dialoghi antivirus
di Lella Di Marco
Io non sono triste – io non sono allegra – io non gioisco – io non soffro, perché io non sono nessuno – io non conto nulla. Perché improvvisamente sono colta da crisi di panico che mi paralizzano? Perché tutte le mattine mi sveglio con le lacrime agli occhi? Se ho perso il lavoro, se non ho prospettive come mantengo me e i miei figli?
Mio marito è andato via con un’altra donna, forse è tornato in Algeria. Per potere andare avanti e sopravvivere dobbiamo sperare nella carità nelle associazioni umanitarie, nei pacchi alimentari che ci donano? Ma abbiamo bisogno di altro con i bambini piccoli … E i medici e le medicine perché per noi non si trovano? Come immigrati siamo carne da macello, adesso non serviamo più …
A casa i litigi sono continui. Mio marito picchia me e i bambini, sembra impazzito. Non capisce che il problema non nasce dentro la famiglia.
Mio nipote – 12 anni – ha paura del contagio, va anche a letto con la mascherina e se vengono persone a casa lui si chiude in camera sua e non esce più.
Perché i giovani all’università non fanno sentire la loro voce? Soltanto Ivano Dionigi, famoso latinista, ex rettore dell’Ateneo bolognese, ha fatto un comunicato molto forte, parlando di un anno rubato agli studenti, un anno senza aver potuto ricevere quegli strumenti conoscitivi che diano la possibilità di capire il mondo e individuare la strada da percorrere.
Stiamo tutti male, di un malessere che non è nuovo, solo che sembra essere scoppiato improvvisamente, che ci logora ma ci sta facendo prendere coscienza delle cause e delle prospettive di vita. Molto oscure.
Quanto scrivo non ha la pretesa di un’analisi scientifica, riporto frammenti di espressioni di vita sfilacciata ma non contrastanti tra di loro né avulsi dalla realtà. Sono dati reali raccolti parlando con le persone, ascoltandole nei bar, nei negozi, nei parchi, proponendo loro anche i servizi attivati dal comune e forme di sostegno operanti sul territorio, soprattutto a difesa delle donne maltrattate dai mariti e obbligate a condividere tempi e spazi, in casa.
Si ha l’impressione che la gestione del Paese non sia sotto controllo, si ha la sensazione di essere abbandonati al proprio destino. E questo non vale soltanto per le fasce sociali più fragili; piccola e media borghesia vivono la stessa angoscia e disperazione, magari con qualche strumento in più di autodifesa. I corsi on line di controllo delle ansie, del panico, della gestione delle proprie emozioni si sprecano, i centri benessere yoga, meditazioni, pratiche zen sono attivi. Chi può pagare li frequenta per un po’ di serenità, così anche per la sanità. Si è costretti a ricorrere a quella privata e non solo per le urgenze, emerge che sotto l’apparente “ordine” sociale si è allargata la grande fetta di criminalità italiana e straniera, che la produzione grossa non si è mai fermata, che alla logistica i lavoratori immigrati irregolari contagiati dal virus hanno continuato a lavorare, senza garanzie o protezioni.
Chi arriva da alcuni Paesi è libero di fare la quarantena dove vuole, tanto non ci sono controlli, e così si radicalizzano altre forme di odio, rabbia, rifiuto dell’altro, come “il negro”, il rom, il musulmano, chi proviene dai Paesi dell’Est. Tutti untori, tutti infetti. Ecco l’islamofobia che in anni di interventi sembrava essersi attenuata, ha una forte ripresa. Il problema è antico, legato alla xenofobia ma anche alla patologia del razzismo, del sessismo, dello sfruttamento e della sottomissione del colonizzato. Radici ataviche prodotte e rafforzate ideologicamente dalla risacca della globalizzazione.
Bologna che è stata sempre considerata “un laboratorio politico” nelle grandi fasi storiche di cambiamento, lo è anche adesso. Sembra che il mondo si sia trasferito a Bologna. Quando non le persone in carne e ossa, il loro capitale. La pubblicità ci consola, anzi si cura di noi prevedendo i nostri bisogni, avendo intuito i nostri desideri. Così, ci soccorrono gli angioletti accattivanti di poltrone sofà, zitti durante il lockdown in attesa che noi rimasti in casa sciupassimo i divani, non avendo altra scelta che stare seduti a guardare la tv. Adesso loro, capitale cinese e produzione cinese, sotto sembianze di artigiani italiani con l’inflessione dialettale delle varie regioni in cui sono dislocati, ci propongono la nuova più confortevole produzione di divani.
Tutti i negozi in molte periferie, comprati da immobiliari straniere, stanno per essere riconvertiti in bilocali abitabili con tanto di cambio di destinazione d’uso regolare, per il turismo mordi e fuggi e per gli affari di fiere, parco alimentare o addirittura per imprenditori stranieri che hanno investito a Bologna per collocare i loro dipendenti stranieri. Un vero scempio. A guardar bene, sembrano camere della morte di un qualche carcere di massima sicurezza. Ma sono tutti venduti e quei pochi rimasti vanno a ruba.
Anche la conoscenza di quanto accade in città aumenta il malessere dei residenti. Non so come si possa capire bene il presente delle vite individuali, quali categorie di analisi seguire. Le indagini che leggiamo sono finalizzate a conoscere soltanto quali consumi, quali bisogni materiali, quali mete turistiche offrire. Non ci aiutano a guardare all’interno delle dinamiche che forse neppure l’antropologia è in grado di indagare con nuovi strumenti di analisi.
Anche perché non può servire esclusivamente la frammentaria descrizione di quello che ci appare, bisogna affondare nell’archeologia del presente e nella connessione delle complessità geopolitiche ed economiche globali. Anni di politica sbagliata, di incuria del territorio, di devastazione della scuola e della sanità, hanno aperto la via alla volgarità dei costumi e della lingua, all’ignoranza, all’odio, al rancore, alla vendetta, mentre non sembra maturare alcun pensiero di dissenso, un brandello di cultura alternativa. Sto esprimendo soltanto con disgusto e delusione la mia visione del fallimento di tante lotte e di tanti progetti di associazionismo civico, di convivenza pacifica e di dialogo interculturale.
In questi mesi tutto l’apparato pubblico è rimasto rigorosamente chiuso, inattivo, garantendo i dipendenti ma negando i servizi. Quelli che davano il senso di comunità ad un territorio sono scomparsi e tale situazione, oltre alla solitudine e all’isolamento, ha portato al rinchiudersi di tanti in integralismi religiosi, a rotture dentro le stesse comunità e non solo straniere. A Bologna è molto significativa la scissione fra i frati all’eremo di Ronzano dove nessuno intende celebrare più messa, in attesa di chiarimenti. E le divisioni stanno accadendo in tante altre comunità religiose e non solo.
Non voglio apparire catastrofista perché intravedo qualche luce nell’intrapresa di alcuni giovani che stanno lavorando, in proprio, i campi abbandonati dai nonni in provincia. Si sono specializzati in coltura biologica di frutta e verdura con consegna settimanale a domicilio. Sembra che la cosa funzioni. Alessandro, antifascista, dotato di un forte senso comunitario, sta lavorando per attivare una palestra popolare con fini non agonisti ma di educazione al controllo delle proprie energie, alla valutazione del positivo che il corpo può esprimere, così che nel quartiere è diventato luogo di ritrovo, punto di riferimento per molti giovani e giovanissimi. Alessandro ha grande consapevolezza della fase che viviamo, sente la mancanza di forti ideali, soffre per l’abbandono dei valori della Resistenza, denuncia ogni forma di corruzione. Lui ci crede e a tale progetto sta sacrificando tutto se stesso. Dice che è un dovere che sente di restituire qualcosa alla società in memoria del nonno partigiano e di quanti si sono impegnati per un Paese antifascista.
Mi accorgo giorno dopo giorno che l’Appennino si sta spopolando. Casette o cascinali vengono ceduti per poco. Ovviamente necessitano di una adeguata e assidua manutenzione perché non degradino in ruderi. Alcune famiglie con bambini hanno scelto una fuga salvifica dalla città, per viverci anche brevi periodi assieme a piante, animali e amici, sperimentando anche piccoli spazi di colture.
Io credo che alcuni comportamenti che in questa drammatica fase sono cominciati per gioco continueranno anche in futuro. Qualche mamma ha ripreso a cucinare a casa, sperimentando il gusto della pietanza fresca senza additivi chimici. Preparare il pane poi è diventato un rito magico, indubbiamente anche per la sacralità che esprime, e per il gesto di donarlo. Kikki, una mia vicina di casa, mi offre periodicamente buone pagnotte confezionate secondo un’antica ricetta turca. Mentre un vicino che abita al piano terreno è riuscito a realizzare uno straordinario orto pensile, raccogliendo ortaggi in quantità superiore al suo fabbisogno.
Piccoli esempi che nel positivo o negativo che esprimono non sono assolutamente significativi di come vive la gente. Direi che si trascina o meglio trascina ovunque la sua paura. L’altro/a incontrato sul marciapiedi è un potenziale untore. Evita di sfiorarti. Cambia rotta anche se dotato di mascherina. Prevale il senso dell’impotenza. Non sento la rabbia soggettiva esprimersi in una qualche forma di aggregazione o di elaborazione collettiva che esprima forza, volontà di rinnovamento complessivo.
Nella giornata di domenica 9 agosto ho assistito all’ennesima esperienza di crisi e di confusione politica per la giornata dell’Aid per tutti, voluta dai musulmani per condividere quella che per loro è una grande festa religiosa proprio da con-dividere. Da molti anni l’iniziativa è stata realizzata a Bologna anche con interventi di riflessione sulla condizione migrante, e anche sulle possibilità di convivenza attiva. Un’occasione ogni volta partecipata. Quest’anno sono insorti grandi problemi nella concessione di uno spazio e soprattutto nella gestione dell’iniziativa. Causa Covid è stato offerto lo spazio in un parco con osservanza delle norme di sicurezza ma soprattutto con l’imposizione di non fare alcun discorso politico. Sono stati sempre presenti esponenti delle forze dell’ordine, e il clima non era proprio rilassante. Nonostante tutto, molte famiglie marocchine e bengalesi hanno partecipato offrendo le loro pietanze tradizionali, mentre esponenti di altre associazioni ed esercenti del territorio hanno manifestato la loro solidarietà mettendo a disposizione attrezzi necessari come griglie, tavoli, frigo e partecipando al pranzo, che per loro è sacro, per quanto vi è contenuto dai simboli del pane a quelli dei legumi e dei cereali, al montone arrostito all’accoglienza all’ingresso, con misurazione della temperatura corporea fino all’offerta di datteri e tè alla menta.
Tra i commensali la piacevole, quanto inaspettata presenza di Dimitris Argiropoulos, che ha portato in omaggio agli arabi uno dei suoi ultimi libri Scuola di Barbiana -lettera a una professoressa- edizione in lingua araba. Dimitris, docente all’università di Parma di pedagogia speciale e interculturale, si occupa di cooperazione internazionale, di educazione di strada e in contesti di vita estremi. Nato in Tessaglia, proprio ai piedi del monte Olimpo, è cresciuto in un villaggio che secondo lui somiglia a Barbiana: con la sua positività, le sue idee, i suoi progetti…è da solo l’antidoto a qualunque crisi, depressione, decadenza. L’indomabile acheo è come se avesse capito tutto di epidemie et similia e avesse trovato tutte le risposte e soluzioni possibili avendo letto la peste di Atene di Tucidite (che poi trattavasi di malaria, ma dal punto di vista sanitario di allora, è lo stesso). Ecco lui vede il mondo come una grande comunità educante che non deve lasciare indietro nessuno, nel rispetto della dignità e dei bisogni di ciascuno. Lettera a una professoressa è il primo di una collana di grandi maestri educatori Educ/Azione da lui diretta per Athenaeum. La traduzione in arabo è un omaggio ai giovani arabi che lo leggeranno in ricordo di don Milani che a Barbiana faceva studiare le lingue sostenendo che «è solo la lingua che rende uguali. Uguale è chi sa esprimersi e intendere l’espressione altrui».
Nel frattempo il governo locale e soprattutto l’ateneo bolognese tentano forme molto visibili e costanti di mobilitazione, come quelle a favore della liberazione di Zaki, lo studente egiziano che frequentava l’università di Bologna, impegnato nella difesa dei diritti umani compresi quelli sessuali, attualmente detenuto nelle carceri egiziane con l’accusa di attività sovversiva contro lo Stato, o la battaglia per ottenere la verità sulla morte di Giulio Regeni. Rivendicazioni giuste ma forse senza speranza, dati i rapporti di forza fra lo Stato italiano e quello egiziano, essendo – come è noto – l’Italia uno dei più grandi Paesi fornitori di armi all’Egitto.
La pandemia continua, a noi non resta che vivere. Il problema è proprio come vivere in un tempo malato e che il nostro sarebbe stato un tempo malato era stato previsto da tempo. Non sono nuove le ricerche sui limiti dello sviluppo, sulle conseguenze sull’ambiente, sulle implicazioni della genetica nel mondo contemporaneo. Nel 1968 si riunì a Roma proprio con il nome Club di Roma un gruppo internazionale di personalità del mondo scientifico, economico, industriale, in collaborazione con il System Dynamics Group del Massachusset Dynamics.Vennero individuati i fattori che sarebbero stati determinanti per tutta l’umanità: l’evoluzione demografica nel mondo, la produzione alimentare, l’industrializzazione, l’inquinamento, l’utilizzo delle risorse naturali. Anche filosofi ed economisti hanno fatto le loro previsioni, da Paul Virili con L’incidente del futuro (Raffaello Cortina editore 2002), a Samir Amin con le sue Fiabe del capitale (ed. La Meridiana 1999).
Ma tutto è andato avanti secondo le logiche del Capitalismo che anche nei suoi periodi di crisi riesce a risollevarsi, scatenando le sue forme più crudeli di repressione e di sfruttamento. Quello che forse non era prevedibile neppure dagli esperti è l’attuale crisi pandemica che è insieme ambientale, economica e geopolitica. Il lavoro per la “ricostruzione”? Lo vedo lungo e difficile. Tutto dovrà essere cambiato a cominciare dalla nostra mentalità. Intanto bisogna sapere-conoscere che cosa sta succedendo, uscire dall’attendismo. Capire che sulla nostra vita abbiamo diritto di parola e di azione, Tenendo presente che adesso non essere consapevoli e partecipi è un suicidio. Indossare la mascherina e tacere è un altro delitto.
Non tace né cessa di intervenire nel dibattito pubblico Franco Grillini, bolognese, due volte deputato al parlamento, eletto in consiglio provinciale e regionale a Bologna, direttore di Gaynews.it, fondatore del’ARCI GAY e oggi presidente onorario nazionale, giornalista, militante a vita contro le disuguaglianze sociali e le discriminazioni, partecipa alle attività della L.G.B.T.
Le azioni di Franco Grillini – tra spazio privato e pubblico – sono quelle che conosciamo dai media, dalle innumerevoli interviste rilasciate, dalle sue apparizioni in Parlamento, dai tanti riconoscimenti compresa l’assegnazione del Nettuno d’oro a Bologna, nonché dai suoi ventidue anni di lavoro a tempo pieno come eletto nelle istituzioni.
«Nella nostra società tutto è merce finalizzata al profitto, il tanto democratico Occidente nulla regala. Qualche pregiudizio è stato abbattuto ma i gay, nonostante alcune reali libertà, sono anch’essi merce lanciata per il profitto con progetti mirati: dalla produzione di elementi culturali (spesso volgari come certi spettacoli di “intrattenimento”) alle mete turistiche con locali o alberghi per soli gay, all’occorrente per le nozze».
Grillini conosce i meccanismi del potere e della comunicazione e li ha anche saputi usare bene per non lasciare il movimento omosessuale nel ghetto della dimenticanza o nella rinuncia dei diritti. La sua è una dimensione politica totale di fondo. Magari tormentata dal riferimento ad una organizzazione di sinistra che realmente rappresentasse le sue istanze e quelle del movimento omosessuale. Negli anni della sua giovinezza si è formato studiando i classici del materialismo storico senza abbracciarne l’ideologia, avendo assorbito le critiche che negli anni 70 venivano fatte alle teorie totalizzanti.
Lavorare nel movimento omosessuale per lui ha significato capirne “gramscianamente” la condizione materialistica, individuare le contraddizioni principali: dalla diffusione dell’AIDS al lavoro con gli immunologi, ai centri di terapia per contrastare le morti, allo studio su comportamenti e abitudini sessuali degli italiani soprattutto dei giovanissimi nonché all’analisi della malattia come stigma, marchio sociale, ghettizzazione, esclusione; per arrivare alla vecchiaia, alla disabilità nella vecchiaia che è causa di ulteriore esclusione sociale, di altra sofferenza. La pratica politica di Franco Grillini è dentro il materialismo dialettico di Gramsci avendone interiorizzato l’esortazione ai giovani: «esercitate i vostri cervelli perché un giorno l’Italia avrà bisogno di voi».
Lo abbiamo incontrato per conoscere il suo pensiero intorno all’esperienza dell’attuale pandemia. La sua voce e la sua testimonianza umana e politica hanno attraversato e permeato anni tumultuosi e difficili, hanno segnato e pagato con prezzi non indifferenti le tappe di profonda trasformazione e di lento avanzamento sul piano dei diritti civili della società italiana, muovendo dalle battaglie condotte nella sua Bologna. Le sue parole contribuiscono a contestualizzare il fenomeno nella storia dei processi di crisi nei rapporti tra la scienza e la politica.
Oltre al problema culturale, i pregiudizi, le scomuniche religiose, l’integralismo islamico che contempla la pena di morte, lavorare nel movimento gay per te ha significato anche lotta contro una pandemia HIV nel momento in cui è esplosa.
Grandi epidemie, esplosioni virali, pestilenze ci sono sempre stati nella storia, producendo crisi economiche, sociali, guerre, morti…e molte altre ce ne saranno in futuro. Figurati che oggi con l’applicazione della nuova tecnologia ai resti archeologici, umani, cioè l’archeomedicina si è in grado di scoprire da quali virus erano stati attaccati, a che tipo di vita erano sottoposti, quale era l’alimentazione. Come in plasma congelato sono stati scoperti virus che potevano esplodere in condizioni opportune e provocare epidemie. Sembra che tutta una serie di virus siano in giro, ci conviviamo anche ma contrastarli riguarda soltanto seguire le indicazioni degli scienziati ed avere una certa politica di organizzazione sanitaria e di informazione-formazione nei confronti dei cittadini.
Quando esplose a livello mondiale l’HYV, il fenomeno sembrava riguardasse soltanto gli omosessuali, la maggior parte delle persone pensavano non l’avrebbe riguardata, invece no. Quella volta furono gli USA il luogo dell’esplosione e si aprirono le indagini proprio a New York e a S. Francisco che erano considerate città rifugio degli omosessuali. Così la malattia, considerata rara, non riuscì ad essere capita subito e affrontata con medicine dello Stato, come di regola in USA, in quanto le multinazionali non producono per poco consumo. Su quell’epidemia, per i particolari e le ricerche condotte, è notevole La storia dell’Aids di Mirko Grnek (Laterza 1989). Noi come movimento abbiamo coperto l’assenza dello Stato, con informazioni, indicazioni ai presidi sanitari accoglienti, formazione, soprattutto per i giovani che rifiutano le istituzioni ma al tempo stesso sono soli, disinformati ed anche sulla sessualità non hanno conoscenza di alcun genere. Non hanno nulla che li aiuti a crescere e che li protegga anche. Attività che continuiamo a svolgere in molte città anche con confronti e accordi internazionali
Per quanto riguarda, attualmente, lo stato delle cose, nonostante le precauzioni nei rapporti sessuali, il problema non è ancora risolto. Nessun vaccino potenzialmente sicuro, è allo studio in quanto il virus dell’HYV è in continua mutazione, e ogni anno si continuano a registrare in Italia circa un migliaio di morti. Cifra certo che non fa notizia, come del resto i morti di sifilide, altra piaga che sembrava del tutto debellata. Malattia antica e non ancora sconfitta se ricordiamo che lo stesso Lenin ne fu vittima e morì nel 1924 in preda al delirium tremens, con diagnosi ufficiale di ictus …
Comunque noto una certa analogia con l’epidemia da Covid 19: la paura generalizzata, non del tutto controllabile, paura superiore a quella per il tumore o per le malattie cardiovascolari, cause più frequenti di mortalità. Nel frattempo però, in questi mesi, chi non è stato curato per il tumore è morto, come molti anziani che hanno smesso di curarsi per i disturbi cardiovascolari, anche perché l’abuso di medicine spesso provoca altri problemi non meno gravi. Quindi anche in questo campo sul numero reale dei morti bisognerebbe distinguere fra chi è morto per il coronavirus o per fattori a latere causati dalle insufficienze sanitarie.
Ti sento troppo affidato alla ricerca scientifica, pensi che stia avanzando una fase della subalternità della politica alla scienza?
Sono convinto che l’attuale situazione di convivenza con il Covid 19 durerà a lungo e che indubbiamente ci saranno cambiamenti notevoli sia nell’organizzazione del lavoro che nelle strutture sociali. La politica serve per le scelte da portare avanti per il funzionamento del Paese ma questo non può prescindere dalla ricerca e dalle indicazioni scientifiche. Bisognerà, pensando alla sanità per esempio, attrezzarsi come Stati Nazionali, essere autonomi nella produzione essenziale. Cosa che era stata prevista dagli scienziati, con l’avvistamento dello sciame virale, un allarme non ascoltato. Unico Paese che è riuscito ad attrezzarsi è stato la Germania. I contagi sono destinati a moltiplicarsi aumentando i collegamenti aerei e continuando a vivere la sessualità come liberazione. In futuro vedo aumentare anche le disuguaglianze sociali e questo porterà più conseguenze estreme nel contagio. Chi può si difende meglio con lo stile di vita, con l’alimentazione controllata e anche fuggendo da stress e inquinamento. Così il contagio e la malattia saranno sempre più prerogativa di classe. Noi continueremo a lottare e a non abbassare la guardia nei comportamenti e nell’informazione.
Mi rallegra sentirti carico di energia positiva e pieno di progetti in collegamento internazionale; in fondo ti impegni per tutti e credo avesse proprio ragione il sindaco Merola quando, lo scorso anno, ti ha conferito il Nettuno d’oro con la motivazione che con il tuo operato hai reso l’Italia un Paese migliore. Il lavorare con medici, virologi, epidemiologi, infettologi, a livello internazionale ti ha reso esperto nel settore e purtroppo per una grave malattia da te subita – mieloma multiplo – che ti ha visto per mesi in coma, competente anche sulle origini della malattia, con la voglia di vivere e continuare ad impegnarti politicamente. Ragionando sulla malattia, sei entrato nello spirito del nostro tempo che è tempo di connessioni con noi stessi e l’essere molteplice espressione del corpo sociale. Connessi gli uni agli altri. Come dire o ci si salva tutti o non si salva nessuno.
Dialoghi Mediterranei, n. 45, settembre 2020
Riferimenti bibliografici
“Disastri”, in Effimera, 19 luglio 2020, http://effimera.org/usa-le-radici-della-rivolta-attuale-la-triplice-pandemia-di-razzismo-covid-19-e-capitalismo-dei-disastri-di-bruno-gulli/.
Intervista a Silvia Federici, “Su capitalismo, colonialismo, donne e politica alimentare”, 17 luglio 2010, http://www.sagarana.net/anteprimal.php?quale=32w
“Il capitalismo-colonialismo-imperialismo ha creato il caos del mondo in cui viviamo!”, in Contropiano, 2 febbraio 2020, https://contropiano.org/documenti/2020/02/02/il-capitalismo-colonialismo-imperialismo-ha-creato-il-caos-del-mondo-in-cui-viviamo-0123631
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Lella Di Marco, laureata in filosofia all’Università di Palermo, emigrata a Bologna dove vive, per insegnare nella scuola secondaria. Da sempre attiva nel movimento degli insegnanti, è fra le fondatrici delle riviste Eco-Ecole e dell’associazione “Scholefuturo”. Si occupa di problemi legati all’immigrazione, ai diritti umani, all’ambiente, al genere. È fra le fondatrici dell’Associazione Annassim.
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