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Lo stupore dell’acqua

1. copertina minnella

di  Antonino Cusumano

L’acqua prima di essere un bene pubblico, una risorsa materiale, oggi tanto più preziosa nel contesto della globalizzazione e della mercificazione di ogni patrimonio naturale, prima di essere questione cruciale all’origine di conflitti e di tensioni per il suo utilizzo e la sua gestione, è un bene eminentemente simbolico, è uno degli elementi vitali di fondazione mitica, fonte biologica della vita, ha a che fare con epifanie e cosmogonie, con religioni, riti e culti che attraversano e connotano le culture più lontane e diverse. La sacralità dell’acqua presso tutte le popolazioni della terra è legata alla sua potenza generatrice, alla sua funzione purificatrice, al suo valore primordiale quale principio di tutte le cose, materia senza materia. Il suo essere corpo sfuggente e in perenne movimento ne fa storicamente un veicolo attraverso il quale gli uomini si sono incontrati e combattuti, hanno costruito città e architetture, hanno fondato civiltà e imperi. La sua penuria o la sua abbondanza hanno determinato destini e poteri, complessi sistemi di miti e magie.

L’acqua dunque, in quanto mediazione tra terra e cielo, forma primaria di vita, soggetto creatore e riproduttore, è simbolo particolarmente denso di significati, e nelle tradizioni dei Paesi di continenti diversi è riconosciuta e solennizzata come manifestazione del sacro, come ierofania rivelata. Guarisce e ringiovanisce, rigenera e feconda, rispecchia e traspare. Nell’arcaicità e universalità delle religioni che si sono strutturate e articolate attorno all’acqua Oriente e Occidente sembrano condividere la stessa storia e la stessa antropologia.

Egitto,1972:foto di M.Minnella

Egitto,1972:foto di M.Minnella

Questo arcaico senso religioso e questo diffuso sentimento di grazia e di dono che l’uomo di ogni epoca e latitudine conserva nel suo rapporto con l’acqua si colgono con pienezza e immediatezza sfogliando le pagine dell’ultimo libro di fotografie di Melo Minnella, Lo stupore dell’acqua, stampato da un piccolo e coraggioso editore di Alcamo, Ernesto di Lorenzo, che ha curato anche una puntuale e argomentata nota introduttiva. Il volume è arricchito da una prefazione di Alex Zanotelli, noto missionario della comunità dei Comboniani, ispiratore e fondatore di diversi movimenti che si battono per la pace e  la giustizia sociale, nonché strenuo difensore di Sorella acqua quale bene comune e diritto universale. Sull’emergenza idrica nel mondo e sulle problematiche che ne conseguono per il futuro dell’umanità  Zanotelli si intrattiene nelle pagine che aprono il libro. Il cui bel titolo comunica con straordinaria efficacia la natura stupefacente e meravigliosa dell’acqua, la sua spontanea scaturigine dalla sorgente, la sua apparizione epifanica che  – ha scritto Leonardo Sciascia – «è sempre un prodigio, un miracolo». Viaggiatore instancabile e acuto osservatore, Melo Minnella è tra i fotografi siciliani uno dei più sensibili e impegnati nella ricerca etnografica delle culture materiali e popolari. Dell’universo dell’Isola Minnella ha lungamente indagato e documentato le province più appartate e gli aspetti antropologici più prossimi alla vita elementare e quotidiana. Nel suo intenso peregrinare per più di mezzo secolo il suo sguardo ha colto le ultime testimonianze della civiltà contadina, i bagliori delle feste tradizionali, i luoghi, le architetture e gli abitanti di un mondo consegnato alla storia. Il suo modo di fare fotografia non è, in fondo, molto diverso da quell’osservazione partecipante che è tratto metodologico fondante del fare antropologia. Melo Minnella conosce non solo le tecniche e le virtualità della macchina fotografica, ma anche gli strumenti e le strategie dei codici che appartengono alla ricognizione antropologica. C’è nelle sue fotografie l’esito ultimo non solo del saper vedere ma anche del sentire, del partecipare, dell’empatico aderire alla vita e al mondo fotografato. Il grande maestro Henri Cartier-Bresson ha, del resto, fissato in modo esemplare l’ontologia del fotografare che – secondo la sua famosa formula  – essenzialmente consiste nel mettere sulla stessa linea di mira l’occhio, la mente e il cuore.

India,Orissa,2007:foto di M.Minnella

India,Orissa,2007:foto di M.Minnella

Lontane dai rischi del cerebralismo e dell’estetismo, le immagini di Melo Minnella sul tema dell’acqua non ci seducono per la loro bellezza che pure oggettivamente posseggono né ci emozionano per via delle suggestioni esotiche che possono indubbiamente evocare. Le circa 180 fotografie a colori e in bianco e nero mettono insieme, in un perfetto equilibrio, ricerca formale e  tensione conoscitiva per mostrare qualcosa e non dimostrare alcunchè, per disvelare semplicemente e mirabilmente gli infiniti,versatili ed eccentrici modi con i quali gli uomini, tutti gli uomini, con i loro corpi e con i loro simboli, entrano in rapporto con l’acqua. L’occhio del lettore scorre – come l’acqua – dall’India al Guatemala, dall’Indonesia all’Egitto, dalla Cina a Cuba, dalla Birmania allo Yemen, dalla Francia al Portogallo e infine alla Sicilia che sembra fare da lieve contrappunto in questo atlante di gesti e di figure, di cose e di paesaggi. Il lavoro e il gioco, la preghiera e la meditazione, la pioggia e la tempesta, la navigazione e il guado: questi alcuni dei soggetti che trasversalmente interpretano il tema dell’acqua, delle sue fonti e dei suoi molteplici usi nei diversi Paesi visitati da Minnella.

Thailadia,Bangkok:foto di M.Minnella

Thailandia,Bangkok:foto di M.Minnella

La fotografia ha per suo statuto il compito di fermare e sospendere il tempo, di far trapassare l’istante effimero del vissuto nell’eterna permanenza dell’essere, di convertire la mobilità del divenire nella statica fissità di un’inquadratura. Quando ad essere soggetto dell’operazione di conversione è il flusso eracliteo per eccellenza, ovvero l’acqua nella sua naturale e consustanziale trasmutabilità, allora il fotogramma sembra davvero esaltare quel processo di presentificazione di ciò che è assente o lontano nello spazio e nel tempo, l’affiorare e il formarsi di quell’indistinto grumo di sensi, immagini e simboli  che chiamiamo memoria.

A fronte dell’ipertrofico e onnivoro imperversare delle figure che, per effetto delle nuove e potenti tecnologie mediatiche, tracimano da ogni luogo della nostra esistenza quotidiana, rischiamo di non riuscire più a distinguere l’esperienza diretta della realtà da quanto scorre velocemente sulle tavolette digitali e sugli schermi dei nostri computer. Nel culto di queste icone post-moderne, simulacri pressochè vuoti e muti, consumiamo il nostro tempo e colonizziamo il nostro immaginario. Già negli anni Ottanta, nelle sue magistrali Lezioni americane, Italo Calvino si chiedeva  quale sarebbe stato il futuro dell’immaginazione individuale in quella che si usa chiamare la civiltà delle immagini, si domandava cioè «se il potere di evocare immagini in assenza continuerà a svilupparsi in un’umanità sempre più inondata dal diluvio delle immagini prefabbricate».

India, Kerala, 1993-Foto Minnella

India, Kerala, 1993-Foto Minnella

Oggi   queste rutilanti figure irrompono nella galassia virtuale dei social network e rimbalzano labili ed evanescenti nel complesso gioco delle rifrazioni collettive e nel linguaggio della cosiddetta applicazione instagram. Affidiamo la loro conservazione alla inezia di plastica dei microchip contenuti nella memory card  e ci affatichiamo a collezionarne il maggior numero da archiviare, riprodurre e “condividere”. Ma di questo caotico e inarrestabile flusso di immagini che scorre ogni giorno davanti ai nostri occhi stentiamo a fermare qualche scheggia nella nostra umana e limitata memoria. L’artificio non ci restituisce la realtà né una sua qualche rappresentazione ma semplicemente il pallido surrogato di un vissuto non realmente esperito, copia banale di una copia dell’originale, incerto riflesso dello specchio opaco della vita vera.

india,Brubaneshwar,2007 foto di M.Minnella

India,Brubaneshwar,2007 foto di M.Minnella

Da qui l’importanza e la necessità  di istantanee come quelle di Melo Minnella, che conservano la capacità di comunicare, di narrare, di documentare. Esse ci aiutano a separare le cose dalle parvenze delle cose, il concreto dall’astratto, la visione del mondo dalla sua costruzione in camera scura, essendo la sua fotografia non certo invenzione né elaborazione più o meno creativa, ma piuttosto esplorazione e  testimonianza, rivelazione e memoria. Se è vero che il segreto dei maestri della fotografia è quello di guardare al mondo senza essere guardati, la forza delle immagini non sta probabilmente nell’immagine in sé ma nell’esatta prospettiva di questo sguardo, nella disposizione al colloquio con quanto si offre all’obiettivo, nello sforzo di raccogliere il senso profondo di quel sortilegio precipitato e sigillato nell’attimo di un clic. Chi si avvicina alle fotografie di Melo Minnella non fa fatica a percepire la partecipazione affettuosa e l’onestà d’intelletto che orientano lo sguardo dell’autore, nella totale assenza di ansie predatorie e velleità di possesso della realtà catturata. Ecco perchè accade, a volte, che sulla condizione dell’uomo una fotografia può darci e può dirci molto di più di qualsiasi altro strumento conoscitivo o mezzo espressivo. Soprattutto quando la sua antica magia di luce e di ombre attinge ai mille riflessi e alle iridiscenti sfumature dell’acqua, per restituircene come per un incantesimo l’affascinante stupore.

Dialoghi Mediterranei, n.5, gennaio 2014
Birmania Lago Inle, 2006, f. Minnella

Birmania Lago Inle, 2006, f. Minnella

 

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