di Pietro Lucio Cosentino
L’idea è nata dall’esigenza sempre più marcata nella gestione dei beni museali di una catalogazione delle collezioni, che consenta di valutare univocamente l’identità e l’integrità dei beni. E ciò si adatta perfettamente con la tendenza culturale nella gestione dei beni museali che si è instaurata, soprattutto in Italia, in questi ultimi anni, cioè il “prestito” nazionale ed internazionale delle opere d’arte, che sono pertanto sottoposte spesso alle sollecitazioni derivanti dal trasporto e ai rischi connessi (danneggiamenti, sostituzione, deterioramenti fisici, ecc.).
Pur non volendomi soffermare troppo su questo tema molto controverso dei “prestiti”, colgo l’occasione per sottolineare che è un vezzo soprattutto italiano, dovuto anche al fatto che abbiamo così grande sovrabbondanza di opere d’arte che spesso non riusciamo a conservarle e preservarle al meglio e sfruttiamo anche le offerte “esterne” per la contribuzione al miglioramento della loro manutenzione e conservazione. Tale pratica è foriera anche di deterioramento delle opere ed è un pericolo per la loro sicurezza: ogni tanto ci ritorna un clone, e ormai i nostri musei ne sono purtroppo pieni. Se è vero che è fonte di lavoro per alcune società di trasporto di BB. CC., è anche fonte di depauperamento delle attività turistiche (gli amanti delle opere d’arte aspettano in patria l’arrivo delle opere piuttosto che venire a visitarle da noi). Infine, è anche segno della nostra sudditanza culturale perfino in questo campo. Ritengo che alcune opere dei musei inglesi o francesi non saranno mai “prestate” a nessuno, mentre, ad esempio, le teste di Pantelleria (Augustea Capita) esposte al Museo Salinas nel 2004, sono partite da anni per un prestito che appare ormai quasi interminabile! In più, molte mostre ed esposizioni sono diventate ormai itineranti e pertanto le opere sono sottoposte a molti trasporti e/o spostamenti.
I normali parametri di riconoscimento di qualsiasi opera, e cioè la forma, l’aspetto, i colori, la tessitura, il peso, ecc., sono oggi clonabili, con le più sofisticate tecniche laser, fino al punto di dettaglio desiderato, cioè si possono fare copie quasi perfette e difficilmente riconoscibili dall’originale senza eseguire delle prove invasive di carattere chimico e fisico.Rimane molto più difficile invece clonare esattamente l’interno dei corpi, cioè la composizione tridimensionale in termini di parametri fisici, punto per punto, che li contraddistinguono. Se allora riuscissimo a rilevare il modo in cui uno di questi parametri è distribuito all’interno del corpo, questo rilievo costituirà un prezioso strumento per il riconoscimento quasi inequivocabile futuro dell’oggetto.
Intendo riferirmi alle analisi di tipo tomografico, come le più conosciute radiografie 3D, le ecografie, ecc. Si possono così selezionare diversi parametri fisici della materia che compone un oggetto e adoperarli per l’identificazione dell’oggetto. In altri termini è possibile studiare e tenere la memoria dell’andamento spaziale, all’interno del corpo stesso, di una di queste proprietà (parametri fisici), come la conducibilità elettrica, la permeabilità magnetica, la densità, parametri meccanici (elastici, plastici e viscosi), ecc.
Tutti questi tipi di rilievi risultano tuttavia normalmente complessi e non molto veloci. I parametri fisici più adatti ad essere adoperati, sia per l’identificazione univoca degli oggetti sia per il monitoraggio della loro integrità, sono in genere quelli meccanici, rilevabili in modo “statico” (pressioni ed urti) ovvero “dinamico” (uso delle onde elastiche, cioè soniche ed ultrasoniche).
La metodologia
L’impronta sonica è risultata una scoperta interessante perché costituisce una metodologia attraverso la quale si può rilevare una caratteristica degli oggetti che, pur non riuscendo a ricavare la precisa distribuzione spaziale dei parametri meccanici all’interno dell’oggetto osservato, tuttavia dipende direttamente dalla distribuzione spaziale di una serie di questi parametri, e cioè la densità, i coefficienti elastici, la plasticità, la viscosità, la forma geometrica dell’oggetto, come pure dalla mappa delle eventuali superfici di discontinuità (cioè lesioni) e dei difetti interni.
Abbiamo sperimentato che, attraverso lo studio della propagazione delle onde elastiche, nei manufatti è possibile costruire una “impronta sonica” degli oggetti stessi, una sorta di impronta digitale che possa identificarli ed eventualmente anche valutare il loro stato di consistenza meccanica (o integrità). In pratica si generano onde elastiche tramite un’opportuna sorgente (per esempio, un martelletto gommato di tipo neurologico) e si misurano, attraverso dei sensori fissati solidalmente alla sua superficie, le oscillazioni smorzate che si propagano all’interno dell’oggetto. Queste oscillazioni sono intimamente legate alla geometria del manufatto e alla specifica distribuzione spaziale dei suoi parametri elastici e dei difetti interni che sono sempre presenti, e quindi denunciano una spiccata variabilità, anche per piccole modificazioni strutturali dell’oggetto.
Ogni oggetto presenta una distribuzione continua di modi di vibrazione e di tempi di smorzamento e quindi oscilla con una sovrapposizione di modi smorzati di differenti frequenze: la distribuzione delle frequenze e delle ampiezze di oscillazione riscontrate nello “spettro di frequenza” registra però dei picchi di risonanza correlati alla forma, alla dimensione e ai moduli elastici dell’oggetto stesso. Inoltre l’eventuale deterioramento del manufatto provocato, per esempio, da una lesione, comporta variazioni significative del suo modo di vibrare. Tali variazioni sono facilmente rilevabili tramite il confronto dell’impronta sonica rilevata prima e dopo il deterioramento.
Il risultato della metodologia produce una specie di codice a barre, simile a quello che si trova nella merce dei supermercati, in cui vengono rappresentate i picchi di frequenza predominanti e le loro ampiezze relative. Come è possibile capire facilmente, due oggetti non potranno avere mai la stessa impronta sonica e, quindi, lo stesso “codice a barre”. Il numero dei picchi di frequenza (“barre”) è generalmente legato alla forma dell’oggetto: più è complicata maggiore è il numero dei picchi. In generale, si può anche dire che il numero di frequenze (picchi, cioè “barre”) presenti negli spettri di oggetti piccoli è sempre più elevato di quello che caratterizza gli oggetti più estesi.
Il mio gruppo di ricerca ha validato e standardizzato la tecnica di acquisizione, controllando e confermando: la ripetibilità delle misure malgrado i problemi derivanti dall’accoppiamento fra i trasduttori e l’oggetto, dal riposizionamento e dalle differenti risposte dei sensori stessi; l’influenza del supporto su cui è appoggiato l’oggetto sulle frequenze di risonanza; l’effettiva capacità di distinguere oggetti diversi, anche se caratterizzati dalla stessa forma e dimensione; la capacità di differenziare le risposte di uno stesso oggetto prima e dopo che sia stato lesionato; la reale non invasività della metodologia utilizzata, cioè l’assenza di danni derivanti dall’analisi delle frequenze di risonanza.
I risultati condotti sui vasi e piatti integri e lesionati hanno inoltre mostrato che esistono dei modi di vibrazione univocamente determinabili su tutta la superficie del manufatto. è stato quindi possibile ricavare univocamente la serie delle frequenze tipiche dei modi di vibrare dei manufatti. Si possono distinguere così, oltre all’impronta identificativa, anche informazioni sul loro stato fisico-meccanico complessivo.
L’impronta sonica è una metodologia sviluppata dallo scrivente (e brevettata dall’Università di Palermo, ora proprietà Diasis) come prodotto di spinoff di studi e ricerche che ho condotto in collaborazione con il Centro di Progettazione e Restauro (CRPR) della Regione Siciliana. L’impronta sonica è una tecnica di indagine non distruttiva e innovativa per l’identificazione univoca e il monitoraggio dell’integrità di manufatti di particolare pregio artistico, quali vasellame, statue e in generale oggetti lapidei, metallici o lignei.
Come caratteristiche generali della metodologia è possibile sintetizzare le seguenti proprietà:
1. L’acquisizione dei dati sperimentali è rapida (30-60 minuti) e l’elaborazione dei dati è praticamente automatica in tempo reale.
2. L’impronta è rappresentativa dell’intero oggetto, non soltanto (come i dati forniti da tante altre metodologie) di sue piccole (o piccolissime) parti.
3. L’impronta è identificativa dell’opera e dipende dalla geometria, dal materiale costitutivo (parametri elastici e densità) nonché da tutti i “difetti” interni: è praticamente impossibile costruire un oggetto che abbia la stessa impronta sonica (un esempio ben conosciuto sono i violini stradivari, il cui suono non si è riuscito mai ad imitare perfettamente). Utilizzando questa metodologia gli eventuali cloni sarebbero così facilmente distinguibili dall’originale.
Dialoghi Mediterranei, n.13, maggio 2015
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Pietro Lucio Cosentino, laureato in Fisica, già docente ordinario di Geofisica Applicata, presso l’Università di Palermo, e Lecturer all’University of East Anglia (U.E.A.) di Norwich in Inghilterra, fino a giugno 2014. Ha insegnato, tra l’altro, Metodi Diagnostici per i Beni Culturali nel corso di Laurea in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali, lavorando per la diagnostica dei Beni Culturali in vari Paesi e presentandone i risultati in Europa, USA e Cina. È autore di più di 200 pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali ed internazionali.
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