È stato pubblicato quest’anno dalla Aipsa edizioni di Cagliari, nella collana “Politica e Società”, il volume Maria Piera Mossa, la prima regista sarda tra cinema, radio, tv amicizie, affetti, lavoro a cura di Pietro Clemente, Jacopo Onnis, Peppetto Pilleri. Prima di entrare nel libro, c’è una “ voce fuori campo” che vale la pena ascoltare negli archivi digitali. È quella di un’altra donna sarda, l’artista Maria Lai, famosa per il suo esperimento di arte comunitaria che ebbe luogo ad Ulassai nel 1981 intitolato “Legarsi alla montagna”. Quando Maria Piera Mossa concepì il progetto per salvare l’archivio della sede regionale RAI aveva convocato, insieme ad altri esperti, anche Maria Lai. «Con quelle voci Maria Piera voleva in qualche modo legare la Sardegna al mondo … nel loro dialogo si legano insieme tante voci, non sarà tanto la storia della Sardegna, che è già stata raccontata da molti, ma piuttosto si vuole raccontare un cambiamento, un passaggio della coscienza dal passato al futuro» spiega Maria Lai alla radio nel ricordare la regista, che non fece in tempo neppure a veder muovere i primi passi di quel suo ultimo sogno. Così Maria Lai le dedica questi versi:
Tu Maria Piera
Avevi chiesto una fiaba
Per il tuo sogno di voci
Da legare, ma sei tu
Invece a dare a me
La favola della tua esistenza.
Riprende questi versi Pietro Clemente nel suo contributo che compare nel libro: «Stiamo per raccontare la favola della tua esistenza» dice l’antropologo, chiamato da Maria Piera a coordinare il gruppo di esperti per il progetto di restauro dell’archivio radiotelevisivo della sede Rai di Cagliari e che, anche per questo, figura tra i curatori del volume in sua memoria. È stata una scelta felice quella di raccontare questa favola attraverso un libro collettaneo, dove 30 voci diverse, a partire da quella della figlia Martina e del marito Peppetto Pilleri e poi via via degli altri familiari, le amiche e gli amici, i colleghi e collaboratori nel lavoro, si riuniscono per raccontare Maria Piera Mossa, prima regista sarda e donna testimone del Novecento. Un’opera dedicata solo alla vita professionale, che pure è stata ricca e intensa, avrebbe restituito un ritratto parziale della sua personalità, mentre invece dalla molteplicità delle testimonianze emerge la figura a tutto tondo di una donna che ha prodigato uguale passione, cura e attenzione negli affetti familiari e nelle amicizie come nel lavoro.
Il lavoro era quello di programmista regista nella sede regionale della RAI di Cagliari dove Maria Piera arrivò con un concorso nazionale nel 1978 e dove rimase fino al 2002 quando la malattia la portò via a soli 52 anni. Queste date racchiudono la sua parabola di vita: i suoi programmi hanno accompagnato la Sardegna verso il nuovo millennio, con uno sguardo retrospettivo alla sua storia, sempre facendo riferimento ai preziosi materiali di repertorio, ma con una proiezione verso il futuro, nel quale i mezzi di comunicazione di massa avrebbero giocato un ruolo sempre più importante, cosa che Maria Piera aveva ben compreso fin dalla giovinezza.
In tutti i contributi del libro emerge la personalità di una donna fin da ragazza sicura di sé, determinata, colta, preparata. Accanto agli studi presso il Liceo Dettori e poi quelli universitari in Filosofia, centrale nella sua formazione è l’esperienza nella Federazione Italiana dei Circoli del Cinema e soprattutto presso la Cineteca Sarda gestita dalla Società Umanitaria e diretta in quegli anni da Fabio Masala, che a Cagliari negli anni Sessanta/Settanta fu un punto di riferimento e un laboratorio per la formazione di operatori culturali radicati nel territorio. Gli interventi contenuti nel libro ricordano la giovane Maria Piera impegnata ad organizzare le proiezioni e animare i dibattiti, ad accogliere e fare da guida a nuovi operatori sempre con competenza e dinamismo.
Accanto al cinema, l’altra grande palestra di formazione è la militanza politica. Sono gli anni del movimento degli studenti, delle lotte operaie e sindacali, del partito comunista. Maria Piera partecipa alle manifestazioni di piazza insieme al marito Peppetto Pilleri e alla figlia Martina, avuta quando aveva 23 anni, che ricorda così la sua infanzia con quella madre così giovane che sembrava un’amica:
«… con babbo frequentavano le sedi di partito e i circoli del cinema, portandomi con loro nella culla … Ho imparato canzoni di protesta che urlavo durante le manifestazioni, divertendomi da morire. La domenica si andava a vedere le partite di calcio in cui giocava babbo…Piera amava il calcio, il padre Mario Mossa Pirisino era un grande cronista sportivo…».
Già, il calcio, un’altra delle passioni della regista, non è un caso che uno dei documentari più belli dedicati al Cagliari dello scudetto e di Gigi Riva porti la sua firma, insieme a quella del giornalista Jacopo Onnis.
Ma il ritratto privato di Maria Piera non sarebbe completo senza menzionare le sue grandi doti in cucina, e lo sottolinea lei stessa nel suo “Autoritratto” con cui si apre il libro:
«In cucina esprimo al meglio la mia vena creativa, forse perché considero l’offerta del cibo una forma alta del comunicare … il modo più concreto e simbolico per dichiarare il mio affetto a quelli che dividono con me il tempo della vita».
In tutte le testimonianze dei familiari e degli amici si ricordano le belle serate a casa della regista, dove al buon cibo (spesso piatti della cucina gallurese in onore alla regione di provenienza della famiglia) seguivano le infervorate discussioni su ogni aspetto della vita. Non volendo sottrarre tempo a questo suo rito, dati gli intensi impegni di lavoro, era solita preparare cibo in grande quantità conservandolo in freezer per tirarlo fuori alla buona occasione: “C’è una zuppa gallurese che ti aspetta in freezer!” diceva agli amici.
Nella sua carriera di regista e programmista si possono distinguere due fasi, la prima felice, intensa, ricca di produzioni realizzate e altre sempre pronte ad uscire dalla sua mente vulcanica, dove lei riesce ad esprimere al meglio le sue doti e le sue competenze; la seconda difficile e densa di tensioni, dove la vediamo sempre più amareggiata, ma mai rassegnata, anzi è qui che viene fuori la sua indole combattiva. Lo spartiacque è il 1992, anno della chiusura del centro di produzione della sede regionale di Cagliari.
La sezione Documenti, al termine del volume, riproduce una rassegna degli articoli pubblicati sulla stampa regionale, sui quotidiani La Nuova Sardegna e L’Unione Sarda e altri, in cui si riportano i numerosi interventi che testimoniano della strenua lotta di Maria Piera Mossa per salvaguardare la programmazione della rete regionale della RAI come voce importante per lo sviluppo culturale e sociale della Sardegna. Una lotta che non trovò adeguato ascolto nella dirigenza della RAI né nelle Istituzioni regionali che avrebbero dovuto garantire il rispetto delle prerogative date dallo Statuto speciale di Regione autonoma.
Emergono, sia nelle testimonianze che negli articoli, la rabbia e l’avvilimento della regista per lo sperpero di una risorsa così preziosa e per quella che allora sembrava la fine di una storia così gloriosa: Radio Sardegna, o Radio Brada come la chiamò Jader Jacobelli, aveva iniziato le sue trasmissioni ancora prima che esistesse la RAI, da un paesino al centro della Sardegna, Bortigali, il 10 ottobre del 1943 come prima radio libera durante la Seconda Guerra Mondiale. Il più grande scoop di quella emittente fu l’annuncio della fine del conflitto, dato in anticipo su ogni altra radio, perfino prima di Radio Londra (a questa la regista dedicò una trasmissione, “Radio Brada”, nel 1988 in 60 puntate ricche di testimonianze dirette della guerra e del dopoguerra nell’isola). Accanto alla consapevolezza di questa importante eredità, era vivo in Maria Piera l’orgoglio di lavorare per il servizio pubblico, per il quale mostrò dedizione e senso di responsabilità anche nei momenti più difficili, come quelli della sua malattia.
Quando Maria Piera arriva nella sede Rai regionale per la Sardegna, in Viale Bonaria a Cagliari, questa era un’istituzione dai tratti “ministeriali”, che si esprimeva allora soprattutto attraverso il “Gazzettino sardo”, che portava le notizie in tutte le case, e anche le trasmissioni allora solo radiofoniche erano per così dire “ingessate”, ma certamente preziose per diffondere la cultura di un’isola. Maria Piera arriva proprio nel momento di grande trasformazione di questo apparato, con l’istituzione della Terza Rete televisiva della RAI che apriva a spazi di programmazione culturale, oltre a quella giornalistica, sia TV che radio.
«Si insinuava un’idea nuova, al passo con i tempi, quella che l’informazione e la produzione di contenuti culturali fosse da intendersi in una doppia via di comunicazione, dal centro alla periferia ma anche dalla periferia verso ilcentro e verso reti di comunicazioni anche dal basso»
scrive Felice Tiragallo nel suo intervento.
In questo quadro di forte mutamento, la prima regista sarda porta una ventata nuova, proposte coraggiose, sperimentazione di nuove formule. Anche la radio si apre alle dirette, alle diversità di parlate e accenti in italiano e in sardo. Maria Piera sa cogliere le trasformazioni della società intorno a lei e a quello straordinario mezzo di comunicazione dove lei occupa un posto di primo piano. Inizia la fase “felice” in cui si può contare su ampi spazi di programmazione televisiva e radiofonica e su strutture tecniche e organizzative di primo livello. È così che Maria Piera può esprimere al meglio le sue doti umane e professionali e nel libro di cui parliamo sono particolarmente significative le testimonianze scritte dai colleghi e dai collaboratori che insieme a lei hanno realizzato i programmi. Contribuiscono infatti a delineare non solo la sua personalità, ma anche il suo metodo.
Luciano Era, che è stato a lungo il tecnico di montaggio di fiducia della regista, racconta:
«Piera si dichiarava atea, ma il “senso del sacro”, come lo definiva lei, permeava la sua visione del mondo. Il suo era un “sacro” senza divinità, senza sacerdoti, senza chiesa, senza trascendenza, ma ugualmente comunicava a me una grande forza creativa, trasformatrice, in vista sempre di un possibile progresso per l’essere umano».
Era estremamente accurata nel lavoro, i tempi di produzione non si potevano calcolare con lei, attenta ad ogni sfumatura, ad ogni taglio. Prima di tutto creava il suo team e lo coinvolgeva non solo nell’illustrare gli aspetti tecnici, ma soprattutto nel senso del progetto. «Piera era sempre aperta ai contributi dei suoi collaboratori, era capace di creare un ambiente stimolante, empatico e costruttivo» (Luciano Era). Era prioritario in quel momento portare la RAI verso la gente, farla uscire da quel suo guscio ministeriale, dare voce alle persone, ai territori, alle lotte.
Già nel primo lavoro televisivo la regista rivela tutta la sua personalità: “Bitti: una fabbrica inventata su un paese reale” è un’inchiesta dedicata alla vicenda di un’industria tessile che, sfruttando le risorse pubbliche, aveva poi chiuso rapidamente i battenti. Una delle tante avventure industriali di cui la storia della Sardegna è purtroppo disseminata. Vengono intervistate le operaie, si dà voce al paese. La trasmissione viene diffusa in TV il 29 gennaio del 1980, ma il segnale della terza rete ancora non raggiunge ancora tutta la Sardegna e a Bitti non l’hanno potuta vedere. Maria Piera decide allora di organizzare una proiezione nel salone parrocchiale del paese, da cui scaturisce un dibattito che viene registrato in una trasmissione radiofonica. Oggi si direbbe una produzione crossmediale, ed è rappresentativa dell’approccio di Maria Piera Mossa, della sua capacità di sperimentare e del significato che lei attribuiva al suo ruolo nel servizio pubblico.
C’è un documentario che rappresenta il vertice della sua arte e che giustamente viene sempre citato quando si parla di Maria Piera Mossa ed è “Il ’43 con Sant’Efisio”. È un’opera sublime, che non si può guardare senza provare una profonda commozione e testimonia di quel “senso del sacro” di cui si è detto prima. Il punto di partenza è il ritrovamento di un filmato girato il 1° maggio del 1943 nella Cagliari rasa al suolo dai bombardamenti degli aerei alleati. È tradizione secolare che in quel giorno si svolga una processione a cui partecipa tutta l’isola. Nei giorni drammatici della guerra, con la città praticamente deserta dove i pochi rimasti piangono i morti sotto le bombe, alcuni cittadini prendono l’iniziativa e decidono che la processione si deve fare a tutti i costi.
«Le immagini filmate dal cineamatore Marino Cao vengono recuperate quarantacinque anni dopo da Maria Piera Mossa che le affianca alle voci dei protagonisti di quella toccante esperienza dandogli la forza dell’attualità. Il filmato di repertorio diventa dunque occasione pe osservare il presente, per evidenziare una speranza che va oltre la dimensione religiosa e diventa profondamente umana. Il ’43 con Sant’Efisio è emblematico della straordinaria capacità di ridare vita, attraverso i filmati di repertorio e le testimonianze dei protagonisti, agli eventi passati per favorire la presa di coscienza del processo storico e la formazione dell’identità sociale» (Antioco Floris e Michela Secchi).
Sono numerosi i programmi sia radiofonici che televisivi che Maria Piera realizza in quella prima fase felice, inchieste sulla società contemporanea o produzioni originali su arte, letteratura, teatro, cinema, affidati a intellettuali, attori, musicisti affermati, ma anche molti giovani alle loro prime esperienze a cui lei dava sempre grande fiducia e faceva da guida.
«Piera era esperta di modalità e tempi televisivi; ma aveva un’acuta sensibilità per il linguaggio. Fu per lei che a poco a poco imparammo a modulare le nostre lingue venate di cultura accademica, cercando di mantenere i contenuti, rendendole tuttavia comprensibili per l’operaio e la casalinga. È stata una scuola che ci ha insegnato il mestiere del dire (e dello scrivere)»
scrive Peppino Marci.
Altro aspetto rilevante delle sue scelte è l’attenzione verso le figure femminili, sia del passato sia del presente, ad esempio “Grazia quasi Cosima”, il programma in sei puntate dedicato a Grazia Deledda realizzato con Jacopo Onnis e andato in onda nel 1987.
Il suo lavoro più impegnativo è stato “La Sardegna nella Storia”, 18 puntate di 30’ nel 1992, su progetto dello storico Francesco Cesare Casula con la collaborazione di Angelo Porru. È stato un progetto imponente e il primo grande lavoro televisivo sulla storia della Sardegna, per il quale Maria Piera percorre tutta l’isola anche con riprese in elicottero. Fu l’ultima grande produzione della sede Rai-Sardegna, prima della chiusura della sua struttura di programmazione.
Dopo molte iniziative volte a scongiurare quella chiusura, che almeno all’epoca non ottennero ascolto (bisognerà attendere molti anni prima di una parziale riapertura), nel 1992 inizia la fase difficile, documentata sia nella rassegna stampa alla fine del volume, sia nelle parole soprattutto di chi le è stata più vicina in quel periodo, in particolare la collega e amica Cristina Maccioni:
«A partire dal 1992 fino ai primi anni 2000, nella nostra amicizia prese il via il periodo che potrei definire “Inventiamoci qualcosa per non morire”. La nostra fase resistente era dovuta al fatto che dalla chiusura della struttura di programmazione in poi il nostro lavoro avrebbe dovuto limitarsi alla regia dei telegiornali… sedute l’una di fronte all’altra la mattina cercavamo sempre qualche idea da proporre ai direttori di rete almeno per la radiofonia Siamo riuscite a portare avanti in quegli anni due progetti nati esclusivamente dalla nostra voglia di fare, entrambi per Radio Tre: “Suk, note d’Oriente”… e una rubrica di circa 5 minuti dal titolo “Profezie di fine millennio”… Entrambi questi progetti li portammo a termine col collaboratore di lunga data di Maria Piera, Angelo Porru, giornalista e appassionato di musica contemporanea».
Ma ora è un’altra idea a farsi strada nella mente delle due amiche-colleghe, ed è ancora Cristina Maccioni a raccontarci come prese forma:
«Maria Piera e io cominciammo invece a preoccuparci della fine che avrebbe potuto fare l’archivio di Radio Sardegna se avessero preso piede le novità tecnologiche che si prospettavano Il cambio continuo dei direttori di sede non garantiva che si tenesse conto dell’importanza dei materiali archiviati quando qualcuno avesse deciso improvvisamente che lo spazio della nastroteca dovesse servire con urgenza per altri scopi. La Rai nazionale aveva cominciato a riversare e valorizzare i suoi archivi col progetto delle Teche e la messa in onda della trasmissione Radio Scrigno. Piera cominciava già a stare male, ma l’idea di poter fare qualcosa per rivitalizzare la nostra attività la rese di nuovo entusiasta e creativa».
Il patrimonio in archivio è gigantesco: cinquemilatrecento bobine, ottantamila ore di registrazione, quasi cinquant’anni di storia della Sardegna. La regista concentra le sue ultime forze su questa missione. Salvare l’archivio non significa solo digitalizzare e catalogare, ma anche far uscire quei preziosi materiali dagli spazi della conservazione e raggiungere quelli della conversazione, del dibattito, quegli spazi pubblici che lei aveva tanto amato, frequentato e animato nella Cagliari degli anni Settanta nella Cineteca Sarda.
Un progetto che vive del respiro della vita, scrive Giuseppe Marci in un articolo su un quotidiano (riprodotto a fine volume):
«Nelle pagine che illustrano la proposta di riordino dell’Archivio Rai e ne dimostrano la necessità, Maria Piera aveva citato le parole con le quali l’antropologa americana Margaret Mead spiega che “Il senso della vita individuale e collettiva è raccontare dei propri nonni ai propri nipoti”».
Il racconto della favola della sua esistenza si conclude con un lascito, un tesoro ancora tutto da esplorare. Il progetto sugli Archivi della Memoria di Rai Sardegna sarà intitolato a lei e si attua grazie all’opera del comitato scientifico da lei convocato e all’impegno di Cristina Maccioni e del direttore della sede regionale Romano Cannas. Alla fine sarà prodotta una raccolta assemblata in un cofanetto di 21 CD suddivisi in varie sezioni (Storia, Musica, Letteratura, Teatro, Poesia in lingua sarda, Voci e Storie). Una parte di questo materiale è confluito nella Sardegna Digital Library, ma molto resta da fare.
La Sardegna le rende omaggio, una via le è intitolata a Cagliari, a Laerru, paese di origine della famiglia, la biblioteca comunale. E ora questo libro che – scrive Pietro Clemente nell’intervento conclusivo –
«è una polifonia di memorie dolorose, densa di affetti. È pieno di suggestioni, ma è anche ricco di storia della comunicazione, del cinema, della radio e della TV. Forse vale la pena, appena esce, dargli seguito mettendo in cantiere un nuovo progetto, che abbia al centro il servizio pubblico, la comunicazione pubblica nel tempo digitale, i temi di Piera aggiornati, o il cinema e la radio che lei produsse offerti alla riflessione attuale».
Sì, Maria Piera ci osserva nel bel ritratto di copertina (perché era anche bella, di un’eleganza spontanea ed eccentrica) con il suo guardo intenso e risoluto e sembra dirci: “In quel freezer degli archivi radiotelevisivi c’è un tesoro che vi aspetta!”.
Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2024
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Enedina Sanna, è nata e risiede in Sardegna. Dopo la laurea in Linguistica teorica all’Università di Perugia, ha insegnato Lingua e Letteratura Francese nei licei. Nel 1990 ha fondato ad Alghero l’Associazione Archivi del Sud, con cui ha portato avanti ricerche sugli archivi sonori (digitalizzazione e catalogazione) e organizzato festival e seminari sull’arte della narrazione orale. Nel 2002 ha tradotto per Sellerio il saggio Poetica della Fiaba della studiosa francese Nicole Belmont. Ha realizzato diverse trasmissioni radiofoniche per Rai Radio Sardegna, alcune in sardo, sempre sui temi della narrazione orale. Ora è narratrice, e oltre al repertorio di racconti della tradizione orale della sua Isola, ha creato spettacoli originali, intrecciando insieme storie di provenienza diversa e utilizzando varie tecniche di “storytelling”.
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