Uno studio antropologico incentrato sul tema del “sovranismo” non può prescindere da un tema importante noto come la costruzione dell’Altro. La riflessione antropologica si basa su materiali di ricerca incentrati sullo studio delle differenze e delle analogie dei sistemi culturali e dei sistemi di relazione, interrogandosi spesso su quali procedure si attivino per il riconoscimento o disconoscimento dell’Altro.
Come afferma Amalia Signorelli
«La specie umana sin dall’inizio del processo di ominazione è stata sollecitata a diversificarsi dall’azione di vari fattori e processi: la separazione tra gruppi, l’adattamento ad ambienti diversi ai bisogni della specie e dei singoli gruppi. Hanno operato altrettanto efficacemente in direzione della diversificazione, ma anche della riassimilazione, i re-incontri/scontri tra gruppi, con conseguenti scambi, mescolanze, distruzioni, fusioni» (Signorelli, 2007: 107).
Queste prerogative della specie umana oggi si evidenziano maggiormente nello scenario politico europeo contemporaneo, dominato da una visione dicotomica: da una parte coloro che appoggiano il globalismo in una visione “multietnica”; dall’altra coloro che invece sono a favore dell’idea del sovranismo, con una visione più monoetnica.
In Europa, i “globalisti”, più liberali e cosmopoliti, sono a favore del concetto di comunità europea, una dimensione caratterizzata dal libero scambio e dall’accoglienza dell’Altro, con una visione più relativistica. Diversamente, i “sovranisti”, più conservatori delle proprie identità, sono i cosiddetti “euroscettici”, riluttanti all’accoglienza, ma fedeli a una visione più etnocentrica.
Per descrivere al meglio il quadro contemporaneo dell’Europa, ma in genere degli Stati occidentali, sarà preso come incipit il discorso di apertura della 73° Assemblea Generale ONU, pronunciato dal Segretario Federale Antonio Guterres. Nel discorso egli affronta il tema dei cambiamenti politici negli Stati occidentali, riconoscendo come alcuni Stati oggi, si siano allontanati dalle politiche multilaterali a favore delle uniche necessità nazionali.
«Il mondo sta soffrendo da un brutto deficit di fiducia e di disordine. Non si ha più fiducia nelle istituzioni nazionali, fiducia tra gli Stati, fiducia nelle regole che governano l’ordine globale all’interno dei paesi, la gente ha perso la fiducia nelle istituzioni politiche, la polarizzazione è in aumento e il populismo è in marcia tra i paesi; la cooperazione è meno certa e più difficile e divisioni nella nostra sicurezza […] abbiamo evitato una terza guerra mondiale ma nessuno può essere preso per scontato oggi. L’ordine Mondiale e le relazioni di potere sono sempre più caotiche, sono valori meno chiari e universali, i principi democratici sono erosi […] i leader degli stati spingono i confini più a casa e l’arena interazionale è di fronte a dei paradossi, il mondo è sempre più connesso eppure le società stanno diventando più frammentarie, il multilateralismo è sotto fuoco proprio quando ne abbiamo più bisogno ci stiamo muovendo nella direzione di un mondo multipolare che non garantisca più la pace o risolve problemi globali. Un secolo fa l’equilibro di potere è stato ritenuto sufficiente per tenere sotto controllo i rivali, non lo era senza forti quadri multilaterali per una cooperazione a livello europeo e la soluzione dei problemi del risultato era la dolorosa guerra mondiale e gli esempi di rivalità nel passato, il conflitto non è mai inevitabile anzi con la leadership, il comitato per la cooperazione strategica e per gestire gli interessi in competizione può evitare la guerra e ancora fare un furto al mondo su un percorso più sicuro» (Guterres, Onu, 25-09-18).
Si tratta indubbiamente della linea di demarcazione fondamentale della politica di questi anni. Guterres sottolinea diversi punti di cambiamento politico i quali, inevitabilmente, sono e saranno mutamenti sociali che si evolveranno nel rapporto di costruzione dell’Altro. Una politica “multipolare” e non “multilaterale”, secondo Guterres, riporta sicuramente gli inizi del ‘900, periodo in cui le società erano caratterizzate da un particolare assetto sociale, dal quale si sono sviluppate in seguito quelle dinamiche che hanno condotto poi alla guerra mondiale.
Per poter comprendere il fenomeno politico-sociale e il perché possa scoppiare una guerra, intesa anche nel semplice conflitto [1] tra persone, si è deciso di osservare il fenomeno utilizzando la lente dell’antropologia marxista la quale ha cercato di superare le debolezze del “sostantivismo”[2] riaffermando il primato dell’economia nell’organizzazione della società. Nello specifico, si farà riferimento al materialismo culturale di Marvin Harris attraverso i suoi due volumi quali Cannibali e Re, e Le origini delle culture e Lineamenti di antropologia culturale.
L’antropologo, combinando le forze produttive di Karl Marx e l’impatto dei fattori demografici di Thomas Malthus [3] afferma che:
«Infrastruttura. Consiste nelle attività etiche e comportamentali con cui ogni società soddisfa i bisogni minimi di sussistenza- il modo di produzione- e con le quali ognuna regola la crescita della popolazione – il modo di riproduzione. Struttura. Consiste nelle attività economiche, politiche, etiche e comportamentali con cui ogni società si organizza in gruppi che ripartiscono, regolano e scambiano merci e lavoro. A seconda se il nucleo dell’organizzazione si basa su gruppi familiari o su relazioni interne ed esterne all’intera società, si può parlare di economia familiare o di economia politica, intese come componenti universali a livello strutturale. Sovrastruttura. Consiste nel comportamento e nel pensiero volto ad attività artistiche, ludiche religiose e intellettuali, oltre che in tutti gli aspetti mentali ed emici di una struttura ed infrastruttura culturale» (Harris, 2009(b): 13).
Postulando che questi siano i fattori chiave nel determinare la struttura sociale e la cultura di una società, si può dedurre che la caratteristica basilare nell’analisi del materialismo di Harris è l’individuazione dei bisogni minimi di sussistenza, produzione e riproduzione nelle pratiche sociali determinanti la cultura di una società. Quindi, se le società occidentali venissero scomposte in questa tripartizione (infrastruttura, struttura e sovrastruttura) il pensiero sovranista potrebbe confluire nel piano della sovrastruttura, essendo, questo, un modello di pensiero che si sviluppa come attività intellettuale, come risposta alla crisi del capitalismo inteso, in questa ipotesi, identificabile nella struttura: un pensiero che, infine, dovrebbe migliorare, ideologicamente, i bisogni minimi di sussistenza, ovvero dell’infrastruttura.
In altre parole, nella società contemporanea, l’Altro, che sia un altro Stato o semplicemente un individuo, come il migrante, è colpevole della crisi capitalistica vissuta dai Paesi occidentali, crisi che ha un suo riverbero sul piano delle nascite e della possibilità di accedere all’alimentazione (infrastruttura).
L’idea generale (Sovrastruttura) è che lo straniero proveniente solo dall’Africa, mini la struttura economica-sociale degli Stati Europei ed occidentali in genere. Ne consegue che le politiche attivate siano di tipo protezionistico, focalizzate sul benessere della propria etnia [4], garantendo o meno che questi atteggiamenti possano sostenere le attività produttive nella propria Nazione, creando quell’economia che contrasti il calo demografico.
Tutte le scelte politiche, nazionali e non, oggi più che ieri, ruotano attorno all’economia, quindi alla struttura di una società. Secondo la posizione marxista non è la società che incorpora l’economia ma è l’economia che determina la forma della società. Harris, in Cannibali e Re (2009) sostiene che esisterebbe «una sorta di rapporto deterministico fra fenomeni culturali: variabili simili, in condizioni simili, tendono a produrre sequenze simili» (Harris, 2009(a):12).
Alla pressione demografica consegue l’intensificazione della produzione, da cui deriva l’esaurimento delle risorse e quindi nuovi sistemi di produzione caratterizzati da nuove costrizioni. Il risultato è che
«il libero arbitrio e la scelta morale non hanno avuto praticamente alcun effetto significativo sulle linee di sviluppo dei sistemi sociali […]. Sono convinto che uno dei più grandi ostacoli esistenti all’esercizio della libera scelta per realizzare gli obiettivi improbabili della pace, dell’uguaglianza e del benessere è la mancata conoscenza dei processi evolutivi materiali che spiegano il prevalere delle guerre, dell’ineguaglianza e della povertà» (Harris, 2009(a): 13).
Fino ad ora, infatti, la vita sociale si è sviluppata in modo prevedibile e i processi materiali spiegano guerre, ineguaglianza, povertà; eppure, scrive l’autore che
«il mondo è pieno di moralisti che pretendono di aver scelto liberamente ciò che inconsapevolmente sono stati costretti a volere, mentre milioni di persone che vorrebbero essere libere finiscono col piegarsi a nuove forme di schiavitù perché non comprendono i fattori che condizionano la libertà di scelta. Per cambiare in meglio la vita sociale, bisogna cominciare a capire perché solitamente cambia in peggio» (Harris, 2009(a):13).
La tendenza ad intensificare la produzione (più sfruttamento di terra, acqua, minerali, energia per unità di tempo o di spazio) è una risposta ricorrente alle minacce contro il tenore di vita: in assenza di mutamenti tecnologici, questa intensificazione è sempre controproducente perché impoverisce l’ambiente, riducendo l’efficienza della produzione. Diminuendo gli standard di vita, le culture efficienti inventano nuovi mezzi di produzione che finiscono per impoverire l’ambiente naturale:
«l’intensificazione del modo di produzione basato sulla caccia e la raccolta ha aperto la strada verso l’agricoltura, che ha quindi intensificato la competizione fra i gruppi, la guerra e lo sviluppo dello Stato» (Harris, 2009(a):18).
La guerra non è espressione della natura umana ma risposta a pressioni demografiche ed ecologiche, e la supremazia maschile «non è più naturale della guerra» (ivi: 67). E ancora
«la guerra ha quasi sempre lo scopo di salvaguardare o migliorare un tenore di vita minacciato, procurandosi l’accesso a risorse essenziali, ad un habitat più salutare o a vie commerciali. Quindi si può comprendere meglio la guerra se la si considera una mortale forma di competizione tra gruppi autonomi per accaparrarsi risorse limitate» (Harris, 2009(b):120).
Secondo questa chiave di lettura, il calo delle nascite e la difficoltà al sostentamento si riflettono su quelle scuole di pensiero ispirate ad una ideologia protezionistica e all’importanza della sopravvivenza della propria etnia o del proprio gruppo. In altre parole, la presenza dello straniero può far collassare il proprio sistema economico e l’intera società.
Ad alimentare ancor di più queste politiche, vi è la convinzione che l’Altro sia portatore di una cultura diversa la quale può prendere il posto della propria, come se le culture o gli elementi che la compongono fossero delle carte da burraco che a piacimento prendiamo o posiamo sul tavolo da gioco. La paura dell’Altro, della perdita della propria identità e la convinzione della lesione della propria autorità e autorevolezza nazionale, comportano l’attivazione delle politiche sopra descritte.
Nel 2007, una grave crisi economica scaturita dal crollo del mercato immobiliare e nota come subprime si è diffusa dall’America in tutto il globo, causando la grande recessione e la crisi del debito degli Stati sovrani europei. Quando la crisi economica americana irrompe nel mercato europeo, si sviluppa nelle popolazioni la volontà di figure politiche che possano proteggere la propria patria, la propria nazione, il proprio gruppo etnico e la propria persona da coloro che hanno provocato questo stato di sofferenza. È in questo frangente che si rafforzano le coesioni politiche e iniziano ad affermarsi i partiti di estrema destra in Europa. Nell’immaginario collettivo, alimentato da questi partiti, vi è l’idea che i colpevoli di questa crisi siano i fedeli dell’Islam, religione erroneamente attribuita a chiunque sbarchi sulle coste europee indipendentemente dalla sua vera nazionalità.
Nel 2010, viene stipulata l’Alleanza Europea per la Libertà, affermatasi nel 2014 come Movimento per un’Europa delle Nazioni e della Libertà: in questo raggruppamento sono ad oggi compresi il “Front National” francese, la “Lega” in Italia, il “Partito della Libertà” austriaco e altri partiti minori come “Interesse Fiammingo” in Belgio, il “Congresso della Nuova Destra” in Polonia, “Libertà e Democrazia Diretta” in Repubblica Ceca e “Volya” in Bulgaria. Nel 2015, la destra europea decide di aderire al partito “Europa delle Nazioni e della Libertà”, il quale, oltre ai partiti già citati, raggruppa anche “Alternative für Deutschland” in Germania e il “Partito per la Libertà” in Olanda. In alcuni Paesi iniziano quindi ad essere eletti governi di estrema destra aventi in comune una politica protezionistica e l’uso del capro espiatorio dell’Altro, del diverso, dell’extracomunitario.
Le masse popolari si convincono delle accuse rivolte all’Altro, confondendo così i termini di migrante con quello di rifugiato e sedimentando sempre più atteggiamenti xenofobi. L’esempio italiano di sovranismo euroscettico è evidenziato dalla politica dell’attuale governo. Nel “Bel Paese”, in seguito agli attacchi avvenuti negli USA nel 2001, alla crisi economica del 2007, e agli attentati terroristici del 2009, si è radicalizzata la paura dell’Altro, dell’extracomunitario e dell’islamico. Vengono diffusi messaggi alla popolazione nei quali lo straniero africano è colui che provoca la crisi economica perché «ruba il lavoro agli italiani» e che «i soldi del welfare che dovrebbero essere destinati agli italiani (bianchi) invece sono destinati a loro». Vari enunciati più o meno veri sono state diffusi dal 2001 ad oggi inducendo e alimentando atteggiamenti xenofobi nella popolazione italiana: è stata creata una diffidenza tramutata poi in paura verso tutti coloro che hanno un colore di pelle differente.
Per poter comprendere il caso italiano, possono essere utilizzate come linea di riflessione le parole di Becchi, docente dell’Università di Genova il quale, nel suo articolato contributo per la rivista politica Trasgressioni, spiega il concetto di sovranismo.
Il filosofo, per poter spiegare il movimento sovranista, cita le parole di Giambattista Vico.
«Vico aveva distinto tre epoche, tre età dell’umanità stessa […]. Seguendo liberamente il suo percorso la prima età che incontriamo è quella del senso: per Vico l’età del sacro, del mito, in cui tutto è spiegato attraverso il riferimento alle divinità, all’“antropomorfismo” degli dèi […]. Ad essa segue l’età della fantasia: per Vico l’età degli eroi, delle loro imprese, dove si fondano e costruiscono città; per noi l’età degli Stati-nazione, l’epoca della grande impresa di costruzione degli Stati moderni. Infine l’età della ragione, l’epoca degli uomini, per Vico, delle libere repubbliche, del dialogo; per noi l’epoca “cosmopolita” della globalizzazione, dell’unità del mondo. Senso, fantasia, ragione – da qui possiamo ripartire. E ripartire dall’idea di Vico: la storia segue un corso, le età si succedono l’una all’altra, ma a tale successione segue un ricorso, un ritornare – ovviamente nuovo, sotto nuove forme, è un «risorgere» – di quel corso stesso, secondo un movimento ciclico. Non dunque eterno ritorno dell’uguale, dello stesso (come se si ripetessero gli stessi eventi), del già visto, ma è quel corso che proprio perché ritorna non è più semplicemente lo stesso, ma è un altro, se pure segue la medesima struttura» (Becchi: 103).
È importante sottolineare come il Vico sostiene che l’idea di nazione oggi, non sia la stessa di ieri.
«Già durante il Risorgimento si scontravano le concezioni liberali e pragmatiche di Cavour e quella ideale e utopica di Mazzini e Garibaldi. A unità raggiunta e almeno da Crispi in avanti, la “nazione” indica le mire espansionistiche dello Stato, le sue politiche di potenza. Allo scoppio della Prima guerra mondiale il richiamo all’unità nazionale è la parola d’ordine del nazionalismo interventista di Corradini, mentre l’intervento democratico di Salvemini si riallaccia all’idea di nazione come autodeterminante dei popoli. Dopo Versailles il richiamo alla nazione diventa uno dei temi centrali dell’irredentismo dannunziano con la sua retorica della “vittoria mutilata”. Ed è in questo humus che si vengono a formare le basi ideologiche del fascismo. Già da tali esempi risulta chiaro che il nazionalismo è soltanto una variante, una versione tra le altre, del mito della nazione» (Becchi: 105).
Come un supporto a questa tesi, può essere letto il pensiero espresso dal Primo Ministro italiano Giuseppe Conte il quale, durante una conferenza, ha affermato che il governo da lui rappresentato è sia sovranista che populista, perché il primo articolo della Costituzione Italiana sostiene che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Quindi, nella nuova visione, lo Stato-Nazione mette al centro la volontà del popolo la quale si esercita attraverso la sovranità dello Stato e non più sul popolo, come ad esempio durante il periodo fascista.
Il 7 settembre 2018, il segretario del partito sovranista della Lega nonché attuale Ministro dell’Interno italiano, aderisce al gruppo unico populista europeo fondato da Steve Bannon, avente come obiettivo il rafforzamento del nazionalismo in opposizione all’internalizzazione. Membri di questo gruppo sono partiti quasi tutti accomunati, chi più chi meno, dai temi tipici della destra moderna: lotta all’immigrazione, anti-islamismo, ostilità verso la globalizzazione e l’austerity, euroscetticismo. Il tutto condito da una buona dose di conservatorismo per quanto riguarda i diritti civili e dalla tradizionale retorica sulle radici tipica dei movimenti nazionalisti.
Ma il The Moviment non riesce a trovare largo consenso tra i partiti di destra perché alla base del successo del sovranismo e della destra in Europa c’è l’idea che ogni Nazione curi esclusivamente i propri interessi. Come possono, quindi, partiti sovranisti di Nazioni diverse allearsi per perseguire obiettivi che spesso sono in contrasto tra di loro? Basti pensare al rapporto tra l’Italia e i Paesi di Visegrad sul tema dell’immigrazione: il Premier ungherese Viktor Orbán chiede a gran voce che i migranti non vengano redistribuiti dai Paesi di prima accoglienza – come l’Italia – al resto dei Paesi europei, unendosi al coro del Ministro dell’Interno tedesco Horst Seehofer il quale, proprio su questo tema, aveva minacciato di far cadere il governo di Angela Merkel pochi mesi fa.
L’europeismo produce quindi come sua nemesi il sovranismo. Le culture generano parallelamente identità ed estraneità: l’estraneità è l’ombra inseparabile dell’appartenenza. Fra estraneità e identità esistono tuttavia varie posizioni intermedie. Lo straniero è secondo alcuni studiosi diverso dall’Altro, in quanto starebbe oltre il confine di ciò che è sentito come proprio e fidato e laddove l’Altro è incluso in tali confini di cui rappresenta il margine estremo: l’Altro può diventare, anche a seguito di guerre, partner di accordi o di alleanze mentre l’estraneo è oggetto di aggressione con lo scopo della distruzione e della sottomissione incondizionata. Lo straniero, esasperato nel concetto di nemico, assurge al rango di quintessenza di tutto ciò che minaccia la propria identità.
Secondo le teorie antropologiche ai margini di una società si inseriscono gli Altri, mentre fuori dalla società si andranno a concentrare chi è ritenuto estraneo. È interessante osservare il fatto che nelle società occidentali si possano identificare delle zone limite, i cosiddetti “Altri” e i cosiddetti “estranei”. Nel caso in cui l’Altro venga incluso bisogna chiedersi cosa può succedere a chi resta emarginato e posto nella condizione di estraneità.
Dalle ricerche sul campo si evidenzia come gli italiani identifichino l’Altro come colui che migra per ragioni lavorative e che pian piano si naturalizza. Distintamente, oggi più di ieri si relega allo stato di estraneo, quindi fuori dalla società, il migrante che attraversa il mare con il barcone il quale a causa della errata visione italiana sarà necessariamente islamico e predicatore. Il suo scopo sarà quello di convertire la società occidentale all’Islam e perciò dovrà essere tenuto al di la della stessa diventando così l’estraneo.
Come evidenziato nell’ipotesi di tesi qui esposta, la costruzione dell’Altro e dell’estraneo è filtrata oggi in alcuni Stati europei da una griglia valutativa che si basa su elementi strutturali e infrastrutturali. È bene osservare come in Europa sia eterogenea la percezione dell’Altro islamico; infatti in Paesi come Ungheria, Italia e Polonia, l’Altro islamico viene percepito in maniera negativa dalla popolazione. Non è un caso che questi Stati siano governati da partiti di stampo sovranista.
fonte: Pew Reserch Center
Conclusioni
È errato pensare che il sovranismo oggi sia una continuazione del nazionalismo del ‘900. Ma è pur vero che molti elementi possono essere collegati tra loro. Una delle questioni che sicuramente è centrale sono i confini fisici, o le nazionalizzazioni delle aziende; si pensi al caso di Autostrade per l’Italia, o agli interventi economici che vengono avanzati alle varie banche italiane.
Le politiche di chiusura dei confini, di chiusura dei porti e di chiusura all’interno di un confine nazionale, generano inevitabilmente un dentro e un fuori, una dicotomia che può diventare pericolosa e, soprattutto isolazionista in quanto, uscendo dai giochi degli investimenti interazionali, si passa dallo stadio di potenza economica internazionale a quello di Paese avente un forte debito pubblico senza possibilità di risanamento. Anche se queste e altre analisi più approfondite non vengono condivise con la massa, siamo indotti a pensare che tutti possiamo comprendere i rischi che potrebbero svilupparsi e, senza un contesto europeo o comunque internazionale, crediamo sia difficile costruire una credibilità finanziaria che possa rimettere in gioco gli investimenti in Italia. In questo caos economico con pochi investimenti ma con molte incertezze si alimentano facilmente le ostilità verso l’Altro, considerandolo sempre più come estraneo. Tuttavia, va precisato che persino negli Stati colpiti da attacchi terroristici, la presenza di un governo non di destra ha fatto sì che la percezione dell’Altro sia completamente diversa da quella presente negli Stati sovranisti.
Da questi studi si evince che non è l’odio a generare economia, ma il valore aggiunto del nuovo, dell’altro, che può contribuire anche alla ripresa di uno Stato. Questo pensiero è stato appoggiato, ad esempio, dal governo del Giappone, il quale ha compreso che per poter combattere la crisi demografica (infrastruttura) e la crisi economica (struttura) doveva farsi aiutare dall’Altro. Infatti è stata approvata una legge che facilita l’ingresso per lavoro in Giappone. L’emigrante che si trasferirà nel Paese del Sol Levante, aiuterà l’economia statale e con la costruzione di legami sociali incrementerà la demografia della Nazione.
Dialoghi Mediterranei, n. 36, marzo 2019
Note
[1] Il significato generale del termine deriva da confligere che si riferisce alla presenza concomitante di istanze differenti (desideri, valori, motivazioni ed idee) nella persona o tra differenti individui (Definizione Galiberti, 1999).
[2] I sostantivisti negano la validità di queste categorie quando applicate a società non organizzate intorno a un mercato per la produzione e lo scambio di merci (secondo la legge della domanda e dell’offerta) in quanto l’economia primitiva sarebbe come “incastrata” nel funzionamento di altre istituzioni plurifunzionali. La tesi fondamentale di Karl Polanyi (1886-1964) riguarda la negazione della “naturalità” della società di mercato, ritenuta piuttosto un’anomalia nella storia della società umana. Egli rifiuta l’identificazione dell’economia umana con la sua forma mercantile e introduce il concetto normativo di embeddednes. L’economia non è avulsa dalla società, ma non può che essere embedded, vale a dire integrata, radicata proprio all’interno della società. Esistono infatti tre forme di integrazione dell’economia nella società: la reciprocità, la redistribuzione e lo scambio di mercato.
Il concetto di reciprocità, in Polanyi deriva da quello studiato da Marcel Mauss in riferimento alla logica del dono. Negli scambi regolati dalla reciprocità, infatti, assumono decisamente più valore gli individui e soprattutto le relazioni, i legami che derivano dallo scambio rispetto all’effettivo bene oggetto di dono.
La redistribuzione: in questo caso si presuppone l’esistenza di un organo centrale da cui dipende un sistema di distribuzione collettiva. In altre parole, si producono beni e servizi che vengono poi trasferiti a questo centro, e successivamente distribuiti alla collettività. Lo scambio di mercato: Si tratta di un sistema complesso nel quale tutto tende ad essere scambiato e quindi tutto subisce continue fluttuazioni e regole mutevoli. La “società di mercato” consiste proprio nella riduzione di tutto - natura, lavoro denaro – a merce, di modo che la dimensione mercantile, che in altre epoche e società era solo una componente spesso marginale dell’attività economica, diventa predominante, fino al punto di piegare tutte le attività sociali, la forma stessa della società, alle esigenze dei mercati.
La predominanza degli scambi commerciali a distanza, e dunque la predominanza della dimensione finanziaria che tali tipi di scambi richiedono, può essere considerata la definizione del Capitalismo. Polanyi contrappone alle aride logiche di mercato, una logica di distribuzione di beni basata sulla reciprocità, che si fonda sullo scambio dei beni basato sull’aspettativa di ricevere altri beni in modi stabiliti. Questa forma di economia si osserva in molte società “semplici”.
[3] Il malthusianesimo è una dottrina economica che, rifacendosi all’economista inglese Thomas Malthus, attribuisce principalmente alla pressione demografica la diffusione della povertà e della fame nel mondo, cioè in sostanza allo stretto rapporto esistente tra popolazione e risorse naturali disponibili sul pianeta. https://it.wikipedia.org/wiki/Malthusianesimo
[4] Qui con il termine etnia si vuole intendere la visione dei capi partito che innalzano la superiorità dei propri cittadini sopra qualsiasi altro popolo. Lo slogan “prima gli italiani” è un esempio di supremazia etnica.
Riferimenti bibliografici
Becchi, Paolo, Che cos’è il sovranismo? In “Trasgressioni” n. 60 – Rivista Politica, 2018: 103-120.
Denis, Henri, Storia del pensiero economico, vol. I-II, Mondadori, Milano, 1980.
Freud, Sigmund, Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Newton Compton Editori, Roma, 2012.
Galiberti, Umberto, Le Garzantine: Psicologia, Garzanti, Milano, 1999.
Harris, Marvin, Cannibali e Re. Le origini delle culture, Feltrinelli, Milano, 2009 (a).
Harris, Marvin, Lineamenti di antropologia culturale, Zanichelli, Bologna, 2009 (b).
Le Bon, Gustave, Gina Villa, Piero Melograni, Psicologia delle folle, Longanesi, Milano, 1996.
Mecacci, Luciano, Introduzione alla psicologia, Laterza, Bari-Roma, 2002.
Signorelli, Amalia, Antropologia culturale. Un’introduzione, McGraw-Hill, Milano, 2007.
Sitografia
Crisi del subprime
https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_dei_subprime
La dottrina del fascismo (1932)
http://www.polyarchy.org/basta/documenti/fascismo.1932.html
Onu, Gurìterres: “Populismo avanza, mondo caotico”.
http://www.agenziavista.it/slider/onu-guterres-populismo-avanza-mondo-caotico/.Onu, Conte: “Punto stampa primo giorno Onu”. http://www.agenziavista.it/europa/2018/247905_25-09-18-conte-punto-stampa-primo-giorno-onu-integrale/.
Pew Reserch Center. http://www.pewresearch.org/fact-tank/2017/08/09/muslims-and-islam-key-findings-in-the-u-s-and-around-the-world/?fbclid=IwAR1qbdWLyN0iS7sHigUcEHZBusJK0Bhs3Tpi3Z5qAfqsuqnm2Swiv6UJuFY
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Davide Sirchia, laureato in Beni Demoetnoantropologici presso l’Università degli Studi di Palermo e specializzato in Scienze Antropologiche ed Etnologiche presso l’Università Milano-Bicocca. Dal 2015 è titolare di cattedra di Antropologia e Etnografia presso l’Uni3 di Milano e collabora con diverse realtà di supporto didattico agli studenti. Ha pubblicato i saggi antropologici, La Zucca, la Morte e il Cavaliere. Un Halloween del 1200 in terra di Puglia e recentemente Janare. Sapere e Sapienza, contenuto nel volume a cura di Silvio Bolognini, Sapere e Sapienza. Nell’odierna riflessione filosofica culturale ed epistemologica.
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