Da un’elezione all’altra diminuisce il numero degli italiani – ci occupiamo qui solo del nostro Paese – che vanno a votare. Alle ultime elezioni, settembre 2022, l’affluenza alle urne ha subìto addirittura un calo di 9 punti percentuali, attestandosi al 63,9% degli aventi diritto. Se ci si interroga sui motivi di tale crescente disaffezione, una risposta appare la più ovvia: tanti italiani sono ormai convinti che il loro voto non incida minimamente sulle scelte di una classe politica autoreferenziale e totalmente indifferente alle loro esigenze.
Già da un’indagine del 2007 di Ilvo Diamanti, infatti, risultava che circa il 70% degli italiani non si sente rappresentato nelle istituzioni e che addirittura l’82% non ha fiducia nel nostro ceto politico, ritenendo che esso operi per il proprio interesse e non per il bene pubblico. E oggi la situazione non è certo migliorata: dalla ricerca sul rapporto fra “Gli italiani e lo Stato” del 2022 emerge, rileva ancora Diamanti, che per quanto riguarda la corruzione secondo l’80% dei cittadini dopo trent’anni da Tangentopoli non è cambiato nulla.
Al degrado del nostro sistema politico, credo che abbiano contribuito in maniera particolare le leggi elettorali che sono state approvate dal Parlamento negli ultimi decenni. Si tratta di una questione spesso sottovalutata, ma che vale la pena esaminare con attenzione, perché non è affatto vero che una legge vale l’altra: i differenti sistemi elettorali, infatti, hanno un impatto notevole sul panorama politico, sociale ed economico di un Paese. E quello italiano è un caso esemplare: il passaggio dal sistema proporzionale degli anni della cosiddetta Prima Repubblica a vari sistemi, ora maggioritari ora proporzionali con premio di maggioranza – introdotti dopo il referendum Segni del 1993 – ha avuto innegabilmente sulle nostre istituzioni democratiche effetti di considerevole portata.
Effetti aggravati dal fatto che tali sistemi elettorali sono stati non di rado giudicati almeno parzialmente incostituzionali dalla Corte Costituzionale! Il che significa che i membri del Parlamento, organo centrale del nostro sistema politico, sono stati eletti più volte con leggi che alteravano la volontà degli elettori. Solo nel dicembre del 2013, infatti, è stato bocciato il cosiddetto Porcellum del 2005, che è stato utilizzato nel 2006, nel 2008 e nel febbraio del 2013. Nel 2015, poi, un Parlamento eletto con una legge già dichiarata incostituzionale ha avuto l’ardire di approvare un’altra legge elettorale, il cosiddetto Italicum, che sarà a sua volta bocciato nel gennaio del 2017 dalla Corte prima della sua entrata in vigore. Con caparbia impudenza lo stesso Parlamento, alcuni mesi dopo la bocciatura dell’Italicum, ha varato una nuova legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum, assicurandosi, con una ben programmata scelta dei tempi, che esso entrasse in vigore prima che la Corte Costituzionale potesse bocciarlo. Eppure non c’è stata una clamorosa reazione di cittadini indignati che scendono in piazza per protestare, anche perché la gravità di tale scandalosa serie di fatti è stata in genere silenziata dai mezzi d’informazione!
E col Rosatellum – incredibile ma vero – gli italiani hanno votato non solo nel 2018 ma anche nel 2022 perché, nonostante i numerosi ricorsi, nessun tribunale ha sollevato la questione di costituzionalità, e quindi tale legge non è mai stata sottoposta al giudizio della Corte, sebbene essa presenti, a giudizio di vari costituzionalisti, diversi aspetti di dubbia costituzionalità. Con questa legge elettorale, infatti, i due terzi dei membri del Parlamento sono eletti in modo proporzionale su listini plurinominali bloccati (sino a 4 candidati), e un terzo in collegi uninominali-maggioritari in cui vince il candidato che ha più voti. L’elettore, però, non può scegliere una lista nel proporzionale e un’altra nel maggioritario: che lo voglia o no, il voto che ha dato al candidato uninominale si trasferisce alle liste che lo sostengono e, reciprocamente, il voto che ha dato a una delle liste di una coalizione si trasferisce al candidato uninominale. Conseguenza: col mio voto contribuisco all’elezione di un candidato che magari detesto.
I listini della parte proporzionale, inoltre, sono bloccati e l’elettore non può esprimere perciò alcuna preferenza: i candidati sono eletti nell’ordine in cui sono indicati nel listino. A scegliere i parlamentari, quindi, non è l’elettore ma il leader di partito che ha fatto le liste, piazzando in testa ai listini i suoi amici, compagni di corrente e simili, e che potrà candidarli anche in più collegi per assicurarne l’elezione.
E ancora: a causa del sistema di incrocio fra il risultato di un partito a livello nazionale e quello registrato sui territori, può capitare che i voti dati al candidato di un collegio finiscano, con quello che è stato chiamato ‘effetto flipper’, per fare eleggere addirittura il candidato di un altro collegio. In sostanza, l’elettore ha libertà di scelta tra le diverse liste, ma non può sapere a quale candidato gioverà il suo voto.
I voti non si equivalgono
Il fatto che i nostri parlamentari più che eletti dai votanti vengano, ancora una volta, nominati dai leader di partito, non solo allontana ovviamente gli elettori dalle urne ma suscita anche l’indignazione degli esperti. Felice Besostri, per esempio, chiedeva prima delle ultime elezioni: «Ridateci il diritto di voto, quindi di eleggere, uno per uno, i nostri rappresentanti»; e lo faceva pur sapendo quanto sia difficile trovare partiti disposti a rispondere a tale richiesta, perché «il blocco delle liste e delle candidature uninominali piace a troppi di quelli che decidono: è la fonte del loro potere» (Con queste leggi elettorali il voto è una beffa, 20/07/2022).
Ma non solo gli esperti! Ripudiano ora questa legge anche leader di partiti che l’hanno fortemente voluta: è il caso, per esempio, di Enrico Letta del Pd, che l’ha definita öla peggiore di sempre». E infatti una legge elettorale che sostituisse il Rosatellum era stata promessa agli elettori da alcuni partiti: nell’ottobre del 2019 i capigruppo dell’allora maggioranza (Pd, M5S, Leu e Iv) avevano assunto l’impegno, anche se consapevoli che l’impresa non era affatto semplice, di riformare il sistema elettorale. Purtroppo, proprio il Pd, con Zingaretti prima e con lo stesso Letta poi, ha rimandato per due anni la questione, lasciando che marcisse in commissione la proposta di legge proporzionale presentata dal grillino Giuseppe Brescia, presidente della Commissione Affari costituzionali di Montecitorio.
È possibile sperare che il Rosatellum venga superato? Credo che ci sia una sola possibilità: che prima o poi un tribunale sottoponga il caso alla Corte Costituzionale. Questa legge, infatti, sembra togliere agli elettori il diritto di scegliere i loro rappresentanti in Parlamento, proprio come il Porcellum, bocciato dalla Corte con queste parole: così si «priva l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è rimessa totalmente ai partiti», abolendo perciò «ogni facoltà dell’elettore di incidere sull’elezione dei propri rappresentanti», il che compromette la «stessa libertà del voto di cui all’art. 48 Cost.».
Ma, come se non bastasse, nel Rosatellum c’è un altro aspetto problematico: questa legge, a differenza del Porcellum (e dell’Italicum, in caso di ballottaggio), non prevede alcun premio di maggioranza in forma esplicita, ma ciò non toglie che questo ci sia in forma nascosta. Infatti, è vero che i collegi uninominali incidono solo per un terzo dei seggi, ma può accadere che, se consegue nei vari collegi un vantaggio ampio o una buona distribuzione del voto, una coalizione può ottenere un numero di seggi ben superiore ai voti ricevuti nel proporzionale. È esattamente ciò che è successo alle ultime elezioni: la coalizione di centro-destra, col 43,79% di voti ha ottenuto il 59,75 di seggi alla Camera, e col 44% di voti ha ottenuto il 57,5 di seggi al Senato. Il che significa che si è attribuita la maggioranza assoluta dei seggi a una minoranza, che così, contro ogni principio democratico, ha il potere di imporsi alla maggioranza!
Un premio tanto consistente – circa il 16% alla Camera e il 13% al Senato – implica evidentemente una notevole distorsione del voto popolare, in quanto ne compromette l’eguaglianza. Ciò in contrasto con la nostra Costituzione, che stabilisce che “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto” (art. 48). Se chiediamo, infatti, agli esperti cosa significa ‘voto eguale’, scopriamo che l’espressione ha una duplice valenza: eguaglianza in entrata e in uscita. Perché il voto sia eguale in entrata, ogni cittadino deve avere il diritto di esprimere un voto, a prescindere dalle sue condizioni economiche, culturali… Perché il voto sia eguale in uscita, occorre che i cittadini concorrano in modo eguale all’elezione dei propri rappresentanti, cioè che un voto abbia lo stesso ‘peso’ di un altro nell’assegnazione dei seggi. Col Rosatellum, che come sappiamo è una legge in parte proporzionale, può accadere invece, ed è accaduto appunto nel 2022, che i partiti vincenti vengano sovra-rappresentati in Parlamento e quelli perdenti sotto-rappresentati, sicché il voto dato a chi vince le elezioni può valere molto di più del voto dato a chi quelle elezioni le perde. I voti, quindi, non si equivalgono: voti uguali per numero possono determinare l’assegnazione di un differente numero di seggi.
Ciò è inaccettabile, ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza che ha bocciato il Porcellum: «qualora il legislatore adotti il sistema proporzionale, anche solo in modo parziale, esso genera nell’elettore la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioè una diseguale valutazione del peso del voto in uscita». Ma se quella legge è stata superata perché ignorava il principio costituzionale dell’eguaglianza del voto, allora il Rosatellum non è anche sotto questo aspetto a rischio bocciatura? E se, come ricordava Norberto Bobbio, perché un regime si possa definire democratico è necessario non solo che preveda il suffragio universale ma anche che ogni voto abbia lo stesso peso, siamo sicuri che l’Italia degli ultimi decenni si possa annoverare tra i Paesi democratici?
Il maggioritario e il voto utile
Se ci chiediamo ora perché in pochi decenni in Italia, caso unico in Europa, siano state approvate diverse leggi elettorali, tutte di tipo maggioritario o con premi di maggioranza, la risposta è ovvia: ricorrendo a strategie studiate a tavolino per aggirare o raggirare la volontà dell’elettore, spacciando per sua scelta ciò che in realtà era stato già deciso, si mirava a escludere dal Parlamento, in nome della governabilità, quei partiti che, rappresentando gli interessi dei ceti meno abbienti, ostacolavano le politiche neo-liberiste care alla grande finanza.
In effetti, notava ai tempi del Porcellum Lorenza Carlassare, che è stata docente di diritto costituzionale all’Università di Padova, «è sparita la sinistra, come da sempre, fin dall’inizio del “processo riformatore” si voleva. Così una non irrilevante parte della cittadinanza è rimasta senza rappresentanza parlamentare, del tutto priva di voce e di canali di collegamento a livello istituzionale. L’effetto ‘premio di maggioranza’ è stato risolutivo; molto più di qualsiasi altra riforma ha funzionato l’argomento del voto utile. Per eliminare qualche partito è bastato escluderlo dalle coalizioni negandogli l’accesso alle istituzioni» (Maggioritario, 23/4/2008). Non è per caso, proseguiva la Carlassare nello stesso articolo, che «salari, stipendi e pensioni dagli anni novanta siano rimasti quasi inalterati, che un innaturale silenzio abbia avvolto le vicende di ampie fasce sociali, sacrificando il lavoro […] a interessi diversi ampiamente pubblicizzati, favorendo l’accumulo di ricchezze enormi […]. Una vera trasformazione sociale è avvenuta: la classe operaia, una volta in primo piano, spezzata anche nella sua unità con l’introduzione massiccia del lavoro precario, ha perduto forza, visibilità e riferimenti istituzionali».
Anche Alessandra Algostino, docente di diritto costituzionale all’Università di Torino, spiega che i meccanismi maggioritari mirano a realizzare un disegno politico ed economico oligarchico: un sistema elettorale diseguale che rende la società sempre più diseguale. Si raggiunge, infatti, l’obiettivo di quella concentrazione di potere che caratterizza – insieme «alla repressione del dissenso, alla sterilizzazione del pluralismo e all’abbandono dell’orizzonte della emancipazione sociale (sostituito dalla logica meritocratica e dalla colpevolizzazione della povertà) – la “lotta condotta dall’alto per recuperare i privilegi, i profitti e soprattutto il potere” (Gallino), la degradazione della democrazia in postdemocrazia, il suo scivolamento nell’autocrazia elettiva» (Il premierato, ovvero il fascino del Capo, 29/6/2023).
Anzi, prosegue la costituzionalista, «Esiste già un “premierato di fatto”. La gramsciana rivoluzione passiva verso il premierato è iniziata surrettiziamente attraverso le leggi elettorali (il primo passo è stata la svolta in senso maggioritario del 1993) e l’abuso dei poteri del Governo (dal ricorso ai decreti legge all’utilizzo sistematico della questione di fiducia, dalla prassi dei maxiemedamenti governativi al monocameralismo “di fatto” etc.), con l’acquiescenza del Parlamento e troppo rari e troppo “leggeri” interventi del Presidente della Repubblica, sino a invertire il rapporto di responsabilità politica: è il Parlamento ad essere responsabile nei confronti del Governo nel ratificare in modo rapido ed efficiente le sue decisioni». Al contrario, per la nostra Costituzione è il Parlamento che dovrebbe essere «luogo di scontro e mediazione politica fra visioni del mondo, titolare dei propri lavori, soggetto attivo nel rapporto di responsabilità politica con il Governo».
E invece – come notava Gaetano Azzariti, docente di diritto costituzionale all’Università di Roma “La Sapienza”, pochi giorni dopo la bocciatura del Porcellum – mossi dall’ossessione governista, si è tolta al nostro Parlamento la sua centralità: «S’è iniziato con l’adozione di un sistema elettorale tendenzialmente maggioritario (il mattarellum) che ha alterato il rapporto tra voti ed eletti, immaginando di favorire la stabilità dei governi anche in assenza delle condizioni politiche e sociali necessarie. L’esito è stato fallimentare. È precipitata la credibilità dei partiti, mentre la dialettica parlamentare è stata annullata» (Dopo la decisione della Corte costituzionale sulla legge elettorale. «Blowin’ in the wind», 10/12/2013).
E ancora, dopo la bocciatura non solo del Porcellum ma anche dell’Italicum, Azzariti rimarcava: «entrambe le decisioni della Consulta sui sistemi elettorali hanno rilevato che le ragioni della governabilità – obiettivo politico legittimo – devono però essere perseguite con il minore sacrificio possibile per la rappresentanza politica nazionale, la quale si pone al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo prefigurati dalla Costituzione» (Vorrei lanciare un appello per un ritorno alla semplicità delle forme e alla chiarezza nei principi, 16/10/2017).
E nello stesso articolo invitava a tornare al proporzionale, ricordando come gli effetti di queste leggi siano stati disastrosi: non solo non sono stati raggiunti gli obiettivi perseguiti – e cioè la semplificazione del sistema politico, la stabilità dei governi e la scelta dell’esecutivo affidata agli elettori – ma è stato privato della sua centralità il Parlamento: «Se vi è un organo sacrificato dal lungo regresso che ha accompagnato il progressivo, apparentemente inarrestabile, declino del Paese questo è stato l’organo della rappresentanza popolare. Oggi il Parlamento italiano non conta più nulla, schiacciato dal Governo che ne domina i lavori, impedito al confronto da regolamenti fatti apposta per poter decidere senza discutere. Il Parlamento sembra aver perduto ogni autonomia di organo costituzionale, posto ai margini della nostra forma di governo, che pure si vuole ancora qualificare come parlamentare»
In conclusione, se si vuole che l’Italia resti, o torni a essere, un Paese democratico, piuttosto che il premierato, che ridurrebbe ancor di più il nostro Parlamento a semplice organo di ratifica, occorrerebbe smetterla con questi meccanismi maggioritari e tornare al proporzionale. Ma ciò non sarebbe sufficiente, perché il funzionamento di una democrazia dipende non solo dalla classe politica ma anche dai cittadini. Michelangelo Bovero – allievo e successore di Norberto Bobbio nella cattedra di Filosofia politica dell’Università di Torino – ricorda che il suo maestro «ripeteva spesso che le Costituzioni, le “regole del gioco”, non possono nulla se il gioco è condotto da cattivi giocatori (e intendeva tutti i giocatori: non solo i “politici”, anche i cittadini)» (Pleonocrazia. Critica della democrazia maggioritaria, 1/6/2017).
Anche se non è piacevole, bisogna purtroppo ammetterlo: non ci sono oggi in Italia molti buoni giocatori, né tra i cittadini né nelle classi dirigenti.
Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023
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Elio Rindone, docente di storia e filosofia in un liceo classico di Roma, oggi in pensione, ha coltivato anche gli studi teologici, conseguendo il baccellierato in teologia presso la Pontificia Università Lateranense. Per tre anni ha condotto un lavoro di ricerca sul pensiero antico e medievale in Olanda presso l’Università Cattolica di Nijmegen. Da venticinque anni organizza una “Settimana di filosofia per… non filosofi”. Ha diverse pubblicazioni, l’ultima delle quali è il volume collettaneo Democrazia. Analisi storico-filosofica di un modello politico controverso (2016). È autore di diversi articoli e contributi su “Aquinas”, “Rivista internazionale di filosofia”, “Critica liberale”, “Il Tetto”, “Libero pensiero”.
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