di Ninni Ravazza
L’isola di cui parliamo non è quella fantastica di Barrie [1], né la fuggente Ferdinandea [2], non quella che si trova dopo la seconda stella a destra [3] e neppure la più bella di tutte che Gozzano [4] inconsapevolmente ha regalato a Guccini [5]. Non è neanche quella dei Beati vagheggiata da San Brandano [6] o quella misteriosa di Verne [7]. È un’isola di terz’ordine, derelitta, poverella, ma con le altre ben più famose ha una particolarità in comune: è un’isola fantasma. Nessuno sa di preciso dov’era, pochissimi se ne ricordano appena per un istante poi la cancellano nuovamente dalla memoria. Eppure è esistita davvero, e per centinaia di anni è apparsa all’improvviso ogni primavera per poi scomparire a inizio dell’estate. È incredibile verificare come la memoria comune possa cancellare interi segmenti della storia di un territorio, ancora più sorprendente se quella storia si è conclusa appena cent’anni fa.
La nostra “isola” dimenticata è la tonnara di San Vito lo Capo e la sineddoche indica il recinto di rete dove i tonni vengono imprigionati. Una figura retorica per dare consistenza a un “non ricordo” [8].
La tonnara dimenticata
Da circa tre secoli la Tonnara di San Vito viene identificata col meraviglioso impianto del Secco che finalmente sta per essere restaurato, una struttura dalla architettura superba realizzata in uno dei luoghi più belli di Sicilia [9]. È stato, questo, un errore ricorrente che ha tratto in inganno ricercatori e studiosi e che ha creato non poche difficoltà a chi ha investigato la storia della pesca del tonno in Sicilia. Perché la prima vera tonnara di Santo Vito era un’altra, sconosciuta e dimenticata. Il fantasma della tonnara che non c’è ha sedotto financo il massimo esperto di tonnare italiane, il compianto Raimondo Sarà, che contesta la tesi di M. A. Platania il quale situa la terra Cetaria «nei pressi della tonnara di S. Vito» (1987): «non è mai esistita una tonnara con tal nome (se non per mal riusciti tentativi di questo ultimo trentennio – scrive Sarà nel 1998 – la denominazione però è stata spesso usata per un generico riferimento alla vicina, antica e assai bella tonnara del Secco (o forse meglio della Sicca, così indicata almeno sino a metà del XIX Sec.)» [10].
Ma Sarà non è il solo a cadere nell’inganno. Oltremodo imprecisi erano stati in precedenza altri saggisti che hanno lasciato opere fondamentali sulle tonnare siciliane. A fine Settecento il palermitano Marchese di Villabianca nel suo elenco degli impianti di pesca fa notevole confusione: «Tonnara di S. Vito: Tonnara che si tiene nei mari del Golfo di Castellammare comprendesi tiene il nome di S. Vito perché il … di S. Vito in Palermo ne gode la signoria. A mio credere questa tonnara è quella nomata del Sevo o sia della Sicca e di S. Vito lo Sicco». Il diarista cita anche la tonnara del Sevo: «Col nome pure di Sicca si chiama questa tonnara, ma volgarmente conoscesi sotto quello di S. Vito lo Sicco. Ella a mio credere è la stessa tonnara che si dice di S. Vito lo Sicco» [11].
Nel 1816 Francesco Carlo D’Amico, duca d’Ossada, proprietario di tonnare nel messinese, grande appassionato e conoscitore del settore, elencando gli impianti dell’isola riferisce di una Tonnara di S. Vito di cui sa poco e solo de relato: «Per le relazioni ricevute … mi è stato avvisato essere una piccola Tonnarella che pesca a scamali, o sia salvaggina, ed è propria del Monastero di S. Rosalia di Palermo» [12]. Anche il professore Pietro Pavesi a fine Ottocento nella sua importantissima relazione sull’industria delle tonnare [13] fa confusione: «Fra le tonnare pervenute al demanio dall’asse ecclesiastico noverasi questa del monastero di Santa Rosalia in Palermo … è propriamente una tonnarella indicata in tante carte della Sicilia a scirocco del capo San Vito, per cui fu detta di San Vito o più spesso del Sevo …» e nella classificazione in base alle catture inserisce il “Secco” nel quarto “ordine” con una media annua di 500 tonni, e comunque mai più di 1500. Salvatore Scimè nella sua Scheda delle tonnare siciliane in appendice del bel volume di Vincenzo Consolo sulla pesca del tonno [14] unisce sotto lo stesso comma le tonnare sanvitesi: «San Vito o Secco o Sevo. Tre nomi per la stessa tonnarella …» [15].
In realtà di una tonnara di Santo Vito che non era il Secco si trova riscontro già in un atto notarile del 1377 che registra la vendita di quell’impianto da parte di Markisia de Aurea (o Lauria), vedova del conte Arduino Ventimiglia, al mercante Pace Rosso, cittadino palermitano, in società con Francone de Afflitto per la concessione delle quattro tonnare di Bonagia, di Cofano, di S. Vito e di S. Teodoro per una cifra complessiva di 650 fiorini d’oro:
«Nos Johannes Jacobi de Petro judex felicis urbis/ Panormi Bartholomeus de Bononia imperiali auctoritate ubique judex ordinarius ac civitatum terrarum et locorum Sicilie citra flumen Salsum regius/ notarius puplicus et testes subscripti ad hoc vocati specialiter et rogati presenti scripto puplico notum facimus et testamur quod magnifica domina/ Markisia de Aurea relicta quondam magnifici et egregii domini Aldoyni de Vigintimilio comitis etc. consenciens prius in nos qui/ supra judicem et notarium tam in suos presens coram nobis sponte vendidit Pachio Rubeo mercatori et Franchono de Aflicto civibus dicte urbis/ presentibus et ementibus ab ea jura omnia redditus et proventus piscacionis tonnariarum Bonachie Cofani Capitis Sancti Viti/ et Sancti Theodari insule Sicilie territorii terre Trapani cum omnibus juribus et justis pertinenciis suis …» [16].
Tale circostanza viene riportata anche dallo storico dell’economia Rosario Lentini che alle tonnare ha dedicato approfonditi studi [17].
Della tonnara di Santo Vito parlano in maniera dettagliata l’ingegnere militare senese Tiburzio Spannocchi e l’architetto fiorentino Camillo Camilliani che nella seconda metà del XVI secolo vengono incaricati dai Vicerè di Sicilia di pianificare le difese costiere dell’isola contro i pirati barbareschi. I due ci lasciano accurate descrizioni delle coste siciliane con le torri esistenti e il progetto di quelle da realizzare (operazione che verrà portata a termine nei primi decenni di Seicento).
Lo Spannocchi suggerisce di costruire una torre sul piano di San Vito e in attesa della realizzazione sottolinea che «sarà bene tener continua guardia alla torre della tonnara overo della chiesa»; a corredo della descrizione l’ingegnere traccia un accurato disegno della torre a guardia della tonnara (“Torrazzo”) a pianta circolare, risalente al XIV secolo e oggi splendidamente restaurata. Altro bel disegno Tiburzio Spannocchi dedica alla torre a difesa della vicina tonnara di Cofano aggiungendo però che anche lì è da costruire una nuova torre più a ponente perché le torri esistenti non sono in contatto visivo con le altre da realizzare (infatti poco dopo sarà costruita la torre San Giovanni all’estremità del golfo di Cofano, che avrebbe potuto trasmettere e ricevere segnali a levante con la realizzanda torre Isolidda e a ponente con la torre Xhiare) [18].
I due tecnici militari, che compiono il sopralluogo tra il 1577 e il 1583, percorrono la costa di San Vito e non trovano traccia di alcuna tonnara nel golfo del Secco, come emerge chiaramente dalla relazione di Camillo Camilliani: «Siegue la spiaggia arenosa e scoperta detta di Santo Vito, qual siegue lo spazio di tre miglia, e conduce ad una piegatura del lido, dove si vede la chiesa di Santo Vito, devotissima e forte, vicino alla quale si vede una tonnara con una torre assai comoda: ma non può avere nessuna corrispondenza» [19]. L’architetto fiorentino compie il periplo della parte nord occidentale dell’isola da levante a ponente, e prima della spiaggia con tonnara annota soltanto «una cala di gran capacità, detta lo Guzzo, dove si vede una torre incomplita, fatta dal signor Ottavio Gioacchino per adattarvi una tonnara, che oggi è tralasciata …». Il Guzzo, o Uzzo, oggi rientra nella riserva dello Zingaro, a est di San Vito, e fino alla metà del secolo scorso era sede di una piccola tonnarella “a monta e leva” di pertinenza della tonnara di Scopello, con calo intermittente [20], che non poteva essere quella del Secco.
Il ricercatore trapanese Stefano Fontana nel suo La resistenza frustrata dedicato al “500 a Trapani” trova tra gli atti notarili notizie sul personale assunto per la tonnara di San Vito alla fine del XVI secolo, proprio nel periodo in cui Spannocchi e Camilliani compiono il loro sopralluogo:
«Nel dicembre 1584, il magnifico Antonio Crapanzano, assume Vito Rizzo, Vincenzo La Commare, Giuseppe Rizzo, Antonio Sciumera, Vincenzo de Avena e Vito Chiresi per la tonnara di S. Vito Lo Capo, per un salario di 1 onza pro capite219; il successivo ventotto, assolda Giuseppe Ingarao, sempre per un salario di 1 onza e, nella stessa giornata, Oratio Burello e Vincenzo Mazzasita per onze 3 e tarì 6 per ciascuno; il 4 gennaio 1585, Andrea La Perina, in qualità di ‘barcarolo e bordonaro di mare’, per onze 2, di cui gli anticipa tarì 24, mentre il resto sarà saldato dal rais Joes Mirabili. L’otto gennaio 1585, assume Vito de Oliveri, come faratico (fiocinatore), per un salario di oz. 1 e tarì 2 Il magnifico Geronimo Crapa» [21];
ovviamente il riferimento è alla stagione di pesca 1585 e la tonnara dunque risulta pienamente operante.
Si deve aspettare l’inizio del XVIII secolo per avere le prime notizie sulla tonnara “del Secco”: nel 1709 viene dato alle stampe il lavoro del gesuita Giovanni Andrea Massa che ne La Sicilia in prospettiva descrivendo la costa a levante del paese annota «… a fronte di essa scende il vallone di S. Vito, dove ha il suo cominciamento una vasta cala, cui appellano Cala rossa … è qui la tonnara detta del Sevo … e seguitando immantenente nuova spiaggia arenosa, cui appellano di S. Vito … quivi vicino sta la tonnara di San Vito con sua torre» [22]. Eccole finalmente, le due tonnare sanvitesi, forse entrambe ancora operanti (Massa attinge le notizie certamente alla fine del 1600).
Pochi anni dopo la pubblicazione de La Sicilia in prospettiva, esattamente nel 1713-14, la tonnara di Santo Vito risulta abbandonata: l’ingegnere militare piemontese Alessandro Ignazio Amico di Castellalfero, incaricato da Vittorio Amedeo di Savoia di effettuare la ricognizione delle fortificazioni sulle coste siciliane, scrive: «… e scendendo nel golfo di San Vito si principia l’ingresso in una cala detta Cala Rossa … con una tonnara di Santa Rosalia di Palermo … entrati nella spiaggia di San Vito, arenosa e scoperta, si vede vicina la chiesa di detto Santo, et indi girando si trova vicina una torre abbandonata qual serviva di guardia ad una tonnara che altre volte vi era …» [23].
Dall’età moderna alla contemporanea
Fin qui la storia della piccola e poco redditizia tonnara di San Vito in età medievale e moderna che va dall’atto di vendita nel 1377 (ma era sicuramente già in attività da tempo) alla sua scomparsa nel 1714 (nel XVII secolo pagava appena 28 onze di decima alla Curia di Mazara del Vallo, la quota più bassa di tutti gli impianti del trapanese [24] e nel 1578, acquistata da Don Francesco Sieri barone di Fiume Grande, rende appena 185 onze l’anno a fronte delle 600 onze della vicina tonnara di Cofano [25]).
Le ultime notizie ufficiali a inizio ‘700 (Castellalfero) dunque la danno per “spenta”. Ma non sarà così per sempre. Agli inizi del XX secolo la tonnara di Santo Vito era nuovamente in attività, e non ci sono (finora) riscontri di quando abbia ripreso a calare le reti (anche in questo caso spesso documentazione e statistiche fanno confusione tra i due impianti del Capo). Una tonnara di S. Vito era in attività per certo nel 1912, come si rileva dai Diari della tonnara del Secco, allora di proprietà della famiglia Foderà di Castellammare (Vito la aveva acquistata nel 1872 dal demanio dopo la dismissione dei beni ecclesiastici). Nenè Bergamini, uomo di fiducia della famiglia ed estensore dei Diari (in alcuni anni “Giornale”) fino al 1918, cita spesso la tonnara di S. Vito, assai vicina, ed emerge chiaramente che tra questa e il Secco vigeva una proficua collaborazione, favorita anche dal fatto che amministratore di San Vito era Giovannino Plaja, nipote di Foderà, il quale dopo lo “spegnimento” della tonnarella sanvitese diverrà amministratore e successivamente proprietario assieme al fratello Giuseppe della tonnara del Secco [26].
Proprietari delle reti di San Vito erano i Serraino già titolari dell’impianto di San Giuliano/Sancusumano a Trapani; i rapporti fra le due proprietà erano ottimi e spesso le due tonnare si scambiavano uomini, barche e attrezzi. Il fatto che la vicinanza delle due tonnare (nemmeno le tre miglia di “rispetto” sancite dalla legge) non comportasse alcuna polemica potrebbe apparire strano (in precedenza si erano registrate aspre contese legali tra i proprietari delle tonnare di Bonagia, Cofano e San Vito per il “disturbo” che quelle a levante potevano arrecare alle reti che stavano sottovento [27]): a San Vito invece la presenza di una vasta secca rocciosa a ponente del Secco allontanava comunque i tonni dalla costa, cosicché le reti di S. Vito pescavano quelli che si avvicinavano alla riva tra la secca di Levante e quella del Faro nell’ampia golfata davanti al paese e non piuttosto quelli che provenivano da est, già intercettati dal Secco.
Il 4 aprile 1912 (a questa data risale la prima notizia ufficiale della tonnara “contemporanea” in nostro possesso) Leonardo Foderà, fratello di Vito nel frattempo scomparso, manda la muciara del Secco «per l’acconcio delle barche di S. Vito», e il 29 dello stesso mese l’amministratore Bergamini termina «d’inventariare tutti gli oggetti di S. Vito». Nel 1914 il 27 marzo Bergamini annota che «con il Sig. Plaja ci siamo recati qui di mattina con la ciurma dei S. Vitari e cominciamo la consegna del materiale per la tonnara di S. Vito» che il 21 aprile «cruciò l’isola meno 4 ancore»; il 26 aprile al Secco «è arrivata una mociara di Scopello destinata a S. Vito in prestito», e l’1 maggio lo stesso Bergamini manda una squadra di tonnaroti «compreso il Sottorais Michele Oliva» a San Vito per aiutare nel calato delle reti; il 16 maggio di quest’anno l’amministratore annota che «San Vito fece il primo sangue e pescò N. 12 tonnarelli del peso di Kg. 514» (questo è l’unico dato a nostra conoscenza riferito alla pesca). Per il 1915 abbiamo solo notizie sul materiale prestato dal Secco a San Vito («N. 6 midollaroni di disa») e sul giorno del calato delle reti (6 maggio, con l’aiuto dei tonnaroti del Secco), nessuna notizia di catture. Questo deve essere stato l’ultimo anno di attività perché già nel 1916 vengono portati nelle tonnare del Secco e di Scopello diversi attrezzi non più usati: «1 sommo di San Vito canne 102 … Kg. 2197 Sughero di San Vito … attrezzi»; viene stilato inoltre l’elenco del «Materiale rimasto depositato al Secco provenienza tonnara di S. Vito»: si tratta di ormeggi, cavi, gomene, reti …).
Il 20 aprile 1917 «… vi è al Secco una persona mandata dal Sig. Serraino, con 6 persone di San Vito, ed altri 6 marinari nostri, per consegnarsi tutte le gomene di cocco di quelle della tonnara di San Vito, che il padrone vendette a Serraino …»: chiusa la tonnara di San Vito, l’imprenditore trapanese Serraino acquista per la sua tonnara parte del materiale che Foderà gli aveva dato in prestito. Si conclude così la seconda vita della tonnara fantasma che lascia solo labili tracce della sua attività tanto è vero che Maurizio Gangemi, apprezzato storico dell’economia, rileva come tra il 1909 e il 1914 «Nel compartimento di Trapani gli unici impianti destinati a pescare scarse quantità di tonno e solo per pochissimi anni [a fronte di esiti molto migliori di altre tonnare NdA] saranno quelli di Curto, Capo Feto, San Vito lo Capo …» ma per quest’ultimo anche lui viene tratto in errore dalle fonti a disposizione (la Relazione periodica pubblicata dalla Marina Mercantile Italiana dal 1885 al 1915 e dal 1925 al 1930) qualificandolo come «la tonnara di S. Vito lo Capo di V. Foderà» che invece come abbiamo visto era quella del Secco [28].
Una terza, brevissima esistenza, la tonnara fantasma la vivrà negli anni 1969 e ‘70 quando Michelangelo Plaja in società con alcuni imprenditori di San Vito portò le reti del Secco nell’antico “loco” della tonnara, davanti al Torrazzo, perché l’inquinamento industriale aveva reso “sterile” il golfo di Castellammare allontanando i tonni dal loro millenario percorso. L’esperimento, con lo spostamento a ponente delle reti e l’impiego di un impianto “alla spagnola” (meno “camere” e diversa imboccatura) diede esiti disastrosi, e col 1970 anche l’ultima delle tonnare di San Vito si è “spenta” definitivamente.
La memoria cancellata
Da quando ho appreso della esistenza dell’antica e primitiva tonnara di Santo Vito mi sono spesso chiesto quali misteriosi procedimenti psicologici abbiano comportato la cancellazione dalla memoria collettiva di quella realtà. Il mio arrivo nel paese risale al 1964, dunque nemmeno cinquant’anni dopo la chiusura della tonnara; è più che probabile che allora fossero in vita alcuni pescatori che ci avevano lavorato, e che i loro figli e nipoti ne avessero sentito parlare.
Invece no, nessuno ne ha mai fatto parola, la tonnara di San Vito era solo quella “del Secco”. La rimozione ha compreso anche alcuni toponimi che per secoli hanno contraddistinto la costa a ovest della bellissima spiaggia: dove oggi c’è il porto peschereccio si trova la Punta del Carpino e appena più oltre la Punta della Tonnara, denominazioni ufficiali riportate da Camilliani e Massa («sporgono bensì da quello alcune Punte, tra le quali due sono le più notabili, quella del Carpino, e quella nominata della Tonnara…») [29].
Oggi nessuno chiama più col nome originale quelle lingue di scoglio lanciate sul mare. Mai ho sentito alcuno accennare a una punta della Tonnara, nemmeno i bravissimi pescatori sanvitesi che come tutti gli uomini di mare sono molto legati alle tradizioni e alle conoscenze del passato. Tutto dimenticato.
La tonnara di Santo Vito dunque veniva calata davanti al Torrazzo costruito a cavallo del 1400 a sua difesa; le reti partivano dalla punta a essa intitolata e uscivano in direzione nord-est, la sua “isola” (da qui il titolo di questo mio intervento) veniva posta in mare a levante della maestosa Secca del Faro e questo finalmente mi ha fatto capire come mai sul fondale mi capitasse di rinvenire assieme ad ancore romane e puniche di piombo anche attrezzi molto più moderni, in ferro, discretamente conservati: erano le ancore della tonnara di inizio ‘900 perdute accidentalmente.
Torre cilindrica e tonnara di Santo Vito portano con sé anche un altro mistero: alle spalle della torre agli inizi del XVII secolo, sul pianoro, venne realizzata la torre Roccazzo suggerita da Spannocchi e Camilliani, finalmente in contatto visivo con le altre coeve poste a difesa della costa. Questa torre venne distrutta nel 1935 per fare posto a un Osservatorio militare (ora trasformato in abitazione privata). Sono passati solo pochi anni, ma anche del Roccazzo si è perduta memoria: nessuno dei vecchi sanvitesi se ne ricorda, oggi come ieri, e per decenni ho cercato invano una sua fotografia, un disegno. Niente. Anche il Roccazzo come la tonnara era sparito nella memoria del paese, nessun ricordo, nessuna immagine.
Come la tonnara di Santo Vito, però, alla fine anche a quel fantasma possiamo finalmente dare corpo e forma. Grazie a Sergio Pace, i cui avi sono stati proprietari e gestori di tonnare a Trapani e in Libia, sono riuscito ad avere una fotografia dell’antica torre, l’unica di cui si abbia notizia, probabilmente la sola esistente. È una immagine straordinaria e fortuita, perché l’ignoto fotografo intendeva riprendere dei giovanissimi bagnanti (sanvitesi?) in riva al mare, accanto alle barche tirate sulla spiaggia (il porto viene realizzato solo a fine anni ‘50) … ma lontano alle loro spalle appare il Roccazzo! Non credevo ai miei occhi quando Sergio mi ha trasmesso la foto, e mi sono commosso, tornava a galla un altro segmento della storia di questo paese che ho scelto quale mio luogo dell’anima. L’immagine è certamente antecedente al 1935 e si nota che la torre versa già in grosso degrado, con la parte superiore semi crollata; sulla destra si intravede la Punta Carpino.
Questa fotografia è assolutamente inedita e “Dialoghi Mediterranei” è la prima rivista a pubblicarla (per questo motivo, per evitare che altri si prendano meriti non propri, ho voluto aggiungere in sovrimpressione il nome dell’amico che me ne ha fatto dono).
Il mistero della Madonna ritrovata
Torniamo alla nostra tonnara di Santo Vito e ribadiamo la domanda: come mai su essa è calato l’oblio che ha cancellato secoli di storia e di storie? Una prima motivazione è certamente la mancata realizzazione di un complesso architettonico a supporto della pesca, la “tonnara” intesa come fabbricato (vedi Bonagia, Secco, Scopello, Favignana, Formica, solo per restare nel trapanese): a Santo Vito i tonnaroti si accampavano sotto il Torrazzo deputato a difenderli dai pirati di Barberia, e tiravano le loro barche sulla spiaggia arenosa della golfata. Nessun caseggiato venne costruito per uomini e attrezzi e solo il ritrovamento di alcuni scheletri nei pressi della torre denuncia una remota presenza umana. Questo fatto però porta con sé un altro mistero: come mai nessuna comunità è sorta attorno alla tonnara, che pure nel periodo della pesca (aprile-luglio) doveva contare decine di persone? Il paese sorge soltanto alla fine del 1700, in precedenza l’unico punto di aggregazione era la Chiesa-Santuario dedicata al Santo giovinetto, meta di pellegrinaggi e processioni devozionali [29]. Tutto il resto non esisteva.
Come mai la tonnara è restata per almeno trecento anni (dal 1300 a metà 1600) una realtà avulsa dal territorio, non in grado di creare una comunità? e come e dove venivano portati e lavorati i tonni qui pescati (pochi ma comunque sufficienti ad assicurare un reddito al proprietario/gabelloto)? Le fonti documentarie fino a oggi non hanno fornito una risposta. È probabile che nel XIV secolo, ai tempi di Donna Markisia, non esistendo una comunità sanvitese i pescatori venissero da Trapani o da Palermo città dei nuovi proprietari, ma a inizio ‘900 pur essendo di proprietà trapanese, con amministratore di Castellammare del Golfo, è possibile che la marineria sanvitese rimanesse del tutto estranea alla tonnara? Le barche e gli attrezzi venivano conservati in magazzini anonimi che si affacciavano sulla spiaggia più o meno dove oggi termina il corso principale e anche in questa occasione non venne realizzata una struttura con le caratteristiche del fabbricato di tonnara.
Nessun ex voto conservato nel bellissimo Museo del Santuario, appena riaperto al pubblico [30], conduce alla tonnara di Santo Vito mentre quella del Secco è rappresentata dalla meravigliosa Madonna Immacolata lignea di metà 1500 cui era dedicata la cappella gentilizia di quella tonnara. Questa statua era stata trafugata dalla cappella della tonnara ormai abbandonata e fu ritrovata per caso; uno straordinario restauro a cura della Chiesa locale le ha restituito l’antico semplice splendore [31].
Anche qui però c’è un mistero che le fonti documentali non chiariscono: la tonnara del Secco in origine apparteneva al monastero palermitano di Santa Rosalia ed è di due secoli posteriore alla “sua” Immacolata, da dove proviene questa bellissima icona? Non dal Santuario né da una delle tante chiese di Monte San Giuliano nella cui universitas ricadeva il territorio di “San Vito la punta”. Un tentativo di accreditarla quale opera da sempre appartenente al cinquecentesco Santuario locale non trova riscontro alcuno [32]. Una Madonna apparsa all’improvviso proprio come l’isola che non c’è, ma stavolta destinata a perpetuare la propria bellezza nelle austere sale del Santuario, finalmente come una memoria ritrovata.
Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023
Note
1) James Matthew BARRIE, Peter e Wendy (Peper Pan), 1911
2) Isola Ferdinandea, sul Banco Graham nello Stretto di Sicilia al largo di Sciacca. Ebbe vita brevissima, creata da una eruzione vulcanica il giugno 1831, scomparve definitivamente nel mese di dicembre dello stesso anno. Il suo possesso fu conteso da Inghilterra, Francia e Regno delle due Sicilie.
3) Edoardo BENNATO, L’isola che non c’è, brano musicale, 1980
4) Guido GOZZANO, La più bella, poesia, 1912
5) Francesco GUCCINI, L’isola non trovata, brano musicale, 1970
6) Navigatio sancti Brendani, opera anonima in prosa latina tramandata da diversi manoscritti a partire dal X secolo; qui nella edizione Sellerio, Palermo 1992
7) Giulio VERNE, L’isola misteriosa, 1875 (ne esistono molteplici edizioni)
8) Per “isola” della tonnara si intende il parallelepipedo di rete dove i tonni vengono convogliati da una rete ortogonale alla costa chiamata “pedale” o “cura”; l’isola della tonnara tradizionale è suddivisa in diverse “camere”, l’ultima è detta “della morte” e qui avveniva la mattanza
9) La tonnara del Secco, attiva fino al 1970, dopo anni di abbandono e degrado e decenni di controversie amministrative e giudiziarie è stata acquistata da una società belga che la restaurerà per trasformarla in prestigiosa struttura alberghiera
10) Raimondo SARÀ, Dal Mito all’aliscafo, Palermo 1998: 66
11) VILLABIANCA (Francesco Maria Emanuele e Gaetani, Marchese di), Le tonnare di Sicilia, ms. di fine XVIII sec., qui nella edizione Giada a cura di Giovanni Marrone, Palermo 1986: 86, 90
12) Francesco Carlo D’AMICO duca d’Ossada, Osservazioni pratiche intorno la pesca, corso e cammino dei tonni …, Messina 1816, qui nella ristampa anastatica a cura di Gioacchino Lipari, Trapani 2016: 144
13) Pietro PAVESI, Relazione alla Commissione Reale per le Tonnare, Roma 1889
14) Vincenzo CONSOLO, La pesca del tonno in Sicilia, Palermo 1986
15) Salvatore SCIMÈ, Schede delle tonnare siciliane in Consolo cit.: 182
16) Antonino PALAZZOLO, Le difese del Regno di Sicilia nel ‘500. Le torri marittime della riviera trapanese, Palermo 2021: 103-104
17) cfr. Rosario LENTINI, Prefazione in N. Ravazza, San Vito lo Capo e la sua tonnara …
18) Tiburzio SPANNOCCHI, Descripcion de las marinas de todo el reino de Sicilia …, ms., pubblicato nel 1596
19) Camillo CAMILLIANI, Descrittione delle marine di tutto il regno di Sicilia con le guardie necessarie da cavallo e da piedi che vi si tengono, ms. fine XVI secolo
20) Rosario LA DUCA, La tonnara di Scopello, Palermo 1989: 103 e segg.
21) Stefano FONTANA, La resistenza frustrata. Il ‘500 a Trapani”, Paceco 2014: 53 (si trova sul web)
22) Giovanni Andrea MASSA, La Sicilia in prospettiva, parte seconda, Palermo 1709
23) Alessandro Ignazio AMICO di CASTELLALFERO, Relazione istoriografica delle città, castelli, forti e torri esistenti ne’ littorali del Regno di Sicilia (1713-14)
24) Giovanni MARRONE, Introduzione a “Le tonnare di Sicilia” cit.: 17
25) Orazio CANCILA, Aspetti di un mercato siciliano. Trapani nei secoli XVII-XIX, Palermo 1972: 137
26) Per le notizie sulle tonnare del Secco e di San Vito cfr. Ninni RAVAZZA, San Vito lo Capo e la sua tonnara. I Diari del Secco, una lunga storia d’amore, Milano 2017
27) Orazio CANCILA, Aspetti … cit.: 138; per “sottovento” si intendono le tonnare poste a ovest rispetto ad altri impianti di pesca
28) Maurizio GANGEMI, La pesca nel Mezzogiorno tra Otto e Novecento: toonnare, pesci, spugne e coralli, Bari 2011: 37
29) Il toponimo è riportato dai due Autori citati con le medesime parole. Spannocchi invece cita “lo scaro vicino alla tonnara dj S.to Vito” di proprietà «delo Barone dj fiume grande don Francesco Sierj Trapanese …»
30) Per una approfondita storia del paese di San Vito lo Capo e del suo Santuario cfr. Enzo BATTAGLIA, San Vito lo Capo ieri e oggi, San Vito lo Capo 2002; Pietro MESSANA et alii, Il “tesoro” del Santuario di San Vito lo Capo, Bagheria 2011
31) Il Museo, istituito il 14 giugno 2011, è rimasto a lungo chiuso per mancanza di personale; dal giugno di quest’anno è aperto ogni giorno nel pomeriggio – sera grazie all’opera de Volontari
32) La bellissima Madonna rinascimentale venne trafugata dalla chiesetta della tonnara del Secco alla fine degli scorsi anni ‘90; ritrovata fortuitamente abbandonata nei campi e gravemente danneggiata, fu oggetto di un primo restauro conservativo a cura dei giovani dell’Associazione culturale Kalos, e successivamente l’allora parroco del Santuario Piero Messana fece completare il restauro a spese della Chiesa cui la statua lignea fu affidata. L’Immacolata del Secco in precedenza non è mai appartenuta al Santuario (oggi legittimo proprietario) contrariamente a quanto asserito in alcune pubblicazioni. Cfr. Silvia SCARPULLA, Immacolata in “Il “tesoro” del Santuario…” cit.: 112, e Maurizio VITELLA, Una delle più antiche statue dell’Immacolata in “Memoria & futuro. Un antico Santuario accoglie l’arte contemporanea” (a cura di P. Messana, Alcamo 2005: 53-55)
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Ninni Ravazza. Giornalista e scrittore, è stato sommozzatore delle tonnare siciliane e corallaro. Ha organizzato convegni e mostre fotografiche sulla cultura del mare e i suoi protagonisti. Autore di saggi e romanzi, per l’Editore Magenes ha scritto: Corallari (2004); Diario di tonnara (2005 e 2018); Il sale e il sangue. Storie di uomini e tonni (2007); Il mare e lo specchio. San Vito lo Capo, memorie dal Mediterraneo (2009); Sirene di Sicilia (2010; finalista al “Premio Sanremo Mare” 2011); Il mare era bellissimo. Di uomini, barche, pesci e altre cose (2013); Il Signore delle tonnare. Nino Castiglione (2014); San Vito lo Capo e la sua Tonnara. I Diari del Secco, una lunga storia d’amore (2017); Storie di Corallari (2019); L’occhio in cima all’albero (2022; finalista al Premio letterario “Carlo Marincovich” 2023). Dal libro “Diario di tonnara” è stato tratto l’omonimo film diretto da Giovanni Zoppeddu, prodotto dall’Istituto Luce Cinecittà, in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma 2018, di cui l’Autore è protagonista e voce narrante. In aprile per l’Editore Avagliano uscirà il suo romanzo “Cianchino. L’isola delle illusioni”. Ha vinto il Premio Nazionale di Giornalismo “Pippo Fava” (1987); il Premio Nazionale “Un video per un Museo” dell’HDS Italia (2001), sezione Mediterraneo, con il video “La tonnara nascosta”; il Premio Internazionale “Orizzonti Mediterranei” 2002 per il sito internet www.cosedimare.com ; nel 2018 per il suo impegno in favore del mare gli è stato conferito il Premio Unesco.
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