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Le scuole in epoca Covid al centro e in periferia: criticità a confronto

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Nelle scuole di città non è stato facile distanziare gli studenti in aula (Foto B. Adriani)

il centro in periferia

di Settimio Adriani, Giacomo Pasquetti, Lavinia Susi

Di fronte a un’emergenza globale come quella del Covid-19, la sicurezza delle scuole è, ad oggi, una delle maggiori prerogative statali. La loro riapertura dopo la pandemia, è stata una grande incognita a causa della mancanza di una letteratura pregressa su cui basarsi per poter fronteggiare efficacemente situazioni analoghe. Questa criticità ha reso necessaria e cruciale la predisposizione a un atteggiamento proattivo al fine di monitorare, documentare e intervenire tempestivamente in caso di necessità.

La scuola è il luogo in cui si gettano le fondamenta per la futura società ed è per certo una realtà con cui tutti interagiamo da vicino. Per questo è un universo che si ripercuote con forza sulla collettività, nonché uno degli ambienti più complessi da gestire sia dal punto di vista organizzativo che amministrativo. Questa consapevolezza, tuttavia, deve diventare una sfida a re-inventare e a costruire un nuovo sistema scolastico ancor più attento alle diversità di ogni livello di istruzione, anche e soprattutto territorialmente parlando.

È ben noto il divario culturale creatosi in seguito al lockdown proprio sulla questione della Didattica a Distanza (DAD). La grande disparità territoriale nell’accesso a strumenti di telecomunicazione, in primo luogo la fibra ottica, si è tradotto immediatamente in divario digitale e culturale anche e soprattutto all’interno degli stessi Paesi industrializzati [1]. L’ampliamento e il perfezionamento dei collegamenti Internet a banda larga sono infatti prerogativa delle sole città, viene invece totalmente a mancare una capillarità di tali infrastrutture nei piccoli paesi. Altresì non occorre dimenticare che il possesso di device all’avanguardia rende più o meno praticabile l’e-learning stesso. Per questi motivi appare evidente l’importanza di riorganizzare spazi e ambienti scolastici in base al distanziamento fisico, allo scopo di garantire una didattica organica e uniforme per gli studenti su tutto il territorio italiano.

A questo punto, se le differenze territoriali sul fronte del digitale sono state tanto nette, non è possibile esimersi dall’indagare i risvolti pragmatici dell’apertura delle scuole nelle città rispetto ai piccoli paesi. Nel caso di Rieti, capoluogo di provincia del Lazio, si è rilevata una percentuale di diffusione del virus più cospicua rispetto ai piccoli centri urbani ad essa attigui [2]. Occorre far notare che nei paesi vi è l’assenza di scuole superiori, mentre esse abbondano nelle città. Per questa ragione la convergenza di alunni appartenenti a territori limitrofi alla città causa inevitabili contatti fra orizzonti territoriali diversi, col rischio di favorire una maggiore diffusione del virus. Ciò è dovuto non solo alla densità abitativa della città stessa e all’elevato numero di scuole primarie e secondarie, ma anche alle maggiori possibilità di svolgere vita sociale per i soggetti in età scolare.

Gli stessi trasporti pubblici hanno dovuto adeguare le corse degli autobus e degli scuolabus alle nuove esigenze. Infatti, da quando i rientri pomeridiani a scuola sono divenuti necessari per fronteggiare la pochezza di aule e spazi didattici, si è reso essenziale un più intenso quantitativo di corse per coprire gli svariati orari di ingresso e uscita degli studenti. Tali corse, purtroppo, non sempre vengono garantite; questo ha comportato inevitabili assembramenti sui mezzi stessi, che vanificano i tentativi di distanziamento operati in sede scolastica.

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… lì neanche gli ampi spazi esterni sono sufficienti a garantire il giusto distanziamento dei numerosi studenti (Foto B. Adriani)

Proprio sui tentativi di distanziamento, vi è da porre un’attenzione imprescindibile sugli ingressi e le uscite al fine di evitare contatto e promiscuità. Diviene quindi basilare spezzare l’eterogeneità dell’alto flusso di scolari tramite una dispendiosa scansione delle entrate, peraltro smaltite in fasce orarie diversificate. A complicare il quadro, vi è l’eventualità che indirizzi di studio diversi abbiano sede nel medesimo edificio; dirimente in questi casi è la pianificazione oraria e un attento frazionamento degli accessi.

Il distanziamento nelle aule tra alunni e alunni, ma anche tra alunni e insegnanti, segue precise linee guida stabilite dal MIUR; rimane elevata l’incognita legata ai possibili accessi di soggetti esterni nelle mura scolastiche. Infine, la ricerca e l’individuazione dei possibili “contatti” in caso di Covid di un soggetto interno alla scuola, sono rese difficoltose per il gran numero di docenti, personale ATA e alunni. A maggior ragione la compilazione delle presenze deve essere chiara, accurata e scrupolosa, al fine di garantire un puntuale e tempestivo intervento di contenimento.

Da queste evidenze si può concludere che la riapertura delle scuole nei grandi centri abitativi, non è esonerata da difficoltà logistiche e pratiche; queste sono perlopiù originate dalla concentrazione di una variegata e consistente densità scolare non presente nei plessi scolastici dei piccoli paesi, con effetto a cascata sulla pianificazione e il dispiego di misure prudenziali maggiormente opportune.

Discorso a parte merita la periferia: «[Le] aree interne italiane, dei paesi e delle campagne [sono state] ingiustamente marginalizzate dal processo di sviluppo contemporaneo e [...] oggi, proprio in conseguenza della crisi [dovuta al Covid-19], vedono una possibilità per tornare al centro dell’attenzione. Esse hanno dimostrato, infatti, di essere luoghi più sani, a differenza delle grandi aree urbane e delle zone economicamente più forti» [3]. A scriverlo è Rossano Pazzagli, che in epoca di lockdown lo pubblica nella sezione il centro in periferia di questa rivista. In quei frangenti di piena emergenza, è lo stesso autore a sostenere che il distanziamento fisico in periferia «è più facile, quasi spontaneo». Condizione che è stata confermata da un’apposita indagine condotta localmente durante l’evolversi del dramma. In tale occasione si è potuto verificare che, rispettando le restrizioni imposte per evitare il contagio e soffrendo inevitabilmente per le limitazioni dei movimenti tra le frazioni del medesimo comune, si è potuto continuare a condurre la vita di sempre: «il quotidiano, la legna, l’orto, le galline, il cane…» [4].

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… e anche la ricreazione si consuma in aula (Foto B. Adriani)

Nella piccola comunità fiamignanese, così come negli altri paesi della Valle del Salto, il lockdown non ha provocato il temuto «distanziamento sociale [che al centro è andato] affermando[si] nei mesi dell’epidemia» [5]. In quel periodo «L’Italia interna [che] sembrava moribonda, invece [ha mostrato che] è viva e “bella dentro”: lontana, marginale e fragile, ma allo stesso tempo sorprendentemente viva» [6]. Il panico del possibile contagio, di ora in ora insistentemente alimentato dai martellanti comunicati dei mass media, si diradava progressivamente allontanandosi dal centro; fin quasi a dileguarsi completamente nella periferia più lontana.

A Fiamignano, per esempio, l’unico cittadino riconosciuto affetto da Covid-19, non bisognoso di ricovero ospedaliero e quindi assegnato all’isolamento domestico su base fiduciaria, non è stato emarginato dalla comunità. Tutte le sere, o quasi, anche forzando il rigore delle restrizioni imposte, sono stati i suoi amici a tenergli compagnia, restando in un angolo remoto del giardino, a una distanza decisamente superiore a quella minima di sicurezza, ed evitando accuratamente ogni forma di contatto diretto e indiretto, mentre il contagiato li accoglieva e intratteneva accomodandosi sull’uscio di casa.

Pertanto, così come è stato sostanzialmente sereno il periodo di lockdown, in paese si è mostrata altrettanto tranquilla la riapertura delle scuole. Circostanza assolutamente prevedibile, tenendo conto degli spazi disponibili e della quantità di coloro che li avrebbero dovuti utilizzare. Diversamente non poteva accadere, visto che a livello comunale c’è una scuola materna con 20 bambini, una scuola elementare con 38 scolari e una scuola media con 21 studenti.

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Nei piccoli paesi sono sufficienti anche spazi ristretti per far ricreare gli scolari (Foto B. Adriani)

Il distanziamento tra i banchi all’interno delle aule è stato realizzato senza ricorrere a particolari artifici, ancora più semplice è stato quello programmato negli spazi comuni interni ed esterni alle strutture e garantito sugli scuolabus utilizzati nei trasferimenti degli studenti tra le frazioni e i plessi scolastici. Tutto è stato molto semplice, quasi normale. Inoltre, per garantire a quegli stessi studenti orari di lezione completi, non è stato necessario prevedere entrate e uscite in orari sfalsati, né rientri pomeridiani straordinari, né la didattica a distanza. Gli aspetti logistici stanno evolvendo in modalità ordinaria, seppure con tutte le problematiche organizzative disgiunte dalla pandemia di Covid e che, purtroppo, si ripetono sistematicamente all’inizio di ogni anno scolastico.

In fase di riapertura post lockdown non sembra essersi verificata alcuna straordinarietà, ovviamente eccezion fatta per l’attenzione che i docenti debbono avere nell’evitare assembramenti dei ragazzi e nel monitorare che gli stessi seguano scrupolosamente le norme di igienizzazione personale. Nel marasma generale della paventata seconda ondata epidemica, in periferia c’è addirittura il margine per piccoli eventi di (corretta) socializzazione straordinaria.

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… mentre sull’uscio di casa nonna Santina aspetta il ritorno di Francesco (Foto B. Adriani)

Uno di questi è il caso di Francesco, orgogliosamente iscritto alla prima elementare, che tutte le mattine, zaino in spalla, aspetta cocciutamente lo scuolabus sull’uscio di casa per raggiungere la scuola, distante non più di cento metri; ma, per essere come gli altri, è incuriosito e divertito dal prendere il pulmino, e l’autista lo asseconda: ogni mattina effettua la fermata straordinaria, Francesco sale, lo ringrazia, saluta i compagni di scuola e fa appena in tempo a prendere posto che il capolinea è raggiunto. Anche questa è una forma di felicità, che soltanto in un piccolo paese può essere soddisfatta.

D’altra parte, secondo Leonardo Becchetti, oltre alla rilevanza che hanno il reddito, la salute, l’istruzione, l’assenza di corruzione, la qualità delle amministrazioni e la libertà d’impresa, «la felicità dipende [anche] da un “ultimo miglio” che è fatto dalla nostra personale capacità di attivarci (qualità della nostra vita di relazioni, gratuità). Per capirci, possiamo essere al top di reddito, salute e istruzione, vivere nel migliore dei paesi possibili dal punto di vista delle condizioni di contesto ma passare la giornata buttati sul divano. Se manca l’ultimo miglio della felicità, che possiamo chiamare “generatività”, non possiamo essere felici» [7]. Felicità “straordinaria”, quella di Francesco, che può essere raggiunta soltanto lontano dal centro, laddove mancano la maggior parte delle comodità che soltanto il centro può garantire.

La consapevolezza di vivere una condizione privilegiata non deve però indurre a «chiudersi nel localismo, “nella piccola patria”, [perché sarebbe] una pericolosa illusione: costituisce addirittura uno spostamento freudiano, come se chiudere le frontiere impedisse ai virus o alle particelle atmosferiche di entrare» [8].

È opportuno chiudere con due considerazioni di carattere generale; la prima si incardina sull’inopportunità di associare tout court città e paesi nei provvedimenti; il caso della riapertura delle scuole ne è un chiaro esempio. A tale riguardo Rossano Pazzagli scrive che «servono misure differenziate, che riaprano alla vita proprio a partire dalle aree interne» [9]. Lo spunto per la seconda riflessione lo fornisce Pietro Clemente nel commentare l’ambizioso progetto che si materializza intorno al Manifesto per riabitare l’Italia [10], tendente a «capovolgere la crisi demografica e rilanciare un nuovo modello di vita collettiva a partire dalle zone interne [che a tal fine debbono diventare] il volano di una civiltà diversa» [11].

Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020
 Note
[1] Emilia Sarno, Emergenza sanitaria e chiusura di scuole e università. Il divario culturale come ulteriore effetto del Covid-19, «Documenti Geografici», 1, 2020.
[2] Statistiche ottenute dai dati forniti dall’OMS. Online: http://opendatadpc.maps.arcgis.com/apps/opsdashboard/index.html#/b0c68bce2cce478eaac82fe38d4138b1
[3] Rossano Pazzagli, Terre sane. Il distanziamento da problema a opportunità per le aree interne, «Dialoghi Mediterranei», 45, settembre 2020.
[4] Settimio Adriani, I piccoli paesi e il (non) senso della statistica, «Dialoghi Mediterranei», 45, settembre 2020.
[5] Rossano Pazzagli, op. cit.
[6] Luca Martinelli, L’Italia è bella dentro. Storie di resilienza, innovazione e ritorno nelle aree interne, Milano, Altreconomia, 2020: 1-144.
[7] Leonardo Becchetti, La felicità sostenibile. L’ultimo miglio tra PIL e felicità, la Repubblica, 26 marzo2019. Online: https://felicita-sostenibile.blogautore.repubblica.it/2019/03/26/lultimo-miglio-tra-pil-e-felicita/
[8] Paolo Vineis, Luca Carra, Roberto Cingolani, Prevenire. Manifesto per una tecnopolitica, Torino, Einaudi, 2020: 12.
[9] Rossano Pazzagli, op. cit.
[10] Domenico Cersosimo, Carmine Donzelli (a cura di), Manifesto per riabitare l’Italia, Roma, Donzelli, 2020: 1-240.
[11] Pietro Clemente 2000. Online:
https://www.facebook.com/reteassociazionicontrolospopolamentoSardegna/videos/3408693845850974/

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Settimio Adriani, laureato in Scienze Naturali e Scienze Forestali, si è specializzato in Ecologia e ha completato la formazione con un Dottorato di ricerca sulla Gestione delle risorse faunistiche, disciplina che insegna a contratto presso l’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo (facoltà di Scienze della Montagna, sede di Rieti) e ha insegnato presso le Università degli Studi “La Sapienza” di Roma (facoltà di Architettura Valle Giulia) e dell’Aquila (Dipartimento MESVA). Per passione studia la cultura del Cicolano, sulla quale ha pubblicato numerosi saggi.
Giacomo Pasquetti, laureato in Teorie della comunicazione presso l’Università Roma Tre, indirizzo Scienze Cognitive, con il massimo dei voti.  Titolo della tesi: Scienze Cognitive di Internet: l’impatto del Web su memoria, comunicazione e apprendimento (Relatore: Prof. Massimo Marraffa); per passione personale si occupa di tematiche antropologiche che indaga nel proprio territorio. In collaborazione con la Pro Loco di Fiamignano (Rieti) ha intrapreso una serie di indagini sul campo, in particolare su alcuni aspetti della cultura contadina nella piana reatina e sugli effetti delle restrizioni dovute alla pandemia Covid-19.
Lavinia Susi, studia Scienze politiche, indirizzo Servizi sociali presso l’Università degli Studi di Perugia. La sua formazione di base, incentrata sugli studi sociali e socio-sanitari, l’ha proiettata verso interessi rivolti alle problematiche sociali e antropologiche, che già da tempo sta approfondendo e sviluppando nel territorio di appartenenza. In collaborazione con la Pro Loco di Fiamignano (Rieti) ha intrapreso una serie di indagini sul campo, in particolare su alcuni aspetti della cultura contadina nella piana reatina e sugli effetti delle restrizioni dovute alla pandemia Covid-19.

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