di Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo
La collocazione geografica della Sicilia, crocevia del Mediterraneo, rende inevitabile, e quasi ineluttabile, l’incontro in essa delle genti del Mare nostrum e non solo. Di conseguenza, il fenomeno immigrazione per noi non può essere considerato un fatto accidentale, ma è legato alla posizione geografica della nostra terra.
Per di più, oggi il Mediterraneo rappresenta per il Mezzogiorno, punta avanzata dell’Europa in questo mare, una opportunità irripetibile che il documento Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno presenta come “una vera e propria opzione strategica per il Mezzogiorno e per tutto il Paese, inserito nel cammino europeo e aperto al mondo globalizzato” (n. 7).
La problematica dell’immigrazione vede, perciò, la nostra Isola particolarmente esposta e in una posizione singolare che non è omologabile a quella di nessun’altra regione. Leggiamo nel documento CEI: “E cambiato il rapporto con le sponde orientali e meridionali del Mediterraneo. La massiccia immigrazione dall’Europa dell’Est, dall’Africa e dall’Asia ha reso urgenti nuove forme di solidarietà. Molto spesso proprio il Sud è il primo approdo della speranza per migliaia di immigrati e costituisce il laboratorio ecclesiale in cui si tenta, dopo aver assicurato accoglienza, soccorso e ospitalità, un discernimento cristiano, un percorso di giustizia e promozione umana e un incontro con le religioni professate dagli immigrati e dai profughi” (n. 4).
In questo contesto il tema va affrontato non con prospettiva speculativa, bensì con riguardo ai risvolti esistenziali e personalistici- ai quali deve ispirarsi la relazione con l’immigrato.
L’altro interpella l’identità della persona locale e la pone a confronto con la diversità e con il corredo di atteggiamenti e di comportamenti conseguenti: timore, chiusura difensiva, contrapposizione, rifiuto e rigetto. La frequentazione dell’altro, di conseguenza, aiuta a ridimensionare e a ridisegnare la centralità del proprio ego e a rivolgere attenzione e interesse a chi è diventato compagno di viaggio nella comune avventura umana. La persona del luogo, pertanto, non si può più considerare misura delle cose, delle norme e degli eventi, ma il suo orizzonte deve necessariamente abbracciare tutti quelli che vivono nel territorio.
In questa logica l’atteggiamento preliminare e di base di chi accoglie non può essere se non quello di mettersi accanto e di camminare insieme, quasi in punta di piedi, dialogando con il linguaggio delle parole, ma più ancora dei gesti, significativamente evocativi e con impatto marcatamente coinvolgente.
Il fenomeno migratorio, perciò, induce un processo di educazione alla mondialità perché allarga i confini delle conoscenze e dei rapporti e consente di. accedere alla ricchezza delle diverse culture e dei diversi umanesimi.
La questione immigrazione è, da diversi anni, al centro dell’attenzione del Governo nazionale, delle forze politiche e della pubblica opinione. Tuttavia, diverso è il senso e l’obiettivo che ciascuno ha presenti. Il Governo, soprattutto negli ultimi due anni, è sembrato preoccupato soprattutto dai problemi legati alla sicurezza e ha pensato bene di considerare l’immigrazione una emergenza epocale da affrontare, in ottica di autodifesa, come un capitolo concernente la tutela dell’ordine pubblico. Le forze politiche, da parte loro, trovano nell’immigrazione un pretesto ulteriore di conflittualità e di contrapposizione con cui accreditarsi presso il proprio elettorato per guadagnare consensi.
In un quadro assai problematico e complesso la gente comune non sempre sa da che parte orientarsi per il fatto che non riesce a farsi un’idea precisa dei problemi e dei valori in gioco e, di conseguenza, non è in grado di motivare una propria valida scelta di campo.
Fin qui la comunità ecclesiale ha dato la sensazione di muoversi in ordine sparso, preferendo ordinariamente non esporsi troppo per evitare di prendere posizione e mantenendosi equidistante tra le ragioni di chi guarda agli immigrati come il fumo negli occhi e di chi intravede in essi una sfida per verificare, sotto il profilo evangelico, identità e modo di essere delle stesse comunità ecclesiali. Indubbiamente, sono tanti i fattori che possono determinare l’una o l’altra scelta di campo; tuttavia, l’unico atteggiamento ingiustificabile è il silenzio. Infatti, il contesto sociale, storico e normativo impongono alla comunità ecclesiale di far sentire alta la propria voce, senza ambigui silenzi, che, proprio per la loro ambivalenza, possono risultare condivisione di indirizzi razzisti e xenofobi o come indiretto collateralismo a taluni discutibili orientamenti delle istituzioni. In ogni caso, non ci sono ragioni valide e cogenti a sostegno di una posizione di comodo che si limita a guardare come va a finire. Se, poi, riandiamo a una veemente affermazione di Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptor hominis: “Sulla via che conduce da Cristo all’uomo la Chiesa non può essere fermata da nessuno” (n. 13), allora non c’è silenzio che si possa giustificare e che, soprattutto, possa lasciare tranquilli.
Entrando nel merito della questione immigrazione, non si può negare che occorre rispettare la libertà di emigrare, che potrebbe configurare, in qualche modo, anche un diritto all’emigrazione. Ci potrebbero dire qualcosa, al riguardo, le schiere innumerevoli di migranti italiani che agli inizi del ‘900 intrapresero viaggi della speranza nei paesi del nord Europa, del continente americano e dell’Africa, alla ricerca di prospettive di lavoro capaci di migliorare il tenore di vita della propria famiglia. A meno che non si voglia attualizzare in chiave moderna la parabola del servo debitore che, una volta ricevuto il condono del proprio pesantissimo debito, si rifiutò di essere ugualmente magnanimo con chi gli era debitore, anche se di una somma di molto inferiore (cfr Mt 18, 23-35).
Il fenomeno immigrazione mette in rilievo, peraltro, anche una valenza e un profilo culturale. I Paesi del Mediterraneo hanno una cultura dell’accoglienza, dell’incontro, della solidarietà e della condivisione. In quest’ottica, di conseguenza, ogni normativa, e i conseguenti comportamenti, che a priori e in modo generalizzato impongono il respingimento degli immigrati ripugna alla sensibilità e alla cultura mediterranea. Se, poi, ci collochiamo nello specifico cristiano, una tale prassi non ci può appartenere in quanto discriminatoria, ingiusta e iniqua non solo perché ributta in mare persone bisognose, potenziali richiedenti asilo o lo status di rifugiato politico e soggetti deboli e indifesi, ma anche perché stabilisce l’improponibile equivalenza immigrato = criminale, che è assolutamente illegittima e offensiva.
Bisogna, allora, mettersi su un’altra lunghezza d’onda che è quella della solidarietà attraverso gli svariati modi dettati dalla fantasia della carità che, nelle diverse epoche e nei diversi luoghi, ha trovato sempre soluzioni geniali ed efficaci per venire incontro alla domanda di soccorso espressa dai poveri del mondo.
Ovviamente, nel quadro generale della condizione di immigrato, interventi diversificati vanno pensati per le varie condizioni, particolarmente per quelle che richiedono attenzioni specifiche come i bambini e le donne. Dei primi tratta, in particolare, il messaggio del Papa per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2010, nel quale egli auspica “che si riservi la giusta attenzione ai migranti minorenni, bisognosi di un ambiente sociale che consenta e favorisca il loro sviluppo fisico, culturale, spirituale e morale. Vivere in un paese straniero senza effettivi punti di riferimento crea ad essi, specialmente a quelli privi dell’appoggio della famiglia, innumerevoli e talora gravi disagi e difficoltà”. Un cenno a parte fa Benedetto XVI alla “situazione dei ragazzi nati nei paesi ospitanti” e a “quella dei figli che non vivono con i genitori emigrati dopo la loro nascita, ma li raggiungono successivamente. Questi adolescenti fanno parte di due culture con i vantaggi e le problematiche connesse alla loro duplice appartenenza, condizione questa che tuttavia può offrire l’opportunità di sperimentare la ricchezza dell’incontro tra differenti tradizioni culturali. È importante che ad essi sia data la possibilità della frequenza scolastica e del successivo inserimento nel mondo del lavoro e che ne vada facilitata l’integrazione sociale grazie a opportune strutture formative e sociali. Non si dimentichi mai che l’adolescenza rappresenta una tappa fondamentale per la formazione dell’essere umano”.
Per quanto attiene alle donne, la loro condizione richiede, da un lato, attenzioni analoghe a quelle riservate agli uomini in forza del comune status di migrante; ma circostanze particolari conferiscono a tale status generico connotazioni ulteriori che postulano progettualità mirate. Mi riferisco alla donne, incappate nelle varie tratte organizzate nei vari paesi, che entrano nel giro internazionale della prostituzione; la loro assistenza e liberazione esige specifica preparazione, appropriate metodiche di intervento e adeguati luoghi di accoglienza. Diversa è la situazione delle badanti, sia quanto alla loro sistemazione nei paesi di arrivo, sia riguardo al loro inquadramento socio-assistenziale, sia con riferimento al contesto familiare di provenienza, sia per quanto attiene alla loro appartenenza e pratica religiosa. Un terzo filone di intervento, del tutto disomogeneo rispetto ai due citati, è quello delle donne in carriera, che non possono essere annoverate tra le immigrate alla stessa maniera di quelle citate, ma che comunque hanno certamente delle problematiche da affrontare, anche se non sul piano della piena realizzazione di sé e della sicurezza socio-economica.
Ovviamente, le modalità di intervento sono le più varie: dagli sportelli di ascolto, ai centri culturali; dalle opportunità aggregative, alle strutture del tempo libero; dai servizi socio-sanitari, alla mediazione e all’accompagnamento.
In ogni caso, gli immigrati in genere, e donne e minori in particolare, costituiscono, secondo un’incisiva espressione di Benedetto XVI una “sfida sociale e pastorale”, alla quale singoli cristiani, aggregazioni e Chiese locali non possono sottrarsi.
Ritengo opportuno, prima di concludere, dire una parola di precisazione concettuale sull’integrazione, complesso processo sociale, politico, culturale, economico. Essa viene vista ordinariamente come la migliore offerta fatta agli immigrati perché si propone di creare le condizione di una loro totale parificazione con i locali. Da parte degli immigrati, tuttavia, la valutazione di tale prospettiva non è del tutto condivisa in quanto, considerata la loro condizione di evidente minoranza, temono che l’integrazione possa assumere i caratteri di una omologazione-assimilazione che metta a rischio la loro identità. Non meravigli, perciò, la possibile tiepidezza che essi possono manifestare a fronte dell’entusiasmo con cui può essere offerta loro questa opportunità, in sé sicuramente valida.
In conclusione, desidero riportare un bel testo di Benedetto XVI che riassume significativamente la tematica e ne delinea un corretto approccio progettuale: “Un altro aspetto meritevole di attenzione, trattando dello sviluppo umano integrale, è il fenomeno delle migrazioni. È fenomeno che impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale. Possiamo dire che siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati. Nessun Paese da solo può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo. Tutti siamo testimoni del carico di sofferenza, di disagio e di aspirazioni che accompagna i flussi migratori. Il fenomeno, com’è noto, è di gestione complessa; resta tuttavia accertato che i lavoratori stranieri, nonostante le difficoltà connesse con la loro integrazione, recano un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite con il loro lavoro, oltre che a quello del Paese d’origine grazie alle rimesse finanziarie. Ovviamente, tali lavoratori non possono essere considerati come una merce o una mera forza lavoro. Non devono, quindi, essere trattati come qualsiasi altro fattore di produzione. Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione” (BENEDETTO XVI, Carìtas in veritate, n. 62).
Questo orizzonte io penso possa configurare un umanesimo cristiano amico dell’uomo che non può essere fermato, dalla diversità o dall’emergenza e che si china sulla fragilità dell’immigrato, supplendo – se del caso – anche alla inflessibile durezza dei modelli legislativi. Solo in quest’ottica si potrà restituire al nostro mare la connotazione felicissima e suggestiva di Mediterraneo, mare di Dio.
Dialoghi Mediterranei, n.1, aprile 2013
+ Domenico Mogavero
Vescovo di Mazara del Vallo