di Nassih Redouan
In questo articolo ci proponiamo di mettere in luce la vita di un poeta che ha lasciato una notevole eredità letteraria durante il periodo nazarí in Al Andalus. Vogliamo anche raccontare il rapporto conflittuale tra un maestro e il suo discepolo, tra il poeta Lissan Eddine Ibn El Khatib e il suo omologo Ibn Zamrak. Sebbene questo rapporto fosse basato sulla lealtà e sull’amicizia, non resistette alle tentazioni degli interessi personali e del potere politico. Il destino dei due poeti, tuttavia, era lo stesso: entrambi dovevano morire di morte violenta. Tuttavia, il tradimento di Ibn Zamrak nei confronti del suo maestro rimarrà sempre ingiustificabile e sordido.
La storia di al Andalus durante il Regno di Banou Al Ahmar fu fortemente segnata dagli intrighi degli uomini di potere nazarì che gestivano gli affari pubblici dello Stato. Questo periodo annuncia il declino dei re musulmani nella Penisola iberica e la forte ascesa dei regni di Castiglia e Aragona, soprattutto dopo la sconfitta degli Almohadi nella battaglia di « las Navas » del 1212. In questo tumultuoso clima politico nacquero due grandi poeti del Regno Nazarí: Lissan Eddine Ibn El Khatib e Ibn Zamrak. Questi due uomini non solo rappresentarono due grandi figure nel mondo della letteratura, distinguendosi per le loro poesie, che ancora oggi decorano le pareti dell’Alhambra, ma incarnarono anche il mondo della politica e le alterne vicende del regno nazarí. Il rapporto tra i due poeti, originariamente basato sull’amicizia e sul rispetto filiale tra ibn Zamrak e il suo maestro Ibn El Khatib, si trasformò presto in un odio reciproco.
Lissan Eddine Ibn El Khatib
Il poeta Lissan Eddine Ibn El Khatib fu uno dei grandi studiosi dell’Andalusia dei Banu Ahmar durante l’VIII secolo dell’Egira. Poeta originario di Loja, una piccola città di Granada, fu anche medico, politico e gigante delle lettere e della storia di questo ultimo regno musulmano in Occidente.. Chi ha studiato a fondo la sua personalità, come l’arabista Emilio G. Gómez, tra gli altri, non è mai riuscito a coglierne a pieno la vera e complessa statura. La sua formazione e le sue conoscenze approfondite gli permisero di raggiungere l’apice del potere nazarí, dove servì con grande discernimento i disegni di due diversi sultani. Con buon senso, fu in grado di assicurare alla corona patti e confini stabili con i regni vicini. Questi regni si erano sviluppati ed erano diventati onnipotenti dopo la battaglia di Salado. Era conosciuto come «l’uomo dei due visir», perché fu ministro di Yusuf I e poi di suo figlio Mohammed V, sia come primo ministro che come capo dell’esercito regolare, cosa insolita nelle vicissitudini della monarchia nazarì.
Lissan Eddine Ibn El Khatib è considerato il “gran polígrafo granadino”, “el príncipe de la literatura arábigo-granadina”, “la Figura, la Lumbrera, la Imagen…” – «en palabras de quienes lo han estudiado – escribió de todo, de lo divino y de lo humano, de ciencias y de letras – en palabras de quienes lo han estudiado-, escribió de todo, de lo divino y de lo humano, de ciencias y de letras» [1]. Grazie al riconosciuto prestigio dei maestri che influenzarono la sua formazione, alla passione per il sapere, al gusto, all’ispirazione e alla sensibilità, raggiunse i più alti livelli di conoscenza dell’epoca nelle scienze religiose, nelle letture e nei commenti coranici, nelle tradizioni profetiche, nella giurisprudenza, nella redazione di contratti notarili e di lettere ufficiali e personali : grammatica, lessicografia e retorica, geografia, viaggi, politica e governo, composizione letteraria e relazioni sociali, poesia (in cui sviluppò temi politici, panegirici, erotici, ascetici, descrittivi, elegiaci, satirici e popolari), mistica, filosofia, logica e matematica, nonché igiene e medicina, ma soprattutto storia.
È l’ultimo grande rappresentante di questo genere, «il Sallustio dell’Emirato di Granada». Ibn al-Khaṭib è senza dubbio lo scrittore più importante nella storia della Granada islamica e, in particolare, di tutto l’Occidente musulmano nel XIV secolo. Emilio Garcia Gomez scrive: «In questo periodo, il Regno di Castiglia e l’Emirato di Granada erano accomunati dallo stesso clima di passione e intrigo. Alle lotte di Don Pedro il Crudele con il fratello bastardo, che sarebbero culminate in un cambio di dinastia, corrisposero nel regno nazarita la deposizione e l’esilio di Mohammad V; il delirio e la violenza dei castigliani, l’inaugurazione degli assassinii dinastici che avrebbero trasformato una Granada morente nella scena di una vera tragedia; e la costruzione degli ultimi palazzi di Granada e di quelli dell’Alcázar di Siviglia».
Le due corti mantennero all’epoca stretti legami di amicizia: in considerazione di Maometto V, Don Pedro trafisse il re Bermejo con la sua stessa mano a Tablada, e nella Cronaca del Cancelliere Don Pero López de Ayala, troviamo – apocrifo o meno – un’intima corrispondenza che il re di Castiglia intrattenne con «un moro di Granada di cui si fidava, e che era un grande studioso e filosofo che fungeva da consigliere del re di Granada. Il suo nome era Benahatin, nel quale è facilmente riconoscibile lbn El Khatib di Loja»[2].
Le opere di Ibn El Khatib rappresentano una testimonianza considerata, nella maggior parte dei casi, indiscutibile e unica. Senza raggiungere lo stadio analitico del suo contemporaneo Ibn Khaldun, la visione storica del poligrafo granadino supera di gran lunga la semplice esposizione dei fatti. Tale era Ibn El Khatib, la cui memoria Granada e l’Andalusia devono conservare con vera venerazione. Muhammad Abdullah Annan, uno dei più preparati tra coloro che hanno parlato dell’Andalusia e della sua storia, ritiene che il ministro Lissan Eddine Ibn El Khatib sia stato «la più grande personalità che l’Andalusia abbia conosciuto nell’VIII secolo d.C., nel campo del pensiero, della politica, della poesia o della letteratura, e che possa essere collocato nella schiera delle più grandi personalità della storia andalusa nel suo complesso»[3].
Nel complesso, Ibn El Khatib è la fonte essenziale per la storia della Granada islamica e una voce critica impareggiabile agli annali della storia di al-Andalus, anche se non supera la capacità riflessiva del grande cronista cordovano Ibn Hayyan né raggiunge la profonda analisi “sociologica” del suo contemporaneo Ibn Khaldun. L’abbondante materiale lasciato in eredità dalla sua opera al senso critico abituale, pur non essendo esente da soggettività, costituisce una testimonianza unica nel quadro della storiografia andalusa. In breve, egli ha incarnato un corpo di conoscenze che non solo ha accumulato nel suo vasto bagaglio intellettuale, ma ha coltivato con ineguagliabile maestria, lasciandone traccia in più di sessanta opere. Purtroppo, solo alcune di queste opere sono sopravvissute e di altre si hanno solo riferimenti indiretti.
Una brillante carriera politica funestata da intrighi e gelosie
Il giovane Ibn El Khatib fu nominato dal nuovo sultano Yusuf I al suo primo incarico amministrativo a Granada. Da apprendista nella cancelleria (Diwan al-insha’), divenne segretario privato e, in questa veste, accompagnò il monarca nella primavera del 1347 nel suo viaggio attraverso i territori orientali del suo regno, con destinazione finale Almería, che diede origine all’opera Jatra al-tayf wa rihlat al-sita’ wa al-sayf (Apparizione dell’immagine sognata, Voyage d’hiver et d’été), incomparabile paradigma della letteratura di viaggio e modello di grande bellezza letteraria, scritto in prosa rimata da chi, oltre alle innegabili doti di uomo di scienza e diplomatico, era già uno storico e un osservatore erudito e perspicace.
La morte del suo maestro Ibn al-Jayyab [4] nel 1349, al culmine dell’epidemia di peste nera che all’epoca stava devastando gran parte del mondo mediterraneo, e la disgrazia del potente primo ministro Ridwan, destituito dalle sue funzioni di governo, diedero a Ibn El Khatib l’opportunità di salire di qualche gradino nella sua brillante carriera politica.
Yūsuf I gli affidò l’importante incarico di capo della segreteria reale, carica alla quale aggiunse quella di ministro e comandante militare. Secondo la sua stessa testimonianza, «alla morte del mio maestro Ibn al-Jayyab, Yusuf I mi rivestì della carica di visir, raddoppiò il mio stipendio e mi affidò il comando generale dell’esercito» (al-Lamha) [5]. Oltre ad affidargli queste altre responsabilità, «mi diede il suo anello e la sua spada, mi affidò il tesoro della sua corte, il conio delle monete, la custodia delle sue mogli, l’educazione dei suoi figli e la sua inaccessibile fortezza [...] … e mi diede pieni poteri su tutto ciò che Dio ci aveva affidato da custodire» (al-Lamha). Allo stesso modo, Yusuf I lo mise a capo delle ambasciate presso i re del suo tempo e, consapevole delle sue conoscenze in campo economico, lo autorizzò a nominare agenti o esattori; funzioni che gli diedero senza dubbio i mezzi per accumulare una fortuna personale più che ragguardevole e che pesarono molto in alcune fasi della sua vita.
La sua influenza a corte e la sua ricchezza provocarono gelosie tra i cortigiani e uno dei suoi discepoli, il poeta Ibn Zamrak, di scuola malekita, cospirò contro Ibn El Khatib, accusandolo di slealtà verso l’Islam a causa dei postulati sufi che professava. È senza dubbio in questo periodo che il poeta Ibn Zamrak compie un nuovo passo nella sua carriera, venendo nominato dal re come suo segretario privato (katib sirri-hi). Il Dahir di nomina fu redatto dallo stesso Ibn El Khatib, che lo incluse, come modello editoriale, nel suo Rayhanat al-kuttab [6].
Nella sua opera intitolata “al- Ihata”, troviamo due lettere di Ibn Zamrak a Ibn al-Khatib. Secondo Emilio Garcia Gomez, sempre nella sua opera su Ibn Zamrak:
«La prima lettera porta l’assurda data del 15 yumada I 669 = 30 dicembre 1270, che probabilmente andrebbe corretta in 15 yumada I 769 = 7 gennaio 1368. La seconda porta la stessa data. Entrambi sono scritti dall’Alcazaba di Almuñecar, dove il re Maometto V risiedeva all’epoca. Forse stava trascorrendo l’inverno lì, in compagnia di lbn Zamrak e dei figli di lbn El Khatib, mentre lbn El Khatib era rimasto a Granada per occuparsi degli affari. Entrambe le lettere sono estremamente affettuose, ma la seconda, più espressiva, è introdotta da lbn Zamrak come segue: “Padre e fonte della mia conoscenza, autore e rinnovatore delle mie benedizioni, rettificatore delle mie perfezioni, Irroratore delle mie speranze…
E continua dicendo : Ispirami, o mio Dio, la gratitudine dovuta a questo protettore i cui favori superano gli schienali del riconoscimento e innalzano le lodi più perfette. Prolunga, o mio Dio, la sua vita e concedi all’Islam e ai fedeli di beneficiare del suo prolungamento”.
Vedremo presto se questi sentimenti e desideri espressi con tanta veemenza erano sinceri» [7].
Quando Ibn El Khatib fu esiliato a Fez, accompagnando Mohammad V in esilio, visse gli eventi più notevoli della sua vita in Afriquia. Alla corte del califfo merinide Abu Salem, furono accolti con un magnifico corteo e una grande dignità: egli fece sedere il monarca nazarì in esilio su un trono opposto al suo, e Ibn El Khatib recitò un poema in cui implorava il monarca di aiutarlo. Il Sultano di Afriqiyya promise di sostenere il suo ospite e, in attesa della sua reintegrazione sul trono andaluso, lo colmò di onori, installandolo in uno splendido palazzo e provvedendo alle necessità di tutti i membri dell’entourage del monarca andaluso.
L’ex visir Ibn El Khatib condusse per qualche tempo una vita molto piacevole, godendo dei favori e delle attenzioni ricevute dal sultano marinide. Chiese anche di visitare le città, i quartieri e i monumenti dell’Afriqiyya e di conoscere la storia delle loro antiche formazioni sociali. Ottenuto il permesso di farlo, armato di lettere di raccomandazione che invitavano amministratori e governatori a fornirgli risorse e doni, Ibn El Khatib accumulò una grande fortuna. Allo stesso modo, su raccomandazione del sultano marinide, gli furono restituiti i suoi possedimenti nella campagna cordovana.
Ibn El Khatib divenne l’unico sovrano e amministratore di questo regno andaluso e ottenne la piena fiducia del Sultano di Granada nelle sue funzioni di governo. Di conseguenza, le persone vicine al principe e altri cortigiani cominciarono a sollevare ogni sorta di intrighi e calunnie contro di lui, riferendosi principalmente alla sua concezione materialistica della vita, che egli confessava nella sua ideologia sufi. In un primo momento, il sultano andaluso non prestò attenzione a queste insinuazioni, ma Ibn al-Khatib, consapevole delle cospirazioni ordite contro di lui, ebbe l’idea di lasciare la corte dell’Andalusia per cercare sicurezza.
L’autorità di Ibn El Khatib sotto l’influenza dei suoi avversari
Stanco, vessato e accusato di vari crimini dai suoi più diretti collaboratori, tra cui il cadi al-Bunnahi e il suo stesso discepolo Ibn Zamrak, allora capo della cancelleria reale e futuro ministro, Ibn al-Khatib rivolse la sua attenzione al Maghreb, dove, purtroppo per il poligrafo nato a Granada, i venti non erano favorevoli. Una volta che gli intrighi ebbero fatto il loro corso, era deciso ad andarsene. Così elaborò un piano per lasciare al-Andalus, chiedendo al Sultano il permesso di ispezionare i confini occidentali. Ottenuto il permesso, riuscì a fuggire a Fez, ma non senza aver scritto una commovente lettera d’addio al suo sovrano Muhammad V, in cui spiegava le ragioni che lo avevano spinto a prendere questa decisione, ribadiva la sua lealtà e fedeltà, implorava il suo perdono e ricordava i servizi resi e la sua condotta esemplare a capo dell’amministrazione governativa. Tuttavia, i termini della lettera non riuscirono a calmare gli animi già agitati dei suoi nemici, in particolare quelli di Ibn Zamrak e Al-Bunnahi, che iniziarono una politica di vessazione e demolizione nei confronti del Visir di Granada, accusandolo di essere un impostore sleale, un traditore e un eretico.
Lo stesso al-Bunnahi gli inviò una lettera, forse in risposta a un’altra inviatagli da Ibn al-Khatib, in cui riversava accuse senza limiti né freni, tipiche di uomini spinti dall’odio e dal risentimento reciproco; una lunga missiva piena di critiche nei suoi confronti come persona, come politico e come leader, per il suo smodato auto-elogio, per aver rivendicato imprese politiche e costruttive che non ha mai portato a termine, per aver offeso il Profeta, per aver deviato dalla retta via dell’Islam, per aver aumentato le tasse prima di fuggire, per la sua smodata preoccupazione per le cose mondane e per la sua smania di accumulare ricchezze e acquisire beni materiali.
Il nuovo Sultano di Granada, Muhammad V, convocò il suo ministro esiliato, Ibn al-Khatib, per riprendere il suo precedente incarico. E lì trovò qualcuno in competizione con lui per la posizione e il potere. Quest’ultimo era lo sceicco degli invasori (Uthman bin Abi Yahya), che aveva messo le mani sul sultano per riconquistare il trono. Nacque una disputa tra i due uomini, che si odiavano a vicenda, ma Ibn El Khatib fu più tenace, utilizzando metodi di intrigo che gli permisero di sconfiggere l’avversario, soprattutto facendo apparire Uthman come una fonte pericolo e di tradimento [8]. Il Sultano cedette ai consigli di Ibn El Khatib ed eliminò Uthman e la sua famiglia nel mese di Ramadan 764 d.C. (1363 d. C.), permettendo così a Ibn El Khatib di riacquistare la sua piena autorità, senza avversari né concorrenti, ma solo per un certo periodo.
Ancora una volta sentì che intorno a lui si stavano ordendo complotti e intrighi e la sua autorità fu intaccata dalla presa dei suoi avversari. Questa nuova campagna contro Ibn El Khatib fu condotta da due uomini forti che influenzarono il Sultano in virtù della loro posizione nel servizio reale e della loro posizione politica nello Stato nazarí. Si tratta del Cadi “giudice” Al Bunnahi e del poeta Ibn Zamrak.
Consapevole del pericolo rappresentato da questi due scaltri uomini, Ibn El Khatib riuscì a lasciare definitivamente l’Andalusia, senza che il Sultano se ne accorgesse: chiese al Sultano di permettergli di ispezionare alcuni porti andalusi, anche se si trattava solo di uno stratagemma per salpare verso il Marocco, non appena fosse arrivato a Gibilterra, che all’epoca era uno dei possedimenti merinidiani. Il piano ebbe successo, poiché il comandante del porto di Gibilterra lo accolse calorosamente e facilitò la sua missione, su ordine del Sultano del Marocco, autorizzando lui e chi lo accompagnava, come il figlio, a raggiungere Ceuta. Prima di congedarsi dalle terre andaluse, inviò un’impressionante lettera al sultano Al-Ghani Billah, in cui giustificava la sua decisione come un atto di forza e chiedeva infine il suo perdono, sperando nel suo sostegno per la sua famiglia, che aveva lasciato a Granada. Ibn El Khatib arrivò a Ceuta e da lì si recò a Tlemcen, sede del sultano Abdul Aziz, che lo festeggiò e lo onorò. Il sultano Abdul Aziz inviò i suoi ambasciatori a Granada, usando la sua autorità per facilitare il viaggio della famiglia di Ibn El Khatib a Tlemcen. Il re Mohammad V rispose favorevolmente, e questo avvenne nell’anno 773 Aegir, 1371 gregoriano.
Mentre Ibn El Khatib viveva a Granada, Maometto V ignorò le critiche e le accuse rivolte al suo visir, poiché gli era ancora grato per tutto ciò che aveva fatto per lui alla corte nazarì. Tuttavia, nonostante questa lettera, le relazioni tra il monarca e il suo ex visir si deteriorarono, soprattutto perché i nemici di Ibn El Khatib sottolinearono che egli aveva tradito il monarca. Il suo più grande rivale, il cadi al-Bunnahi, lo accusò in un’epistola di aver usato lo “stratagemma” di fingere di ispezionare la frontiera ad Algeciras, arrivare a Gibilterra e poi lasciare l’Andalusia per “fuggire”. Secondo lui, era evidente che l’intenzione del Visir nel viaggiare non era quella di cercare la soddisfazione di Dio Altissimo; e soprattutto lo rimproverava di aver lasciato il monarca da solo per tutta la durata del suo esilio nel Maghreb.
Al-Bunnahi, il principale istigatore di tutti coloro che si opponevano al visir, fu incaricato del processo, al quale Ibn El Khatib non partecipò. Tra le accuse politiche più gravi mosse contro di lui c’era la diserzione per aver abbandonato la sua carica, ritenuta non sufficiente a raggiungere il fine desiderato, che non era altro che la sua morte, soprattutto quando l’accusato si trovava fuori da Al Andalus. Gli fu quindi imputato anche il reato di eresia. Oltre a questo reato, furono mosse molte altre accuse per ottenere la sua condanna, le più gravi delle quali erano quelle di aver rotto con l’Islam, di aver accusato il Profeta di imperfezione e di essere stato accusato di essere un «falso profeta».
Ma la causa principale della rottura fu senza dubbio il fatto che Maometto V era venuto a sapere che Ibn El Khatib aveva incoraggiato il sultano merinide Abd al-’Aziz a intraprendere la conquista di al-Andalus con il pretesto che si trattava di un compito facile. Venuto a conoscenza di ciò, il monarca chiese l’estradizione del suo visir e inviò persino diverse ambasciate cariche di doni per incoraggiare il sultano marinide a farlo. Ma ciò non avvenne, perché il sultano marinide rispose a una di esse nei seguenti termini: «Visto che eri a conoscenza dei suoi crimini, perché non lo hai punito quando era con te?». Inoltre, egli ricoprì di grazie e privilegi Ibn al-Khatib e i suoi figli, così come tutti coloro che lo avevano accompagnato nel suo viaggio. Purtroppo le circostanze cambiarono quando il sultano merinide, che aveva protetto Ibn al-Khatib, morì nel bel mezzo del suo viaggio.
Ibn al-Khatib, avendo perso la protezione di cui aveva goduto dal monarca defunto, fu arrestato e imprigionato. Ibn al-Khatib aveva molti nemici, sia in Nord Africa che in Al Andalus. Quando le varie ambasciate che il re Mohammed V aveva inviato da Granada a Fez per chiedere l’estradizione di Ibn El Khatib fallirono, fu preparata un’ultima e definitiva ambasciata, presieduta da Ibn Zamrak, che gli era succeduto come visir dopo la partenza del suo padrone da Granada, e che ora era diventato il suo più grande nemico, dato che lo scopo del suo viaggio alla corte marinide non era quello di ottenere la sua estradizione, ma di condannarlo e metterlo a morte.
Si è cercato di trovare le ragioni che portarono Ibn Zamrak ad agire in questo modo nei confronti del suo mentore e maestro, al quale era apparentemente legato da vincoli di amicizia. Emilio García Gómez, in un’interpretazione interessante ritiene che Ibn Zamrak abbia vissuto una lotta interiore perché era combattuto tra due posizioni: mantenere la sua lealtà al re e difenderlo dall’allarme di una probabile invasione marinide, incoraggiata da Ibn El Khatib, o, al contrario, mantenere la lealtà e la gratitudine verso l’uomo che era stato il suo protettore e maestro. Questo atteggiamento, tuttavia, non è molto coerente, poiché una persona abile come Ibn Zamrak avrebbe potuto trovare un pretesto per tenersi lontano da questo processo. Questo è ciò che pensavano i discepoli contemporanei di Ibn El Khatib, ma più tardi, quando il potere politico di Ibn Zamrak declinò, tutti, come afferma Emilio García Gómez, indicarono il poeta come il Giuda della Spagna musulmana.
Ibn Zamrak arrivò a Fez nel novembre 1374 e iniziò il processo, che si concluse nel giugno 1375. Ibn El Khatib patteggiò davanti a una commissione di notabili e a numerosi consiglieri di Stato, il cui scopo era quello di condannarlo alla massima pena. Il duro interrogatorio a cui fu sottoposto mirava a dimostrare la natura eretica delle sue opere. Sebbene alcuni membri della commissione ritenessero che non vi fosse alcun reato nelle frasi contenute in una delle opere analizzate, Giardino della conoscenza sull’amore nobile (=divino), per cui non si poteva emettere un giudizio definitivo, Ibn El Khatib fu riportato in prigione e torturato.
In questa situazione, il desiderio di Sulayman b. Dawood prevalse. Dawud diede l’ordine di uccidere Ibn El Khatib senza dargli la possibilità di pentirsi, supplicare o confutare i suoi accusatori, e fu strangolato a morte in prigione. Il giorno dopo fu sepolto nel cimitero, ma due giorni dopo si scoprì che la sua tomba era stata aperta e il suo corpo bruciato. Per questo motivo fu soprannominato “l’uomo dalle due morti” o “l’uomo dalle due tombe”.
Si possono solo ricordare le dure parole che suo figlio, Ali Ibn El Khatib, rivolse a Ibn Zamrak dopo la morte di Ibn El Khatib, che lo accusava della morte del padre: «Che Dio lo riempia di affronti e lo tratti come merita». Ricordava che era stato suo padre, il suo signore, a biografarlo, ad elevarlo nella gerarchia, e che nessun altro lo aveva ucciso.
Durante i trentasette anni in cui servì e godette della fiducia di Maometto V, di cui tre trascorsi nel Maghreb e il resto in Al Andalus, l’attività di Ibn Zamrak, come egli stesso scrisse, fu notevole, sia in ambito politico che letterario, dal momento che compose sessantasei qasidas per il monarca, destinate ad altrettante celebrazioni, oltre a innumerevoli versi ed elogi che vennero affissi sui muri delle sue residenze. Godette anche della fiducia di Yusuf II, che affermò che lui e suo padre erano «i due più grandi re di questo Paese».
Tuttavia, la sua fine non fu migliore di quella del suo padrone: sebbene Ibn Zamrak avesse riconquistato la sua posizione, una notte gli scagnozzi del Sultano irruppero nella sua casa mentre leggeva il Corano e uccisero lui, i suoi figli e i suoi servi, in presenza di donne e bambini. Sebbene non si conosca la data esatta, sembra che questo evento sia avvenuto nell’estate del 1393. Tutta Al Andalus deve aver visto nella tragedia finale di Ibn Zamrak la mano della giustizia divina che vendica Ibn El Khatib, dando al discepolo sleale una morte ancora più terribile di quella che aveva inflitto al suo maestro.
In conclusione, nonostante la sua posizione privilegiata nel mondo della letteratura e il posto d’elezione che occupava presso i Nasridi e i Merinidi, Ibn El Khatib subì alcune svolte inaspettate che condizionarono la vita di questo grande pensatore e finirono per costargli la vita. L’ostilità meno attesa fu quella del suo discepolo Ibn Zamrak. Quest’ultimo aveva beneficiato del pieno sostegno di Ibn El Khatib per salire ai più alti ranghi del potere nazarí, non aveva esitato a usare ogni mezzo a sua disposizione per minare l’eccezionale carriera di Ibn El Katib, arrivando persino a istigare la sua esecuzione.
La vita di Ibn El Khatib e tutti gli eventi che la segnarono incarnano le alterne vicende dei regni degli ultimi re nazarì, la cui instabilità politica e sociale derivava sempre dalla corsa al potere e dalla soddisfazione di interessi personali.
Dialoghi Mediterranei, n. 66 marzo 2024
Note
[1] Il grande poligrafo di Grenada, «il principe della letteratura arabo-granadina», «la Figura, il Luminare, l’Immagine…», come dicono coloro che lo hanno studiato, scriveva di tutto, del divino e dell’umano, della scienza e della letteratura. La traduzione è nostra.
[2] Ibn Zamrak, el poeta de la Alhambra, García Gómez, E., Granada-Patronato de la Alhambra, 1975: 22-23.
[3] لسان الدين بن الخطيب : حياته وتراثه الفكرى، محمد عبد الله عنان، القاهرة، مكتبة الخانجي، 1968، الصفحة 28.
[4] Ibn al-Yayyab ( ابن الجياب الغرناطي Grenade, 1274 – 1349) est un poète de l’époque nasride. Ses poèmes peuvent se lire de nos jours dans les jardins du Généralife.
[5] IBN AL-JATIB. Historia de los Reyes de la Alhambra (Al-Lamha al-badriyya). Resplandor de la luna llena acerca de la dinastía nazarí. Estudio preliminar Emilio Molina López. Trad. José M.ª Casciaro Ramírez y Emilio Molina López. Granada: Editorial Universidad de Granada, 2012, 285 págs.
[6] ريحانة الكتاب ونجعة المنتاب، لذي الوزارتين لسان الدين ابن الخطيب، حققه محمد عبد الله عنان، القاهرة، 1980.
[7] Ibn Zamrak, el poeta de la Alhambra, García Gómez, E., Granada-Patronato de la Alhambra, 1975, page 50
[8] في ركاب ابن الخطيب النابغة الشهيد ، مجلة دعوة الحق العدد 227 .- شعر ابن زمرك الأندلسي : وثيقة تاريخية، رمضان عيد محمد بدر، مجلة كلية الآداب بقنا )دورية أكاديمية علمية محكمة(العدد – 55 أبريل 2022.-في ركاب ابن الخطيب النابغة الشهيد ، مجلة دعوة الحق العدد 227 .
Riferimenti bibliografici
Ben al-Jaṭīb y Granada, Bosch Vilá, Jacinto, Madrid: Asociación Cultural Hispano Alemana, 1980.
El polígrafo granadino Ibn al-Jatib y el sufismo. Aportaciones para su estudio, Santiago Simón, Emilio de. Granada, 1983.
El último viaje de Ibn al-Jaṭīb. Circunstancias, causas y consecuencias.. En Entre Oriente y Occidente. Ciudades y viajeros en la Edad Media, Chafic Damaj, Ahmad. Granada: Universidad de Granada, 2005 : 103-132.
Ibn al Jatib, Real Academia de la Historia
Lisan al-din b. al-Khatib: quelques aspects de son oeuvre.” Arié, Rachel, in Atti del terzo congresso di Studi Arabi e Islamici. Naples, 1967: 69-81.
Punto de vista del intelectual sobre su relación con el poder político en la época nazarí. Chafic Damaj, Ahmad. Anaquel de Estudios Árabes, 2004, vol. 15: 97-121.
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Nassih Redouan, docente di lingua e letteratura italiane presso la Facoltà di Lettere e Scienze Umane di Casablanca, ha studiato presso l’Università di Bologna – Dipartimento di Italianistica. Specializzato nell’Orientalismo italiano e nella storia degli arabi nel sud dell’Italia, in special modo la Sicilia saracena, ha contribuito alla nascita del secondo Dipartimento di studi italiani a Casablanca dopo quello già esistente a Rabat, la capitale del Marocco. Svolge anche l’attività di traduttore per enti pubblici e privati. Dal 2010 ricopre il carico di capo del Dipartimento degli studi italiani presso la Facoltà di Lettere e Scienze Umane di Casablanca.
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