spesso con il sostegno delle Missioni Cattoliche che hanno tutelato e difeso gli interessi dei lavoratori, sostenendoli nel non facile inserimento scolastico dei figli (ricordato come evento inizialmente persino traumatico per i bambini), e fungendo da riferimento prezioso per le famiglie ancora in preda ad incertezze e  fragilità.

I ritorni in Italia sono stati registrati sia nei periodi di recessione economica del Paese come pure nelle situazioni di difficoltà familiare, per motivi di salute o per sopraggiunto malessere a seguito di un inserimento insoddisfacente. Non tutti i rientri si sono però conclusi in modo permanente: trovare i paesi privi dei servizi, dei collegamenti e delle opportunità presenti all’estero, nonché svuotati per l’incessante emigrazione siciliana nel mondo, ha determinato nuove ripartenze per la Germania, stavolta in modo permanente. Il desiderio del ritorno definitivo in Sicilia nel tempo si è incrinato, sono diminuiti i rientri per le ferie e il tradizionale acquisto di prodotti locali, ormai presenti anche nelle città tedesche con l’incremento delle esportazioni [24].

Il reinserimento in Sicilia non è stato privo di criticità, specie se la permanenza in Germania si era protratta nel tempo. Esso è raramente avvenuto nel contesto rurale, anche se da quel mondo si era staccato l’emigrante. Eppure, le qualificazioni raggiunte col lavoro all’estero non hanno permesso di proseguire in settori simili nel luogo di rientro (perché per lo più assenti), quanto piuttosto di adattarsi più facilmente ad altra occupazione presente nell’area o di manifestare una maggiore autonomia di scelta in nuove attività.

Chi invece si è fermato all’estero, specie a partire dagli anni Novanta, ha ormai la famiglia in Germania, cresciuta con figli e nipoti, sempre meglio inseriti nel contesto socioeconomico. Negli ultimi decenni del Novecento nuovi caratteri definiscono la condizione dei siciliani in Germania: sono aumentate la presenza femminile e la stanzialità delle famiglie, risulta migliorato l’inserimento dei bambini nelle scuole come pure la mobilità lavorativa. Divenuti cittadini italiani residenti all’estero, questi emigrati hanno interrotto il ciclo delle rimesse tipico della fase “rotatoria” e stagionale [25] e hanno inciso, insieme alle nuove ripartenze e ad una fisiologica denatalità, anche sul calo demografico oggi presente in  Sicilia. 

copertina-la-sicilia-migranteLe misure istituzionali avviate in Sicilia

In un quadro complessivo di osservazione non possono essere trascurate le relazioni degli emigranti e delle loro famiglie con le Istituzioni. A seguito degli accordi intergovernativi, da cui prende forma quella che è stata definita una “emigrazione assistita”, la Regione siciliana si muove in primo luogo per combattere la piaga dell’analfabetismo, che nel 1960 faceva ancora registrare 959.505 analfabeti su una popolazione di 3.488.749 abitanti [26] (un quarto circa della popolazione). Con due leggi consecutive, la n. 13 del 1947 e la n. 63 del 1950, vengono aperte nuove scuole regionali e professionali anche in zone agricole e montane, al fine di permettere la frequenza a quanti dimoravano lontano dai centri urbani.

La nuova condizione degli emigrati di ritorno, costretti a rientri forzati per la scadenza dei contratti per lo più a tempo determinato con obbligo di rientro in Italia prima di un impiego successivo, genera a sua volta nuovi problemi, e conduce nel 1975 alla legge sui “Provvedimenti in favore dei lavoratori e delle loro famiglie”.  L’anno successivo il decreto del 31 marzo introduce l’obbligo del rientro dei capitali custoditi all’estero nel periodo lavorativo con norme penalizzanti per i risparmiatori [27]. La misura viene intesa dagli emigrati come un invito a non rientrare in Italia, posizione che appare confermata nel 1985 dalle parole del presidente dell’ARS Lauricella, il quale in un incontro con gli emigrati siciliani a Chapelle, in Belgio, dichiara agli astanti che la Sicilia si trova ancora in situazione di emergenza  e che risulta di conseguenza “difficile farvi ritorno” [28]. Implicitamente, si consigliava di proseguire una permanenza all’estero, sperando così di contrastare la costante disoccupazione e puntare nel contempo su nuove rimesse in grado di alimentare la bilancia dei pagamenti.

Negli stessi anni anche la Chiesa si muove per l’assistenza agli emigrati e alle loro famiglie. Paolo VI promulga il 15 agosto 1969 la Pastoralis migratorum. In Sicilia si tiene nel 1974  il convegno sull’emigrazione a Poggio S. Francesco, organizzato dall’Istituto Paolo VI di Palermo con la collaborazione dell’Ufficio emigrazioni della Conferenza episcopale italiana [29]. Nel 1985 il Convegno delle Chiese siciliane promosso dalla Conferenza Episcopale Siciliana ad Acireale si sofferma con particolare attenzione sul fenomeno dell’emigrazione e sulle sue conseguenze sociali. Nel 1986 temi e interventi verranno ripresi nel convegno “Chiesa ed emigrazione a Caltanissetta e in Sicilia nel Novecento”, promosso ed organizzato dall’Istituto Teologico pastorale “Mons. Giovanni Guttadauro” [30]. Altri importanti incontri hanno fatto seguito a queste prime iniziative negli anni successivi.

Nel frattempo prosegue all’estero l’intensa e costante attività delle Missioni cattoliche, di altri Centri di sostegno sociale di stampo laico [31] e dal 1985 anche l’impegno dei Comites, al fine di  fronteggiare le problematiche presenti nelle famiglie che hanno deciso di rimanere nelle nuove destinazioni, come pure di venire incontro alle esigenze degli altri che, stavolta in modo per lo più isolato, lasciano l’isola nel nuovo millennio per maggiori opportunità personali e professionali.

Dal 2005, quando si pensava che il ciclo emigratorio si fosse ormai notevolmente ridotto, secondo alcuni addirittura esaurito, in Sicilia si delinea infatti il nuovo e significativo flusso di mobilità verso l’estero tuttora in corso, con prevalenza di giovani in formazione o già qualificati. La Germania si prospetta ancora una volta nell’isola come meta da raggiungere, ed è divenuta ormai il principale Paese di destinazione dei siciliani per gli studi, il lavoro, il futuro delle famiglie.  

Come anche le testimonianze qui riportate hanno messo in luce, il cammino del soggetto in mobilità ha mantenuto tratti costanti: tra la partenza e l’arrivo, e tra l’arrivo e la decisione della permanenza o del rientro, continuano ad essere le interazioni umane, sociali, istituzionali a segnarne sviluppo ed evoluzione, a determinare decisioni e progetti di una storia certamente personale ma comunque condivisa.

Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025 
Note
[1] L’intervento è stato presentato al “Convegno Nazionale delle Missioni/Comunità cattoliche di lingua italiana in Germania” (Palermo, 3-6 ottobre 2023), promosso da don Gregorio Milone, Delegato nazionale  MCI, Comunità Cattoliche Italiane in Germania, e da Delfina Licata con la Fondazione Migrantes.
[2] Entrambe le testimonianze, va precisato, parlano di esperienza migratoria riuscita, ma si tratta in questo caso di un dato non estensibile a tutti i vissuti di emigrazione, dove si registrano anche fallimenti e rimpatri, ascrivibili a una serie molto ampia di situazioni per lo più imprevedibili, data la complessità del fenomeno.
[3] Secondo i dati ISTAT nel gennaio 2022 risulta residente all’estero il 16,4% dei siciliani.  Vivono nell’isola 4.801.468 abitanti, risultano registrati in AIRE 808.844 unità. Le destinazioni maggiormente raggiunte sono, nell’ordine, Germania, Belgio, Argentina, Svizzera, Francia, Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Venezuela, Spagna (dati RIM 2022).
[4] Non è possibile fornire un quadro che può ritenersi esaustivo sull’articolazione delle dinamiche che nei vari processi emigratori hanno trovato espressione. E questo perché l’emigrazione rimane un movimento complesso, e come tale caratterizzato da aspetti cangianti per le tante interazioni chiamate in causa: con ambiente, persone, lavoro, aspettative personali e progetti di vita e altro ancora. I suoi sviluppi nelle diverse fasi, e ancor più i suoi esiti, non possono essere semplificati, né ricondotti a linearità cartesiane razionali, governate da precisi rapporti tra causa ed effetto. Mantengono piuttosto un carattere di dinamica incertezza, che chiede massima apertura proprio alla comprensione delle relazioni nate in campo, per meglio accostarsi al processo generale che ne scaturisce.
[5] Episodi, aneddoti, nomi e luoghi ben precisi vengono riportati nelle testimonianze con esempi circostanziati. Per la loro prospettiva di racconto al contempo sincronico e diacronico, esse sono considerate oggi preziosi strumenti per la comprensione delle cause e del progressivo inserimento dei nostri emigrati all’estero, e sono ritenute fondamentali per ogni serio studio socio-antropologico. Metodologicamente molto efficace per conoscere le varie realtà migratorie si rivela inoltre l’uso incrociato di fonti differenziate, il ricorso ad ogni forma di documento disponibile,il completamento delle fonti statistiche con le fonti orali, attraverso cui restituire il vissuto esperienziale dei migranti non altrimenti recuperabile nella scrittura della storia. Cfr sul tema Martina Giuffrè, Le comunità eoliane d’Australia: gli studi storico-antropologici, le fonti, le prospettive, in Marcello Saija (a cura di), L’emigrazione italiana transoceanica tra Otto e Novecento, Trisform, Messina 2003: 491- 513.
[6] L’esperienza progettuale è stata da me presentata in Progetto Migranti. Un’esperienza di laboratorio storico, in Liceo Scientifico “Leonardo” (a cura di), Migranti, L’Almanacco Editore, Catania 2005: 21-35.
[7] Ibidem.
[8]  I Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento ( PCTO), ex alternanza scuola-lavoro, sono dei percorsi per orientare gli studenti dell’ultimo triennio delle scuole superiori al mondo del lavoro, introdotti nella scuola dalla legge 13 luglio 2015, n. 107 .
[9]  Commissariato Generale dell’Emigrazione.
[10]  Antonio Cortese, Grazia Messina, La Sicilia Migrante, Fondazione Migrantes-Tau Editrice, Todi 2022.
[11] Le aggregazioni mutualistiche siciliane all’estero di stampo laico o religioso diverranno più coese e resistenti soprattutto dopo la prima guerra mondiale, quando verrà superata l’iniziale situazione di precarietà e di frammentazione culturale presente nei paesi di accoglienza e i progetti di trasferimento definitivo riusciranno più facilmente ad attecchire, anche per l’acquisizione della cittadinanza americana da parte degli uomini che si erano registrati per la leva negli Stati Uniti. La Società di M.S. “Riposto”, ad esempio, nasce a Brooklyn nel 1919 per i ripostesi residenti soprattutto nel quartiere di  Monroe Street, e costituisce ancora oggi, seppure non più con la stessa funzione di mutualità delle origini, un importante contesto associativo e di incontro tra quanti sono emigrati dalla cittadina della costa catanese e i loro discendenti. Sullo sviluppo associativo dei siciliani negli Stati Uniti precisa Matteo Sanfilippo in L’emigrazione siciliana, in «Archivio storico dell’emigrazione Italiana», n.3, 2007: 86-87: «Nei primi tre decenni del Novecento il vecchio quartiere per immigrati irlandesi di Chicago diventa progressivamente una Piccola Italia meridionale e si trasforma in Little Sicily, dove si inurbano pure coloro che inizialmente si erano recati nei campi della Louisiana».
[12] Cfr. Fabio Baggio, Matteo Sanfilippo, L’emigrazione italiana in Australia, in «Studi Emigrazione/Migration Studies», XLVIII, n. 183, 2011: 477-499. Gli autori precisano che « Nel processo d’inserimento degli immigrati italiani nella società australiana ha contato molto il lavoro svolto dalla Chiesa cattolica, attraverso gli uffici d’immigrazione, le parrocchie e i cappellani italiani. Al di là del conforto religioso, ci si è prodigati dopo la seconda guerra mondiale per assistere i nuovi arrivati nella ricerca di lavoro e di alloggio, nonché nell’appagamento di altre necessità primarie, inoltre si è garantito uno spazio fisico e simbolico di appartenenza e identità» (ivi: 495). E ancora: «La scelta multiculturale operata dalla gerarchia ecclesiastica e dal governo australiano dagli anni 1970 ha favorito lo sviluppo dell’apostolato a favore dei migranti italiani, i quali hanno risposto con una pratica più costante e una maggiore conservazione dei valori cristiani. Al contempo ha favorito la graduale trasformazione delle missioni per gli italiani in missioni multiculturali, dove la comunità italiana convive con altre realtà. Tuttavia l’assistenza fino agli anni 1970 e quella dopo questo decennio, in particolare quella odierna, non è priva di problemi e obbliga la Chiesa a continui sforzi per vincere le proprie mancanze culturali e anche numeriche» (ivi: 498-499).
[13] Sergio Bugiardini, L’associazionismo negli USA, in P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana - Arrivi, Donzelli, Roma 2002: 567.
[14] Ibidem.
[15] Quando vari immigrati italiani si stabilirono a Lawrence alla fine del secolo, portarono con sé i dialetti, la cultura e le tradizioni delle molte regioni e villaggi da cui provenivano. Molti degli immigrati siciliani provenienti dai comuni della provincia di Catania, soprattutto dal territorio di Trecastagni, mantennero la loro particolare devozione ai tre fratelli martiri, Sant’Alfio, San Filadelfo e San Cirino. Con l’aumentare del loro numero, si diedero al compito di organizzare un’associazione, il cui scopo principale era quello di stabilire la tradizione di onorare questi santi patroni in questa nuova comunità. La prima riunione dei fondatori si tenne il 16 dicembre 1921 all’82 di Jackson St. a Lawrence. La Società di S. Alfio di Trecastagni fu costituita nel luglio 1922. L’inizio dei festeggiamenti dei Tre Santi, culto sacro e popolare a Trecastagni e a S. Alfio, comuni del catanese, è da ricondurre al 1923, mentre nel 1924  Alfio Bonaccorsi, imprenditore edile immigrato da Catania, si fece carico delle spese per realizzare le statue in Italia e portarle in America, avviando cerimonie e riti di supporto ancora oggi annualmente riproposti alla comunità siciliana. Per farne parte era richiesto ai soci il versamento di una quota annuale, distribuita in quote mensili di 25 centesimi. In tal modo si maturava il diritto a cure mediche gratuite in caso di malattia, insieme a quello per un’indennità in caso di morte, che per i più rappresentava l’unica assicurazione sulla vita. Aderirono subito in centinaia. The Society of St Alfio a Lawrence conta oggi 160 soci ma sono oltre mille i devoti ai tre santi, con una festa molto seguita il 2 settembre (dal sito: Festa of Saints Alfio, Filadelfo, and Cirino (centamore.it) ).
[16] Dal discorso di Alcide de Gasperi del 1949, in A. Cortese, G. Messina, La Sicilia Migrante, cit.: 13-14.
[17] L’aumento delle partenze da tutta la  Sicilia orientale per questa destinazione era legato anche al ruolo assunto nel nuovo secolo da Messina, il cui porto era stato dotato di un Ispettorato d’emigrazione con il Regio Decreto n. 43 del 24 gennaio 1904 e dal 1924 aveva ottenuto la linea diretta di navigazione per l’Australia.
[18] I numeri sono ulteriormente cresciuti nel nuovo secolo, visto che nel 2008 risultavano residenti in Australia 545 emigrati da Giarre, 686 da Riposto, 1287 da Fiumefreddo, 533 da Calatabiano, 324 da Linguaglossa (dati AIRE). Quella siciliana è ad oggi la seconda comunità regionale italiana, dopo quella calabrese, maggiormente rappresentata in Australia.
[19] Cfr. Federico Romero, L’emigrazione operaia in Europa (1948-1973), in P. Bevilacqua, A. De Clementi e E. Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana – Partenze, Donzelli Editore, Roma 2001: 411-412. Nel 1971 solo in Germania (escludendo la circoscrizione di Bonn) si trovavano 103.386 siciliani, Cfr. N. Grato- G. Oddo, Nostra Patria è il mondo intero, Istituto Poligrafico Europeo, Palermo 2021: 129.
[20] Segue a discreta distanza la Svizzera con i suoi 384 trasferimenti, anche in questo caso concentrati nell’arco temporale che ha avuto inizio dagli anni Sessanta. Nello stesso periodo si colloca l’inizio dell’emigrazione per il Belgio, con un totale di 82 partenze. A partire dagli anni Settanta si presenta un flusso decisamente più modesto ma comunque significativo verso l’Olanda, con 102 partenze e picco di 10 richieste nel 1991. Dalla fine degli anni Ottanta riprende, con un totale di 247 richieste, il movimento verso l’Argentina, storicamente rilevante nell’hinterland nel primo Novecento ma che aveva visto una interruzione dal 1957, in concomitanza con l’apertura delle frontiere europee e la crescente crisi interna del paese sudamericano. In decisa diminuzione le partenze per gli Stati Uniti (102 in tutto), seppure distribuite con regolarità in quasi tutto l’arco di tempo considerato. Con pari numeri e simile distribuzione si partirà da Giarre per la Francia, che rimane il primo paese europeo in ordine di tempo raggiunto dagli abitanti di Giarre ( con cui nel 1947 era stato siglato il trattato bilaterale).
[21] L’alto numero dei rientri legato alle storie raccolte è in parte legato alla modalità delle rilevazioni effettuate, che incoraggiava interviste da parte degli studenti preferibilmente ai protagonisti del movimento, più facili da raggiungere durante la loro permanenza in Sicilia. Si calcola comunque che nel periodo 1946-1971 due terzi dei siciliani espatriati in Europa siano rientrati in Sicilia, cfr. N. Grato- G. Oddo, Nostra Patria è il mondo intero, cit.: 129.
[22] Le tre testimonianze qui riportate sono frutto di interviste eseguite nel 2020 e appartengono al mio archivio personale. Altre due interviste si possono ascoltare nel video «Testimonianze», realizzato all’interno del “Progetto Migranti” (https://youtu.be/yyAXhu0R4Vs).
[23] Concetto Vecchio, Cacciateli!, Feltrinelli,  Milano 2020: 41-42.
[24] Yvonne Rieker, Emigrazione in Germania, Centro Studi Emigrazione, XLII, n. 158, 2005: 367-382.
[25] Ibidem.
[26] Istituto Centrale di Statistica, Compendio Statistico Italiano, Roma 1966: 66.
[27] Francesco Brancato, L’emigrazione siciliana negli ultimi cento anni, Pellegrini, Cosenza 1995: 115-117.
[28] Ivi: 119, nota 29.
[29] Ivi: 263-264.
[30] Ivi: 9.
[31] A Bruxelles, ad esempio, il Casi-uo (Centro Italiano di Azione Sociale – Università dei Lavoratori) nasce agli inizi degli anni ’70 dall’amara constatazione delle difficili condizioni in cui si trovavano, da un lato gli immigrati italiani di recente arrivo, e dall’altro i minatori arrivati ​​dopo la seconda guerra mondiale e i loro figli, ormai arrivati anche alla terza generazione. Il Casi ha intrapreso la strada di un lavoro di educazione popolare e militante, e si è posto al servizio delle comunità italiane più fragili, cercando di comprendere e formulare i loro bisogni urgenti e latenti. Importante il lavoro svolto con le donne italiane della prima emigrazione, che avevano seguito il marito ma non avevano ricevuto alcuna formazione in Belgio ( sito https://casi-uo.com/ ).In Australia dal 1968 è attivo il CoAsIt, Comitato assistenza italiani. Il Centro “ha promosso e sostenuto attivamente l’integrazione dei migranti italiani nel tessuto sociale dell’Australia e oggi fornisce servizi culturalmente e linguisticamente appropriati agli italiani che vivono a Victoria” (sito https://www.coasit.com.au/). 

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Grazia Messina, direttrice della ricerca scientifica nel Museo Etneo delle Migrazioni di Giarre per la Rete dei Musei siciliani dell’Emigrazione. Laureata in Filosofia, Master in “Economia della Cultura” (Università Roma Tor Vergata), ha insegnato Storia e Filosofia nei licei statali. Promuove laboratori didattici e piattaforme digitali, con workshop nel territorio per la tutela della memoria storica. E’ autrice di articoli e saggi editi su riviste e volumi anche collettanei. Ha scritto con Antonio Cortese La Sicilia Migrante, Tau Editrice (2022). Nel 2023 ha curato la sezione “Sicilia” nel Rapporto Italiani nel Mondo (RIM 2023), edito dalla Fondazione Migrantes.

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