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Lo scrittore come sociologo implicito: Pirandello e “la riprova del guscio coniugale”

1-pirandello-la-tartarugadi Claudio Gnoffo 

La novella: La tartaruga 

Pubblicata originariamente sul mensile La lettura del 1° agosto 1936, La tartaruga è stata poi inserita nella raccolta postuma di novelle Una giornata del maggio 1937.  Il contesto della storia è insolito, per la narrativa pirandelliana: gli Stati Uniti d’America, a New York. I protagonisti sono il mite Mister Myshkow e una tartaruga che si rivelerà rivelatrice. I membri della sua famiglia, Mistress Myshkow e i figli Helen e John, fanno da coprotagonisti.

La narrazione, anch’esso fatto poco consueto per Pirandello, si svolge in tempo in reale e inizia con una considerazione: in America c’è chi crede che le tartarughe portino fortuna ma esse, che ciò sia vero o no, non sembrano avere la minima consapevolezza di ciò. Il buon Myshkow accetta di portarsene una a casa, prendendo consapevolezza di quanto la creatura lo colpisca. In effetti lui pare bisognoso di tenerezza e affetto, mentre al contrario i bambini, come fossero vecchi dentro, rimangono indifferenti se non sprezzanti dinanzi al nuovo inquilino, ma la reazione peggiore viene da Mistress Myshkow.

Donna fredda e altera (di cui il candido marito sente tutto il distacco al punto da chiedersi com’è che lei l’abbia sposato e abbia avuto persino figli da lui), la coniuge ha la prima vera reazione emotiva da quando si conoscono: con totale rifiuto, minaccia di andarsene se lui non si sbarazzerà dell’animale. L’uomo pensa subito che sia un mero pretesto per divorziare, ma comunque cede al ricatto e progetta come disfarsi del rettile, finché, mentre è intento nei suoi ragionamenti, riflette che forse la tartaruga gli sta davvero procurando una fortuna: uno scudo dietro cui ripararsi per quando la donna, cercando un pretesto qualsiasi, vorrà chiedere il divorzio senza neanche provare a salvare il loro matrimonio. Quale giudice darebbe ragione a una moglie che, per divorziare, sceglie come pretesto la presenza di una tartaruga in casa? Con una lucidità rara per lui, Myshkow torna a casa con la bestiola e, dopo che la moglie se ne va furibonda, applaude al piccolo rettile, che esce finalmente dal guscio e si muove per il salotto quasi ballando: il brav’uomo non ne è davvero convinto, ma vuole pensare che forse la tartaruga gli stia davvero portando fortuna.

9788843066346_0_350_0_75Il borghese è nudo, grida la tartaruga

La tartaruga è un racconto breve, narrato da una voce extradiegetica, che s’incentra quasi totalmente sull’intimo del protagonista e sul suo punto di vista: tale voce, se è onnisciente, comunque non è onni-comunicativa (Giovannetti, 2021: 137), perché non ha interesse a dire molto di ciò che accade al di fuori dello sguardo smarrito di Myshkow. L’ambientazione non è, come di consueto nella narrativa pirandelliana, nella campagna siciliana o nei salotti romani, bensì negli States, come pure in Una sfida e ne Il chiodo, novelle anch’esse del 1936: l’ambientazione straniera probabilmente riflette il fatto che, nell’ultimo periodo della sua vita, Pirandello viaggia intensamente, anche negli USA, sulla scia dei suoi successi teatrali.

La “pistola fumante” della crisi che sarà avviata, nonché il MacGuffin delle vicende, è la tartaruga, che, con la sua sola presenza, svelerà la fragilità di un matrimonio strano, una fragilità inconsapevole, che fino a quel momento era stata nascosta dal perbenismo imposto dalle convenzioni sociali e dal desiderio del quieto vivere. La voce narrante inizia presentandoci la ragione per cui la tartaruga del titolo avrà un ruolo così importante: negli USA si ritiene che esse portino fortuna, sebbene le tartarughe non si sa quanto siano edotte di questa loro fama, dunque «anche la società evoluta dell’America pratica il totemismo, particolarmente col praticare credenze superstiziose» (Zangrilli, 2001: 127), e un giocatore di borsa amico di Myshkow gli consiglia caldamente di prendersene una perché gli porterà fortuna, come la sua a lui.

Da questo snodo, il narratore si focalizza sull’uomo dandocene subito un ritratto improntato a simpatia: è una gran brava persona. Myshkow, quarantadue anni, è un padre di famiglia dalla solida posizione economica e sociale a New York, ma con un carattere ansioso: dunque un animale che gli porti ulteriore fortuna economica, male non può fare, sebbene lui sia più curioso che convinto. L’immagine di uomo mite e chiuso nella sua tenera corpulenza che ne dà il narratore, attira le simpatie del narratario: è un personaggio tutto sommato positivo benché limitato, ma l’aiuto per uscire dalla sua limitatezza gli verrà proprio dal buffo rettile.

Myshkow, per far fronte alla propria ansia, si è chiuso nella bolla sociale di sua creazione, una bolla fatta di certezze fragili e convenzioni apparenti, dove può sentirsi al sicuro con la sua famiglia, almeno secondo tutto ciò che riguarda i fasci di rapporti che caratterizzano l’identità sociale (Goffman, 1981: 123-124). In realtà così al sicuro non ci si sente, e scopriremo quali timori lo agitano dentro. Di lui ci viene detto solo il cognome, che è sposato da nove anni con una donna che il narratore chiama solo “Mi stress Myshkow”, e che vivono coi figli Helen e John, di 9-8 anni circa. Proprio i due bambini sono i primi a restituire all’uomo una reazione esterna, al di fuori di sé, di ciò che quel rettile suscita in casa, dentro la bolla. Il narratore ci sorprende dicendoci che, se i sentimenti del brav’uomo (che si scopre forse zoofilo) sono di timore e curiosità rispetto a quella bestiola descritta con ironia, la reazione dei figli invece è di due vecchi, bambini nati già anziani, due Benjamin Button stizziti che provano indifferenza se non ostilità verso l’alterità (rivelandosi forse zoofobi). Il buon Myshkow è in difficoltà. 

«Non s’aspetta che suo figlio John trovi d’improvviso e senza tante cerimonie un più spiccio espediente per fare uscir la tartaruga da quello stato di pietra in cui [la tartaruga] s’ostina a restare. Con la punta del piede John la rovescia sulla scaglia, e subito allora si vede la bestiola armeggiar con gli zampini e spinger col capo penosamente per tentar di rimettersi nella sua posizione naturale.
Helen, a quella vista, senza punto alterare i suoi occhi da vecchia, sghignazza come una carrucola di pozzo arrugginita per la caduta precipitosa d’un secchio impazzito» (Pirandello, 2011, 42). 

Il Pirandello narratore inizia da qui, in perfetta linea col suo pensiero, a mostrarci quella che è l’insita crudeltà degli uomini verso gli animali, indicata con la consueta ironia. 

«Non c’è, come si vede, da parte dei ragazzi alcun rispetto della fortuna che le tartarughe sogliono portare. C’è al contrario la più lampante dimostrazione che tutti e due la sopporteranno solo a patto ch’essa si presti a esser considerata da loro come uno stupidissimo giocattolo da trattare così, con la punta del piede» (Pirandello, 2011: 42). 

Il buon uomo è turbato dalla bestiola in sé, per la sua forma di pietra inerte che, a piacimento, può decidere di chiudersi in sé e sembrare senza vita, ma ancora di più è turbato dal modo di fare perfido dei figli. Le fattezze venerande del rettile, così come la reazione spregevole dei bambini, connettono l’uomo a qualcosa di antico, decrepito, che serba dentro di sé. 

«guarda gli occhi dei suoi ragazzi, e avverte di colpo una misteriosa relazione che lo turba profondamente tra la vecchiaja di quegli occhi e la secolare inerzia di pietra di quella bestia sul tappeto. E preso di sgomento per la sua inguaribile giovanilità, in un mondo che accusa con relazioni così lontane e inopinate la propria decrepitezza; lo sgomenta che lui, senza saperlo, sia forse rimasto ad aspettare qualcosa che non arriverà mai più, dato che ormai sulla terra i bambini nascono centenari come le tartarughe »(Pirandello, 2011: 42). 

Inizia così il lavorio di Myshkow dentro di sé, da questo fattore scatenante, come accaduto a Moscarda, come accade tipicamente ai personaggi pirandelliani. Il narratore, nel parlarci di questo lavorio interiore, ci fa entrare più profondamente nel personaggio e rimarca che lui è un brav’uomo, «un po’ ragazzone» (Pirandello, 2011: 42), non di bell’aspetto, e che il suo corpo ingombrante è metafora del disagio che prova nel vivere la vita: 

«Ha una rara ignoranza di vita Mister Myshkow. La vita per lui non è mai nulla di preciso, né ha alcun peso di cose sapute. Gli può accadere benissimo qualche mattina, vedendosi nudo con una gamba alzata per entrar nella vasca del bagno, di restare stranamente impressionato del suo stesso corpo, come se, in quarantadue anni che lo ha, non l’abbia mai veduto e se lo scopra adesso per la prima volta. Un corpo, Dio mio, non presentabile, così nudo, senza una grande vergogna, neppure ai suoi propri occhi. Preferisce ignorarselo» (Pirandello, 2011: 43). 

64e776ef867c2802458895Riecheggia, in questa descrizione, il disagio esistenziale di Vitangelo Moscarda, ma, rispetto a Uno, nessuno e centomila di dieci anni prima (1926), la differenza è che il disagio di Myshkow non è dovuto a un’epifania avuta in età matura, perché egli è sempre stato così, da che il buon uomo ricordi. Egli è, come già altri eroi pirandelliani, un “puro”, giacché, a causa del suo disagio esistenziale, la società con le sue aspettative non è entrata del tutto dentro di lui (Bradatan, 2023: 18-19), come invece pare con la moglie. E già in una novella di venticinque anni prima, Paura d’esser felice (1911), la tartaruga era una presenza inquietante che manifestava «l’esistenza di correnti sotterranee e non realizzabili nella vita dei protagonisti» (Nardi, 1981: 63), che il protagonista Fabio Feroni, appassionato osservatore di fiori, insetti e ragni, guarda nei suoi lenti e goffi movimenti quasi come se vi ravvisasse qualcosa di sé: 

«Soprattutto si spassava assistendo agli sforzi sconnessi d’una vecchia tartaruga […] Più d’una volta il Feroni, pur sicuro che essa, se alla fine avesse superato il primo, poi il secondo, poi il terzo scalino, fatto un giro nella saletta da pranzo, avrebbe voluto ritornare giù al battuto del terrazzo, l’aveva presa e delicatamente posata sul primo scalino, premiando così la vana ostinazione di tanti anni.
Ma aveva con maraviglia sperimentato che la tartaruga, o per paura o per diffidenza, non aveva voluto mai profittare di quell’ajuto inatteso e, ritratte la testa e le zampe dentro la scaglia, se n’era per un gran pezzo rimasta lì come pietra, e poi, pian piano voltandosi, s’era rifatta all’orlo dello scalino, dando segni non dubbii di volerne discendere.
E allora egli l’aveva rimessa giù; ed ecco poco dopo la tartaruga riprender l’eterna fatica di salir da sé quel primo scalino.
– Che bestia! – aveva esclamato il Feroni, la prima volta.
Ma poi, riflettendoci meglio, s’era accorto d’aver detto bestia a una bestia, come si dice bestia a un uomo» (Pirandello, 1993, III: 343). 

614rqquyn0l-_ac_uf10001000_ql80_Feroni, con ironia tipicamente pirandelliana, si accorge che in effetti la bestiola che ha davanti è una bestiola, e lui, in questa scoperta dell’alterità, si rispecchia in quest’esserino che ha davanti. Allo stesso modo, Myshkow trova finalmente uno specchio efficace, mentre nello specchio reale, di vetro, vede solo la propria estraneità rispetto a sé, come se non si riconoscesse in quel corpo che vi vede. Come se l’allegoria fosse più efficace della realtà stessa, finalmente l’uomo, grazie alla bestia, inizia a vedersi, anche se ancora non ne è consapevole. Feroni e Myshkow, pur essendo diversi, sono entrambi personaggi molto sensibili, abbastanza da permettere alle rispettive tartarughe di dir loro qualcosa. «Nello zoo di Pirandello, infatti, abbondano animali dalla figura mitica, archetipica, esoterica, fiabesca, immaginaria, sempre filtrati attraverso una viva sensibilità umoristica e contemporanea» (Zangrilli, 2001: 121).

Dopo l’incontro assurdo della tartaruga coi bambini, sarà proprio quello con la moglie, altrettanto assurdo, ad accelerare il lavorio in corso dentro l’uomo, e renderlo effettivo. Ciò non lo porterà a quella disgregazione di sé occorsa a Moscarda, giacché Myshkow sembra possedere tutto sommato un’identità consistente, con una continuità di sé nel tempo e nello spazio, pur nel suo disagio perenne (Pintus, 2008).

La presentazione del matrimonio non è delle migliori: «Da nove anni ch’è ammogliato, lui è come avvolto e sospeso nel mistero di quella sua unione inverosimile con Mistress Myshkow» (Pirandello, 2011: 43). Quel matrimonio è fonte di perplessità e inquietudine per l’uomo, il quale crede che forse, in fondo, la donna non ha reali motivi per amarlo e stare con lui finché morte non li separi. La sua ossessione, dunque, è di non fornire lui la cagione, pretestuosa o meno, di una crisi coniugale. Così, quando lei gli dà l’ultimatum di sbarazzarsi del rettile sennò il loro matrimonio sarà finito, decide di accontentarla. Nel biglietto di risposta si giustifica per aver preso l’animale, ma la motivazione, riportata dal narratore in terza persona, sa di riflessione tra sé e sé, piuttosto che di giustificazione con la moglie: «L’ha presa perché gli hanno detto che porta fortuna; ma, agiato com’è, e con una moglie come lei, e con due figli come i loro, che bisogno ne ha lui? che altra fortuna avrebbe da desiderare?» (Pirandello, 2011: 45).

2-pintus-psicologia-socialeIn realtà il narratore è abile nel farci comprendere che è tutta un’interpretazione del timoroso uomo e che forse la donna non aveva mai pensato al divorzio prima d’allora e che, come in una profezia che si auto-avvera, in una sorta di Effetto Pigmalione, è stato proprio lui a instillarle il desiderio di lasciarlo, per quanto la motivazione sia sciocca: una bestiola come una tartaruga non può essere un motivo reale per voler lasciare il coniuge. È altrettanto vero però che lei non ha colto subito la palla al balzo per separarsi: gli ha dato un ultimatum che il marito in un primo momento ha accettato, e così lei è tornata a casa. È solo in un momento successivo che Myshkow non solo ignora l’ultimatum, ma sfida propriamente la moglie. Dapprima, prende un taxì e pensa di lasciare la tartaruga nel veicolo, ma si pente di questo pensiero, mostrando la propria zoofila sensibilità: «Sarebbe piacevole immaginare una tartaruga in viaggio di notte per le strade di New York. No no. Mister Myshkow se ne pente, come d’una crudeltà» (Pirandello, 2011: 46). Allora decide di abbandonare la creatura in “natura”, cioè in una delle aiuole della Park Avenue, ma un poliziotto gli impone di riprendersela perché lì è vietato introdurre animali. Che fare? Gli balena improvvisa un’idea: eccola, anche lui la sua epifania, finalmente. 

«Sì, è senza dubbio un pretesto, per la moglie, quella tartaruga, e levato di mezzo questo, lei ne troverà subito un altro; ma difficilmente potrà trovarne uno più ridicolo di questo e che più di questo possa darle torto davanti al giudice e a tutti quanti. Sarebbe sciocco, dunque, non valersene. Lì per lì decide di rientrare in casa con la tartaruga» (Pirandello, 2011, 47). 

Ecco il rovesciamento: «forse l’opposto è vero, e quindi la tartaruga per lui viene a rappresentare non il destino che rende infernale l’esistenza» cioè l’essere abbandonato dalla moglie, «ma davvero la fortuna» (Zangrilli, 2001: 128) che neutralizzerebbe il desiderio della moglie di sbarazzarsi di lui dando a lui la colpa: se lei proprio voleva un pretesto per lasciarlo, lui gliene darà uno sciocco, che nessun giudice potrà mai accettare. Così Myshkow, con rara assertività, torna a casa deciso, con la bestiola in mano. 

«Trova la moglie nel salotto. Senza dirle nulla, si china e le posa davanti sul tappeto la tartaruga, là, come un ciottolo.
La moglie balza in piedi, corre in camera, gli si ripresenta col cappellino in capo.
– Dirò al giudice che alla compagnia di vostra moglie preferite quella della vostra tartaruga.
E se ne va.
Come se la bestiola dal tappeto l’abbia intesa, sfodera di scatto i quattro zampini, la coda e la testa e dondolando, quasi ballando, si muove per il salotto.
Mister Myshkow non può fare a meno di rallegrarsene, ma timidamente; batte le mani piano piano, e gli pare, guardandola, di dover riconoscere, ma senza esserne proprio convinto:
 – La fortuna! La fortuna!» (Pirandello, 2011: 47). 

Dov’è la verità? Davvero lei ha sempre atteso un pretesto per divorziare, o è stato l’uomo a scatenare questo desiderio, che in lei non c’era? Pirandello non ci dà la risposta. Il narratore rimarca in tutti i modi che la loro unione era inverosimile, ma lo fa sempre con un’abile focalizzazione interna, ossia dal punto di vista del marito, delle sue insicurezze, del suo non sentirsi degno della donna che aveva accanto, penetrando tutte le sue fragilità accumulatesi in quella che potrebbe essere forse una Sindrome dell’Impostore: non sentirsi degni di ciò che si ha, non riconoscersi, ed essere convinti di perdere tutto, prima o poi.

Il borghese è nudo, e ce lo svela una tartaruga. Centrandosi sul marito, il narratore non guarda la situazione dal punto di vista della donna, che non si esprime, non si sbilancia, e forse, fino a quel momento, stimava colui che aveva scelto (magari pur non amandolo) e non vedeva motivi per separarsene.

La scelta di Pirandello è precisa: Myshkow, nudo nelle sue insicurezze, vede la moglie come un essere impenetrabile, irraggiungibile, e il narratore non vuole mostrarci nulla di ciò che lei, nel segreto del suo cuore, cela, affinché comprendiamo quanto l’uomo sia dilaniato dalla distanza dell’oggetto amato, che appunto è un oggetto, ammirato e temuto, e non un soggetto, incontrato e affrontato, almeno finché non agisce anche lei, compiendo l’auto-profezia del marito e realizzando l’incubo del buon uomo: lo lascia e, proprio come aveva sempre temuto lui, minaccia di chiedere formalmente il divorzio. Se lei avesse sempre accarezzato il pensiero di divorziare, o se lei sia vittima-complice di un Effetto Pigmalione provocato da una Sindrome dell’Impostore del marito, non lo sappiamo. Il narratore non ci dà conferma che la donna abbia compiuto questa profezia che si auto-avvera creata dal marito. Questa epifania che sembra salvare Myshkow dalla sua passività, è la prova che davvero la tartaruga gli ha portato del bene? Si può parlare, per lui, di una vittoria? 

«Molti dei personaggi pirandelliani, dopo un’epifania che sembra svegliarli da una sorta di torpore, si ribellano, o perlomeno, cercano di ribellarsi a questa maschera e all’identità che essa impone con esiti diversi e spesso negativi, finendo per pagare la loro reazione con la reificazione o l’autoannichilimento» (De Michele, 2008: 166). 

9788818027914_0_536_0_75Il mite Myshkow si è ribellato a questa Spada di Damocle che sentiva sul capo, minaccia conseguente al suo non-esserci davvero nel momento in cui si sposava, come negli altri momenti della sua vita. In un riscatto tardivo, prima che la moglie trovasse l’arma per colpirlo, ci ha pensato lui a fornirgliela, dopo aver capito che la lama era spuntata; che lei però avesse mai avuto intenzione di cercare un’arma da usare o di far del male al coniuge, rimane all’interpretazione del lettore. Allo stesso modo rimane alla sua interpretazione l’esito della mossa machiavellica del buon uomo (che forse così buono non è), cioè se davvero un giudice darà ragione a lui, neutralizzando la donna; si potrebbe obiettare che lei dopo, incattivita, potrà cercare altri pretesti, più concreti. La tartaruga, intanto, riflesso di volta in volta dei rigidi membri della famiglia di Myshkow, esce dal guscio e inizia a muoversi festosa sul tappeto, come lui, timidamente, ha cercato di fare dalla propria bolla. 

Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024 
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Claudio Gnoffo, dottorando in “Scienze Umanistiche” presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma e cultore di “Storia dell’Arte Medievale” presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo, è stato coordinatore nel 2022 del convegno internazionale “Realtà mediali. Sociologia, semiotica e arte negli immaginari e nelle rappresentazioni” e co-curatore del 1° volume tratto da esso, “Realtà mediali. Medialità, arte e narrazioni”, per UniPa Press; è inoltre autore di diversi articoli scientifici, fra cui, con regolarità dal 2019, per “Le nuove frontiere della scuola” de La Medusa Editrice.

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