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L’ottavo miliardo. Note a margine di una crisi silenziosa

Incremento demografico anni 1000-2000

Incremento demografico anni 1000-2000

di Giovanni Altadonna 

In occasione di un’intervista rilasciata allo storico delle religioni Marcello Massenzio il 26 giugno 2000, l’antropologo Claude Lévi-Strauss (uno degli intellettuali più acuti del Novecento e fra i più longevi, essendo morto nel 2009 sulla soglia dei 101 anni) ebbe modo di dichiarare: 

«quando mi chiedono […] ‘Qual è, secondo lei, l’evento più significativo del XX secolo?’, posso dare solo una risposta: all’inizio del secolo l’umanità contava un miliardo e mezzo di individui, quando feci il mio ingresso nella vita attiva, intorno al 1930, ne contava due – ed è in questo clima che ho vissuto e lavorato –, mentre oggi ne conta sei, e anche se l’espansione demografica dovesse, stando alle previsioni, rallentare, e magari anche arrestarsi del tutto, ne conterà molti di più da qui a venti, trenta o quarant’anni. Questo, per me, è l’evento più importante, la catastrofe assoluta che ha colpito l’umanità nel corso della nostra epoca, un’epoca che, da questo punto di vista, ho avuto la sfortuna di vivere» (Lévi-Strauss, 2002: 115). 

clsA distanza di un ventennio, essendo giunti nella seconda decade del XXI secolo, queste parole di Lévi-Strauss appaiono profetiche. Non in virtù di qualche coincidenza casuale o rivelazione di natura trascendente egli poté pronunciarle: dalla particolare prospettiva di etnologo, piuttosto, egli aveva compreso benissimo i drammatici effetti, attuali e potenziali, dell’esponenziale aumento demografico della popolazione umana avvenuto nel corso del XX secolo, al punto da considerare questo come l’evento più importante del Novecento: tale da scalzare le due guerre mondiali, le crisi economiche del 1929 e del 1973, la decolonizzazione, la parabola di ascesa e declino dell’URSS, solo per citare altri possibili candidati al titolo.

La previsione di Lévi-Strauss si è (purtroppo) rivelata incredibilmente accurata. Come evidenziato da un report del Dipartimento di Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite, infatti: 

«Il 15 novembre 2022, si prevede che la popolazione mondiale raggiungerà gli 8 miliardi di persone, essendo cresciuta di 1 miliardo dal 2010. Questa è una pietra miliare notevole dato che la popolazione umana contava meno di 1 miliardo per millenni fino al 1800 circa e che ci sono voluti più di 100 anni per crescere da 1 a 2 miliardi. In confronto, l’aumento della popolazione mondiale nel corso dell’ultimo secolo è stato piuttosto rapido. Nonostante un graduale rallentamento del ritmo di crescita, si prevede che la popolazione mondiale supererà i 9 miliardi intorno al 2037 e i 10 miliardi intorno al 2058» [1].

Pare che anche le previsioni dell’ONU si siano rivelate corrette: il 15 novembre 2022 sarebbe stata raggiunta la soglia di 8 miliardi di esseri umani. Una cifra impressionante e sconcertante, non appena ci si sofferma a riflettere su quanto ciò comporta per il passato recente, per il presente e per il futuro del pianeta e dello stesso genere umano. Al di là dell’eco mediatico suscitato dalla notizia (destinato a dissolversi in poche ore, come infatti è accaduto), della cifra esatta (impossibile da ottenere; i numeri sono ovviamente soggetti ad approssimazione statistica) e della data precisa (che il problematico traguardo sia stato raggiunto il 15 novembre piuttosto che, ad esempio, il 14 ottobre, poco cambia nel complesso) è necessaria una riflessione che faccia luce sulla gravità del fenomeno in sé. 

Fridays for future

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Un problema complesso 

L’incremento demografico umano ha ripercussioni in ogni ambito del vivere quotidiano individuale e collettivo: economia, (geo)politica, società, ambiente. Sebbene spesso non sia immediato collegare tutte le concause e gli effetti (che ricorsivamente producono a loro volta nuove conseguenze) in una visione complessa (cfr. Spanò, 2022), ovvero, etimologicamente, “che tenga tutto insieme”, è nondimeno fondamentale comprendere la fitta rete causale che lega fenomeni apparentemente diversissimi (e, questi sì, costantemente sotto l’attenzione mediatica) quali i fenomeni migratori, le pandemie, il cambiamento climatico, i conflitti bellici e identitari.

Come sottolineato dal report dell’ONU sopra citato: 

«[…] la rapida crescita della popolazione pone sfide al progresso dello sviluppo sociale ed economico richiedendo un investimento sempre crescente di risorse per soddisfare le esigenze di un numero crescente di persone. Inoltre, la continua crescita demografica rende più urgente gli sforzi per garantire lo sviluppo economico, proteggendo e preservando l’ambiente» [2].

L’aumento vertiginoso della popolazione globale comporta (e comporterà) un impatto ambientale sempre maggiore, che impone di ideare e mettere in atto concretamente nuove strategie di sviluppo sostenibile, al di là di facili slogan e promesse di cooperazione internazionale puntualmente disattese: 

«Insieme a modelli insostenibili di consumo e produzione, la rapida crescita della popolazione umana ha contribuito a varie forme di degrado ambientale, tra cui il riscaldamento globale, i cambiamenti climatici, la deforestazione e la perdita di biodiversità. Le popolazioni globali di fauna selvatica sono diminuite di due terzi tra il 1970 e il 2020, mentre la popolazione umana è più che raddoppiata. Dal 1990, si stima che 420 milioni di ettari di foresta siano andati perduti a causa della conversione del suolo ad altri usi, e l’area della foresta primaria in tutto il mondo è diminuita di oltre 80 milioni di ettari» [3].

51o5aa8hmfl-_sx322_bo1204203200_Il peso dell’uomo sulla Terra, letteralmente, ha raggiunto dimensioni eccezionali: «In termini di sola biomassa i numeri sono impressionanti: oggi il peso degli esseri umani supera quello dei mammiferi selvatici con una proporzione di più di otto a uno. Se aggiungiamo il peso degli animali domestici – perlopiù mucche e maiali –, la proporzione sale a ventidue a uno» (Kolbert, 2021; tr. it. 2022: 17).

Un’altra caratteristica della crescita demografica globale su cui non si insiste abbastanza nei canali di comunicazione mainstream è che essa non è uniforme, ma legata piuttosto alle dinamiche regionali di transizione demografica; la quale consiste nel «passaggio da un “sistema” caratterizzato da alta natalità, alta mortalità e breve durata della vita a uno di segno opposto» (Detti & Gozzini, 2018: 43): 

«In particolare, man mano che la popolazione mondiale cresce da 8 a 9 miliardi, quasi tutto l’aumento previsto del numero di bambini e giovani e di adulti sotto i 65 anni si verificherà nei Paesi a reddito basso e medio-basso. Al contrario, nei Paesi a reddito alto e medio-alto, le proiezioni demografiche delle Nazioni Unite suggeriscono che il numero di persone sotto i 65 anni diminuirà nei prossimi anni e che la crescita si verificherà solo nella popolazione di età pari o superiore a 65 anni» [4].

Sono sufficienti questi dati preliminari per evidenziare quanto l’aumento demografico globale coinvolga le vite di ognuno di noi. Il quadro risultante dalle dinamiche di transizione demografica, unite a fattori ambientali, comporta effetti economici, sociali e geopolitici di lunga portata in parte già in corso: l’aumento della popolazione giovane si verifica in Paesi a basso reddito, in cui catastrofi ambientali (sempre più ricorrenti a causa dei cambiamenti climatici) e instabilità politica (guerre civili, colpi di Stato, bande paramilitari etc.) favoriscono movimenti migratori verso Paesi ad economia post-industriale in cui la diminuzione della natalità, l’invecchiamento demografico (con tutto ciò che esso comporta in termini economici, pensionistici e sanitari) e il conseguente decremento della popolazione non sono tuttavia compensati dagli afflussi degli immigrati che, con una prassi (per lo più corroborata a livello ideologico), i governi dei Paesi occidentali tendono piuttosto a respingere nel nome di nazionalismi anacronistici, cavalcando l’onda del malcontento economico e sociale (cfr. Detti & Gozzini, 2018: 42-69).

Ovviamente in questa sede è impossibile approfondire adeguatamente argomenti di così ampia portata; tuttavia alcune precisazioni possono essere fornite in aggiunta alle coordinate concettuali pocanzi tracciate. Circa i fenomeni migratori, occorre sottolineare che, sebbene essi siano parte, per così dire, della “natura umana” (essendo la specie Homo sapiens molto vagile sin dalle sue origini), e pertanto sia abbastanza ridicolo considerarli alla stregua di una “emergenza” (se con ciò si intende qualcosa di eccezionale), va anche notato che dal 1910 al 2015 il numero di migranti su scala mondiale è cresciuto di quasi sette volte. Se ciò viene riportato su scala percentuale rispetto a una popolazione globale anch’essa cresciuta impetuosamente, esso tuttavia appare in crescita per meno dell’1% (ivi: 57). Nondimeno, se si considerano i fattori sopra evidenziati (limiti delle risorse, catastrofi climatiche, asimmetria nella piramide demografica fra Paesi ricchi e Paesi poveri), appare in tutta evidenza quanto un fenomeno di per sé non nuovo si ripresenti con implicazioni del tutto inedite e ponga una sfida affrontabile solo a livello transnazionale, con l’adozione di strategie politiche lungimiranti e strutturali. Ciò appare tanto più importante quanto più si sottolinea, per inciso, che le migrazioni degli ultimi decenni presentano caratteristiche distintive rispetto a quelle avvenute fra fine XIX e inizio XX secolo, ossia: 

«la forte presenza di donne tra i migranti (pari a metà del totale) e il peso determinante delle organizzazioni criminali che gestiscono questa nuova tratta paraschiavistica di esseri umani, prosperando sui divieti introdotti dai Paesi ricchi a partire dal 1973. D’altra parte, questi sono a loro volta il frutto di una situazione economica che in quegli stessi Paesi non offre più i livelli occupazionali esistenti in passato» (Detti & Gozzini, 2018: XI). 

Che il Mediterraneo sia teatro di uno dei più sanguinari fra tali scenari geopolitici (e quanto l’insipienza dei governi nazionali e la mancanza di volontà in ordine alla collaborazione internazionale concorrano in tal senso) ci è costantemente ricordato dalle cronache di ogni giorno.

71looq3ubvlA proposito del problema ambientale, ad esso fa capo un fenomeno che, al pari delle migrazioni, accompagna l’essere umano sin dalla preistoria, ma che tuttavia assume una risonanza senza precedenti in concomitanza con l’incremento demografico globale e i fattori ad esso collegati (aumento della densità di popolazione, collegamenti più rapidi fra una zona e l’altra del mondo, riduzione della biodiversità): mi riferisco al sempre più frequente dilagare di epidemie e pandemie. Infatti, se è vero che le zoonosi (malattie trasmesse dagli animali non umani all’uomo) non sono un fenomeno recente (ma accompagnano bensì la storia delle civiltà umane fin dalla rivoluzione neolitica), tuttavia, al pari di altri processi che caratterizzano l’Antropocene, anch’esse sono diventate sempre più frequenti tanto più si intensificano fenomeni quali le alterazioni ambientali, la crescita demografica, i contatti fra le diverse popolazioni (umane e non umane) del mondo.

In tal senso, zoonosi è una parola della storia, ma è anche «una parola del futuro, destinata a diventare assai più comune nel corso di questo secolo» (Quammen, 2012; tr. it. 2020: 21). Questo perché i virus, programmati dalla selezione naturale per rispondere all’imperativo darwiniano di diffondere quante più copie di sé stessi nel modo più efficiente possibile, non trovano migliore occasione per farlo che in una specie invasiva, con un tasso di crescita elevato (sebbene in lieve flessione negativa), con un’alta densità demografica e i cui numerosissimi individui vivono in buona parte in metropoli affollate (cfr. ivi: 42-43 e 511-514). In altre parole, l’incremento demografico rende ancora più insostenibile l’impatto ambientale dell’uomo e, in definitiva, più probabili fenomeni epidemici e pandemici (i quali, se da un lato possono essere affrontati con conoscenze scientifiche più raffinate che in passato, appaiono tanto più pericolosi in un periodo storico in cui si assiste a una contrazione generalizzata del welfare sanitario in ottemperanza ai dettami del neoliberismo).

È dunque evidente che al fine di comprendere un problema complesso di rilevanza globale, legato strettamente alle altre crisi mondiali del nostro tempo, è necessario uscire dagli specialismi settoriali e affrontare con approccio sistemico e interdisciplinare una materia che non può che coinvolgere ambiti e competenze diversissime: storia, economia, climatologia, biologia, statistica, geopolitica e così via. Eppure, nonostante gli appelli (tanto reiterati quanto vacui) all’interdisciplinarietà e alla qualità della ricerca [5], tuttora manca, almeno in Italia, a livello sia istituzionale che accademico, una educazione sensibile all’importanza dell’interdisciplinarietà per far fronte alle gravi sfide del XXI secolo [6]. Come scrive il sociologo Edgar Morin: «I problemi fondamentali e i problemi globali sono evacuati dalle scienze disciplinari. Sono salvaguardati solo nella filosofia, ma non più nutriti dagli apporti delle scienze» (Morin, 1999; tr. it. 2001: 40).

L’analisi ponderata del problema complesso lascia ineluttabilmente il posto a soluzioni provvisorie e a breve termine che non fanno che aggravare il problema stesso; a loro volta queste sono sollecitate da ragioni di opportunità politica legate all’inseguimento del consenso: meglio evitare decisioni impopolari, onerose e difficili da attuare, piuttosto che abbracciare scelte strategiche e con risultati a lungo termine. Considerazioni di profitto economico immediato, scelte egoistiche a livello individuale o nazionale, superficialità e indolenza intellettuale sono tutti elementi che non aiutano affatto ad affrontare una sfida già di per sé incredibilmente difficile. 

Le cause e le possibili soluzioni 

Quali sono le cause della crescita demografica globale? Porsi una domanda del genere significa anche interrogarsi sulle possibili soluzioni atte a risolvere, o perlomeno a mitigare, il problema. Il sopra citato report delle Nazioni Unite spiega: 

«Questa rapida crescita della popolazione umana è una testimonianza dei risultati ottenuti nella salute pubblica e nella medicina, come i miglioramenti nei servizi igienico-sanitari e nel controllo delle malattie, un migliore accesso all’acqua potabile pulita e lo sviluppo di vaccini, farmaci antibatterici e altre terapie mediche efficaci. Insieme al miglioramento della nutrizione e all’aumento degli standard di vita, tali risultati hanno ridotto il rischio di morte, specialmente tra i bambini, e generato una crescita senza precedenti delle popolazioni in tutto il mondo» [7].

114735617-e3749716-374e-4f53-a0da-b2eb35853e40Quali, allora, le soluzioni? Rinunciare alle conquiste della medicina e al progresso scientifico, per ritornare alle condizioni di un passato relativamente recente in cui era normale morire di colera anche nei più avanzati Paesi europei? O piuttosto ricorrere a un regime totalitario mondiale, in cui una tecnocrazia imponga una gestione monopolistica delle risorse da distribuire a esseri umani coltivati in provetta in numero non maggiore a quello dei decessi? Quest’ultima tesi è quella prospettata nel romanzo distopico Il mondo nuovo (1932) dello scrittore e filosofo britannico Aldous Huxley. Egli, al pari di Claude Lévi-Strauss, aveva individuato lucidamente nell’incremento demografico globale il più grave problema del suo presente e del suo futuro (ossia, del nostro presente); al punto da dedicare, nel saggio Ritorno al mondo nuovo (1958), focalizzato sui temi cardine del romanzo citato, un intero capitolo alla Sovrappopolazione, da cui traggo le righe di seguito: 

«Nel mondo nuovo della mia favola, era ben risolto il problema del rapporto fra popolazione umana e risorse naturali. S’era calcolato il numero ideale per la popolazione del mondo (poco meno di due miliardi, se ben ricordo) e si provvedeva a contenerla entro quel limite, una generazione dopo l’altra. Ma nel mondo vero contemporaneo non si è risolto il problema della popolazione; al contrario, d’anno in anno il problema si fa più grave. Su questa cupa scena biologica si svolgono tutti i drammi politici, economici, culturali e psicologici del nostro tempo. […] Il problema del rapporto fra rapido accrescimento della popolazione e risorse naturali, stabilità sociale e benessere dei singoli, è oggi il maggior problema per l’umanità; resterà tale per un altro secolo, forse per alcuni secoli a venire» (Huxley, 1958; tr. it. 2020: 233-234). 

Pur senza giungere agli esiti estremi immaginati nel romanzo di Huxley, è innegabile che un intervento di educazione sistematica al controllo delle nascite (specialmente nei Paesi più poveri, dove questo problema è più urgente) e una più equa distribuzione delle risorse (possibilmente unito a un’attenuazione delle cause antropogeniche del cambiamento climatico) sia l’unica strada auspicabile per non rendere peggiore un quadro già pessimo. In altre parole, occorre una decisione politica nel senso più alto del termine: governo accorto della res publica. Come sostenuto ancora da fonti dalle Nazioni Unite: 

«Una pianificazione informata dei cambiamenti demografici può contribuire ad accelerare i progressi verso il conseguimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, in particolare quelli relativi alla povertà, alla salute, all’istruzione, alla parità di genere e all’ambiente. I responsabili politici dovrebbero incorporare le tendenze demografiche presenti e future in tutti gli aspetti della pianificazione dello sviluppo, identificando le aree in cui i programmi possono essere ampliati per raggiungere un numero crescente di persone bisognose, nonché le aree in cui il cambiamento del profilo demografico offre opportunità per accelerare i progressi verso lo sviluppo sostenibile, garantendo al contempo che nessuno sia lasciato indietro» [8].

7135bhi2g4lProspettive e retrospettive sull’ottavo miliardo 

Questa “pietra miliare” di 8 miliardi di individui, 8000 milioni di persone, è stata infine raggiunta, pare, proprio a metà del novembre scorso, in accordo alle previsioni dell’ONU. Al di là del fascino dei numeri, delle statistiche e delle proiezioni, importa sottolineare che dietro di essi vi sono persone in carne ed ossa, che soffrono spaventose diseguaglianze sociali ed economiche in un (dis)ordine globale (Detti & Gozzini, 2018) che tende a enfatizzare lo scarto fra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri; e non solo nei cosiddetti “Paesi in via di sviluppo”: non va infatti dimenticato che, accanto alle diseguaglianze fra Stati (between countries) bisogna considerare quelle interne agli stessi Paesi ricchi (within countries), che a partire dagli anni Ottanta sono in rialzo (ivi: 162-171). Senza contare che anche gli individui e gli Stati privilegiati, prima o poi, saranno (e in parte già sono) soggetti alle ripercussioni globali della sovrappopolazione. Basti pensare al cambiamento climatico, una delle più vistose conseguenze dell’incremento demografico, le cui implicazioni coinvolgono già oggi le popolazioni e i territori di tutto il mondo, Paesi occidentali inclusi. In tal senso, l’ottavo miliardo può e deve essere un imprescindibile e non procrastinabile sprone a pensare e a praticare strategie internazionali volte a conservare, quando non a ripristinare, un’accettabile qualità della vita nell’interesse delle generazioni future e di quelle che già adesso soffrono per gli effetti collaterali dell’aumento demografico.

Nello stesso momento in cui scrivo, però, mi sembra quasi drammaticamente ridicolo sperare in un cambio di rotta dell’umanità rispetto a questo come ad altri temi di rilevanza globale ad esso connessi: crisi ecologica, scandalo della guerra, conflitti di identità. Certo non ci riusciremo prima di aver imparato a «trasformare la specie umana in vera umanità» (Morin, 1999; tr. it. 2001: 80) e di aver assunto la consapevolezza che «tutti gli esseri umani, ormai messi a confronto con gli stessi problemi di vita e di morte, vivano una stessa comunità di destino» (ivi:13). 

Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023 
Note 
[1] L. Zeifman, S. Hertog, V. Kantorova and J. Wilmoth, UN DESA Policy Brief No. 140: A World of 8 Billion, Population Division, UN DESA, 1.XI.2022,
https://www.un.org/development/desa/dpad/publication/un-desa-policy-brief-no-140-a-world-of-8-billion/ (ultimo accesso 10.I.2023). Tutte le traduzioni delle citazioni da questo report sono dell’autore.
[2] Zeifman et al., cit., https://www.un.org/development/desa/dpad/publication/un-desa-policy-brief-no-140-a-world-of-8-billion/ (ultimo accesso 10.I.2023).
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] Cfr. M. Spanò, Non sparate sul ricercatore, al link https://www.ultimavoce.it/non-sparate-sul-ricercatore/ (ultimo accesso 8.XII.2022).
[6] Un’eccezione virtuosa in tale contesto è il programma televisivo di divulgazione scientifica La fabbrica del mondo a cura di Marco Paolini e Telmo Pievani, andato in onda su Rai 3 in tre puntate nel gennaio 2022. Il format adottato, con l’unione di diversi registri linguistici (dal tono scientifico-divulgativo a quello drammaturgico, dal mimo all’intervista) consente la corretta comprensione di tematiche fondamentali, su cui vi è ampia confusione nel dibattito pubblico (la crisi climatica, l’era pandemica e la “sesta estinzione”), anche al “non addetto ai lavori”, con uno sguardo interdisciplinare sensibile al paradigma evoluzionistico.
[7] Zeifman et al., cit., https://www.un.org/development/desa/dpad/publication/un-desa-policy-brief-no-140-a-world-of-8-billion/ (ultimo accesso 10.I.2023).
[8] Zeifman et al., cit.,  https://www.un.org/development/desa/dpad/publication/un-desa-policy-brief-no-140-a-world-of-8-billion/ (ultimo accesso 10.I.2023). 
Riferimenti bibliografici 
Detti T., Gozzini G., 2018, L’età del disordine. Storia del mondo attuale 1968-2017, Laterza, Roma-Bari.
Huxley A. [1958], Ritorno al mondo nuovo, in Id., [1932/1958] Il mondo nuovo. Ritorno al mondo nuovo, tr. it. Mondadori, Milano 2020: 225-326.
Kolbert E. [2021], Sotto un cielo bianco. La natura del futuro, tr. it. Neri Pozza, Vicenza 2022.
Lévi-Strauss C., 2002, Un itinerario. Colloquio con Marcello Massenzio, in Id. [1952/1971], Razza e storia. Razza e cultura, tr. it. Einaudi, Torino: 97-116.
Morin E. [1999], I sette saperi necessari all’educazione del futuro, tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano 2001.
Spanò M., 2022, Sulla complessità: tra attualità e inattualità, Il Pequod, III, 5: 15-25. https://www.ilpequod.it/index.php/2022/06/23/sulla-complessita-tra-attualita-e-inattualita/
Quammen D. [2012], Spillover. L’evoluzione delle pandemie, tr. it. Adelphi, Milano 2020. 
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Giovanni Altadonna, ha conseguito la Laurea magistrale in Scienze filosofiche presso l’Università degli Studi di Catania con una tesi in Epistemologia avente per oggetto L’erronea misurazione dell’uomo. La critica all’antropologia razziale in Stephen Jay Gould. I suoi interessi di ricerca riguardano la filosofia della scienza e la storia della biologia, con particolare attenzione al neodarwinismo e alla storia della teoria dell’evoluzione. Coltiva per diletto lo studio delle scienze naturali, con particolare riferimento all’entomologia e alla fauna siciliana. Ha al suo attivo una ventina di pubblicazioni nell’ambito delle scienze umanistiche e delle scienze naturali.

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