di Maria Concetta Nicolai
Prima di lui solo Antonio De Nino, Gennaro Finamore e Giovanni Pansa avevano affrontato sistematicamente lo studio della cultura popolare abruzzese, ma, se del primo riconosciamo l’approccio romantico e letterario in specie nella serie degli Usi e Costumi, del secondo l’impostazione glottologica (Vocabolario dell’uso abruzzese e Novelle popolari abruzzesi) e del terzo infine il metodo comparativo con cui affronta i Miti, le leggende e le superstizioni, a Giuseppe Profeta dobbiamo l’impostazione disciplinare che lo colloca al primo posto degli studi antropologici che riguardano l’Abruzzo.
Nato ad Arsita nel 1924, ama raccontare la prima istruzione impartitagli dal parroco del paese in cambio del servizio di chierichetto che, non ancora decenne, già prestava presso la chiesa di Santa Vittoria, mostrando spiccate capacità intellettuali se, dopo qualche anno, proseguiva gli studi a Penne e a Città Sant’Angelo, conseguendovi rispettivamente la maturità classica e l’abilitazione magistrale, diploma quest’ultimo che gli consentirà di accedere all’insegnamento nelle scuole di primo grado e di potersi mantenere agli studi universitari a Roma, per seguire i corsi del celebre Paolo Toschi.
Parlando degli anni della giovinezza, con la brillante arguzia che lo contraddistingue, Giuseppe Profeta, nella sua bella casa teramana, ama ricordare più di ogni altro il titolo di maestro, meritato in duri anni di insegnamento nelle scuole montane del Teramano, un’esperienza che egli giudica formativa e condivisa, con affettuosi sentimenti, con la Signora Natalina, anch’essa insegnante e sua moglie da oltre sessant’anni.
Ad Arsita, dice ammiccando con orgoglio, per i miei vecchi alunni sono ancora lu gnore mastre, ma intanto aveva conseguito la laurea in Lettere, la libera docenza in Storia delle tradizioni popolari ed era diventato professore ordinario di Sociologia generale e di Scienze demo-etno-antropologiche.
Una carriera tutta in ascesa la sua che lo ha visto insegnare nelle università della Calabria, dell’Aquila, di Chieti e di Teramo, ricoprendo la carica di Direttore di vari Istituti universitari e di Preside di Facoltà in più atenei. Insieme alla docenza ha continuato gli impegni scientifici come membro di associazioni culturali italiane e straniere, come relatore in vari convegni, come responsabile, per oltre un ventennio, della sezione italiana della Internationale Volkskundliche Bibliographie, bibliografia internazionale del folklore che si pubblica in Germania.
Direttore editoriale di numerose collane presso alcune case editrici, presidente della Federazione Italiana Tradizioni Popolari, di prestigiosi premi letterari e associazioni culturali, alla fine della carriera universitaria è stato onorato da tutto il mondo accademico e culturale italiano con l’opera Centiscriptio, in tre volumi, curata da Marcello De Giovanni.
Nel corso della sua carriera universitaria Giuseppe Profeta si è occupato di Antropologia politica, di Bibliografia demologica, di Cultura materiale, di Letteratura popolare, di Religiosità popolare, elaborando una Teoria del folklore che è parte diversa della cultura di un gruppo sociale e per questo va sempre confrontata con la parte non folklorica, diversa ma omofunzionale, senza la quale esso resta pura e semplice etnografia.
La sua vita, del resto, è sintetizzabile in una mole veramente impressionante di studi, impegni, riconoscimenti che Giuseppe Profeta con la sapienza dei suoi novantanove anni, portati con una vitalità a dir poco eccezionale, considera solo il risultato di un onesto impegno di lavoro, un modo di procedere appreso quando era gnore mastre nelle scuole di montagna e ancor prima nella bottega del padre, sarto dei ceti popolari ad Arsita.
Se centinaia di allievi, tra cui chi scrive, gli sono debitori di un insegnamento impartito con rigorosa disciplina scientifica, su cui hanno potuto costruire le basi della propria attività professionale, l’Abruzzo intero gli è riconoscente per gli studi che finora gli ha dedicato, a cominciare dai Canti nuziali nel folklore italiano (Olschki, Firenze 1964) in cui la sezione abruzzese, con il canto rituale della Partenza della sposa è di rilevante importanza, per continuare con la Bibliografia delle tradizioni popolari abruzzesi (Ed. dell’Ateneo, Roma 1964), tema ripreso quarant’anni dopo con la monumentale Bibliografia della cultura tradizionale del popolo abruzzese (Colacchi Ed., L’Aquila 2005).
Il nome di Giuseppe Profeta è però indubbiamente legato agli studi sul culto di San Domenico abate a Cocullo, del quale, dopo secoli di fumosa incertezza, ha individuato l’origine, le motivazioni e la funzione che restituiscono all’evento il suo vero significato. A cominciare da Un culto pastorale sull’Appennino. Inchiesta sul culto di San Domenico di Cocullo (Libreria dell’Università, Pescara 1988) egli ha riletto la questione da numerosi punti di vista, editando Lupari, incantatori di serpenti e santi guaritori (Japadre, L’Aquila-Roma 1995), Il serpente sull’altare. Ecologia e demopsicologia di un culto (Japadre, L’Aquila-Roma 1998), fino a S. Domenico abate di Sora e di Cocullo (Edizioni Libreria Colacchi, 2011) che gli è valso, tra l’altro, il Primo Premio “Costantino Nigra”, VIII Edizione, 2014.
Né meno significative sono le pagine dedicate alla letteratura popolare come Poesia e popolo nell’opera di Modesto Della Porta (1964), Magia, politica e società (1995), Le Sette Madonne Sorelle e la magnificazione del nume (1997), Le facce e l’anima del folklore (2000), anche se chi scrive tra tutti preferisce La logica del recipiente e l’antropomorfismo vascolare (1990), per la sua lucidissima analisi strutturale.
“Ma sto progettando qualcosa di nuovo”, ci confida con divertita complicità il professor Profeta, accompagnandoci a visitare la sua ricchissima e ordinatissima biblioteca (in cui non mancano due o tre computer) che occupa l’intero piano superiore della sua casa e documenta in modo tangibile giorni (e anche notti poiché la biblioteca è provvista di una funzionale camera da letto) dedicati allo studio.
Il Professore, l’immancabile cappello sulle ventitré e il fazzoletto nel taschino della elegante giacca sartoriale, vi si muove con giovanile baldanza indicando i volumi, anche rari e preziosi, che sono allineati sugli scaffali che, con soddisfazione, dichiara di aver contribuito di persona a realizzare insieme a lu mastre faligname (e del resto tra mastri ci si intende). Ma le meraviglie della sua casa non sono finite qui perché, a piano terra, ci aspetta l’ampio locale che ospita la sua collezione di recipienti. Quasi cinquemila bottiglie e vasi antropomorfi, dalle più varie forme, contenitori di terracotta, metallo, legno, vetro, più o meno artistici, ma tutti con una determinata funzione, sui quali ci attarderemmo volentieri, tanto di ognuno di essi la descrizione è affascinante, se non ci richiamasse alla realtà la signora Natalina, vero numen loci della casa, per annunciarci che il pranzo è pronto. E siamo sicuri che quello che ci attende è una meraviglia non meno entusiasmante di quelle illustrateci dal Professore.
Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023
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