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Lorenzo Milani a Calenzano (1947-1954)

Don Milani a Calenzano

Don Milani a Calenzano

di Tommaso Lo Monte

Il 27 maggio scorso Lorenzo Milani avrebbe compiuto cento anni, la sua è stata una vita breve, è morto nel 1967 a soli 44 anni. Oggi il suo nome è legato soprattutto alla Scuola di Barbiana e all’ultimo dei suoi scritti Lettera a una professoressa, ma il suo pensiero si è formato durante gli anni trascorsi a Calenzano. È a Calenzano che Milani pubblica i suoi primi articoli e scrive gran parte del suo primo libro Esperienze Pastorali, anche se quest’ultimo verrà pubblicato nel 1954 dopo il suo arrivo a Barbiana.

Tra il 3 ed il 9 ottobre Milani assume l’incarico di cappellano della parrocchia di San Donato a Calenzano, un comune nei pressi di Firenze; il 5 ottobre sua madre, Alice Weiss, scrive alla figlia Elena: «Lorenzo ha avuto la nomina a cappellano a S. Donato come ti dicevo ieri. Le informazioni anche a Firenze sono queste: fame sicura, popolo comunista, industrie. Però il parroco che è un vecchio cieco e svagolato, pare sia carino» (Pecorini 2011: 400-401). Il parroco è don Pugi e chiede da tempo alla Curia di Firenze di inviargli un giovane sacerdote che possa aiutarlo, ma nessuno accetta l’incarico perché la parrocchia è molto povera e non ha i mezzi per mantenere due sacerdoti; non si tratta certamente di una sede molto ambita, quindi il responsabile della Curia, Tirapani cosiddetto monsignore, decide di inviare Milani e prendersi così una rivincita sul suo ex allievo.

pecorini2Infatti Mario Tirapani insegnava Sacra Scrittura al primo anno del Seminario: «Lorenzo, come del resto anche gli altri seminaristi, tiene molto ad approfondire questa materia, mentre le lezioni del Monsignore sono considerate assolutamente inadeguate. Si limitano ad una introduzione generale e ad una piccola antologia di testi da commentare. Nessun approfondimento critico, nessuna tematica religiosa seriamente sviluppata. Gli altri seminaristi tollerano e tacciono, Lorenzo invece decide di reagire con una singolare contestazione. Si siede, durante la lezione, nell’ultimo banco in fondo all’aula con davanti due testi di gran livello: il Merk, cioè l’edizione del Nuovo Testamento in greco con testo latino a fronte e il Lexicon dello Zorell, e studia per conto suo senza seguire il professore» (Gesualdi 2016: 39-40).

Nonostante il motivo per cui Milani è assegnato a San Donato, per lui è la sede ideale: vita povera, un parroco gentile ed accogliente, un popolo anch’esso povero e formato per lo più da contadini ed operai. Il 10 ottobre scrive alla madre (Milani 2017b: 102-104) per raccontarle l’entusiastica accoglienza da parte sia dei parrocchiani e che della perpetua del parroco, Eda Pelagatti; si sente come in una famiglia, due anni dopo in una lettera all’amico Cesare Locatelli si riferisce a don Pugi chiamandolo “il mio Babbo Preposto” (Milani 2017b: 143) ed il loro sembra davvero un rapporto tra padre e figlio. Anche dopo la morte di don Pugi, Eda e sua madre Giulia rimarranno al fianco di Milani nel momento forse più drammatico della sua vita, il trasferimento punitivo a Barbiana, e formeranno insieme una nuova famiglia adottando dapprima i fratelli Michele e Franco Gesualdi e poi i fratelli Alpi. Oggi Giulia, Eda e Milani sono sepolti tutti e tre vicini nel piccolo cimitero di Barbiana.

Il giovane don Lorenzo con don Pugi e alcuni ragazzi a San Donato Calenzano

Il giovane don Lorenzo con don Pugi e alcuni ragazzi a San Donato Calenzano

Sin dal suo arrivo si delineano quelle che saranno le caratteristiche fondamentali di tutto il suo operato sia a Calenzano che a Barbiana: l’attenzione verso gli orfani e la scelta di dedicarsi all’istruzione come strumento di liberazione degli oppressi. Infatti nella sua lettera a Cesare Locatelli del 3 novembre 1947 scrive: «Son qui da tre settimane, ho già tutti i ragazzi e da ieri anche diversi giovani operai cui faccio scuola serale in grande stile» (Milani 2017, 2:108); nella stessa lettera scrive che si dedica alla cura di un gruppo di orfani che si trovano presso la parrocchia di Rifredi dove opera don Facibeni, è talmente toccato dall’affetto dei bambini che invita l’amico ad adottarne uno. La collaborazione con la parrocchia di Rifredi si concluderà con gran dispiacere nel novembre del 1949, ma Milani fa tesoro di questa esperienza e non avrà dubbi nell’accogliere ragazzi poveri a Barbiana, sia i fratelli Gesualdi che vivranno con lui fino alla sua morte, sia ospiti occasionali provenienti dalla Francia e dall’Africa su invito di preti suoi amici.

Milani agisce con un metodo molto semplice che lui stesso espone nella lettera scritta il 29 aprile 1953 e indirizzata al cardinale di Firenze Elia Dalla Costa: innanzitutto

«ho cominciato coll’informarmi di prima mano sulle reali condizioni sociali economiche religiose di questo popolo. […] Mi son convinto del grave stato di disagio in cui vive il mio popolo, delle ingiustizie sociali delle quali è vittima e della profondità del rancore che nutriva verso la classe dirigente il governo e il clero. Ho allora sentito quanto questo rancore fosse insormontabile ostacolo alla sua evangelizzazione e ho perciò deciso di dedicarmi a una precisa distinzione di responsabilità. Scindere cioè con esattezza (a costo d’esser crudeli) le responsabilità (fittizie o reali che siano) del governo dai purissimi principii del Vangelo e delle Encicliche Sociali. […] Mi si accusa di aver sopravvalutato le capacità di distinguere e d’intendere di questo popolo. […] Credo che le solite cifre rispondano anche a questa accusa. Il popolo di S. Donato dopo 6 anni di Scuola Popolare, di discussioni private con me e di questa predicazione non è evidentemente più un popolo, tanto rozzo e incapace di distinguere e di capire» (Milani 2017b: 273-274).

9788804657460_0_500_0_75Nella lettera Milani si difende dalle accuse mossegli dai notabili borghesi di Calenzano e dalla Curia di Firenze, ossia di aver favorito il Partito comunista e di aver così danneggiato la Chiesa cattolica. In realtà Milani è dichiaratamente anticomunista, lo scrive lui stesso al cugino Carlo Weiss nel 1947 (Milani 2017b: 111), il suo operato è finalizzato all’innalzamento culturale del suo popolo, così da permettere a tutti di comprendere il messaggio evangelico di salvezza, senza distinzioni politiche. Non crede neanche che il comunismo sia il male assoluto, come invece riteneva la Chiesa cattolica dell’epoca, non lo considera la causa ma un sintomo della mancanza di valori della società italiana e della religiosità formale e quasi pagana della povera gente che non comprende la religione, ma continua a frequentare la chiesa e i sacramenti per rispetto formale e timore ancestrale. Il comunismo quindi diventa per Milani

«una incidentale conseguenza. Perché il crollo c’era già da tempo e prodotto da chi sa quante cause, ma ben più antiche e profonde […]. Anche ai tempi delle invasioni barbariche sembrava la fine […] invece […] è nato un mondo nuovo, e mille volte più bello: Il Medioevo […]. Così oggi: Vengono giù dei barbari e travolgeranno certamente mille belle cose e istituzioni cui eravamo attaccati […]. Porteranno peggio che il paganesimo: l’ateismo (ma di fronte a certi modi di esser religiosi che c’è nel nostro mondo è meglio l’ateismo, almeno è più schietto è più coerente). Porteranno un sistema economico che probabilmente non arricchirà ma impoverirà l’Europa e quei proletari che voleva aiutare (ma non è meglio morir di fame in un mondo nuovo se anelante a una nuova giustizia più larga, più universale, senza barriere di classe, di nazione ecc. piuttosto che ingrassare in un mondo che sta per morire?). Capisci? Non possiamo esser comunisti, ma neanche possiamo guardare al comunismo come a un nemico da combattere e distruggere, tutt’altro: caso mai è un mondo da cristianizzare […]. A combattere il comunismo mi parrebbe di oppormi alla storia, il che è come ribellarsi a Dio, perché è lui che la disegna. Ma con questo non sono comunista» (Milani 2017b: 110-111).

Quel che interessa a Milani è l’impegno di evangelizzazione di cui si sente responsabile verso tutti gli abitanti della sua parrocchia, il comunismo è, come ha scritto lui stesso, «incidente” di percorso dovuto al progressivo allontanamento della Chiesa cattolica dai poveri; se in quel dato momento storico prevale il comunismo non bisogna lottare contro la storia perché Milani ha una profonda fede nel fatto che è Dio stesso a guidare la storia, l’impegno del sacerdote deve essere quello di spiegare ai poveri che Dio è dalla loro parte e li difende meglio di qualunque ideologia o partito politico.

La posizione di Milani nei confronti di coloro che sono iscritti al Partito comunista, o che sono simpatizzanti comunisti, è chiara e coerente con i suoi principi. Condanna l’ideologia comunista, ma rispetta le persone senza distinzione politica. Infatti nell’estate del 1949 racconta alla madre quel che è accaduto durante un incontro tra i parroci del territorio intorno a Calenzano; ognuno di essi doveva presentare un argomento:

«A me o per caso o per intenzione del segretario è toccato per l’appunto un caso di negazione dei sacramenti […] richiamandomi al diritto canonico comune e alla prassi dei confessori (loro compresi) per dimostrare loro che non erano riusciti a disappassionarsi abbastanza nel giudicare e applicare il decreto sul comunismo che non ha nessun asterisco che lo distingua dagli altri 2214 decreti della Chiesa» (Milani 2017b: 132).

don_milani_corrierePochi sacerdoti appoggiano Milani, la maggior parte attacca il suo discorso con una veemenza cha nasconde la mancanza di argomenti validi per confutare la sua tesi; «Il punto più discusso era la negazione del matrimonio. Io ho con solida dottrina dimostrato che non si nega mai, loro dicevano tutti di sì. E l’hanno di fatto già negato. Il giorno dopo su tutti i giornali c’era in un angolino breve breve secco secco Notificazione della Curia: Non negare mai il matrimonio» (Milani 2017b: 132-133).

L’anno seguente scrive una lettera mai inviata ad uno dei suoi allievi comunisti, Italo Bianchi, chiamato Pipetta (Milani 2017b: 147-149). La lettera è molto importante per capire la posizione milaniana in difesa dei poveri e contro il comunismo. Infatti spiega a Pipetta che in quel dato momento storico le loro posizioni sembrano uguali, ma in realtà sono profondamente diverse; sembrano simili perché sia Milani che i comunisti difendono i poveri, ma quando i comunisti saliranno al potere loro abbandoneranno i poveri mentre Milani rimarrà sempre al fianco degli oppressi. Sembra quasi che Milani stesso aspetti la vittoria del Partito comunista per dimostrare che in realtà si tratta di un partito guidato da borghesi che saranno sempre dalla parte degli oppressori, mentre Milani rimane sempre dalla parte dei poveri.

I rapporti con la gerarchia ecclesiastica durante il periodo trascorso a Calenzano sono molto tesi, ma peggioreranno con l’arrivo di Ermenegildo Florit alla guida, prima di fatto e poi di diritto, della diocesi di Firenze. Florit nei suoi deliri medioevali di onnipotenza tenterà in tutti i modi di trovare un cavillo negli scritti milaniani che gli permetta di accusarlo formalmente, ma non ci riuscirà perché Milani rispetta il vangelo e le encicliche nel loro senso profondo di amore per il prossimo. Infatti durante i suoi primi vent’anni non ha ricevuto nessuna istruzione religiosa, i suoi genitori erano agnostici, anche se di famiglia cattolica il padre ed ebrea la madre; così non ha mai frequentato gli ambienti clericali e quando si è convertito ha trovato la sua fede direttamente nelle Sacre Scritture senza la sovrastruttura clericale che si era creata in duemila anni di storia.

Quindi per Milani il ruolo del sacerdote è quello di evangelizzare i poveri, ma i poveri non hanno i mezzi linguistici per comprendere quel che insegna il sacerdote, così il suo primo compito diventa quello di dare un’istruzione ai poveri, come scriverà molti anni più tardi nella lettera del 7 gennaio 1966 indirizzata ad una studentessa di filosofia, Nadia Neri: 

«So che a voi studenti queste parole fanno rabbia, che vorreste ch’io fossi un uomo pubblico a disposizione di tutti, ma forse è proprio qui la risposta alla domanda che mi fai. Non si può amare tutti gli uomini. Si può amare una classe sola […]. Ma non si può nemmeno amare tutta una classe sociale se non potenzialmente. Di fatto si può amare solo un numero di persone limitato, forse qualche decina forse qualche centinaio. E siccome l’esperienza ci dice che all’uomo è possibile solo questo, mi pare evidente che Dio non ci chiede di più. […] I poveri non hanno bisogno dei signori. I signori ai poveri possono dare una cosa sola: la lingua cioè il mezzo d’espressione. Lo sanno da sé i poveri cosa dovranno scrivere quando sapranno scrivere. E allora se vuoi trovare Dio e i poveri bisogna fermarsi in un posto e smettere di leggere e di studiare e occuparsi solo di far scuola ai ragazzi […]. Ai partiti di sinistra dagli soltanto il voto, ai poveri scuola subito prima d’esser pronta, prima d’esser matura, prima d’esser laureata, prima d’esser fidanzata o sposata, prima d’esser credente. Ti ritroverai credente senza nemmeno accorgertene» (Milani 2017b: 1222-1223).

don-milaniMilani si dedica all’istruzione dei giovani operai e contadini sin dal suo arrivo a Calenzano. Il 3 novembre del 1947 scrive all’amico Locatelli: «Son qui da tre settimane, ho già tutti i ragazzi e da ieri anche diversi giovani operai cui faccio scuola serale in grande stile» (Milani 2017b: 108). La parola “tutti” non è usata con superficialità e non indica la totalità numerica dei ragazzi di Calenzano, bensì il fatto che la scuola serale è rivolta a “tutti” i giovani senza distinzione di religione o appartenenza politica. Si tratta ancora di una scuola informale. Mentre l’anno scolastico successivo, il 1948/1949, la scuola serale di Calenzano diventa una Scuola Popolare riconosciuta dal Ministero, infatti il 29 giugno 1949 avranno luogo i primi esami ufficiali, come scrive alla madre: «Mercoledì abbiamo avuto serissimi esami. Abbiamo fatto una severa selezione secondo il numero delle presenze e s’è invitato solo chi ne aveva sopra un dato limite. Gli invitati poi (13 su 23) son passati tutti (1 IV el, 2V el, 8 I popolare, 2 II pop.)» (Milani 2017b, 127). Dopo gli esami organizza una piccola biblioteca per i ragazzi.

La Scuola Popolare continua anche durante l’anno scolastico successivo. Questa volta il Ministero invia anche un maestro che affianchi Milani nella preparazione dei ragazzi. Il primo novembre 1949 iniziano così le lezioni serali quotidiane a cui si affianca un ciclo di incontri sui problemi del diritto. La scuola è gratuita e rilascia un diploma utilizzabile anche ai fini concorsuali (Milani 217b: 139). Le lezioni di diritto sono tenute da amici di Milani, tra essi la figura più importante è quella di Gianni Meucci, giudice del Tribunale dei Minori di Firenze ed esperto di diritto minorile, uno degli amici che rimarrà sempre al suo fianco anche durante il periodo di Barbiana e su cui Milani potrà sempre contare.

Milani è molto contento di come proceda la scuola (Milani 2017b: 140-142), i suoi allievi sono una quarantina di ragazzi tra i diciassette e i trent’anni provenienti da ambienti sociali, politici e religiosi diversi. Per ora si tratta solamente di allievi maschi, ma l’anno successivo scrive alla madre la sua intenzione di organizzare una «scuola popolare mista» (Milani 2017b: 166), un progetto che realizzerà successivamente a Barbiana. Tra i nuovi strumenti educativi utilizzati da Milani vi sono le recite, uno strumento prezioso per affrontare l’atavica timidezza dei poveri. Lo stesso Milani, in una lettera a Meucci del 1950, invita l’amico alla messa in scena di Piccola città, scritta da Thorton Wilder nel 1938, cui partecipano «20 giovani operai e operaie e contadinelli» (Milani 2017b: 191).

Oltre che al lavoro sul campo, Milani si dedica alla riflessione teorica sul sistema oppressivo che caratterizza la società italiana, sul ruolo dell’istruzione e della scuola per mantenere tale sistema, ma anche su problemi più immediati per i poveri quali il diritto al lavoro e il diritto ad abitare in una casa dignitosa. Tutti argomenti che confluiranno in Esperienze Pastorali. Il 15 novembre 1949 pubblica sulla rivista bimestrale “Adesso”, diretta da Primo Mazzolari, il suo primo articolo: “Franco perdonaci tutti: comunisti, industriali, preti” (Milani 2017°: 991-992). L’occasione concreta è data dal licenziamento di Franco Bini, un ragazzo che Milani seguiva durante il brevissimo periodo in cui era stato assegnato provvisoriamente alla parrocchia di Montespertoli; il suo ex allievo si rivolge a lui per un aiuto e Milani, che non si tira mai indietro di fronte ai bisogni concreti dei suoi ragazzi, accetta di raccomandarlo ad un industriale del posto.

La raccomandazione è una pratica che Milani condanna ed aborrisce, ma le necessità concrete dei suoi ragazzi hanno sempre la priorità. Alla fine la raccomandazione non sortisce alcun effetto perché Franco è comunista e l’industriale non vuole assumere giovani comunisti. La lingua e lo stile dell’articolo sono molto semplici e diretti, il racconto dell’accaduto è in forma anonima per rendere l’evento come un fatto generale che non riguarda solamente un singolo ragazzo, ma molti giovani italiani; si tratta di una tecnica che Milani adopererà anche negli articoli successivi, un modo per immedesimare il lettore nella condizione in cui vivono gli oppressi. La condanna della classe dirigente e politica italiana netta e senza appello riguarda coloro che negli scritti successivi verranno identificati come gli oppressori, ma immediatamente sotto di loro vi sono la Chiesa cattolica e il Partito comunista che Milani considera complici degli oppressori e nemici dei poveri, ossia degli oppressi.

Milani torna sull’argomento nella lettera inviata il 23 novembre del 1950 agli operai di una fabbrica del luogo che lo invitavano a firmare insieme a loro una lettera in cui chiedono ai proprietari di fermare i numerosi licenziamenti in atto proponendo un piano concreto di rilancio industriale:

«Ho esaminato attentamente il programma di produzione da voi elaborato e son felice di vedere come vi sforziate di partecipare intimamente alla vita dell’industria in cui da tanti anni faticate e rischiate la vita. Purtroppo però la formula da voi propostami per la firma comprende un giudizio in materia tecnica che come sacerdote non posso e non voglio dare. Ho pensato perciò di scrivervi questa lettera, in cui riaffermare i principi che esposi dall’altare domenica quell’altra e cioè che, quantunque il licenziamento individuale possa in certi casi essere giusto e necessario non è però ammissibile per un cristiano che un giudizio così delicato e che ha così gravi conseguenze nella vita delle famiglie e della società resti affidato all’arbitrio d’una sola delle due parti interessate. Questo è chiara conseguenza della dottrina sociale cristiana contenuta nell’enciclica di Leone XIII, dove i diritti umani e alla vita e al lavoro vengono naturalmente posti innanzi ai diritti del capitale» (Milani 2017b: 180).

Agli scritti di carattere sociale, si affiancano quelli più strettamente legati alla religione. Tra il 1948 e il 1952 scrive un Catechismo cronologico, ossia basato su un’analisi filologica della Bibbia contestualizzando storicamente e geograficamente il messaggio evangelico perché «un catechismo puramente storico s’imprime a tutti a uno a uno gli insegnamenti del catechismo sistematico e molto più profondamente» (Milani 2017b: 155). Il testo rimane incompiuto e Milani negli ultimi mesi di vita lo vorrebbe distruggere, il catechismo si salva per puro caso come scrive Adele Corradi: 

«Stava per lasciare Barbiana (era la fine di aprile del’67) e sapeva bene che era per sempre. Chiese allora che gli si portasse un po’ alla volta in camera tutto quello che c’era nella stanza dove stava l’archivio della parrocchia. C’erano libri e manoscritti e lui ci diceva cosa bisognava conservare e cosa buttar via. Ma non si fece in tempo a finire il lavoro. Eravamo quasi a metà quando dovette partire. Perciò tante cose sono rimaste, ma non per sua scelta. Durante quel ripulisti mi capitò fra le mani il Catechismo e lui mi disse che era da buttare. Io però ero curiosa di leggerlo. Non voleva. Non mi diceva perché, ma mi pareva di capire che lo considerava soltanto ‘superato dai tempi’, come diceva scherzando di Esperienza pastorali […]. Il Catechismo risultava decisamente condannato. Trovava assurdo che ci fossero preti che continuavano ad usarlo (‘andando contro al parere dell’autore’) e, cosa che era ancora più strana, trovava assurdo perfino che io volessi darci un’occhiata. Dovetti insistere un bel po’, promettendo che dopo averlo letto lo avrei subito distrutto (invece me ne dimenticai), perché mi permettesse di raccoglierlo dal cestino dove avevo dovuto buttarlo» (Corradi 2012: 82).

9788807491214_0_536_0_75Durante l’estate del 1950 Milani si occupa di un altro problema urgente, la mancanza di abitazioni per i poveri. Nella lettera dell’8 agosto comunica alla sorella Elena la sua intenzione di organizzare una cooperativa formata dalle famiglie povere del territorio. In questa cooperativa tutti lavorerebbero gratuitamente per costruire case; ogni qualvolta è ultimata una abitazione questa sarà assegnata alla famiglia più povera e così via; il progetto non si potrà realizzare perché mancano i fondi per l’acquisto dei materiali edili. Il problema della mancanza di abitazioni è uno dei più urgenti e Milani il 15 dicembre 1950 pubblica su “Adesso” l’articolo “Natale 1950. “Per loro non c’era posto”, firmato con il proprio nome e cognome. Anche stavolta l’occasione è data da un evento concreto, lo sfratto ricevuto da un suo parrocchiano. Milani mette il lettore nei panni di coloro che sono costretti a vivere in condizioni precarie, condividendo la stessa casa tra più nuclei familiari e sempre con l’angoscia di essere sfrattati.

La mancanza di abitazione è quindi una necessità reale e concreta che si scontra con un altro dato di fatto, ossia il possesso di più di una casa da parte dei ricchi borghesi. Quindi il problema diventa il diritto alla proprietà privata e Milani lo affronta in maniera radicale: «Ho elencato dunque i grandi diritti dell’uomo (vita, casa, lavoro…). Della proprietà invece ho detto che è diritto solo quando è garanzia di quei diritti, è delitto, quando li viola. Ho citato Leone XIII e Pio X. Ho letto le cifre della tragedia degli alloggi. […] Così ho potuto dimostrare che per le case in Italia già da molti anni (ma ogni giorno di più) siamo a quella famosa “estrema necessità” che fa “Tutto comune”» (Milani 2017°: 997), un’idea che Milani riprende dalla Summa Theologiae di Tommaso D’Aquino.

La scuola popolare prosegue durante gli anni scolastici successivi fino al 1953/1954. Milani convince il parroco, don Pugi, a permettergli ancora una volta di escludere l’insegnamento della religione e così «tenerla in quella santa atmosfera d’apparente ateismo che mi pare una delle sue premesse essenziali» (Milani 2017b: 174-175). I pochi fondi inviati dal ministero non bastano per acquistare i materiali scolastici, così si rivolge ad un’amica della madre, Carolina Rucellai Fossi, affinché lo aiuti finanziando

«quella scuola serale […] necessaria più del pane. Istruire gli ignoranti, levar la ruggine a tante belle intelligenze abbruttite nel lavoro e nell’inferiorità sociale. Estendere a tutti il privilegio più geloso dei figli dei ricchi perché è la chiave d’ogni conquista. Tentar di prevenire la rivoluzione sanguinosa con una rivoluzione volontaria e interiore. Costruir le premesse intellettuali alla rinascita religiosa in un mondo di poveri che non vive più una vita cristiana solo perché la sua vita non ha più neanche l’umano. Insomma son tante le ragioni per cui il meglio del mio tempo e della mia passione di prete lo spendo sulla scuola. Io spero che lei vorrà capirmi e che non temerà aiutandomi di accelerare il crollo d’un mondo che presto o tardi deve ben cadere!» (Milani 2017a: 177).

Per Milani la Scuola Popolare è qualcosa di più di una semplice scuola, ormai quasi sessanta ragazzi tra i quindici e i venticinque anni frequentano le sue lezioni, anche se solamente dodici sono quelli che chiama “i fedelissimi”, ossia coloro che frequentano assiduamente le lezioni,

«sono operai o contadini, son iscritti a partiti e sindacati vari. Di comune hanno poco (neanche l’amicizia fra tutti) fuorché un bel progresso che han fatto nel cercare di rispettare la persona dell’avversario, di capire che il male e il bene non son tutti da una parte, che non bisogna mai credere né ai comunisti né ai preti, che bisogna andar sempre controcorrente e leticare con tutti, e poi il culto dell’onestà, della lealtà, della serenità, della generosità politica e del disinteresse politico» (Milani 2017b: 207). 

Gli incontri del venerdì sera proseguiranno anche durante gli anni successivi e diventeranno la vera caratteristica della scuola di Calenzano. Ogni settimana interviene qualcuno esperto in un dato argomento, talvolta è l’amico e prete operaio Bruno Borghi, talvolta è il giudice Meucci o il giornalista e futuro senatore Mario Gozzini, una sera il docente di filosofia Alberto Parigi spiega l’Apologia di Socrate, un’altra sera interviene il giornalista Ettore Bernabei, un’altra ancora il direttore d’orchestra Riccardo Luciani fa ascoltare ai ragazzi Beethoven; gli incontri proseguiranno anche quando Milani sarà costretto a lasciare Calenzano, i suoi ex allievi continueranno ad incontrarsi il venerdì sera invitando, quando possono, un esperto con cui confrontarsi.

Subito dopo l’incontro con Riccardo Luciani nel 1953 i ragazzi della scuola si appassionano alla musica, così Milani fa proiettare lo spartito delle sinfonie di Beethoven e i ragazzi imparano a seguire le note mentre ascoltano la musica, «S’è fatto e rifatto da capo tante volte quanto è bastato al più duro dei ragazzi a imparare a seguirla tutta colla canna voce per voce. Insomma una soddisfazione immensa» (Milani 2017b: 303). In quel periodo la sorella Elena regala a Milani una fisarmonica, così i ragazzi imparano a suonarla. Ma la vera novità è data dall’uso dei dischi in vinile per imparare le lingue straniere, un metodo molto efficace che negli anni seguenti sarà adottato anche nella scuola di Barbiana.

Nella lettera del 24 aprile 1954 a Meucci Milani scrive:

«la cosa più tragica e bella dell’anno è stata una calata dell’intera scuola in paese per ascoltare una conferenza d’uno della C.I. di Doccia. È stata la prima volta in vita mia che ho potuto parlare con tutti gli adulti del mio popolo e puoi immaginare con che batticuore l’ho fatto. Ho sparato tutte le più sacre cartucce del mio repertorio e ho raccolto un silenzio penoso senza il più piccolo tentativo di applauso. I comunisti son rimasti male e mi hanno odiato. I pochi DC presenti saranno certo corsi in Curia come usano fare. Insomma una tragedia. I ragazzi della scuola invece erano fuori di sé dalla gioia d’essersi accorti di capire tanto di più dei loro babbi. Dammi altri 30 anni di scuola popolare e vedrai se non si comincerà a vedere qualcosa» (Milani 2017b: 304-305).

don-milani-2-1-980x551Durante gli anni seguenti Milani continua a scrivere su argomenti quali lo spopolamento delle campagne, lo sfruttamento del lavoro minorile o contro la negazione dei sacramenti ai comunisti, ma gli articoli non saranno pubblicati oppure saranno pubblicati con tagli significativi, così confluiranno integralmente su Esperienze pastorali. Ma i rapporti con i borghesi di Calenzano e quindi con la Curia di Firenze sono ormai pessimi. Milani sa che l’unico a difenderlo, oltre alle famiglie povere, è il parroco don Pugi che, pur non comprendendo i metodi del giovane sacerdote, ne riconosce con sincerità e gioia gli eccellenti risultati: la chiesa è piena di giovani che partecipano attivamente come non era avvenuto mai nel passato. Purtroppo il 12 settembre del 1954 don Pugi muore e questo determinerà il trasferimento quasi immediato di Milani.

Il 23 novembre del 1954 riceve l’incarico di priore della chiesa di Sant’Andrea a Barbiana, una vera e propria punizione. Ma le famiglie ed i ragazzi di Calenzano faranno a gara per sostenerlo, andranno a trovarlo ogni giorno durante le prime settimane così da dimostrargli il loro affetto e la loro gratitudine. Le poche famiglie che vivono nei boschi nei dintorni della chiesa di Barbiana capiscono così che quel giovane parroco non è stato mandato lì perché ha compiuto qualcosa di deplorevole, altrimenti non si spiegherebbe un così grande affetto e sostegno da parte dei suoi ex parrocchiani. Sarà per Milani un aiuto determinante che gli permetterà di farsi accettare subito dai diffidenti montanari barbianesi con cui darà vita a quella che è conosciuta come Scuola di Barbiana, un impegno che manterrà fino alla morte.

Dialoghi Mediterranei, n.62, luglio 2023
Riferimenti bibliografici
Corradi, A. (2012), Non so se don Lorenzo, Feltrinelli editore Milano
Gesualdi, M. (2016), Don Lorenzo Milani. L’esilio di Barbiana, Edizioni San Paolo Milano.
Milani, L. (2017a), Tutte le opere (Vol. 1), Mondadori Milano
Milani, L. (2017b), Tutte le opere (Vol. 2), Mondadori Milano
Pecorini, G. (2011), I care ancora, Editrice Missionaria Italiana Bologna (in realtà nel testo è indicato come autore “Lorenzo Milani” con la dicitura “a cura di Giorgio Pecorini”; ma si preferisce seguire Milani 2017a, CXXXVI che considera come autore lo stesso Pecorini).

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Tommaso Lo Monte, docente di lettere presso il Liceo scientifico statale S. Cannizzaro di Palermo. Nel 2021 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca con menzione in Storia dell’Educazione presso l’Università della Bassa Slesia (Dolnoslaska Szkola Wyzsza) di Wroclaw, presentando la tesi: “Tra utopia e prassi. La pedagogia di Lorenzo Milani (1923-1967) nel contesto storico sociale dell’Italia del secondo dopoguerra”. Ha partecipato in qualità di relatore: al Convegno Internazionale “Place in Space – subject of Reflection and Area of Educazional Activities”. Titolo della relazione: “Genius loci. Il legame tra la scuola di Barbiana e la Toscana (1954-1957)” presso la WSB University di Dąbrowa Górnicza in Polonia (19/11/2020); al Convegno “Dall’I care di Lorenzo Milani alla scuola del merito” Titolo della relazione: “Il pensiero di Lorenzo Milani come proposta per affrontare la crisi della scuola italiana” organizzato dal CESP – Centro studi per la scuola pubblica (10/03/2023). Tra le pubblicazioni più recenti si segnalano: “Lorenzo Milani’s thought and the present Italian school crisis” in INSTED: Interdisciplinary Studies in Education & Society Teraźniejszość – Człowiek – Edukacja. Wrocalw. Polonia, 30 dicembre 2022; “Genius loci. Il legame tra la scuola di Barbiana e la Toscana (1954-1967)” in CZŁOWIEK I MIEJSCE. Księga pamiątkowa z okazji jubileuszu 80. Urodzin Profesora Wojciech Kojsa oraz 15-lecia istnienia Katedry Pedagogiki w Akademii WSB, red. Jerzy Kochanowicz, Marek Walancik, Wydawnictwo Naukowe Akademii WSB, Dąbrowa Górnicza 2021.

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