di Lisandra Ogg Gomes e Franco Pittau [*]
Invece il cento c’è
Il bambino/ è fatto di cento./ Il bambino ha/ cento lingue/ cento mani/ cento pensieri/ cento modi di pensare/ di giocare e di parlare/cento sempre cento/modi di ascoltare/ di stupire di amare/ cento allegrie/ per cantare e capire/ cento mondi/ da scoprire/ cento mondi/ da inventare/ cento mondi/ da sognare./ Il bambino ha/ cento lingue/ (e poi cento cento cento)/ ma gliene rubano novantanove./ La scuola e la cultura / gli separano la testa dal corpo./ Gli dicono:/ di pensare senza mani/ di fare senza testa/ di ascoltare e di non parlare/ di capire senza allegrie( di amare e di stupirsi/ solo a Pasqua e a Natale./ Gli dicono:/ di scoprire il mondo che già c’è/ e di cento/ gliene rubano novantanove./ Gli dicono:/ che il gioco e il lavoro/ la realtà e la fantasia/ la scienza e l’immaginazione/ il cielo e la terra/ la ragione e il sogno/ sono cose/ che non stanno insieme./ Gli dicono insomma/ che il cento non c’è./ Il bambino dice:/ invece il cento c’è. - Loris Malaguzzi
Premessa
La composizione poetica che apre il presente saggio è dedicata alle incredibili capacità dei bambini. Noi abbiamo voluto indirizzare il lettore a riflettere sulla loro partecipazione e sul protagonismo dell’infanzia e ad alcune straordinarie figure di educatori, tra cui l’autore dei versi qui riportati. Siamo ben consapevoli che la pedagogia è comunemente ritenuta una disciplina riservata agli esperti del settore e invece, e non solo a nostro avviso, tutta la società si deve sentire responsabilmente e chiamata a esercitare un ruolo formativo.
Con impegno, ma senza alcuna presunzione, questo articolo cerca, da un lato di favorire l’avvicinamento a una problematica che è di grande importanza, e perciò meritevole di suscitare maggiore interesse, e dall’altro di sviluppare la riflessione in un’ottica interculturale: infatti, facciamo riferimento agli ordinamenti giuridici, pensatori ed esperienze educative riguardanti tanto il Brasile quanto l’Italia.
Qual è il motivo dell’accostamento dei due Paesi in aggiunta all’opportunità contingente riportata in nota? [1] Se si va oltre la posizione geografica, di enorme lontananza, si constata la sussistenza di legami tutt’altro che superficiali. Infatti, secondo stime, in Brasile ci sono quasi 30 milioni di residenti che hanno almeno un cittadino italiano come antenato con la Grande emigrazione della fine dell’Ottocento [2]. A ciò si aggiunge che, sia in Italia che in Brasile, si dibatte molto sulla necessità di un maggiore impegno educativo a favore dell’infanzia, specialmente nel caso di soggetti appartenenti delle categorie che sono più disagiate per ragioni economiche o culturali. La questione in Brasile non riguarda solo le favelas e i bambini di strada e, in Italia, non concerne unicamente le regioni meridionali e le famiglie degli immigrati.
Tuttavia, tra i due Paesi vi sono anche notevoli differenze. Innanzi tutto il divario demografico, perché il Brasile ha una quota percentuale di minori molto rilevante, mentre in Italia i residenti che hanno compiuto 65 anni sono quasi il doppio rispetto ai minori fino a 15 anni, ciò aiuta a capire perché gli italiani sono da diversi anni in lenta, ma continua, decrescita [3].
Nel primo paragrafo del presente articolo ci siamo inizialmente soffermati sull’importanza data ai bambini nell’ordinamento giuridico brasiliano e in quello italiano, partendo dalle relative Costituzioni (per il Brasile quella del 1988, approvata dopo la fine del regime militare) e quindi ci siamo intrattenuti sull’humus sociale e pedagogico, che è stato alla base della formalizzazione dei princìpi costituzionali, poi resi esecutivi attraverso le leggi ordinarie e, inoltre, continua fonte d’ispirazione nel attuale dibattito. Il successivo excursus storico presenta in breve l’immagine che si aveva del bambino nel sistema educativo tradizionale vigente nell’Italia e in tutta Europa. In Brasile questa importante evoluzione, legata al superamento della tradizione coloniale, è stata quanto mai contrastata. Per i due Paesi abbiamo passato in rassegna le innovazioni pedagogiche che, nel corso del Novecento, hanno riguardato i bambini.
Il paragrafo che segue è dedicato alla presentazione di sei grandi pedagogisti nel campo dell’educazione che, sia prima che dopo il Secondo conflitto mondiale, sono stati protagonisti di rilevante importanza. La nostra scelta è caduta su Maria Montessori, don Lorenzo Milani e Loris Malaguzzi per l’Italia, e su Anísio Teixeira, Heloísa Marinho e Paulo Freire per il Brasile. Scorrendo la loro vita e riflettendo sul loro pensiero si percepisce che in loro idea e azione, scienza e servizio, pedagogia e politica, attenzione alla dignità delle persone e rigore personale non furono separati bensì vissuti in una coerente simbiosi anche quando ciò comportò rinunce, disagi e financo la prigione.
Per noi è stato impegnativo lo sforzo di proporre in poche righe autori così complessi, cercando di spiegare il motivo della loro grandezza nel loro particolare momento storico. Per facilitare la lettura a chi non è esperto del settore pedagogico, abbiamo preferito distinguere le note biografiche (una presentazione di natura storica) dal loro pensiero (una esposizione di natura contenutistica). Nel trattare questo secondo punto, ci siamo limitati a riportare solo alcuni degli enunciati più importanti, senza alcuna pretesa di una esposizione esaustiva.
Non poteva mancare un paragrafo dedicato alla presentazione di alcune strutture per bambini, attualmente operanti in Italia (a Roma) e in Brasile (a San Paolo e a Rio de Janeiro), che fanno riferimento a innovative teorie educative e seguono una pratica educativa attenta a favorire la partecipazione.
Nelle conclusioni, alla luce delle grandi figure prese in considerazione, delle loro teorie e delle loro esperienze, sostenuti inoltre dal progressi fatti da più di un secolo a livello teorico e pratico, non potevamo fare a meno di ribadire che l’infanzia non va considerata un mero e imperfetto tempo d’attesa prima che un soggetto diventi adulto e che, al contrario, ha con le sue caratteristiche ben specifiche, le sue logiche e il suo attivismo: questo insieme di fattori che dovrebbero di per sé predisporre gli adulti a comprendere, rispettare e indirizzare armoniosamente questo periodo della vita. Con questo scritto formuliamo l’auspicio a un maggiore interesse alle moderne linee pedagogiche, meritevoli di diventare un patrimonio sempre più condiviso. Una società, nella quale gli adulti saranno maggiormente consapevoli dei diritti dell’infanzia, potrà fondatamente sperare in un futuro migliore.
I limiti della concezione pedagogica del passato
La concezione del bambino come “piccolo adulto imperfetto” era generalizzata nei Paesi europei (seppure con differenze legate alle tradizioni e alle classi sociali) e si diffuse anche nei Paesi che sono stati colonizzati. In epoca moderna, anche se era andato affermandosi un maggiore interesse all’infanzia, non intervenne un radicale superamento di mentalità. Iniziarono, tuttavia a influire importanti movimenti culturali (basti pensare all’Illuminismo, alla Rivoluzione francese, al movimento dei lavoratori), con idee molto innovative sulla concezione della società, del lavoro, della famiglia e della donna. Anche se non fu scalfita la convinzione che il bambino, durante la sua infanzia, dovesse principalmente utilizzare il suo tempo solo per raggiungere la maturità degli adulti, fu positiva la tendenza ad assegnare un ruolo educativo prioritario alla famiglia che alla scuola.
In Italia nel passato, così come avveniva negli altri Paesi europei e anche in Brasile, si guardava ai bambini come a una tabula rasa, senza riconoscere le caratteristiche proprie della loro età, concludendo, perciò, che essi dovevano essere indirizzati verso la perfezione degli adulti, con rigore e anche con punizioni corporali. Ripercorrendo la storia dell’infanzia fino ai nostri giorni, di essa sono state proposte quattro rappresentazioni, seppure ciascuna di esse sia stata declinata con molteplici varianti e diverse implicazioni:
1) infanzia come mancanza;
2) infanzia come innocenza;
3) infanzia come periodo da analizzare attraverso la scienza;
4) infanzia come periodo in cui il bambino deve essere già considerato come “soggetto” (D’Amato, 2014).
Pur in questo quadro pedagogico imperfetto non mancarono gli autori che formularono degli spunti educativi interessanti, destinati a maturare pienamente solo a distanza di tempo. Si possono citare al riguardo, Erasmo da Rotterdam (1466/69-1536), Comenio (1592-1670), Locke (1632-1704), Rousseau (1712-1778) e Pestalozzi (1746-1827), come anche posteriormente nei rapporti contemporanei Freud (1856-1939), Dewey (1859-1952), Piaget (1896-1980), Vygotskij (1896-1934) e Freinet (1896-1966). Questi altri autori furono, accomunati dall’impegno nel profondere il concetto dello sviluppo e quello dell’apprendimento e prestarono attenzione alla specificità del periodo e della categoria infantile.
Oltre i limiti dell’educazione tradizionale
Preoccuparsi della cura e della protezione dei bambini è importante per il loro sviluppo cognitivo, emotivo e fisico. Non è fondato ritenere che essi siano molto irrilevanti nella società, al contrario, loro sono importanti e agiscono in diversi modi e ambiti: nella scuola, nella famiglia, nella chiesa e con i loro pari. I bambini non solo sono partecipi nelle diverse situazioni in cui vengono a trovarsi, ma maturano una migliore percezione della loro comunità, così come cambiano quello che gli adulti pensano dell’infanzia.
Solitamente si trascura di riflettere sul fatto che la vita da adulti è un’esplicitazione degli spunti maturati in nuce nel periodo dell’infanzia e che, tanto più questi saranno coltivati in maniera adatta, tanto più sarà soddisfacente la maturazione della propria personalità, oltre al godimento di una infanzia serena. Questi accorgimenti sono importanti per la vita dei bambini, continuando a esercitare la loro influenza nel corso della vita e prendendo una forma più completa.
Bisogna considerare che la vita di una persona consiste non solo in un accumulo di eventi e d’esperienze personali come si fosse una costante evoluzione, ma si articola anche (e specialmente) in apprendimenti, ricostruzioni, mutamenti e sconfitte. «Il correre della vita – scrive Rosa (1994: 20) – confonde tutto. La vita è così: riscalda e raffredda, stringe e poi libera, calma e dopo turba». La vita richiede un coinvolgimento personale nel collettivo e sollecita la partecipazione. L’educazione ha il compito di rendere i bambini protagonisti della propria storia (D’Amato, 2014). Al centro di questa riflessione troviamo i concetti di partecipazione e protagonismo, così come evidenziato dagli esperti e studiosi latinoamericani e italiani nel settore dello “studio dell’infanzia”, che si sono preoccupati di rispondere ad alcune fondamentali domande: Come sono state analizzate le situazioni, le attività e le funzioni che i bambini e i giovani svolgono nella società? Come la società italiana e quella brasiliana concepiscono l’infanzia? In quali situazioni i bambini sono attori sociali? Chi è il bambino? Quale tipo di educazione permette la partecipazione?
È indispensabile tenere presente l’impatto esercitato dalla parola infanzia (di origine latina), che esprime l’idea di mancanza, indica un soggetto che non sa o non può parlare perché non è ancora adulto; rende anche l’idea d’incapacità, debolezza e fragilità che questa generazione ha quando si confronta con quella degli adulti. In realtà, non solo coesistono tante forme di linguaggio, ma sono diversi e variabili anche i modi di essere bambini. Si tratta di una molteplicità dei modi di vita dei bambini e delle bambine, perché loro sono: indigeni e di differente colore; poveri, ricchi e di classe media; sono immigrati, nativi e figli d’immigrati; sono bambini che ancora giocano e quelli che già si misurano col lavoro, vivono nelle aree rurali e nelle città, sono bambini vittime delle situazioni di guerra e pure alle prese con la carestia, confrontati con le conseguenze delle rivolte e delle violenze. In tutte queste situazioni i bambini portano sempre con sé una parola, un’immagine e una forma di comunicazione e d’azione.
Queste idee sull’infanzia hanno ottenuto grande risonanza nel mondo occidentale, come evidenziato nelle ricerche di natura storica-pedagogico condotte sull’infanzia dall’italiana Egle Becchi e dal francese Philippe Ariès [4]. La scuola psico-storica di Loyd De Mause [5], studioso americano, chiarì che nel Medioevo il bambino era tutt’altro che felice e la sua storia era stata terribile. Non si pensava, affatto, di ricorrere a specifiche metodologie educative per capirne la specificità e ci si limitava a inculcare in loro la maniera di ragionare e le modalità di comportamento dei grandi, correggendo le manifestazioni tipiche dell’infanzia.
Egle Becchi e Dominique Julia [6] hanno evidenziato che l’imperfezione del sistema educativo non necessariamente comportava la mancanza d’amore per i figli da parte dei genitori, che anzi li consideravano l’espressione naturale e sociale della coppia e garanzia della continuità della famiglia. Comunque, il loro affetto non è paragonabile all’amore e all’apprezzamento mostrato dai genitori ai giorni d’oggi essendo intervenuto un radicale rinnovamento pedagogico. Prima l’infanzia era niente altro che il periodo necessario per il superamento delle imperfezioni per poi diventare finalmente adulto. Perciò «l’infanzia viene di solito pensata per la sua atipicità o per i suoi rapporti con il mondo adulto, ma comunemente ignorata nella sua specificità» (D’Amato, 2014: 3).
Tale mentalità si era trasfusa nel senso comune dopo essere stata recepita nei testi di filosofia, pedagogia, teologia e medicina, prima non era assolutamente in grado di capire le caratteristiche dei bambini, personaggi nuovi di cui tenere conto, peculiari e rilevanti sul piano della vita comunitaria e dell’immaginario sociale (Becchi, 2010). La pedagogia è chiamata a far sintesi di tutte le dimensioni implicate nell’educazione, inclusa quella politica: questo aspetto è d’aiuto per meglio comprendere l’evoluzione delle teorie pedagogiche in un Paese come il Brasile. Come opportunamente sottolineato da Fiorucci (2021: 6), sussiste uno stretto rapporto tra educazione e politica, perché educare è una forma di intervento sul mondo e «gli insegnanti e gli educatori devono saper ascoltare ed essere disponibili al dialogo riconoscendo che l’educazione è ideologica prendendo posizione sulle questioni importanti». Senza dubbio l’educazione dei bambini, soprattutto dei più piccoli, è stata molto migliorata, anche se tuttora rimane confrontata con nuove sfide. A questo riguardo va segnalata la seguente riflessione di Loris Malaguzzi (1995a, 1971): se l’educazione è movimento, è movimento continuo. I movimenti e i mutamenti sono successi perché tanti teorici e pensatori hanno condotto approfondimenti e hanno fornito il loro supporto all’incremento del rispetto al bambino nell’ottica della libertà, della partecipazione e della solidarietà.
I diritti dell’infanzia in Brasile
Quando si fa riferimento al Brasile, è indispensabile considerare che questo Paese immenso, con una Costituzione federale recente, ha conosciuto esperienze diversificate nei singoli Stati. Sul territorio si riscontrano problemi di forte emarginazione e situazioni di eccellenza, con ritardi notevoli e realizzazioni avanzate: una di queste è la legislazione sui diritti dell’infanzia. Tra i diversi riferimenti possiamo citare, ad esempio, la Carta Magna (1988), lo Statuto del bambino e dell’adolescente (1990) e la Convenzione sui diritti dell’infanzia (1990), approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 20 novembre 1989, e ratificata dal Brasile nel mese di settembre 1990 (e dall’Italia nel mese di maggio 1991).
Torna opportuno segnalare il percorso avanzato compiuto recentemente dal Brasile per riscattare il suo passato. Infatti, il Paese tra il 1964 e il 1985 conobbe l’instaurazione di una dittatura, un triste periodo di oppressione e terrorismo. Un gruppo di militari assunse il potere, soppresse il governo eletto democraticamente. Durante questi 21 anni i militari hanno imposto gravi restrizioni alla libertà dei cittadini e attuarono forme dure di censura nei confronti degli oppositori. Finita la dittatura, il Brasile è stato sostenuto da una forte ripresa, basata sulla cosiddetta “nuova democratizzazione”, che ha portato all’approvazione di una nuova Costituzione federale, molto innovativa e moderna, varata nel 1988. Alla sua stesura hanno dato il loro contributo i rappresentanti dei movimenti sociali più significativi, tra di essi vanno segnalati: i movimenti dei neri, delle donne, dei sindacati e, in particolare, il movimento dell’infanzia.
Nella parte, dedicata dal testo costituzionale ai diritti dell’infanzia, due articoli assumono un grande rilievo. L’articolo 205 stabilisce che è responsabilità dello Stato garantire un sistema educativo pubblico, gratuito, laico, democratico e di qualità attraverso l’offerta di nidi e scuole dell’infanzia ai bambini da 0 fino all’età di 6 anni. Un successivo emendamento costituzionale ha disciplinato il riordino del servizio educativo per l’infanzia e ha disposto l’obbligatorietà dell’ingresso a scuola a partire dai 4 anni fino ai 16 anni. A sua volta, l’articolo 227 della Costituzione ha stabilito che è dovere della famiglia, della società e dello Stato assicurare ai minori un’assoluta priorità.
Entrambi gli articoli furono elaborati a seguito di una proposta della società civile e delle istituzioni pubbliche: in particolare, la richiesta di inserimento di detto articolo fu firmato da 1 milione e 400mila persone (tra adulti, giovani, ragazzi e bambini). Quest’iniziativa ha potuto contare sul convinto sostegno del “Movimento nazionale dei ragazzi e delle ragazze di strada” (1982), che dopo è diventato una stabile organizzazione sociale a carattere indipendente e ha promosso convegni, a livello nazionale e regionale, al fine di garantire nella maniera più ampia i diritti dei bambini. Pertanto, ben si comprende perché l’infanzia abbia acquisito una posizione di assoluto rilievo nella vigente Costituzione federale, dal momento che si configura come una generazione fondamentale per l’organizzazione e lo sviluppo del Paese. Ciò ha avuto il dovuto risalto nelle elaborazioni teoriche degli esperti (non solo brasiliani) nonché nell’azione dei politici e delle strutture pubbliche.
I diritti dell’infanzia in Italia
L’Italia, così come il Brasile, ha conosciuto un interessante percorso sui temi dei diritti dell’infanzia. Dopo la guerra, durante la fase costituente della Repubblica italiana, fu notevole l’apertura culturale, frutto dell’incrocio tra le correnti di pensiero cattolica, laica e social-comunista, che portò al varo di una Costituzione moderna, entrata in vigore nel 1948: essa si occupa di aspetti connessi ai diritti dell’individuo e all’educazione dei minori, che prevedono relativi impegni posti in capo alla famiglia e allo Stato. Sebbene la Costituzione italiana non impieghi la parola “bambino” nel suo testo, due articoli dei “Principi fondamentali” (art. 2 e 3) mirano a riconoscere il diritto inviolabile dell’individuo (adulto, giovane, anziano, ragazzi e bambino), e a garantire la pari dignità sociale senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politiche, di condizione personali e sociali.
Il Titolo II (Rapporti etico-sociali) della Costituzione definisce i diritti dedicati all’educazione dei bambini. La salute e l’educazione sono diritti gratuiti assicurati a tutti. Lo Stato deve proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo l’operatività degli istituti necessari a tale scopo. La scuola è formalizzata come un diritto di tutti e resa obbligatoria per almeno 8 anni (art. 34): gli anni sono stati portati a 10 da legge di 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 622 [7].
Uno sguardo congiunto ai due Paesi
È singolare il percorso storico del Brasile e dell’Italia nel processo d’implementazione di un servizio educativo a copertura delle necessità dei bambini dalla nascita ai 6 anni. In entrambi i Paesi il processo non è stato sempre graduale e progressivo, ma, come avviene nei moti ondosi, il suo sviluppo ha conosciuto fasi di consolidamento e altri meno dinamici. Originariamente la competenza del servizio educativo in ambedue i Paesi era dell’area socio-educativa, dell’istruzione o dei servizi sociali: nel 1996, in Brasile, e nel 2017, in Italia, la competenza è stata trasferita in esclusiva l’area educativa.
In Brasile la struttura organizzativa del servizio per l’infanzia è ripartita tra nido (per i bambini da 0 sotto i 3 anni) e scuola dell’infanzia (per i bambini tra i 4 e 5 anni di età). Per quanto riguarda l’Italia, sono diversi tipi di servizi educativi disponibili per i bambini sotto i 3 anni e dai 3 ai 6 anni. Secondo gli “’Orientamenti educativi nazionali per i servizi educativi per l’infanzia” (2017) e sulla base delle scelte culturali oppure delle esigenze organizzative, i bambini da 0 a 3 anni possono sperimentare un’accoglienza differenziata:
a) il nido (senza il termine “asilo”, evocativo di un servizio rivolto all’assistenza di persone in difficoltà), un micronido di dimensioni più ridotte per bambini fin dai tre mesi di età;
b) la sezione primavera, per i bambini tra i 24 e i 36 mesi di età, che garantisce a loro un’esperienza di socialità e apprendimento fuori dal contesto familiare;
c) gli spazi gioco, per i bambini a partire di 12 mesi di età, che offrono un’esperienza educativa e di socialità, connotata soprattutto dalla dimensione ludica;
d) i centri per bambini e famiglie, che accolgono i bambini insieme a un familiare adulto e offrono momenti di gioco e di socialità;
e) nei servizi educativi in contesto domiciliare, realizzati quando un educatore, nel proprio domicilio, accoglie in modo continuativo alcuni bambini;
f) la scuola dell’infanzia, per i bambini da 3 ai 6 anni di età, che si configura come il primo segmento del percorso scolastico.
Fin qui, abbiamo proposto una riflessione sull’evoluzione della mentalità sociale, sugli ordinamenti educativi che in Brasile e in Italia si sono occupati dei diritti dei bambini e quindi abbiamo riferito sommariamente sulla conseguente programmazione dei servizi educativi. Per completare il quadro ci soffermiamo ora su alcuni autori che sono segnalati in questo settore e anche per noi hanno costituito un riferimento.
Alcune figure di riferimento in Italia e in Brasile
Queste riflessioni s’ispirano ad alcune figure di grande rilievo, che influirono sul piano pedagogico e operativo in Brasile e in Italia. Nel presentarli abbiamo ritenuto opportuno ricostruire il loro percorso, gli aspetti precipui del loro pensiero e l’influsso esercitato nella particolare fase storica in cui sono vissuti. Queste figure rilevanti favorirono un’impostazione molto innovativa e richiamarono l’attenzione dei politici, degli amministratori e dell’opinione pubblica, suscitando fruttuosi stimoli operativi e anche dei forti contrasti.
Gli autori italiani
Le tre figure scelte per l’Italia, molto diverse tra di loro, sono accomunate da un notevole spirito d’iniziativa e dalla capacità d’innovazione educativa. Maria Montessori, nata nel XIX secolo, fu l’antesignana della moderna pedagogia dei bambini, in ciò sostenuta da una complessa formazione di natura medico-psicologica-filosofica e corroborata da un attento confronto a livello internazionale. Loris Malaguzzi, diventato maggiorenne allo scoppio della Seconda Guerra mondiale, si preparò per operare come insegnante e come tale iniziò il suo percorso, per poi essere incaricato dalla Regione Emilia Romagna, in ragione della sua avanzata sperimentazione sociale, d’inserire operativamente in rete le sue esperienze pedagogiche (prese come un esempio anche all’estero) e, così facendo, influì anche sull’evoluzione del sistema educativo italiano.
A questi due pedagogisti laici abbiamo affiancato la figura di un prete: don Lorenzo Milani, diventato figura di assoluto rilievo nei primi decenni dell’ultimo dopoguerra e non solo in ambito cattolico. La sua pedagogia, praticata tra i minori, figli dei contadini, che vivevano una dura vita di emarginazione in un remoto villaggio rurale in Toscana, non derivava da precedenti studi o esperienze pedagogiche, bensì da una traduzione intuitiva dei grandi valori sociali in una coerente operatività formativa. Per più di un decennio questi grandi rappresentanti dell’impegno educativo convissero nell’Italia del secondo dopoguerra. Si può supporre che Malaguzzi, formatosi in ambito pedagogico, conoscesse il precedente cammino della Montessori, mentre don Milani, così come fecero altre figure cattoliche di spicco, riuscì a conferire una particolare enfasi a diverse implicazioni contenute in quello straordinario evento che fu il Concilio Vaticano II (1962-1965).
Maria Montessori (1870-1952) [8]
Maria Montessori, valendosi anche dei risultati degli studi fisiologici del francese Jean Itard, evidenziò l’importanza di non trascurare i sensi e d’incentivare la partecipazione dei bambini nell’apprendimento, tenendo conto del loro ritmo e del loro sviluppo: questa fu un’innovazione radicale rispetto all’impostazione del passato. La pianificazione montessoriana, da principio recepita dal regime fascista come un vanto della “italianità”, ben presto non fu ritenuta consona all’esclusiva educativa pretesa dal fascismo, per cui le sue iniziative non furono più sostenute in Italia e la pedagogista costretta a trasferirsi all’estero.
Maria ebbe una vita protesa verso il conseguimento di grandi obbiettivi e operò con coraggio e spirito innovativo. Nacque a Chiaravalle, in provincia di Ancona, da una famiglia borghese che poi si trasferì a Roma. Andando contro corrente quando scelse di diventare medico (una professione assolutamente insolita per una donna), decise di specializzarsi in neuropsichiatria: diversi aspetti di questa disciplina furono da lei ripresi nel suo metodo educativo. Maria fu attiva presso diversi ospedali romani. Diventò assistente universitaria e si occupò dei bambini con problemi psichici, anche in collegamento con la scuola francese sull’educazione dei ragazzi ribelli, interessata alle prospettive di un loro inserimento nella comunità dei bambini.
Legata sentimentalmente a un collega, con il quale studiava i bambini con disabilità intellettiva, ebbe da lui un figlio, che partorì lontano da Roma e fece allevare di nascosto: lo prese a casa con sé, dopo la morte di sua madre, quando già aveva 14 anni, facendolo passare come suo nipote. Il compagno, contrariamente alle sue attese, sposò un’altra donna e ciò ferì profondamente Maria. Coraggiosa e aperta al futuro, sostenne l’emancipazione delle donne e partecipò come relatrice a diversi convegni internazionali.
Nel 1889 s’iscrisse alla Società teosofica e ne trasse ispirazione. Nel 1904 conseguì la libera docenza di antropologia e si occupò dell’organizzazione educativa degli asili. Nel 1907 aprì nel quartiere romano di San Lorenzo la Casa dei Bambini e tenne per i maestri il primo corso di formazione all’utilizzo del suo metodo. La sua innovativa impostazione pedagogica iniziava a essere conosciuta e apprezzata non solo in Italia. Arrivata negli Stati Uniti, il New York Tribune la presentò come “la donna europea più importante”.
Dopo la Prima Guerra mondiale, la sua attività riprese e l’Opera nazionale Montessori fu riconosciuta, nel 1924, come Ente morale ed ebbe Mussolini come presidente onorario. I buoni rapporti con il regime fascista non erano destinati a durare per la non adeguata “italianità” della sua attività (in precedenza ritenuta un vanto) e negli anni ’30 furono soppresse tutte le attività montessoriane. Non mancarono critiche a Maria, peraltro non propensa alle polemiche, alimentate sia da sinistra (ritenuta troppo vicina alle classi alte), sia in ambito moderato ai filosofi Croce e Gentile (ritenuta troppo sbilanciata a favore della dimensione scientifica), sia in ambito scientifico dai pedagogisti (sospettata di aver plagiato idee altrui).
Maria lasciò l’Italia nel 1934 e diffuse il suo metodo all’estero, trattenendosi anche in India con suo figlio. Negli Stati Uniti, durante gli anni del Secondo conflitto mondiale, fu sottoposta all’internamento (misura adottata nei confronti delle persone ritenute vicine al fascismo) presso la sede della Società teosofica in quanto cittadina di un Paese nemico. Quando ritornò in Italia, nel 1947, venne ricevuta in Parlamento da rappresentanti della Costituente e fu invitata dal Governo a ristabilire l’Opera Montessori. Maria morì nel 1951 a Norwijk, in Olanda, dove si era temporaneamente trasferita presso amici. Nella lapide della sua tomba si legge il testo, da lei scritto: “Io prego i cari bambini, che possono tutto, di unirsi a me per la pace negli uomini e nel mondo”.
Riuscì a rovesciare la concezione tradizionale e considerò il bambino come un essere completo, capace di sviluppare dall’interno energie creative: questo filone proficuo fu ripreso da altri fino ai nostri giorni. L’impostazione pedagogica di Maria Montessori diede inizio al superamento di molte regole dell’educazione. La sua grande capacità di osservazione la portò a tenere conto anche degli accorgimenti provenienti dallo studio dei piccoli con problemi psichici e intellettuali. Di seguito riportiamo alcune delle sue testuali affermazioni.
Il bambino va scoperto nella sua autenticità e la “Casa dei Bambini” non fu pensata a misura di adulto. La libertà è il principio fondamentale perché favorisce la creatività e, inoltre, dal lavoro libero deriva la disciplina. Assecondando l’interesse al movimento e con sostegno della maestra, le facoltà psichiche vanno di pari passo e lo aiutano a dirigere la sua volontà e a diventare disciplinato. La sua autonomia va incoraggiata. Il periodo infantile è un periodo di enorme creatività, durante il quale il bambino comprende le caratteristiche dell’ambiente circostante. Dallo sviluppo sensoriale deriva l’educazione cosmica, la quale si propone di far capire che ogni cosa è collegata alle altre e ha il suo posto nell’universo. Il bambino è indirizzato all’amore per la vita, così come è portato a sentirsi parte dell’universo. La musica, fondamentale nel contesto di una formazione integrale, aumenta la capacità di concentrazione e favorisce l’ordine interiore e l’equilibrio del bambino.
Don Lorenzo Milani (1923-1967) [9]
Questo sacerdote morì due anni dopo la chiusura del Concilio Vaticano II, di cui per alcuni aspetti fu anticipatore con le sue proposte sia a livello ecclesiale che sociale. Don Milani, di famiglia agiata, era di origine ebrea per via della madre, cugina di Edoardo Weiss, colui che introdusse la psicanalisi in Italia. I suoi genitori, agnostici e anticlericali, si trasferirono da Trieste a Milano e poi a Firenze. Lorenzo, interessato alla pittura, dopo l’esame di maturità s’iscrisse all’Accademia d’arte di Brera ma, nel 1943, si convertì al cattolicesimo, entrò in seminario e diventò sacerdote.
Intelligente, istruito e poliglotta era portato all’approfondimento personale. S’impegnò molto nello svolgimento degli incarichi a lui affidati, anche ponendosi in contrasto con le impostazioni della Curia diocesana. Durante la sua permanenza presso la parrocchia di San Donato di Calenzano, la passione per l’equità sociale lo portò a occuparsi degli operai tramite una scuola popolare. Pubblicò, al riguardo, le sue considerazioni nel libro Esperienze pastorali (1958), un volume anticonformista che, seppure inizialmente uscito coll’autorizzazione ecclesiastica, suscitò un vivace dibattito e fu presto messo all’indice.
La Curia diocesana confinò don Lorenzo come priore dello sperduto e minuscolo borgo rurale di Barbiana, ma questo prete scomodo riuscì a farlo diventare un punto di riferimento nazionale. Suscitò, infatti, una grande attrazione il suo originale tentativo di superare l’emarginazione dei poveri attraverso l’istruzione dei loro figli. Questo tentativo si tradusse nel libro Lettera a una professoressa (1967), che scosse profondamente l’Italia e il suo sistema educativo, e portò l’opinione pubblica a dividersi in due fazioni, la prima entusiasta e l’altra nettamente opposta alle sue idee.
La passione di don Lorenzo per i grandi valori morali si era fatta sentire con grande clamore quando, anni prima, si pronunciò contro l’obbligatorietà del servizio militare e difese l’obiezione di coscienza con il suo celebre scritto L’obbedienza non è più una virtù (1965), che gli procurò una denuncia e un processo penale, ancora in corso al momento della sua morte. A ispirare il suo impegno educativo furono i grandi valori, quali l’amore, la giustizia, l’equità, l’uguaglianza, la condivisione, la democrazia, che egli praticò e con la massima coerenza tradusse nella sua metodologia formativa. I ragazzi furono considerati, più che soggetti da istruire, protagonisti da sostenere nel loro cammino verso l’inserimento nella società.
La scuola e la parola furono per don Lorenzo Milani un obbligo assoluto, utilizzate per inserire i ragazzi nella società. Egli fu uno straordinario formatore dei suoi allievi, ma non un esperto di pedagogia in senso classico: realizzò d’istinto il suo metodo d’intervento, che derivava dalla sua sensibilità umana e cristiana ai grandi valori che stanno alla base della convivenza sociale.
Per essere educatore ritenne di dover avere le idee chiare sui problemi sociali e politici e di essere arso dall’ansia di elevare il povero a un livello superiore. Perciò, dedicarsi al prossimo, conoscere i ragazzi e amare la politica fu tutt’uno: «Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali», questa una sua massima. Era pienamente convinto che l’uguaglianza dovesse essere riferita alla parola e alla cultura e su questa convinzione fondava l’importanza della scuola, il vero bene della classe operaia. Nel suo pensiero la scuola che seleziona distrugge la cultura, ai poveri toglie il mezzo d’espressione e ai ricchi toglie la conoscenza delle cose. La parola è la chiave che apre ogni porta. Quindi, per don Milani bisognava indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani.
La scuola di Barbiana era mista, a tempo pieno, chiamata a riflettere sui problemi sociali e sulle diverse posizioni attraverso la lettura dei giornali, attenta alle esigenze di giustizia e solidarietà, impegnata nel lavoro di gruppo con la scrittura collettiva. La scuola di Barbiana era anche quanto mai inclusiva, perché i ragazzi più dotati dovevano aiutare quelli che lo erano di meno, evitando così che restassero indietro nell’apprendimento. Gli allievi furono stimolati a porre le loro domande, anche scomode, agli ospiti che venivano a trovarli.
Nel 1958 don Milani così scrisse sull’Esperienze pastorali, riferendosi ai giovani: «Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini, cui ho fatto scuola. Io ho insegnato loro soltanto a esprimersi, mentre loro mi hanno insegnato a vivere». Il suo esempio convinse della necessità di riformare il sistema scolastico e incoraggiò una miriade di iniziative di base, in Italia e anche tra gli italiani all’estero [10].
Loris Malaguzzi (1920-1994)[11]
Nacque a Correggio, crebbe a Reggio Emilia, si laureò in pedagogia a Urbino e si interessò anche al teatro, al cinema, all’arte e alla politica (era iscritto al Partito Comunista Italiano). Operò come insegnante della scuola elementare e media e, nel dopoguerra, fu collaboratore dei giornali “Progresso d’Italia” e “L’Unità”. Ebbe esperienze diverse nel campo educativo. Oltre a essere stato insegnante, realizzò e gestì una scuola per i bambini, fu direttore delle scuole create dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e dal Ministero del Lavoro per consentire agli ex combattenti partigiani tra i 16 e 24 anni d’imparare un mestiere; partecipò agli incontri internazionali di pedagoghi europei; vide crescere nelle campagne reggiane le esperienze educative autogestita dall’Unione Donne Italiane; si dedicò alla psicologia; fu fondatore del Centro Medico Psico-pedagogico comunale di Reggio Emilia e consulente pedagogico delle scuole dell’infanzia di Modena (Reggio Emilia Approach, 2022). La sua esperienza sul campo fu quindi quanto mai ampia. La sua variegata formazione continuò ad alimentarsi a Reggio Emilia grazie ai contatti con numerosi ricercatori, pedagoghi, insegnanti e i Consigli di gestione dei nidi e delle scuole dell’infanzia.
Nel 1980 Malaguzzi fondò in Reggio Emilia il Gruppo nazionale nidi e infanzia (fu presidente fino al 1994), che si costituì come una rete per il coordinamento, lo scambio e l’impulso alle esperienze educative. Un’esperienza che condusse con i pedagogisti, gli insegnanti, gli atelieristi, i cuochi, il personale ausiliario e i genitori. Dopo la morte, la sua impostazione continuò ad alimentare l’azione di quanti si adoperavano per la difesa e la promozione dei diritti e delle potenzialità dei bambini.
La pedagogia di Malaguzzi è imperniata sull’ascolto del linguaggio dei bambini, seguendoli nei loro giochi. In essa si tiene conto che i bambini, già al nascere, sono avidi di sentirsi parte del mondo. Si tratta di sentirsi parte del mondo, «di utilizzare attivamente una complessa (e non del tutto ancora avvalorata) rete di capacità e di apprendimento e di organizzare relazioni e mappe di orientamento personale, interpersonale, sociale, cognitivo, affettivo e persino simbolico» (Malaguzzi, 1995b: 8).
Malaguzzi osservò attentamente come i bambini giocano, apprendono e si sviluppano. Il loro apprendimento non va spiegato come un effetto automatico dell’insegnamento ma, al contrario, deve essere considerato in gran parte dovuto alle loro stesse attività e alle risorse di cui sono dotati. Essi non sono soggetti passivi nel processo di comprensione e nella costruzione del sapere, bensì attivi protagonisti, da considerare competenti, capaci nell’organizzazione la loro vita, in grado di partecipare alle scelte e meritevoli di rispetto. L’educazione non è un compito da svolgere in fretta, è necessario dare tempo ai bambini per riuscire a prendere in considerazione la loro possibilità. La scuola è chiamata a operare anche attraverso la cura del senso estetico, il conoscere e che si sviluppa nei laboratori, indispensabili per muovere “il fare” dei piccoli.
Malaguzzi capì la necessità di assicurare un ambiente in cui i bambini, le famiglie e gli insegnanti si trovassero a loro agio. Gli educatori sono chiamati a favorire l’associazione tra il giocare, gli esercizi creativi e le esperienze individuali. Lui ha contribuito con le sue idee e la sua pratica a far sì che le scuole diventassero luoghi di sperimentazione e innovazione.
Gli autori brasiliani
Per quanto riguarda il Brasile, abbiamo scelto come figure rappresentative i pionieri che hanno aperto i percorsi di una nuova concezione educativa. Anísio Teixeira ebbe una vita completamente dedicata all’educazione. Se oggi nel Brasile c’è una scuola pubblica (con ben precise caratteristiche: gratuita, mista, laica e obbligatoria), questo è in larga misura dovuto al suo impegno politico e sociale. Purtroppo quest’obiettivo fu raggiunto quando lui era già morto. Con lui bisogna ricordare, come faremo, anche gli esperti che nel 1932 firmarono il “Manifesto dei Pionieri della Nuova Educazione”.
La carioca Heloísa Marinho fece parte del gruppo di ricercatori che facevano capo a Teixeira. Curò gli approfondimenti riguardanti la formazione degli insegnanti dei nidi e delle scuole dell’infanzia. Fu un’educatrice che non inquadrava le persone sulla base della classe e del sesso. Paulo Freire, pur avendo lanciato il grande progetto dell’alfabetizzazione in Brasile, ancora non è ricordato come si dovrebbe, probabilmente perché fu divisivo, avendo insistito su una lettura politica della realtà e su una metodologia determinata dalla relazione tra la teoria epistemologica e le esperienze.
Queste tre grandi figure, con la loro pedagogia critica e appassionata, praticarono un’educazione democratica, tesa alla liberazione delle persone emarginate e, anche, invisibili. Il loro pensiero sui temi dell’educazione (e, in questo saggio, in particolare dell’infanzia) costituisce una fonte d’ispirazione preziosa a livello di idee e di pratica. Per rendersi conto della grande passione democratica e la profonda tensione all’uguaglianza che in essi si riscontra vogliamo ricordare che dopo la Seconda guerra mondiale, in Brasile, tra mille bambini in età scolare solo duecento erano iscritti alla scuola, e tra di essi solo 30 finivano l’elementare, 7 proseguivano al liceo e solo 2 arrivavano all’università.
Anísio Teixeira (1900-1971) [12]
Figlio di Deocleciano Pires Teixeira, medico e fazendeiro, e di Anna Spínola Teixeira, nacque all’inizio del Novecento, a Caetité, in una famiglia dell’alta società terriera nello Stato di Bahia. Fino alla scuola secondaria studiò presso i padri gesuiti a Caetitè e dopo a Salvador, per poi conseguire la laurea in diritto presso l’Università di Rio de Janeiro (1922). Negli Stati Uniti frequentò il Master of Arts nel Teachers College dell’Università di Columbia (1929) e conobbe, subendone l’influenza, la filosofia e la pedagogia dell’americano John Dewey. Da Emilia Telles Ferreira, sposato nel 1932, ebbe 4 figli.
Anísio Teixeira, saldamente ancorato alle sue idee democratiche, operò inizialmente come ispettore generale della pubblica istruzione dello Stato di Bahia, dove, tra il 1924 e il 1929, dopo un viaggio fatto in Europa per conoscere l’orientamento dei servizi educativi in Italia, Spagna, Francia e Belgio, propose un progetto di riforma nell’educazione, sostenendo che la stessa dovesse essere a tempo pieno e fosse chiamata a sviluppare negli alunni le qualità morali, intellettuali, civiche e pratiche. Purtroppo il governo baiano rifiutò la sua proposta e Teixeira si dimise dall’incarico di ispettore generale per insegnare presso la Scuola Normale di Salvador.
Nel 1930 pubblicò l’opera Vida e educação, un libro ispirato alle idee di Dewey. Nel 1931 fu invitato ad assumere l’incarico di Direttore dell’istruzione pubblica del Distretto Federale di Rio de Janeiro, allora capitale del Brasile. Egli accettò questo posto di prestigio nell’ambito dell’educazione. Con un gruppo d’intellettuali ed educatori, di cui facevano parte, ad esempio, Lourenço Filho e Fernando Azevedo (protagonisti di riforme nell’educazione pubblica in diversi Stati del Paese), sottoscrisse il “Manifesto dei pionieri della nuova educazione”. Quindi, propose la ristrutturazione dell’educazione della città di Rio de Janeiro, creò l’Istituto d’Educazione (un liceo per la formazione degli insegnanti) e l’Università del Distretto Federale (con i corsi di giurisprudenza, medicina, ingegneria, educazione, scienze e lettere).
È importante segnalare che gli anni ’30 furono una fase di grande effervescenza e anche cambiamenti nella scena politica ed economica brasiliana, con la fine della precedente Repubblica, il colpo di stato dei militari e l’assunzione del potere da parte di Getulio Vargas. Con il Levante Comunista nel 1935 (una rivolta armata contro il governo federale), Vargas, sostenuto dalla borghesia, diede l’avvio a un nuovo Stato e istituì il Ministero dell’educazione e della salute, unificando il sistema dell’educazione pubblica a livello federale. All’inizio Teixeira fu considerato un oppositore del regime e fu arrestato. La sua Università, considerata sovversiva, fu chiusa. Uscito dal carcere, Texeira si ritirò dalla vita pubblica e ritornò a Caetité.
Accettò nuovamente un incarico pubblico durante il governo di Gaspar Dutra (1946-1951) e divenne responsabile dell’Amministrazione generale del perfezionamento del personale a livello superiore (diventata dopo l’agenzia di Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior – CAPES) e anche responsabile dell’Istituto Nazionale di Studi Pedagogici e del Centro di Ricerca dell’Educazione, strutture tuttora operanti. Negli anni ’50 collaborò per la riforma della legge di orientamento dell’educazione brasiliana, Teixeira, con il suo saggio Educação não è privilegio (1957), fece conoscere la sua opposizione ai docenti delle scuole cattoliche e delle altre scuole private, senza però vedere sancita a livello pubblico la nascita della scuola pubblica come desiderava.
Con la costruzione di Brasilia, poi diventata capitale del Paese, il presidente Juscelino Kubitschek invitò Texeira e Darcy Ribeiro [13] a fondare e presiedere l’Università di quella città, ma nel 1964 intervenne un nuovo colpo di stato ed egli fu rimosso dall’incarico e nuovamente arrestato. Si trasferì negli Stati Uniti, dove insegnò nelle Università di Columbia, California e Nuova York. Ritornato in Brasile, nel 1966, pubblicò diversi libri e scrisse articoli sui temi dell’educazione sulla democrazia (Nunes, 2000).
L’11 marzo 1971, quando ancora perdurava il regime militare, a Rio de Janeiro, il corpo di Teixeira fu trovato senza vita nella tromba dell’ascensore del palazzo dove abitava, una morte davvero indecifrabile.
Come ha scritto Nunes (2000), Anísio Teixeira pagò a caro prezzo la sua lotta per ottenere che l’educazione non fosse un privilegio. Il punto centrale del suo pensiero consisteva nel considerare l’educazione come un diritto sociale, da realizzare a livello pubblico con la più ampia apertura a tutti e attenta ai problemi sociali, economici e politici. Il suo obiettivo era un’educazione che congiungesse scienza (aperta a tutti i settori della società) e democrazia (la forma stessa della convivenza).
Nel corso della sua vita approfondì i diversi temi legati al complesso obiettivo della formazione pubblica: l’investimento all’accesso aperto a tutti (dall’infanzia al fino all’università), aspetti formativi, organizzativi e, non da ultimo, formazione degli insegnanti (anche con i corsi post lauream l’insistenza sugli obiettivi qualitativi). Non fu solo un esperto ma anche un militante. Utilizzò tutta la vita per realizzare gli ideali approfonditi nei suoi studi. La scuola, da lui proposta, era nuova, culturalmente non riduttiva, progressista, con un carattere unificante, fondata sulla simbiosi di tutte le dimensioni implicate (materiali, morali e intellettuali).
Egli creò la Scuola Parco nel quartiere povero (Liberdade) a Salvador di Bahia. Questa esperienza pilota fu pensata in vista di una sua generalizzazione in tutto il Paese. Il modello di questa scuola era semi-integrale (come suggerito da Dewey), dove i bambini potevano trascorrere una parte della giornata, svolgendo attività manuali, artigianali, artistiche, fisiche e socializzanti. L’altra parte della giornata era dedicata all’insegnamento delle scienze e ad altri impegni: fisica, lettura, scrittura e aritmetica. Degli studenti era sollecitata la partecipazione alle diverse attività, anche in forme differenziate.
Teixeira credeva che attraverso questa esperienza educativa gli studenti si sarebbero avvicinati a quello che poi avrebbero conosciuto nella società, acquisendo e sviluppando la capacità di osservare e immaginare, conoscere e progettare.
Heloísa Marinho (1903-1994)[14]
Questa educatrice, psicologa e filosofa, era figlia di João Marinho, medico carioca, e di Cecília do Val Marinho, paulista, appartenente a una famiglia di grandi produttori di caffè. Nacque a San Paolo ma si spostò al Rio de Janeiro già da piccola, prima nella città di Petropólis e dopo nella capitale. Nel 1923, concluso il corso per diventare insegnante elementare, andò negli Stati Uniti e frequentò l’Università a Chicago, dove si specializzò in filosofia e psicologia. Dopo, presso questa stessa università, conseguì il dottorato in psicologia dell’educazione.
In Brasile operò, sia come ricercatrice sullo sviluppo del bambino, sia come formatrice di diverse generazioni d’insegnanti presso il liceo Bennet (fondato nel 1920 a supporto dei missionari protestanti statunitensi) e presso l’Istituto dell’Educazione di Rio de Janeiro (fondato nel periodo imperiale e ancora oggi importante nello scenario dell’educazione carioca). Marinho lavorò in questo istituto tra gli anni ’30 e ’70 e fu una pioniera nella formazione degli insegnanti di scuola dell’infanzia, oltre a occuparsi del corso di alfabetizzazione e pedagogia speciale. Pubblicò diversi articoli, tra i quali, fu di notevole spessore Il linguaggio nella formazione del sé (1935) e Vita ed educazione nel giardino d’infanzia (1952). Partecipò attivamente al gruppo costituito da Anísio Teixeira, Lourenço Filho e Fernando de Azevedo, anche loro educatori d’avanguardia. La sua dedizione all’educazione dei bambini la portò a fondare e coordinare, insieme a Lourenço Filho, il Centro di studio del bambino e, dopo, il Centro di ricerca Helena Antipoff [15].
Fu una donna moderna con posizioni più avanzate rispetto all’ambiente del suo tempo. Auspicò che la formazione delle insegnanti della scuola dell’infanzia si configurasse come un corso di studio universitario, ma questo suo sogno si realizzò con ritardo perché l’apposita legge fu approvata solo nel 2009, 15 anni dopo la sua morte.
Su Marinho esercitò una grande influenza la Scuola di Chicago, il Movimento dell’educazione nuova e la psicologia storico-culturale sovietica. Nell’Università di Chicago, Heloisa conobbe la teoria e la pratica del pedagogista tedesco Friedrich Fröebel, sostenitore dello sviluppo dei bambini in stretta unione con la natura e il gioco, e congiungendo il loro interesse alle attività significative. Essendo l’atto pedagogico fondamentalmente intrinseco al linguaggio e all’azione dei bambini, questi dovevano essere lasciati liberi di svolgere le attività e curare gli interessi a loro piacimento: ad esempio, facendo scarabocchi, giocando con le costruzioni e ricorrendo alla drammatizzazione spontanea. In tal modo le insegnanti (più numerose tra le persone addette all’educazione dei piccoli) erano sollecitate a osservare, ricercare e dare un fondamento scientifico alle attività formative, a partire dell’azione dei bambini.
La formazione dell’insegnante, pietra angolare della pedagogia di Marinho, fu proposta nei gruppi di discussione e di studio e costituì la base della riflessione teorica. Heloisa s’impegnò nell’elaborazione di una teoria dedicata allo sviluppo e all’apprendimento dei bambini, e ugualmente dedicò una grande attenzione ai problemi di classe sociale e etnico-razziali. A suo avviso la preparazione delle educatrici dell’infanzia doveva tenere conto delle diverse età dei bambini e delle diverse classi sociali. Lei disapprovò la formazione docente che veniva curata senza la presenza dei bambini, perché in tal modo mancava il rapporto con il contesto della vita reale e con la famiglia. L’educazione non deve mai essere una trasmissione di ricette, attenendosi esclusivamente a metodi non associati ai contenuti e all’effettivo svolgimento del processo educativo. I bambini nella loro concreta realtà sono diversi e la pratica pedagogica, secondo Heloisa, doveva essere “condita” con le loro condizioni fisiche, cognitive e sociali (Leite Filho, 2011).
Paulo Freire (1921-1997) [16]
Il 19 settembre 2021 è stato celebrato il centenario della nascita di Paulo Freire, un nordestino, nato a Jaboatão dos Guararapes, una piccola città vicina a Recife, capoluogo di Pernambuco. La sua famiglia apparteneva alla borghesia medio-piccola. Suo padre faceva parte della polizia di stato, mentre sua madre non svolse un lavoro professionale, si curò della famiglia, senza trascurare la sua bravura nel lavoro di ricamo e la sua passione per il pianoforte. Presto in famiglia sopravvenne la povertà come conseguenza della crisi della Grande depressione e delle ingiustizie sociali, per giunta con l’aggravante derivante dalle conseguenze della guerra fredda e della decolonizzazione.
La privazione vissuta nell’infanzia segnò profondamente la visione politica di Freire e il suo lavoro come educatore. Quando le condizioni finanziarie della famiglia migliorarono, egli poté seguire una formazione giuridica presso l’Università Federale di Pernambuco, completata con gli studi della filosofia e della psicologia del linguaggio. Pur laureatosi in giurisprudenza, diventò professore di portoghese in una scuola secondaria. Inizialmente esercitò sua attività in sintonia con i sindacati, nell’ambito del diritto del lavoro, e affrontò anche la questione dal Servizio Sociale.
Negli anni 40 divenne professore nella Università Federale di Recife (adesso Università Federale di Pernambuco), dove fu nominato direttore del Dipartimento per la diffusione dei progetti culturali negli ambiti esterni all’istituzione. Diede così inizio alle sue esperienze di alfabetizzazione degli adulti. Nel circolo della cultura, previsto dal suo metodo, gli studenti della classe popolare (contadini e lavoratori) erano inseriti e partecipi. Quando nel 1964 il Brasile subì il golpe con l’instaurazione della dittatura militare, Freire per 72 giorni finì in galera e, scarcerato, andò in esilio prima in Cile e dopo negli Stati Uniti, in Svizzera e negli Stati africani ex colonie portoghesi: Guinea Bissau e Mozambico.
In esilio, tra il 1964 e il 1980, scrisse opere importanti: L’educazione come pratica della libertà (1967), La pedagogia degli oppressi (1968), Pedagogia in cammino. Lettere dalla Guinea-Bissau” (1977) e Teoria e pratica della liberazione (1979). Come evidenziato da Fiorucci (2021: 6), Freire tiene in stretto rapporto educazione e politica, perché educare «è una forma di intervento sul mondo. Gli insegnanti e gli educatori devono saper ascoltare ed essere disponibili al dialogo riconoscendo che l’educazione è ideologica, prendendo posizione sulle questioni importanti».
Paulo Freire con il suo metodo richiamò l’attenzione dei governi locali e di quello federale. Il presidente João Goulart (1961-1964) lo invitò a organizzare un piano nazionale di alfabetizzazione degli adulti. È importante riportare che in quella fase storica il diritto al voto era garantito a chi possedeva un certo livello d’istruzione. Freire formulò una proposta di alfabetizzazione imperniata sul dualismo che esprime la realtà: “oppressione versus liberazione”. Con una sua famosa frase, Freire spiegò che non basta saper leggere “Eva vide l’uva”: è anche necessario che Eva riconosca la sua posizione nel contesto sociale, capisca chi è che lavora per produrre l’uva e si renda conto di chi si approfitta con il suo lavoro.
L’educazione di Freire è pensata per gli adulti con l’obiettivo di farne uno strumento di liberazione ed emancipazione umana. Egli elaborò il suo metodo attingendo alle teorie sul linguaggio formulate dagli autori della psicologia culturale sovietica di Lev Vygotski e Alexander Luria. Si rifece anche alla teoria dell’egemonia e della subalternità del filosofo e politico italiano Antonio Gramsci e alla corrente degli studi post-coloniali. Come intellettuale critico e militante, Freire contrappose l’educazione depositaria o statica, da una parte, all’educazione problematizzante dall’altra [17]. «L’una conserva e conferma, l’altra produce consapevolezza critica ed è il presupposto della liberazione» (Fiorucci, 2021: 5). Nell’educazione depositaria o statica l’educatore insegna perché solo lui sa, mentre gli educandi apprendono perché non sanno. L’educatore parla e gli educandi ascoltano. Quindi, si tratta di un’educazione passiva, che fa pensare all’azione di uno che deposita i soldi in banca, per giunta realizzando un deposito senza interessi. Questo insegnamento non suscita una risposta dinamica. Invece, l’educazione problematizzante si inserisce in una concezione dialogica e instaura un rapporto attivo tra la docenza e la discenza. Pertanto «chi insegna, nell’atto di insegnare apprende; anche chi apprende, nell’atto di imparare, insegna» (Freire, 2004: 21). In questo senso, Freire sottolineò che insegnare non è trasferire conoscenza, bensì creare la possibilità per produrla o costruirla.
Questo educatore riusciva a parlare con la gente povera, cercando di capirla e di trovare nelle loro stesse parole la risposta alle loro domande. La sua metodologia conoscitiva era fatta per coinvolgere l’interlocutore nella presa di coscienza politica della realtà. Egli propose l’istruzione come un atto di libertà attraverso l’amore, come un invito alla partecipazione, superando l’autoritarismo. Secondo Freire nessuno educa nessuno, e nessuno si educa da solo: ci si educa insieme, con la mediazione del mondo. E era convinto che il futuro non doveva essere considerato inesorabilmente già scritto e che, al contrario, si può sognare, dirigendo gli eventi e seguendo prospettive praticabili in quanto supportate dall’’organizzazione popolare.
Le scuole d’infanzia e la partecipazione dei bambini oggi: esperienze brasiliane e italiane
Tanto in Brasile quanto in Italia sono molti i nidi e le scuole dell’infanzia che svolgono un lavoro pedagogico centrato sui bambini, che rispetto al loro modo di capire il mondo prestano attenzione alle loro parole. Qui sono presentate alcune strutture operanti a Roma e a San Paolo e a Rio de Janeiro.
San Paolo e Rio de Janeiro [18]
Le due strutture selezionate si trovano l’una a San Paolo e l’altra a Rio de Janeiro: in entrambi i casi lo stile operativo e la metodologia meritano di essere proposti all’attenzione. Premettiamo che queste scuole sono state incluse nell’ambito di una ricerca accademica interessata ad approfondire le esperienze imperniate, in maniera del tutto peculiare, sulla partecipazione dei bambini, dopo un’indagine, nel corso della quale sono stati analizzati i progetti di diverse scuole pubbliche e private (inclusi anche i progetti informali proposti in ambito sociale). Al termine di questa operazione sono state scelte le scuole che, nello scenario brasiliano, si sono maggiormente distinte nell’offrire ai bambini prospettive di partecipazione, come è stato posto in risalto in una recente pubblicazione [19].
Nel corso della visita effettuata alla scuola nell’ambito della predetta indagine sono stati i bambini stessi a rendersi disponibili come accompagnatori, a guidare i visitatori a conoscere i loro spazi e a comunicare direttamente cosa essi pensano della loro scuola.
Le due scuole, sulle quali riferiamo, riguardano le due più grandi città del Brasile, non prive di differenze nel loro sistema formativo: tra l’altro, una di queste scuole è pubblica e l’altra privata. Tuttavia, le due scuole hanno in comune la pratica di rispetto dei diritti dei bambini e la loro inclusione nelle decisioni che li riguardano.
Scuola elementare Socrates Brasileiro
La scuola elementare municipale di San Paolo Socrátes Brasileiro (una scuola pubblica) attua un’educazione alla democrazia. È situata nel quartiere Jardim Catanduva del distretto di Campo Limpo, un’area periferica e caratterizzata da un’alta vulnerabilità socioeconomica. Agli studenti non piaceva il nome precedente dato alla scuola (Campo Limpo, lo stesso del distretto) e hanno proposto agli insegnanti di cambiarlo. I bambini e gli adolescenti hanno fatto una campagna in tutta la comunità educante e hanno scelto il nuovo nome: Escola Municipal de Ensino Fundamental Socrátes Brasileiro. Dobbiamo chiarire che Socrátes (il suo nome è un omaggio al filosofo) fu un grande calciatore brasiliano negli anni ’80 e soprannominato il “dottore” perché si laureò in medicina. Nella sua vita si rese un attivo sostenitore degli ideali democratici.
La nuova proposta dei bambini, presentata all’amministrazione comunale, ha richiesto molto tempo, ma infine è stata approvata. Dopo questo intervento, gli studenti partecipano al consiglio della scuola, propongono i loro progetti e espongono le loro idee, sono coinvolti nel dialogo e decidono insieme agli adulti sui miglioramenti da realizzare nella scuola e nel quartiere. Quando vengono delle persone in visita alla scuola, sono gli stessi bambini a presentarla e lo fanno con grande soddisfazione. Raccontano di essere riusciti a cambiare il nome della scuola, dell’utilizzo del tempo dedicato alla ricreazione, dell’organizzazione delle feste, dell’acquisto dei giocattoli e della ristrutturazione dello spazio verde.
Scuola Oga Mitá
La Scuola Oga Mitá [20] significa “Casa di Bambino”, denominazione rielaborata della lingua tupi-guaraní degli indios brasiliani. La scuola è stata fondata nel 1978, è privata e si trova a Tijuca, un quartiere della città di Rio de Janeiro, e accoglie i bambini da 2 anni di età fino agli studenti del liceo.
Il lavoro pedagogico è focalizzato sulla cooperazione, l’affetto, la comunicazione e l’uso di diversi linguaggi per registrare le scoperte, le esperienze e le acquisizioni di sapere da parte dei bambini e degli adolescenti. Si fa ricorso alla “pedagogia del collettivo”, che si realizza attraverso assemblee e conversazioni tra gli studenti e gli adulti in occasione delle scelte riguardanti i progetti scolastici, i programmi per la biblioteca, il funzionamento delle classi di musica e d’arte, e l’organizzazione degli spazi di gioco. La co-decisione riguarda anche i vari eventi di diverso tipo come, ad esempio, quelli concernenti le feste, le fiere e i laboratori. Tutti adulti e bambini, partecipano in forma collettiva alla vita quotidiana della scuola, che occupa uno spazio ampio e molto verde, alle spalle della foresta Atlantica. Si ha così la possibilità d’imparare a fare le scelte giuste nel gruppo e di capire come stabilire e osservare le regole sociali in un clima di dialogo e di rispetto delle diverse opinioni.
Le esperienze italiane a Roma [21]
Per l’Italia la scelta è caduta su due scuole che a Roma svolgono il loro impegno educativo in una prospettiva interculturale. Queste scuole hanno un comune e interessante background storico. Roma è stata dagli anni ‘80 fino al primo decennio di questo secolo uno straordinario campo di riflessione sulle prospettive di convivenza interculturale e di apprendimento della loro concreta attuazione, come è stato posto in risalto in una recente pubblicazione [22].
Le strutture formative qui presentate non fanno parte della rete pubblica, bensì sono state promosse dalla due Organizzazioni non governative appartenenti alla rete del cosiddetto “privato sociale”. La fase più soddisfacente si è avuta in Italia nel periodo in cui sono intervenuti fondi pubblici a loro sostegno e, grazie agli stimoli provenienti dal suo radicamento nel mondo sociale. Poi le difficoltà finanziarie degli enti locali, unitamente alla scarsa consapevolezza della necessità di questo confronto, ha indebolito il forte apporto di queste preziose strutture portandole, in diversi casi, anche alla chiusura.
Il Centro didattico interculturale “Celio Azzurro”
Ubicata a Roma, nel colle dal quale ha mutuato il nome (Celio), situato tra il Circo Massimo, il Colosseo e le Terme di Caracalla, la scuola “Celio Azzurro” è attiva dal 1990 e vi si arriva attraversando una zona abbellita da antichi pini e da affascinanti rovine romane. Dai responsabili questa viene presentata nel sito come: «una scuola piccola, quasi una casa, che all’ interno contiene il mondo intero» [23].
L’ampio spazio verde è utilizzato da circa 50 bambini di diverse nazionalità e classi sociali, che lì giocano, chiacchierano, fanno delle attività e delle esperienze diverse. I pensieri e le pratiche di Maria Montessori e Augusto Boal (che fu un regista teatrale brasiliano) ispirano il quotidiano dei bambini e ugualmente la formazione degli insegnanti (con la presenza di figure maschili e femminili) e l’inclusione delle famiglie italiane e di immigrati. Il lavoro educativo della scuola non è basato sulla differenza ma nell’uguaglianza. E la partecipazione non figura come un momento specifico nella proposta educativa, perché tutti stanno in relazione e interazione. Bambini, adulti e famiglie sono invitati a condividere le loro storie, cucinare i piatti per ricordare i loro paesi e riproporre i giochi ai bambini con i quali gli adulti si divertivano da piccoli. È una scuola che insegna ogni giorno l’autonomia, la socializzazione, l’autogoverno, l’accoglienza e il senso della comunità.
Celio Azzurro fa parte della vita della città, così come volle la prestigiosa figura di mons. Luigi Di Liegro, che lo ha inserito nella rete dei servizi della Caritas di Roma (restandovi per diversi anni) per mostrare che l’intercultura non può essere considerata un’attività sociale opzionale. Quando all’inizio degli anni ‘80 la struttura fu dolosamente incendiata, notevole fu la solidarietà mostrata dalla città per ricostruirlo ancora più bello e funzionale. Sull’esperienza di Celio Azzurro, che insieme all’educazione dei bambini si cura anche di quella dei genitori, è stato realizzato un documentario, dal titolo Sotto il Celio Azzurro (del regista Edoardo Winspeare), che ha contribuito a far conoscere a livello nazionale l’impostazione di questa “perla pedagogica”.
Il nido Munting Tahanan
Il nido Munting Tahanan [24], che in lingua filippina (tagalog) significa “Piccola Casa”, non è riservato ai filippini ma reca questo nome perché ne fu fondatrice Nelly Tang, una filippina morta diversi anni fa, insieme a operatori italiani e di altre nazionalità. Questo centro interculturale e bilingue accoglie i bambini da 1 a 3 anni, è diventato pienamente operativo nel 1996. L’approccio didattico di questo centro è basato sulla promozione della diversità, tenuto conto che i bambini accolti sono sia italiani che di altre nazionalità.
Le attività pedagogiche sono sempre organizzate in forma collettiva e i piccoli hanno la libertà di recarsi in tutti gli angoli dell’edificio. Lo spazio, estremamente accurato, offre ampie disponibilità per quanto riguarda materiali e giocattoli creativi, colorati, realizzati da artigiani e in parte dai bambini stessi, con un estremo rispetto della natura e delle possibilità che essa offre. Gli ambienti, pensati a misura dei bambini, garantiscono la loro autonomia. Essi possono prendere da soli quello che vogliono senza dover chiedere l’aiuto di un adulto. I bambini hanno laboratori artistici e musicali, dove imparano e cantano musiche dei loro Paesi e anche italiane. Un’altra proposta è l’educazione ambientale, che porta i bambini a conoscere e curare la realtà naturale. Le famiglie sono sempre chiamate a venire nel nido, a giocare e cantare con i loro figli e partecipare alla loro vita quotidiana.
Sintetizzando l’impressione, che si ricava da una visita accompagnata a questo nido, è un nido molto funzionale, accogliente, profumato, che trasmette tranquillità e uno stato di benessere. Le intuizioni, le accortezze e le prospettive proposte dai pedagogisti nei loro approfondimenti, qui sono state realizzati con una naturalezza, uno stile e un gusto che colpiscono profondamente.
Come accennato in premessa, a stimolare la redazione di questo saggio è stato l’interesse a evitare che l’educazione dell’infanzia sia ritenuta un compito dei soli addetti ai lavori (i pedagogisti e i maestri dell’infanzia), dimenticando che l’intera società è chiamata a operare come una comunità educante. Un’altra finalità del saggio è consistita nel mostrare che molti problemi, oltre ai necessari approfondimenti a livello interno, stimolano sempre più il superamento dei confini nazionali. Nel nostro caso ci siamo attenuti a un’ottica bilaterale, mostrando le interconnessioni pedagogiche tra l’Italia e il Brasile, Paesi storicamente uniti da una massiccia emigrazione partita dalla Penisola e, più recentemente, da una certa immigrazione di brasiliani in senso inverso.
Come sono apprezzati in Brasile i grandi pedagogisti italiani, così anche da parte italiana non si può non prendere atto dell’impegno svolto dei brasiliani per realizzare una pedagogia aperta ai bambini e alla loro partecipazione, tanto più quando si pensa che autori come Texeira e Freire hanno pagato con la prigione e con l’esilio la loro tensione democratica. Abbiamo riscontrato anche diverse altre analogie; ad esempio, segnaliamo un parallelismo tra don Lorenzo Milani e Paulo Freire che, seppure operanti il primo in ambito religioso e il secondo in ambito laico, sono stati entrambi straordinari propugnatori di un’educazione aperta a tutti e fautori del protagonismo sociale e politico delle classi diseredate.
Pertanto il Brasile, pur essendo un territorio geograficamente lontano, è vicino all’Italia nella sua configurazione come Stato moderno, alla cui formazione hanno dato un notevole apporto anche gli emigrati italiani. Nelle nostre intenzioni la lettura di queste pagine dovrebbe aiutare a riscontrare la vicinanza che sussiste tra i due Paesi nell’impostazione data all’educazione dei bambini e nell’impegno per favorire la loro partecipazione e il loro protagonismo fin dalla più tenera età. La presentazione di alcune strutture formative ha mostrato la possibilità di realizzare in concreto i princìpi pedagogici innovativi, che così faticosamente sono andati affermandosi.
La scelta delle strutture, da presentare come esemplari, ha incluso in Brasile una scuola pubblica e una privata e in Italia due scuole del “privato sociale” (con caratteristiche molto diverse dal “sistema “privato” brasiliano). La pur sommaria considerazione condotta al riguardo ha evidenziato la necessità di istituire tra questi due poli una fruttuosa dialettica, evitando dualismi e contrapposizioni, obiettivo raggiungibile solo da una politica educativa lungimirante.
Ci piace chiudere con il richiamo a una caratteristica unificante riscontrata nei due Paesi: la loro dimensione interculturale. Questa in Brasile ha più lontane origini e concerne le popolazioni indigene, i colonizzatori, gli africani e i loro discendenti, i pionieri dell’emigrazione europea, giapponese e delle successive generazioni e, infine, le comunità immigrate di altri Paesi latinoamericani. In Italia la diversità culturale dello scenario attuale è legata all’immigrazione estera che, iniziata in sordina negli anni ’70 del secolo scorso, è diventata un fenomeno di massa.
Abbiamo visto che il rispetto delle specificità dell’infanzia deve tenere conto della loro età e anche delle loro caratteristiche derivanti dalla diversità culturale: questa esigenza, spesso disattesa, non riguarda solo i minori ma anche gli adulti che, nelle società odierne sempre più globalizzate, sono portatori di differenze etniche, culturali e religiose.
I grandi protagonisti qui presentati hanno mostrato che l’educazione deve tenere conto del loro ambiente di nascita, delle relazioni affettive, della situazione cognitiva, dell’ambito di socializzazione, della classe sociale e dello standard economico dei soggetti ai quali si rivolge. Da qui deriva l’imperativo di coltivarne la libertà, l’anima della democrazia. A questo punto la pedagogia si fonde con la politica.
Dialoghi Mediterranei, n. 57, settembre 2022
[*] Gli autori ringraziano Sandra Waisel dos Santos che si è fatta carico della lettura e revisione accurata del testo e, inoltre, ha suggerito diversi spunti per il suo perfezionamento.
Note
[1] Questo saggio è stato realizzato su iniziativa di Lisandra Ogg Gomes, autorizzata a trascorrere un anno sabbatico a Roma e Padova dalla sua università di Rio de Janeiro (con sostegno della agenzia CAPES) e interessata a condurre un approfondimento sulla materia di cui è docente. In questo impegno è stata accompagnata da Franco Pittau, studioso del fenomeno migratorio e dei relativi aspetti interculturali.
[2] Cfr. Jorio, F.; Pittau, F.; Waisel dos Santos S. (2021). “Brasile: trenta milioni di oriundi italiani nel Paese del meticciato”, in: Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo. https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/brasile-trenta-milioni-di-oriundi-italiani-nel-paese-del-meticciato/
[3] Un costante aggiornamento sull’andamento demografico differenziale della popolazione italiana rispetto a quella immigrata si trova nelle edizioni annuali del Dossier Statistico Immigrazione 2021, curato dal Centro studi e ricerche IDOS. Nell’ultima edizione viene commentato il valore demografico relativo all’anno 2020. https://www.dossierimmigrazione.it/prodotto/dossier-statistico-immigrazione-2021/
[4] Ariès inaugurò la storiografia sull’infanzia con il libro Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, pubblicato nel 1961.
[5] A cura di Loyd De Mause fu pubblicato nel 1974: The history of childhood.
[6] Nel 1996, Becchi e Julia ampliarono lo sguardo sui bambini con l‘opera, in due volumi, Storia dell’infanzia.
[7] Cfr.: https://www.miur.gov.it/obbligo-scolastico
[8] Giovetti, P. (2009), Maria Montessori. Una biografia, Edizioni Mediterranee.
[9] Cfr.: Cristofanelli P. (1975), Pedagogia sociale di don Milani. Una scuola per gli esclusi. EDB.
[10] Per i giovani immigrati a Bruxelles negli anni ‘70 fu molto attiva l’“Università operaia”, per aiutarli attraverso l’istruzione a prendere coscienza della loro emarginazione e a battersi per un inserimento ugualitario. Cfr.: Pittau F. (2002), “L’emigrazione italiana in Belgio: da minatori emarginati a cittadini e funzionari europei”, in Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022.
[11] Cfr.: Planillo, A. H. (2020), Loris Malaguzzi. Una biografia pedagogica, Junior.
[12] Cfr.: Viana Filho, L. (2008), Anísio Teixeira: a polêmica da educação, EDUFBA/UNESP.
[13] Ribeiro fu un antropologo, storico e sociologo brasiliano conosciuto per lo studio delle comunità indigene e la riforma dell’educazione.
[14] Cfr.: Leite Filho, A. (2011), História da educação infantil: Heloísa Marinho – uma tradição esquecida. DP et Alii
[15] Ispirato alla psicologa russa che perfezionò lo studio sui bambini con svantaggi o con difficoltà di sviluppo cognitivo e sociale.
[16] Cfr.: Gadotti, M (2001), Paulo Freire: uma biobibliografia, Cortez Editora.
[17] Depositaria o statica sono gli aggettivi utilizzati per tradurre il termine del portoghese “bancária”.
[18] Ringraziamo Eliseu Rosa Müsel, della Scuola EMEF Sócrates Brasileiro, e Aristeo Leite Filho e Célia Fonseca, della scuola Oga Mità, nonché la sua équipe e i bambini per l’ospitalità nelle loro strutture e le informazioni fornite.
[19] Gomes, L. O. (2021), Infância, participação e socialização, Psicologìa, Conocimiento y Sociedad,v. 11. Gomes, L. O. (2020), Infância: socialização e participação. Agenda Social, v. 15.
[20] Per conoscere la scuola, cfr.: http://ogamita.com.br/joomla/
[21] Gli autori esprimono un sentito di ringraziamento a Massimo Guidotti e Daniele Valli del Centro Didattico interculturale “Celio Azzurro” e ad Angelica Rocha e alla sua équipe del nido interculturale “Munting Tahanan” per l’ospitalità nelle loro strutture e le informazioni fornite.
[22] A cura di Pittau, F. (2021), L’immigrazione in Italia nella prima Repubblica, Edizioni IDOS, anno IX: 1-4, di Affari Sociali Internazionali. Per oltre due decenni il Comune di Roma ha conosciuto uno straordinario dinamismo ispirato alle prospettive interculturali, che ha coinvolto diversi ambiti: la comunicazione, l’associazionismo, la chiesa le istituzioni pubbliche. Il “Forum per l’intercultura”, promosso dalla Caritas di Roma e aperto anche alle strutture del mondo laico, fu il perno di questo straordinario dinamismo, cfr.: Pittau F. (2008). Il Forum per l’intercultura: 18 anni di esperienza, Edizioni IDOS. Le due scuole, delle quali qui si parla, fecero parte di questo Forum, che ha cessato la sua attività.
[23] Il sito della scuola: https://celioazzurro.org/scuola-dellinfanzia/
[24] Cf. https://www.cfmwitalia.org/il-centro
Riferimenti bibliografici
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Montessori, M. (1909), Il Metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini. Casa Editrice S. Lapi. [Quest’opera ha avuto nel tempo diverse edizioni con ampiamento del testo. Nel 1924 uscì in inglese col titolo: Dr. Montessori's Own Handbook, 1914].
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Rosa, J. G. (2006), Grande Sertão Veredas. Editora Nova Fronteira.
Santos, B. de S. (1997), Por uma concepção multicultural de direitos humanos. Lua Nova, São Paulo, n. 48: 11-32.
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Lisandra Ogg Gomes, dottore in scienze dell’educazione, presso l’Università di San Paolo in Brasile, ha vinto il concorso come docente al corso di laurea della Facoltà di Educazione presso l’Università Statale di Rio de Janeiro. Presso la stessa università insegna nel programma post lauream di educazione e ha l’incarico delle ricerche sull’infanzia, sulla socializzazione e sulla sociologia dell’infanzia. Nell’anno accademico 2021-2022 dalla sua Università ha ottenuto l’autorizzazione a trascorrere un anno sabbatico in Italia presso l’Università di Roma Tre e l’Università di Padova, per condurre una ricerca sul “Protagonismo nell’infanzia e nella gioventù: tendenze contrarie e favorevoli” col sostegno dell’agenzia “Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior – Brasil (CAPES)” – Codice di Finanziamento 001.
Franco Pittau, dottore in filosofia, è studioso del fenomeno migratorio fin dagli anni ’70, quando ha condotto un’esperienza sul campo, in Belgio e in Germania. È stato ideatore del Dossier Statistico Immigrazione (il primo annuario del genere realizzato in Italia). Già responsabile del Centro studi e ricerche IDOS (Immigrazione Dossier Statistico), continua la sua collaborazione come Presidente onorario. È membro del Comitato organizzatore del Master in Economia Diritto Intercultura presso l’università di Roma Tor Vergata e scrive su riviste specialistiche sui temi dell’emigrazione e dell’immigrazione.
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