Il volume di Gianfranco Bottazzi E l’isola va. La Sardegna nella seconda modernizzazione (Il Maestrale, 2022) ha tra i suoi obiettivi, come scrive l’autore nella nota introduttiva, quello di «contrastare il pessimismo paralizzante e di ragionare pacatamente delle tante cose che non vanno, ma anche di quelle che più o meno funzionano».
Corredato da un’ampia documentazione, il saggio offre molteplici spunti di riflessione sugli effetti prodotti dai processi di globalizzazione, riprendendo e sviluppando lo schema analitico esposto più di venti anni fa nel libro Eppur si muove! Saggio sulle peculiarità del processo di modernizzazione in Sardegna (Cuec, 1999), con il quale l’autore aveva già messo in discussione alcuni degli stereotipi che spesso vengono riproposti nel valutare la realtà isolana [1].
Il libro è strutturato in sette capitoli ed è corredato da molti grafici, varie schede tematiche (tra l’altro sul ruolo della società tradizionale, sulle vicende dell’industrializzazione, sulle politiche del lavoro: dal “pacchetto Treu” al “jobs act”) e da alcune appendici statistiche che offrono molti elementi di riflessione senza appesantire il testo. Ha quindi la duplice veste di studio teorico e analitico, ma allo stesso tempo di strumento informativo e divulgativo.
La Sardegna, ricorda Bottazzi, è dopo il Lazio la regione italiana a più alta terziarizzazione: i servizi rappresentano l’81 per cento del valore aggiunto ed assorbono il 78 per cento dell’occupazione. Ha un’economia fragile: il settore primario rappresenta appena il 4 per cento della ricchezza prodotta; e nel comparto manifatturiero quasi la totalità delle imprese hanno meno di 10 addetti e circa la metà sono ditte individuali. Nel 2019 il PIL per abitante della Sardegna era poco più del 70 per cento del valore medio italiano, ma i livelli di consumo delle famiglie erano significativamente più alti rispetto a questo dato: un’anomalia spiegabile con il peso rilevante dell’economia informale che il sociologo stima possa essere valutato attorno al 30 per cento del PIL ufficiale.
Riesaminando la parabola dell’industrializzazione avviata negli anni del Piano di Rinascita, Bottazzi sottolinea giustamente che «è stata la petrolchimica a scegliere la Sardegna, non il contrario»; e nel delineare i fattori che hanno determinato la progressiva crisi dei poli industriali sardi, fabbriche energivore ad alta intensità di capitale, rimanda al più generale declino del fordismo. A questo proposito mi pare peraltro discutibile applicare questa categoria all’industria petrolchimica, i cui impianti hanno caratteristiche peculiari e molto differenti dalla catena di montaggio, ben evidenziati a suo tempo, tra gli altri, da un attento studioso della realtà dalla Fiat come Vittorio Rieser [2].
Un altro capitolo del libro è dedicato agli effetti che la globalizzazione ha prodotto nei vari continenti e, di riflesso, anche in Italia e sulla Sardegna. L’analisi parte con l’illustrazione della originale figura (il cosiddetto grafico dell’elefante) con cui l’economista Branko Milanovic «ha rappresentato i vincenti e i perdenti, basandosi sullo studio dei bilanci familiari di oltre 100 Paesi del Sud e del Nord del mondo nell’arco temporale compreso tra il 1988 e il 2008». Si sofferma poi su una ricerca svolta una ventina di anni fa dalla Banca d’Italia, che collocava la Sardegna ai primi posti per l’equità della distribuzione della ricchezza delle famiglie, precisando però che nel periodo successivo «le disuguaglianze sono certamente aumentate», come risulta dall’applicazione dell’indice di Gini (lo statistico che ha ideato un coefficiente per misurare la disuguaglianza nella distribuzione del reddito).
Nel capitolo successivo, dedicato al mercato del lavoro (un tema da lui studiato da sempre con particolare attenzione), Bottazzi osserva come la disoccupazione sia stata una costante storica nella realtà isolana e poi registra il consistente incremento del tasso di attività (soprattutto della componente femminile) [3], ma nel contempo sottolinea il «dato inquietante» dell’aumento dei giovani che non lavorano e non frequentano alcuna formazione come effetto di un tasso di abbandoni e dispersione scolastica tra i più alti in Italia. In precedenza, riferendosi agli studi di Ulrich Beck, che hanno indicato nella precarietà un elemento dell’esistenza ormai diventato strutturale [4], mette in risalto il carattere mistificante di un concetto come quello di occupabilità, perché sembra addebitare alla persona senza lavoro la sua infelice condizione.
Il sociologo formula inoltre un’ipotesi sulla nuova stratificazione sociale rifacendosi alla classificazione proposta dall’inglese Guy Standing (l’élite globale, gli stipendiati garantiti, i professiotecnici, neologismo con cui definisce i super esperti, la residua classe operaia, i precari, i disoccupati e gli abbandonati), che però giustamente valuta non trasponibile in modo automatico alla realtà sarda (ben evidenziata da una figura a p. 120, con cui «le varie classi sono rappresentate in modo quasi proporzionale alla stimata consistenza quantitativa»).
In Sardegna, oltre ai 450 mila pensionati (il 40 per cento dei quali ha un reddito mensile inferiore ai 1.000 euro) e ai circa 115 mila disoccupati (di cui 35 mila in attesa del primo lavoro), ci sarebbero secondo le stime dell’Istat 125 mila inattivi, vale a dire persone che dichiarano di non cercare attivamente lavoro. Dei quasi 600 mila occupati, circa 200 mila sono gli stipendiati garantiti, ossia i dipendenti pubblici statali, regionali o di strutture parapubbliche. Allo schema di Standing Bottazzi aggiunge, per il caso sardo, la categoria dei lavoratori in proprio, artigiani di vario genere, piccoli imprenditori, coltivatori diretti, tra i quali a suo giudizio sarebbe più presente il fenomeno dell’evasione fiscale.
Le fonti statistiche citate nel volume si fermano al 2019, ma la tabella degli occupati per posizione professionale è un’elaborazione che si basa sul censimento Istat del 2011. Riporto e riassumo perciò la più recente pubblicazione della Camera di Commercio di Sassari, basata sui dati del registro delle imprese, che consente di avere un quadro più aggiornato sulla consistenza della realtà aziendale e occupazionale isolana [5].
Nel 2022 nell’insieme del settore primario erano attive 35 mila unità, vale a dire un quarto del totale delle imprese (confermando la Sardegna come «una delle regioni più agricole d’Italia»). Quasi un altro quarto del tessuto imprenditoriale isolano è costituito dalle ditte artigiane (34 mila imprese con 75.493 addetti). Le 9.482 aziende attive nel comparto manifatturiero hanno invece 41.028 addetti (un migliaio in meno rispetto al 2019). Grazie anche agli ecoincentivi sono cresciute le ditte nel settore delle costruzioni, che nel 2022 occupavano 58.199 lavoratori. Tra i servizi il ramo principale è il commercio (con le sue 35.621 imprese per 82.727 addetti), seguito ormai a breve distanza dalla filiera dell’ospitalità e dell’accoglienza (13.500 aziende con 63.778 addetti).
Quest’ultimo dato conferma la crescente caratterizzazione turistica dell’economia sarda cui accenna anche il libro in alcuni passaggi: La Sardegna – scrive Bottazzi – è aperta con il turismo per quel poco che esporta e per quel tanto che importa». Due cartine a colori illustrano poi bene la distribuzione “a ciambella” della popolazione sarda ed evidenziano come, mentre i paesi dell’interno appaiano tendenzialmente a rischio di estinzione (tanto più se non verranno mantenuti i servizi essenziali), i comuni con uno stato di salute buono e discreto coincidano con «le zone costiere a forte vocazione turistica». Peraltro il peso elevato che la voce contabile relativa agli affari immobiliari ha sul PIL sardo sarebbe una conseguenza indiretta di questa nuova e rischiosa monocoltura.
Un particolare approfondimento è dedicato, nel volume, al problema demografico: la Sardegna, dopo esser stata per alcuni decenni una zona ad alta natalità, è diventata da tempo la regione con la quota più alta di ultrasessantenni [6]. Bottazzi ritiene che le ragioni del drastico calo delle nascite vadano cercate non prevalentemente “in chiave economicistica”, ma piuttosto «in una dimensione antropologica, culturale, in una malattia dell’anima che sta inceppando il meccanismo biologico della riproduzione della specie». Non a caso dedica un’ampia nota a quello che l’economista Noreena Hertz ha definito il secolo della solitudine [7], e riflette amaramente sulla crescente tendenza a chiudersi in sé stessi: «Nel mondo opulento e sazio, le persone sono impaurite e frustrate, con la solitudine dell’egoismo, senza fratelli e sorelle, senza cugini e zii».
Nel capitolo conclusivo Bottazzi fa un bilancio della sua articolata analisi e, utilizzando una metafora ciclistica, sostiene che la Sardegna, pur «pedalando a fatica» e qualche volta arrancando, «sta in mezzo al gruppo». Questa valutazione emerge anche dalla più recente indagine dell’Istat che ha stimato il benessere dei territori basandosi su nove indicatori (salute, lavoro e conciliazione dei tempi di lavoro, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, innovazione e ricerca, qualità dei servizi) che collocherebbero complessivamente la Sardegna al di sotto della media nazionale, ma in posizione di vantaggio rispetto al Meridione [8].
Già agli inizi degli anni Novanta il politologo americano Robert Putnam, provando a misurare il capitale sociale e la civicness delle regioni italiane, aveva collocato la Sardegna lontana e davanti alle regioni meridionali e per tanti versi vicina all’Abruzzo (curiosamente proprio la regione dove Gianfranco Bottazzi è nato) [9]. Da parte sua invece il sociologo si mostra in proposito più cauto e più problematico. Nel volume Eppur si muove aveva affermato che non esistono sufficienti elementi per poter stabilire se nell’Isola vi sia o meno scarsità di capitale sociale, fiducia e senso civico [10]. E ancora oggi ripete questi interrogativi («Quanto è scarso il senso civico in Sardegna? Quanto è diffuso il clientelismo? Quanto è carente il capitale sociale?») aggiungendo che, a suo giudizio, non disponiamo ancora di nessuna misura affidabile per valutare questi fenomeni.
Tuttavia, come ha giustamente sottolineato Carlo Trigilia, «fare riferimento al capitale sociale allarga l’orizzonte rispetto ad una visione troppo economicistica e consente di mettere meglio a fuoco i meccanismi endogeni che ostacolano lo sviluppo autonomo» [11]. E non a caso Gianfranco Bottazzi segnala una ricerca di Antonello Podda [12], il quale smentisce il luogo comune secondo cui in Sardegna sarebbe difficile fare cooperazione per via dell’invidia e dell’individualismo e, pur valutandone la funzione ambivalente, ritiene che il capitale sociale si possa anche “costruire”. Tra i temi affrontati c’è anche il nodo dello sviluppo locale, sul quale lo stesso Bottazzi aveva riflettuto ripetutamente in passato [13]. E, sulla base dei “risultati non esaltanti”, sembra convergere sulla valutazione negativa sulle esperienze effettuate in Sardegna formulata qualche anno fa dall’economista Antonio Sassu [14].
Nel titolo del libro c’è, come si è accennato, una voluta forzatura ottimistica, che però non inficia la coerenza dell’analisi, mettendo in risalto le numerose criticità della realtà isolana. Quindi, sebbene in termini nuovi, esiste ancora una peculiare questione sarda [15]. Tra i dati negativi alcuni, relativi alla salute, mi hanno colpito e sorpreso particolarmente: la nostra è la regione italiana con il consumo più elevato di farmaci anti-psicotici e con la percentuale più alta di suicidi ogni mille abitanti. Le ultime figure quantificano le famiglie sarde in difficoltà e quelle che vivono in condizione di povertà, il cui numero purtroppo in questi ultimi anni è ancora cresciuto [16]. Su un altro versante, il libro non esamina il fenomeno crescente degli attentati, espressione di una nuova “società del malessere”: la Sardegna registra «uno dei valori più alti in termini di incidenza sulla popolazione per i danneggiamenti seguiti da incendio» [17].
L’autore auspica che questo libro venga letto anche dai politici e dagli amministratori locali e regionali anche perché, come sottolinea giustamente, «le istituzioni di governo hanno oggi un ruolo cruciale per lo sviluppo», tanto più in Sardegna che è la regione con il più alto rapporto della spesa pubblica in relazione al Prodotto interno lordo.
Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024
Note
[1] Su quel volume rimando alle recensioni di Gian Giacomo Ortu, Eppur si muove, i complicati casi dell’isola che c’è, e di Antonio Sassu, Tra innovazione e tradizione. Una ricerca che fa giustizia di tanti luoghi comuni, “La Nuova Sardegna”, apparsi nella pagina Società e cultura della “Nuova Sardegna”, rispettivamente il 3 febbraio e il 12 maggio 2000. Ed anche all’intervista di Marco Manca all’autore, pubblicata col titolo La Sardegna e il suo doppio sull’”Unione Sarda”, 9 febbraio 2000.
[2] Cfr. Vittorio Rieser, Introduzione al volume Gli anni della SIR, a cura di Sandro Ruju, Edes, Sassari, 1983: 7-17.
[3] Questo fenomeno era stato già ben evidenziato nel Rapporto 2011 sul Mercato del lavoro in Sardegna curato da Maria Letizia Pruna per il Centro Studi di Relazioni Industriali, Cuec, Cagliari, 2011: 37-48.
[4] Cfr. Ulrich Beck, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma, 2000.
[5] Camera di Commercio di Sassari, Osservatorio economico 2023. Focus imprese.
[6] Su questo tema cfr. anche Antonello Ganau, La minaccia demografica, tra denatalità e invecchiamento, Edes, Sassari, 2021.
[7] Cfr. Noreena Hertz, Il secolo della solitudine. L’importanza della comunità nell’economia e nella vita di tutti i giorni, Il Saggiatore, Milano, 2021.
[8] Cfr. Istat, BES dei territori, Il benessere equo e sostenibile nei territori, Sardegna, 2023 (ricerca visionabile online).
[9] Cfr. Robert Putnam, La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, Milano, 1993.
[10] Cfr. G. Bottazzi, Eppur si muove, Saggio sulla peculiarità del processo di modernizzazione della Sardegna, Cuec, Cagliari, 2000: 93.
[11] Carlo Trigilia, Non c’è Nord senza Sud, Il Mulino, Bologna, 2012: 99.
[12] Antonello Podda, I legami che creano sviluppo, Ediesse, 2017.
[13] Cfr. Gianfranco Bottazzi, Lo “sviluppo locale”. Mito o nuovo modello, in AaVv, Omaggio a Danilo Giori, Giuffrè editore, Milano, 1990: 15-45 e Dall’alto o dal basso? Riflessioni su sviluppo locale e programmazione negoziata in Sardegna, a cura di G. Bottazzi, FrancoAngeli, Milano, 2005.
[14] Cfr. Antonio Sassu, Lo sviluppo locale in Sardegna: un flop? Numeri, cause, suggerimenti, Ediesse, Roma, 2017.
[15] Mi permetto di rinviare, in proposito, al mio libro L’irrisolta questione sarda, Cuec, 2018, e in particolare al capitolo La questione sarda dopo “la grande trasformazione” di questi anni: 255-282.
[16] Cfr. Caritas, Delegazione regionale per la Sardegna, XVIII Report su povertà ed esclusione sociale dall’osservazione delle Caritas della Sardegna, 10 novembre 2023 (visionabile online).
[17] Romina Deriu e Camillo Tidore, Omicidi, rapine e attentati in La criminalità in Sardegna, a cura di Antonietta Mazzette, Edes, Sassari, 2018: 28. Su questa tematica cfr. anche Antonietta Mazzette e Daniele Pulino, Gli attentati in Sardegna. Scena e retroscena della violenza, Cuec, Cagliari, 2016.
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