di Sebastiano Garofalo
Nel 1948 Muhammad Asad, che allora era il direttore del Department of Islamic Reconstruction del Governo del Punjab, scrisse un lungo saggio intitolato: Islamic Constitution-making (poi pubblicato sulla rivista ʿArafāt), con cui tentò di delineare un sistema politico islamico. In questo saggio si impegnò nel costruire un ponte tra due punti di vista diametralmente opposti: da una parte, l’idea che uno Stato per essere genuinamente islamico doveva replicare il primo Ḫilāfa, quello di Muhammad e dei Califfi Ben Guidati, e, dall’altra, la convinzione che il futuro Pakistan necessitava di un modello governativo improntato sui valori politici dell’Occidente democratico. Per la costruzione di questo ponte Asad attinse direttamente alle fonti dell’Islam: Corano e Sunna.
Il presente lavoro è stato scritto alla luce del ḥadīṯ del Profeta dell’Islam: «le differenze di opinione tra gli ʿulamāʾ della mia comunità sono un segno della grazia di Dio». Sponsorizzato dal Haji Anis-ur-Rahman Memorial Society di Karachi, The Principles of State and Government in Islam è stato pubblicato sotto gli auspici del Near Eastern Centre dell’Università della California, con la prefazione di G.E. Grunebaum, direttore del Centro. Lo studio, edito nel 1961, è stato recentemente ristampato per i tipi della Martino Fine Books (Eastford (2016).
L’autore esordisce definendo cosa sia uno “Stato islamico”. Che può essere realmente tale solo «mediante la cosciente applicazione dei principi sociopolitici dell’Islam alla vita pratica della nazione e con l’introduzione dei medesimi principi nel dettato costituzionale dei singoli paesi». Nonostante le mancanze che un testo scritto nel 1961 porta con sé, la sua analisi offre una legittimazione logica al processo costituente di uno Stato islamico in linea con i principi della Legge islamica. Asad, conscio che i modelli occidentali non soddisfino le esigenze e i desideri della società islamica, tenta di dimostrare come uno Stato islamico possa dotarsi di un esecutivo forte, controllato dal parlamento e dalla corte costituzionale, prendendo in prestito i meccanismi dei sistemi di governo occidentali ma subordinandoli a quelle disposizioni sciaraitiche nuṣūṣ (sing. naṣṣ) che costituiscono il nucleo eterno e immutabile della šarīʿa e che non sono soggette alle contingenze storiche. La Costituzione è la base su cui poggia uno Stato di questo tipo ed è necessario che ci sia una stretta collaborazione tra il potere legislativo e quello esecutivo, dato che la leadership di entrambi è affidata alla medesima persona, l’Amīr. Il modello presidenziale del sistema di governo americano si avvicina, più di quello parlamentare, alle «esigenze di un sistema politico islamico».
Messe da parte le disposizioni nuṣūṣ che costituiscono il nucleo delle fonti della Legge islamica, tutta la codificazione prodotta mediante l’iǧtihād (sforzo interpretativo indipendente) dai fuqahāʾ del passato è soggetta a modifiche dovute al variare delle contingenze storiche. L’autore mostra come il consenso alla figura e all’operato dei governanti e la consultazione del potere legislativo da parte dell’esecutivo facessero già parte del processo politico del governo islamico sotto i «califfi ben guidati», e che i principi islamici possano essere applicati per sviluppare un modello di governo islamico che rispetti tutte le anime che compongono la comunità islamica (pluripartitismo).
Il libro è una sorta di megafono per quella maggioranza silenziosa del mondo islamico ben consapevole che il fiqh elaborato dai fuqahāʾ dell’ortodossia sunnita non è più in grado di dare risposte efficaci ed efficienti alle esigenze del mondo contemporaneo. Il messaggio è eterno, il contesto culturale e l’ambiente sono in continua evoluzione. La forza di questo approccio sta nell’autorevolezza dell’autore che è in grado di fornire un “progetto politico” di base in linea con i dettami dell’Islam.
Tuttavia, alle volte, Asad cade in contraddizione. Ad esempio, a pagina 40 e 41, si stabilisce chiaramente che ai cittadini non musulmani di uno Stato islamico non è possibile «affidare una posizione chiave di leadership», ma a pagina 63 si dice che non «esiste alcuna obiezione sciaraitica che proibisca a un non musulmano di ricoprire un incarico di governo. Asad, inoltre, non sembra aver compreso a pieno il funzionamento del sistema parlamentare, per lui i ministri in questo sistema di governo non sono «individualmente responsabili davanti al parlamento». La responsabilità collettiva del gabinetto di governo è l’essenza di ogni forma di governo parlamentare.
Un’obiezione può essere sollevata anche contro l’affermazione che la terminologia politica occi- dentale non dovrebbe essere impiegata quando si parla di “Stato islamico”. Un rifiuto – totale e radicale – di tutti i termini sociali e politici occidentali comporterebbe un’insularità islamica, di cattivo auspicio per la ricerca e il dibattito. Ammettiamo che nuovi termini saranno, attraverso l’interazione con i concetti tradizionali, gradual- mente sostituiti da vocaboli nuovi, ma da qualche parte bisognerà pur cominciare.
A questo punto è doveroso fare un po’ di chiarezza. Erroneamente si descrive la terminologia moderna come “occidentale”. Sebbene in origine occidentale, è ora utilizzata e impiegata in tutto il mondo. È praticamente impossibile scrivere di un qualunque problema politico senza utilizzare gli accenti e le sfumature dagli attuali metodi di ricerca “occidentali” e sarà inevitabile fino a quando gli islamisti non sapranno sviluppare un sistema chiaro e universalmente comprensibile del loro sistema politico. Anche Quṭb, ideologo degli islamisti, ha dovuto utilizzare termini, trasposti in arabo, che si rifacevano alla concezione politica occidentale.
Con il suo lavoro, Asad espone una visione dello Stato che egli considera come assoluta. Malgrado ciò il lettore dovrà integrare alla lettura di questo libro gli scritti di Mawdūdī, notando i punti di contatto e di scontro tra i due pensatori islamici. Inoltre sarebbe opportuno affiancare agli studi di Asad e Mawdūdī i risultati raggiunti da scuole di pensiero differenti, presentati nel Munir Report del 1954 e il Report of the Constitution Commission del 1962. Solo allora sarà possibile vedere nella giusta prospettiva il dibattito in questione.
Dialoghi Mediterranei, n.19, maggio 2016
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Sebastiano Garofalo, dopo aver conseguito la laurea magistrale in Studi arabo-islamici all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” con una tesi sulla rappresentazione e l’immagine delle minoranze musulmane nella stampa indiana in lingua inglese, ha iniziato a collaborare con la rivista “InStoria”, il sito d’informazione “ArabPress” e come traduttore per agenzie nazionali ed estere.
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