I bambini ci guardano. Non è solo il titolo del film di De Sica girato nel 1944 che preannuncia la stagione neorealistica e inaugura la felice collaborazione con Zavattini, ma anche la constatazione di come i piccoli osservino gli adulti, ne studino i comportamenti, ne seguano i ragionamenti senza tante volte comprenderli. Il tema delle diversità e dell’integrazione, ad esempio, tanto controverso negli adulti, è in genere visto dai bambini con una semplicità stupefacente.
Torna in mente la preoccupazione della madre di un ragazzino frutto di adozione internazionale chiamato a svolgere un elaborato sulla sua famiglia. Che cosa avrebbero detto i compagni di classe, come avrebbero giudicato il racconto sulla sua famiglia “non naturale” così diverso da quelli riferiti a famiglie comuni?
La risposta sorprese la madre e sconfisse i suoi timori: la scolaresca giudicò quella storia la più bella tra tutte e considerò le altre troppo simili tra di loro e qualche volta perfino banali.
La diversità suscita nei bambini curiosità e attrazione, l’inclusione e l’integrazione sono per loro qualcosa di naturale. Il bambino con la pelle diversa proveniente da un paese e da un mondo lontano dal loro non è respinto con diffidenza e paura ma accolto con una simpatia moltiplicata dal desiderio di conoscenza.
Di ciò danno testimonianza un cortometraggio e un racconto per ragazzi che hanno come protagonisti il mare, il mondo dell’infanzia, l’incontro tra Paesi e culture diversi del Mediterraneo. Il cortometraggio s’intitola Marrobbio. Il titolo è già eloquente: fenomeno noto alle coste della Sicilia occidentale, il marrobbio indica la repentina variazione del livello del mare causata dalle correnti del vento che sporca il colore dell’acqua, facendola diventare marrone; quello stesso colore provocato dal sangue dei morti nei naufragi dei viaggi della speranza verso le coste siciliane. Marrobbio è stato girato a Marsala tra le saline, il centro storico e i lidi del versante meridionale, il soggetto, la sceneggiatura e la regia sono di Daniele Impiccichè, un giovane originario della cittadina cara ai Whitaker da anni in giro per l’Italia (da ultimo risiede a Firenze) ma sempre legato alle proprie radici territoriali.
In Marrobbio Mario, un bambino di 11 anni figlio di una ragazza madre, dopo un’esperienza extrasensoriale, trova dei pezzetti di legno e scopre che appartenevano a una barca di migranti vittima di un naufragio. Il piccolo si trova così di fronte al dramma dell’immigrazione degli extracomunitari e non riesce a capire la cattiveria di chi si rifiuta di accogliere gli uomini che in imbarcazioni di fortuna affrontano le tempeste del mare rischiando la propria vita in cerca di un’esistenza che li riscatti dalla povertà più crudele. Ne parla con la nonna, la quale tenta di spiegargli «che non è facile mettere d’accordo tutte le teste», e lui replica: «Non è necessario mettere d’accordo tutte le teste, ma solo salvare le vite umane». Chi ha ragione, la nonna o il nipote? Fino a che punto regge la realistica constatazione di un dilemma irrisolto dinanzi al candore di un bambino che rivela la più semplice delle verità: le vite umane contano più di ogni altra cosa, salvarle è un dovere indipendentemente da qualsiasi considerazione.
Il cortometraggio, che si avvale anche della partecipazione dell’attrice catanese Lucia Sardo, ha il merito di sollevare, nel dibattito sull’immigrazione nel nostro Paese – talvolta caotico e fuorviante – un punto così ovvio che, in quanto sottaciuto e perfino dimenticato, diventa importantissimo e assume un rilievo politico che non dovrebbe avere: il valore della vita e il dovere di salvaguardarlo nelle situazioni estreme almeno che non si voglia abdicare alla propria natura e dignità umana. Si tratta di una verità elementare, non a caso corollario della prassi della legge del mare e del diritto internazionale.
Tuttavia la retorica della peggiore politica, che nella ricerca ossessiva del consenso si veste di uno spietato cinismo, riesce a dimenticarla, in barba alla logica del buon senso, al diritto – che altro non è che la traduzione in precetti normativi del buon senso – allo sguardo innocente di un bambino, di chi cioè osserva la realtà così come è senza le deformazioni di sovrastrutture mentali e “ideologismi”. Sia chiaro: non sfugge la complessità dei fenomeni migratori nel Mediterraneo che reclama assunzioni di impegni e responsabilità equamente condivisi tra i Paesi della Comunità Europea e che non può trascendere dall’oggettivo fabbisogno di migranti a fronte della scarsa natalità, ma su tutto prevale il dovere di salvare vite umane. Ed è un punto così semplice da essere assai chiaro ai bambini che, nella loro forma mentis lineare, sanno cogliere prima e meglio degli adulti l’essenziale.
Una tempesta di mare fa da sfondo al racconto di Valentina Carmen Chisari Il mare di Vita e Chadi edito da Scatole Parlanti nella collana Forme. Valentina Carmen Chifari è una giornalista catanese particolarmente attenta al mondo dell’infanzia: oltre ad avere pubblicato nel 2013 per i tipi di Brancato il libro di filastrocche e racconti illustrati per bambini Racconti dell’isola magica – La Sicilia e i suoi colori, ha curato una rubrica televisiva sulla letteratura per ragazzi, animato un ciclo di incontri di lettura condivisa e si occupa di promuovere nelle scuole dell’obbligo progetti formativi di lettura. Una donna, Valentina Carmen Chifari, che i bambini li conosce bene e pertanto titolata a scrivere su di loro e per loro.
Il mare divide Vita e Chadi – i protagonisti della storia – un tratto di mare assai meno lungo rispetto a quanto sembra: la Sicilia in cui vive la piccola Chadi non è tanto distante dalla Tunisia per quanto facciano parte di due continenti diversi e abbiano culture, religioni, etnie differenti. Vita abita a Mazara del Vallo e il padre fa il pescatore, mentre la madre, originaria dell’Europa dell’Est, gestisce un breakfast; Chadi vive a Tunisi con la mamma rimasta vedova. È stata una tempesta di mare a rapirle il marito pescatore inghiottito dalle acque tumultuose che hanno travolto la sua barca peschereccia. I genitori di Vita avevano conosciuto a Tunisi quelli di Chadi durante il loro viaggio di nozze, avevano fatto amicizia e le mamme continuano a scriversi. Vita e Chadi, tramite i loro genitori e un paio di fotografie, scoprono l’esistenza l’uno e dell’altra reciprocamente, si sentono vicini quanto più sono lontani e diversi – nella pelle, nel sesso, nella lingua, nelle radici culturali – ma la diversità li congiunge, è per loro come una calamita. Attraverso la “grammatica della fantasia”, giochi e immaginazioni, i due superano ogni barriera e distanza.
Il mare di Vita e Chadi è un racconto delicato e ricco di contenuti. Al suo centro il tema dell’integrazione: non a caso la scelta del paese in cui vive la ragazzina italiana ricade su Mazara del Vallo che – per posizione geografica, storia, tradizione – è luogo eletto di incontro tra uomini e civiltà differenti e, in particolare, di accoglienza dei nordafricani. E non è un caso che la madre di Vita si chiami Catiuscia e venga dell’Est dell’Europa: l’integrazione – ci suggerisce l’autrice – non guarda in una sola direzione ma in tante, al Sud come al Nord. E ancora, l’integrazione passa attraverso la cucina, il sapore dei cibi tipici dei Paesi: i genitori di Vita e di Chadi consolidano la loro amicizia grazie anche alle ricette delle specialità culinarie dei loro Paesi: la pasta alla norma e il cous cous di pesce. L’amicizia che quasi misteriosamente lega due bambini che non si conoscono corre lungo i binari della diversità che invece di allontanare avvicina.
Altro tema è il mare. Sia il padre di Vita che quello di Chadi sono pescatori e quest’ultimo perde la vita, insieme ad altri, in un naufragio. Il mare divide e affratella, è pieno di insidie quanto fascinoso ed è presente in quasi tutte le belle illustrazioni di Francesca Barcellona che arricchiscono il libriccino. Il richiamo del mare che apre alla comunicazione e non è fonte di dissidi allude, con una finalità pedagogica di cui la letteratura per ragazzi difficilmente può privarsi, alle contese dei confini delle acque territoriali tra i pescherecci mazaresi e quelli tunisini.
Un ultimo tema, infine, tra i tanti che impreziosiscono il racconto è quello del gioco e della fantasia. Sia Vita che Chadi con i propri amici volano con la fantasia dei loro giochi; giochi che si inventano da soli, con il mare sempre in primo piano, fatti di parole, e qui aleggia l’ombra del gigante Rodari: «Oggi comincio io: sedia» disse Chadi. «Medusa» rispose Mohamed, e quello che aveva iniziato avrebbe dovuto inventare una storia per unire le due parole scelte perché lontanissime tra di loro, per il loro significato. «Ehm…c’era una volta una sedia rotta, il proprietario che era un pescatore la caricò con sé fino al porto per sistemarla, ma un’onda la travolse e arrivò in mare, così una medusa si imbatté nella sua gamba rotta e la avvelenò…».
Già, il gioco e la fantasia, il linguaggio universale dei bambini, il loro patrimonio comune. Come anche la semplicità che tante volte gli adulti non hanno e che impedisce a leggi estranee a quelle del cuore di prevalere sulla solidarietà: quella semplicità che traspare in ogni rigo di questo gradevole racconto dal finale aperto.
Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023
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Antonino Cangemi, dirigente alla Regione Siciliana, attualmente è preposto all’ufficio che si occupa della formazione del personale. Ha pubblicato, per l’ente presso cui opera, alcune monografie, tra le quali Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi e Mobbing: conoscerlo per contrastarlo; a quattro mani con Antonio La Spina, ordinario di Sociologia alla Luiss di Roma, Comunicazione pubblica e burocrazia (Franco Angeli, 2009). Ha scritto le sillogi di poesie I soliloqui del passista (Zona, 2009), dedicata alla storia del ciclismo dai pionieri ai nostri giorni, e Il bacio delle formiche (LietoColle, 2015), e i pamphlet umoristici Siculospremuta (D. Flaccovio, 2011) e Beddamatri Palermo! (Di Girolamo, 2013). Più recentemente D’amore in Sicilia (D. Flaccovio, 2015), una raccolta di storie d’amore di siciliani noti e, da ultimo, Miseria e nobiltà in Sicilia (Navarra, 2019). Collabora col Giornale di Sicilia e col quotidiano La ragione.
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