di Lina Novara
«Nel cielo apparve … un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle»: così Giovanni descrive nell’Apocalisse l’apparizione di una donna presentandola con dei simboli celesti: il sole, la luna e le stelle [1]. Riferisce inoltre che subito dopo apparvero anche un drago rosso con sette teste e degli angeli. Il drago cercò di divorare il figlio della donna appena nato, colui che sarebbe stato il Messia. Per essere salvato il bambino venne portato in cielo e alla donna fu approntato un rifugio nel deserto per sfuggire al drago. Infine l’arcangelo Michele combatté contro il drago e lo vinse.
Fin dal Medioevo si sostenne che la donna fosse Maria, madre di Gesù, e la tradizione cattolica asserisce che è l’Immacolata Vergine, l’unica creatura terreste che, grazie alla protezione divina fu concepita senza il peccato originale, ossia senza quella colpa trasmessa da Adamo ed Eva a tutti gli esseri umani [2]. Secondo un’altra interpretazione la donna simboleggerebbe la Chiesa, e le dodici stelle alluderebbero alle tribù di Israele, tra cui quella di Giuda, stirpe del Messia.
Maria, rivestita della gloria di Dio, è colei che «piena di grazia» fu destinata a riflettere la luce divina con la sua purezza, proprio come la luna riflette la luce del sole. Anche il canto liturgico di origine scandinava, Ave regina omnium, composto tra il XII e il XIII secolo, invoca Maria come Solis habitaculum [3]. Cristo è quindi il sole, e Maria è colei che lo ha accolto in sé. Francesco Petrarca, poi nel concludere il suo Canzoniere indica la «Vergine bella, … di sol vestita, coronata di stelle» [4].
La diffusione del culto verso la Vergine Immacolata, fin dal ‘400 si deve ai frati Francescani che, contrariamente ai Domenicani, sostenevano fortemente il privilegio di Maria di essere immune dal peccato originale. Grazie a loro, tra XVII e XVIII secolo, via via si svilupparono diverse pratiche di culto in suo onore, tra cui i cosiddetti sabatini, la novena e la recita di una particolare preghiera, detta dello «Stellario».
Non furono comunque da meno i Gesuiti che dedicarono all’Immacolata diverse loro chiese e favorirono, come i Francescani, nel ‘500 il sorgere di confraternite ad essa dedicate. La Chiesa trapanese dei Gesuiti è dedicata all’Immacolata e sull’altare maggiore si trova un rilievo marmoreo di Ignazio Marabitti del 1766 che la raffigura in gloria fra angeli. Foto Un oratorio dell’Immacolata, a Trapani, era attiguo alla chiesa di San Francesco d’Assisi: fu abbandonato nel 1675 quando la Confraternita di Maria Santissima dell’Immacolata Concezione si trasferì nell’attuale chiesa dell’Immacolatella, in via S. Francesco, rinnovata da Giovanni Biagio Amico nel 1732.
Con la diffusione del culto venne anche a determinarsi, già dal ‘400, la necessità di un modo di rappresentare la Vergine Immacolata. Il tema dell’immunità di Maria dal peccato originale è stato per secoli molto complesso e solo nel 1854 papa Pio IX ne proclamò il dogma. Pertanto anche una adeguata iconografia ha subìto un lungo processo di adeguamento e diverse varianti [5]. Nel ‘500, in pittura, l’immagine più diffusa fu quella di una Madonna con il Bambino in braccio, sopra la luna, spesso accompagnata dai suoi simboli, presa a modello anche nel ‘600. Soprattutto nelle grandi pale e tele d’altare gli attributi di Maria fanno da contorno alla sua immagine, inseriti in quadretti o nel paesaggio: spesso sono gli angeli che tengono in mano uno specchio, una corona, gigli, rose e altri simboli mariani.
Fonte di ispirazione per molti artisti furono l’incisione di Cornelius Cort del 1576 che rappresenta l’Immacolata con il Bambino in braccio fra tanti suoi attributi, e un’altra incisione del 1587 di autore ignoto nella quale Maria è raffigurata da sola, ma sempre circondata da simboli [6]: in entrambe le incisioni Dio Padre si trova in alto tra il sole e la luna. A queste tipologie iconografiche rimanda il quadro inedito, custodito nei depositi del Museo regionale di Trapani “Agostino Pepoli” che reca al centro la Madonna Immacolata con il Bambino in braccio che ha in mano una croce il cui lungo asse verticale va a schiacciare la testa del serpente attorno al globo posto sotto la figura di Maria. Vestita di rosso, simbolo di umanità, e con il manto azzurro, simbolo di divinità, la madre di Gesù, la «tutta pura», la «tutta santa» poggia sulla falce di luna mentre angeli svolazzanti la circondano e due in alto le incoronano il capo.
«Regina» è il titolo usato frequentemente dai Cristiani per invocare Maria, sovrana di tutti i fedeli del Signore. In quanto «regina del paradiso» è anche sovrana di tutti gli esseri che lo popolano e soprattutto delle schiere angeliche che l’accompagnano e la incoronano nelle sacre rappresentazioni.
Per lo più sono angeli-fanciulli, e quando Maria non è già adorna di corona, sono loro a reggerne una, mentre si librano, sul suo capo. La luna calpestata da Maria nell’iconografia sacra è in genere una semplice falce e nelle innumerevoli raffigurazioni dell’Immacolata a volte è calante, a simboleggiarne ancora la purezza, altre volte crescente, con la gobba rivolta verso l’alto, emblema del trionfo di Cristo sul peccato e sulla morte.
I simboli con cui la donna vestita di sole viene presentata da Giovanni – sole, luna e stelle – sono celesti; il drago è descritto invece con una simbologia terrestre. Infatti viene identificato con quel serpente che nel racconto della Genesi spinse Eva al peccato originale, in seguito al quale Dio lo maledisse e lo condannò a soccombere sotto il piede della donna: il globo su cui talvolta striscia il serpente tentatore sta a significare il mondo intero e le anime tentate.
Seguendo il racconto dell’Apocalisse il drago viene identificato con Satana, il maligno. Lo stesso Giovanni lo presenta sottolineando che è il «serpente antico», quello che spinse Eva a compiere il peccato originale, nel racconto della Genesi. Dante cita il drago dell’Apocalisse nel canto XIX dell’Inferno, relativo ai pontefici colpevoli di simonia [7].
Nell’iconografia medievale, sviluppatasi tra XII e XIII secolo sul pensiero di Gioachino da Fiore, il drago ha sette teste coronate e ciascuna viene associata a una figura storica oppostasi al Cristianesimo: Erode Antipa, Nerone, Costanzo II, Maometto, Mesemoto, e Saladino; la settima testa, senza nome, è invece un Anticristo, la cui venuta, secondo l’abate, sarebbe stata prossima. Gioacchino da Fiore rappresenta la figura del drago apocalittico nella tavola n. VII del suo “Libro delle Figure” la più importante raccolta di teologia figurale e simbolica del Medio Evo [8].
Nell’iconografia dell’Immacolata il serpente a volte è attorcigliato intorno alla falce lunare, oppure è raffigurato sul globo, ma sempre in posizione di sottomissione alla Madre di Dio, che gli calpesta il capo, in segno inequivocabile di vittoria del bene sul male, della purezza e dell’innocenza sulle passioni. Talvolta il serpente tiene fra le fauci una mela, chiara allusione alla colpa di Eva che però non macchia Maria. Nel libro della Genesi il serpente viene così presentato: «Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. … Allora il Signore Dio disse al serpente …’Io porrò inimicizia tra te / e la donna, / tra la tua stirpe / e la sua stirpe; / questa ti schiaccerà la testa / e tu le insidierai il calcagno’» [9].
In alcune sculture del Cinquecento la Madonna tiene in braccio il Bambino che le offre una mela, simbolica contrapposizione ad Eva che riceve la mela dal serpente. In seguito al peccato originale Dio maledice il serpente e lo condanna a soccombere sotto il piede della donna che schiacciandogli la testa vince il peccato e trionfa su di esso: Maria assume così il ruolo affidatole da Dio di corredentrice, avvocata dell’umanità, mediatrice, aiuto nel combattere e vincere il peccato.
Gli artisti, nella scelta dei simboli mariani, presero come riferimento il Cantico dei Cantici, una sorta di canto nuziale (epitalamio) che, per secoli, la Chiesa ha interpretato come metafora dell’unione tra Cristo e la Chiesa stessa [10]. Il Cantico dei Cantici, attribuito al re Salomone, fu composto non prima del IV secolo a.C. e narra la storia d’amore tra un giovane e una fanciulla, ripetutamente descritti attraverso similitudini con il mondo vegetale: molti dei simboli attribuiti alla fanciulla del poema vengono infatti riferiti all’Immacolata e sono gli stessi simboli poi traslati nelle Litanie medievali e in quelle lauretane.
Come un giglio fra i rovi, così l’amica mia tra le ragazze.
Il giglio bianco fra le spine del Cantico diviene simbolo della Immacolata in quanto purezza in mezzo ai peccati del mondo.
Chi è costei che sorge come l’aurora / bella come la luna, fulgida come il sole?
La luna è sempre stato uno dei simboli ricorrenti in molte civiltà e religioni del passato; la religione cattolica l’ha collegata alla figura di Maria Vergine, ma prima ancora nella Bibbia simboleggiava il popolo ebraico che illuminava il mondo riflettendo la luce di Dio.
Maria, Madre di Gesù e della Luce, illumina la via di tutti i Cristiani; Giovanni in un passo del suo Vangelo scrive: «Veniva nel mondo la luce vera che illumina ogni uomo» [11].
Nell’Apocalisse lo stesso Giovanni fa intendere che la donna, rivestita della gloria di Dio, è Maria destinata a riflettere la luce divina con la sua purezza, proprio come la luna riflette la luce del sole. E alla purezza allude la torre d’avorio: Il tuo collo è come una torre d’avorio. L’avorio ha tre qualità: è bianco, puro e prezioso. La torre d’avorio indica la inviolata e inviolabile castità di Maria, preziosa e immacolata il cui collo collega il capo alle membra.
Secondo S. Girolamo «Cristo è il capo della Chiesa e la sorgente di tutte le grazie, ma la Vergine Maria è come il collo attraverso il quale queste grazie passano, per rigenerare le membra del Corpo mistico di Cristo» [12].
Maria è anche «torre di Davide», una fortezza invalicabile, inespugnabile dal nemico, inviolabile da alcuna creatura.
Fontana che irrora i giardini / pozzo d’acque vive / che sgorgano dal Libano.
Giardino chiuso ti sei, / sorella mia, mia sposa / sorgente chiusa, fontana sigillata.
Maria è fontana sigillata e il nemico non ha mai reso torbido il suo cuore. Nel piccolo giardino recintato si trovano Lei e il Bambino: l’hortus conclusus sta a significare la purezza dell’Immacolata.
La tua statura è slanciata come una palma.
Per l’armonia delle curve dei rami e del suo pennacchio la palma è simbolo di bellezza. Cresce rigogliosa nel deserto e nelle zone aride, restando sempre verde, cioè, viva. Le radici profonde e il tronco diritto rendono la palma simbolo del giusto che si innalza in alto, verso Dio. Il giusto fiorirà come la palma, crescerà come il cedro del Libano si legge nel Salmo 92; la palma, insieme al cipresso, al cedro del Libano e all’ulivo è uno dei quattro legni secondo cui fu costruita la croce di Gesù. Il cipresso è simbolo mariano perché le sue fronde protendono verso l’alto; è un albero sempreverde, ha il legno duro e resistente e quindi longevo.
La Madonna poi è una scala, ovvero il tramite per raggiungere il cielo. La pietà medievale ha riferito anche il vaso alla Vergine Maria che nei testi dei Padri antichi e medievali, d’Oriente e d’Occidente, viene acclamata come vaso: con il titolo di vas viene onorata nelle Litanie lauretane: vas spirituale, vas honorabile, vas insignae devotionis (tempio dello Spirito Santo, tabernacolo dell’eterna gloria, dimora consacrata di Dio) [13].
Speculum iustitiæ, specchio della giustizia, è un’altra invocazione nelle Litanie: Maria, limpida e pura, riflette in sé, come in uno specchio, la luce di Dio oltre che l’armonia, la verità e la bellezza. È anche speculum sine macula, specchio senza macchia, e speculum pulchritudinis, specchio sempre nitido e luminoso.
Altro simbolo mariano è il tempio di Gerusalemme. Dio aveva due dimore: una nel cielo, l’altra sulla terra. La Vergine Maria è tempio dello Spirito Santo.
Allo stato attuale delle ricerche risulta ignoto l’autore della tela con l’Immacolata conservata nel Museo Pepoli! È soprattutto l’assenza di fonti che non incoraggia a dare un nome all’ignoto autore del dipinto che per i caratteri stilistici va collocato nella prima metà del secolo XVII, risentendo velatamente della cultura fiamminga soprattutto nell’uso del colore. Resta l’auspicio che futuri apporti documentari possano sciogliere i nodi riguardanti la provenienza, la data e l’attribuzione. La tela ha purtroppo subìto, in epoca imprecisata, la rifilatura dei bordi per cui alcuni dei simboli risultano molto ridotti come il vaso, lo specchio, la torre di Davide e il tempio. Nessuna certezza si ha sulla provenienza dell’opera che potrebbe provenire da una chiesa francescana; Benigno di Santa Caterina, nel suo manoscritto Trapani profana e sacra, fa un lungo elenco di chiese in cui si trovavano altari o cappelle dedicate all’Immacolata e specifica che nei conventi di Sant’Anna e di San Rocco si trovavano quadri che la raffiguravano [14] .
Per quanto riguarda le fonti iconografiche l’ignoto autore siciliano attinse sicuramente all’incisione di Pieter Paul Rubens (1577-1640) raffigurante l’Immacolata (post 1610 – ante 1680) in quanto ripete la posa, la composizione e gli aspetti formali delle figure della Vergine con il Bambino e degli angeli [15].
Dopo il Concilio di Trento, in molte opere d’arte, dipinti e sculture, ma anche nelle arti decorative, l’Immacolata non verrà più raffigurata con il Bambino in braccio ma da sola come una figura stante, con le mani giunte o al petto e lo sguardo rivolto verso il cielo oppure in basso, con il capo circondato da una corona di stelle, ma sempre sopra una falce di luna, nell’atto di calpestare il serpente. Maria viene rappresentata con una veste bianca, simbolo della sua purezza e con il manto azzurro: la colpa di Eva infatti non intacca e non macchia la «tutta pura».
Così la rappresenta il pittore trapanese Giuseppe Errante in un’opera giovanile, di squisita fattura, databile intorno al 1780, in cui l’immagine di Maria è vivificata dal bianco del vestito e dall’azzurro del manto. L’espressione dolcissima, l’intimo raccoglimento, il sapiente uso del colore, fanno di quest’opera una delle più significative del periodo giovanile dell’artista [16]. In quest’opera non troviamo però l’elemento iconografico che contraddistingue l’Immacolata: lo stellario, ossia un cerchio o «corona di dodici stelle… sul suo capo».
Il numero dodici essendo il prodotto di tre (numero che simboleggia la divinità) per quattro (numero che simboleggia l’umanità) sta a indicare la perfetta fusione tra l’umano e il divino. Nel Medioevo il quattro è considerato un numero perno e risolutore: quattro sono, infatti, i punti cardinali, i venti principali, le stagioni, le fasi lunari, le arti liberali del quadrivio, i lati del quadrato a cui veniva paragonata la terra, in opposizione al triangolo del cielo, simbolo della Trinità.
La Madonna ha operato questa fusione e porta lo stellario perché è Lei l’artefice di questa fusione. È colei nel cui ventre, come dice Dante nel XXXIII canto del Paradiso, «si riaccese l’amore» tra Dio e gli uomini, dopo la cacciata dall’Eden.
Lo stellario dell’Immacolata rappresenta altresì i dodici privilegi concessi alla Madonna dalla Santissima Trinità. I frati Francescani minori conventuali nel XVII secolo diffusero in Sicilia lo «Stellario», un culto speciale collegato alla recita di una «corona» suddivisa in tre parti, ognuna delle quali era composta da un Pater, quattro Ave, intercalate da altrettante quartine che terminavano con la giaculatoria «O Concetta Immacolata», e un Gloria.
Soprattutto a Palermo sorsero confraternite e sodalizi con la denominazione di «Stellario». Si ritiene che tale devozione nel territorio trapanese sia nata ad Erice già nel secolo XVI, grazie ai frati del convento di San Francesco. La Congregazione dell’Inquisizione però, nel 1645, proibì la celebrazione della festa e abolì le confraternite dedicate. La devozione venne poi ripresa poco prima della definizione del dogma della Immacolata Concezione del 1854.
La corona di dodici stelle che cinge la statua dell’Immacolata è ben disegnata nella bandiera degli Stati Europei. L’8 dicembre del 1955, festa dell’Immacolata Concezione, il Consiglio d’Europa adottò come proprio emblema la corona di dodici stelle, in oro su sfondo azzurro, dopo avere approvato il bozzetto per la bandiera europea, presentato da Arsène Heitz, un devoto cattolico dell’Alsazia che si era ispirato alla medaglietta miracolosa che portava al collo. Heitz, senza rivelare la fonte che lo aveva ispirato, spiegò che aveva considerato il dodici un «simbolo di pienezza» e di unità in quanto rappresentava le tribù di Israele, ma anche gli Apostoli: per tale motivo chiese esplicitamente che il numero delle stelle rimanesse invariato anche se i membri dell’Unione europea avessero in seguito superato quel numero.
Trentasei anni dopo, il 29 maggio 1986, la bandiera europea veniva issata a Bruxelles per rappresentare «l’unione dei popoli europei» e, nonostante i Paesi fossero aumentati negli anni, il numero delle stelle rimase invariato. Il dodici fu considerato «simbolo di perfezione e di unità».
Nella religiosità e pietà popolare la devozione a Maria Immacolata occupa un posto privilegiato che, nel tempo, ha favorito una ricca produzione di canti, dando forma ad una lunga tradizione biblica e agiografica. Padre Francesco Saverio D’Aria, agli inizi del XX secolo, compose il testo di una delle più note canzoni mariane, poi musicato da monsignor Luigi Guida, in cui la bellezza di Maria viene paragonata a quella del sole e della luna:
Dell’aurora tu sorgi più bella,
coi tuoi raggi fai lieta la terra,
e fra gli astri che il cielo rinserra
non v’è stella più bella di te.
Bella tu sei qual sole,
bianca più della luna,
e le stelle più belle,
non son belle al par di te.
Tradotta in termini iconografici questa è la figura e l’immagine della «Vergine bella, … di sol vestita, coronata di stelle»», cantata da Petrarca, raffigurata e variamente interpetrata da innumerevoli artisti di tutti i tempi [17].
Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2024
[1] Giovanni, Apocalisse 12, 9.
[2] Genesi 1.15.
[3] Sequenza Ave Regina omnium.
[4] Francisci Petrarche laureati poete Rerum vulgarium fragmenta, sec. XIV.
[5] Per l’iconografia dell’Immacolata nell’arte siciliana si veda: Bella come la luna, pura come il sole L’immacolata nell’arte in Sicilia, catalogo della mostra, a cura di M. C. Di Natale e M. Vitella, Palermo 2004.
[6] Cornelius Cort, Immacolata con il Bambino, 1576, in The Illustrated Bartsch, vol 52. Ignoto incisore, Immacolata Concezione, in F. Gonzaga, De Origine Seraphicae Religionis Franciscanae, Roma 1587.
[7] Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, canto XIX, vv.106-111.
[8] Gioacchino da Fiore, Liber Figurarum, post 1202.
[9] Genesi, 3, 1-14-15.
[10] Il testo del Canticum Canticorum è contenuto nella Bibbia ebraica (Tanakh) e cristiana. Si veda G. Ceronetti (a cura di), Il Cantico dei Cantici, Milano 1993.
[11] Giovanni 1, 9.
[12] S. Gerolamo, Epistola 15.
[13] A. M. Apollonio, Le litanie lauretane. Preghiera mariana, preghiera della Chiesa, Avellino 2013.
[14]Benigno di Santa Caterina, Trapani nello stato presente profana e sacra, ms. del 1810, presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani.
[15] Copia in controparte: cfr. D. Bodart, Rubens e l’incisione, 1977: 43, n. 56. L’incisione è stata poi prodotta in originale: P. Paul Rubens e Schelte Adams Bolswert (post 1610 – ante 1680).
[16] Il dipinto è conservato nei depositi del Museo regionale di Trapani Agostino Pepoli. Si vedano: V. Scuderi, Pittori trapanesi dell’800, catalogo della mostra, Trapani 1957. S. Valenti, Giuseppe Errante Pittore trapanese (Trapani 1760- Roma 1821), Trapani 2011: 46, tav. IV.
[17] In un atto di commissione di un dipinto per la chiesa del Monte di pietà di Monreale, stipulato nel 1612 tra il pittore Orazio Ferraro e i priori della Società del Monte di pietà, si chiedeva all’artista “di fari et dipingeri un quadro in tila … con la figura et immagine della gloriosissima Maria Vergine dello Stellario con dodici stelle…”. Il quadro si trova ora nel Museo Diocesano di Monreale.
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Lina Novara, laureata in Lettere Classiche, già docente di Storia dell’Arte, si è sempre dedicata all’attività di studio e di ricerca sul patrimonio artistico e culturale siciliano, impegnandosi nell’opera di divulgazione, promozione e salvaguardia. È autrice di volumi, saggi e articoli riguardanti la Storia dell’arte e il collezionismo in Sicilia; ha curato il coordinamento scientifico di pubblicazioni e mostre ed è intervenuta con relazioni e comunicazioni in numerosi seminari e convegni. Ha collaborato con la Provincia Regionale di Trapani, come esperto esterno, per la stesura di testi e la promozione delle risorse culturali e turistiche del territorio. Dal 2009 presiede l’Associazione Amici del Museo Pepoli della quale è socio fondatore. Ha recentemente pubblicato con M. A. Spadaro, Il liberty a Trapani. Architetture e protagonisti della modernità (ed. Kalos).
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