Stampa Articolo

Lucia e Siracusa. La santa e la città

Siracusa, il tempio, Cattedrale

Siracusa, il tempio, Cattedrale

di Marxiano Melotti 

Il tempio e la cattedrale: Siracusa fra passato e presente 

Molte città hanno un rapporto particolare con un santo, ma poche ne hanno uno così profondo come Siracusa con Santa Lucia. È una situazione che vale la pena di approfondire. Siracusa, nata come colonia greca sulla costa sud-orientale della Sicilia, è una città molto particolare, segnata da una singolare ibridazione di culture. La sua piazza centrale è dominata da un’imponente cattedrale (prima bizantina, poi normanna e infine barocca) che sorprendentemente incorpora le colonne di un tempio del V secolo a.C.

Uno strano mix che ha affascinato tanti viaggiatori sin dal tempo del Grand Tour, come testimoniano gouaches e incisioni (Hoüel, 1782-1787; de Saint-Non, 1781-1786), ma ha suscitato anche qualche critica ingenerosa, come quella di chi ha deplorato la trasformazione di “un bellissimo tempio” in un’“ordinarissima chiesa”, quando le divinità greche avrebbero ceduto il campo ai santi cristiani (Seume, 1803).

Ma nella città l’antica cultura greca è ancora presente, in qualche misura: una coesistenza che mostra sia l’affermazione della cultura cristiana su quella pre-cristiana, sia la resistenza di quest’ultima per la persistenza di alcune sue importanti funzioni. La cattedrale, centro della moderna vita religiosa, è dedicata a Maria Vergine, così come il tempio greco era dedicato a un’altra vergine, Atena. Alla concrezione delle strutture architettoniche si accompagna così un latente sincretismo fra le due più importanti figure femminili della cultura religiosa europea.

Quest’intreccio è stato analizzato in passato in una prospettiva Nachleben: l’accostamento (molto alla moda tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX) caratterizzato dall’idea di un afterlife o di un survival di elementi antichi nel mondo moderno. Una concezione di stampo positivistico, che riteneva il presente sempre costruito sul passato e tendeva a spiegare tutto in questa chiave [1]. In tale prospettiva la Madonna cristiana sarebbe il risultato di un processo culturale che parte dalle antiche divinità femminili dell’area mediterranea o, viceversa, in termini cristiani, Atena sarebbe stata una pre-figurazione della Vergine Maria. Un’impostazione incapace di cogliere le specificità dei diversi sistemi socioculturali, che, nonostante il taglio evoluzionistico, veicola l’idea di una loro sostanziale immutabilità.

Siracusa non ha dimenticato le sue origini greche e promuove questa sua peculiarità grazie anche alla crescente importanza delle identità locali, del retaggio culturale e del turismo. Un esempio significativo si è avuto, nel 2005, quando, dovendo operare il restauro della cattedrale, le autorità locali hanno deliberato di ricoprirne la facciata con una grande riproduzione dell’antico tempio di Atena.

La sovrapposizione di quell’elemento alla cattedrale cristiana ha creato un’identità ibrida, coerente con l’attuale “liquidità” (Bauman, 2000). Ma è stato soprattutto l’orgoglio per il proprio patrimonio culturale a far accettare senza problemi alla comunità locale che il suo principale monumento cristiano assumesse l’aspetto di un tempio pagano. Quell’operazione ha dato anche una consistenza materiale alla strana contiguità fra Atena e Maria, cui va aggiunta, non ultima, Lucia, la santa patrona della città, di cui la cattedrale ospita il veneratissimo simulacro. Le tre figure sembrano convergere, sino a formare nella città un singolare sistema di “genere”, rafforzato dalla gemma del suo patrimonio artistico: la scultura di Afrodite, portata alla luce dagli scavi d’inizio Ottocento ed esposta col nome di Venere Landolina nel suo Museo archeologico, appositamente costruito perché non andasse a finire altrove.

Quella copertura della cattedrale è stata però anche una notevole dimostrazione della forza dello “sguardo turistico” (Urry, 1990), che può indurre una comunità ad adattarsi quasi inconsapevolmente alle attese dei visitatori. 

Bicci di Lorenzo, Santa Lucia, 1373

Bicci di Lorenzo, Santa Lucia, Firenze 1373

Santa Lucia e le radici della comunità 

In questo contesto, la cattedrale di Siracusa può aiutarci a comprendere le complesse relazioni di continuità e discontinuità fra età e culture diverse. Dedicata alla Vergine Maria, è costruita sull’antico tempio di Atena e ospita al suo interno un’altra importante figura femminile, vergine anch’essa: Santa Lucia, rappresentata dal suo prezioso simulacro argenteo, che contiene tre frammenti del suo costato [2]. Lucia, patrona della città, è la figura che la protegge. La relazione fra la città e la sua patrona è molto stretta: Santa Lucia, secondo sia la tradizione locale sia il martirologio romano, sarebbe nata a Siracusa nel 283, dove sarebbe vissuta e sarebbe stata martirizzata nel 304, trovandovi la morte o, meglio, in termini cristiani, il dies natalis, cioè l’inizio della vera vita [3].

La sua vicenda è raccontata, con piccole differenze, in due codici: la Passio graeca (BHG 995), scritta in lingua greca probabilmente nel V secolo, e la Passio latina (BHL 4492), scritta in lingua latina probabilmente tra il VI e il VII secolo, a partire dalla prima. Entrambi i testi descrivono gli ultimi momenti di Lucia in un modo molto vivace, che ha concorso a costituire il forte legame fra la santa e la città. Dopo averla condannata, il suo persecutore romano avrebbe ordinato di portarla in un bordello, per farla stuprare sino alla morte. Ma i soldati incaricati di eseguire quell’ordine, sarebbero stati incapaci di portarvela, anche utilizzando corde e buoi, perché la fanciulla sarebbe rimasta ferma come una roccia. Anche dei maghi avrebbero inutilmente tentato di smuoverla. Così le fu acceso un fuoco intorno e lei infine accettò il suo destino. Ma, tra le fiamme, continuava a parlare, confermando così la sua natura profetica, e per farla tacere i soldati dovettero trapassarle la gola con una spada. I credenti eressero poi un tempio con i suoi resti nel luogo del suo martirio.

Siracusa, Santa Lucia alla Badia

Siracusa, Santa Lucia alla Badia

Mobilità e immobilità svolgono una funzione speciale nella biografia mitica di Lucia e nella costruzione del suo culto e della sua relazione con la comunità locale. La dimensione spaziale ne implica anche una temporale, che ne colloca la storia in quella della città. Lucia è inamovibile perché è radicata nel territorio: una metafora che indica la forte valenza identitaria della santa, che prende possesso dello spazio civico e lo marca con la sua presenza. Di fatto, Lucia opera come un’ecista, cioè come la fondatrice di una città. Alla sua morte gli ecisti erano usualmente sepolti nella città da loro fondata e la loro sepoltura segnava l’inizio della sua storia.

Naturalmente esiste una complessa stratificazione culturale. Anche il primo dei due testi che narrano la morte di Lucia, come ogni altra Passio, è notevolmente posteriore ai fatti e non può quindi essere ritenuto un’espressione genuina della comunità loro coeva. Ma mostra bene il tentativo della nuova comunità cristiana di definire il proprio sistema culturale ricorrendo al linguaggio e al sistema d’immagini del mondo in cui viveva, da cui era influenzata e a cui si rivolgeva.

Quella comunità aveva la necessità di descrivere la trasformazione di un paesaggio culturale e la sua appropriazione di quel paesaggio. Richiedeva pertanto anche dei monumenti che sostituissero i precedenti. Nel centro il tempio fu trasformato in una chiesa, mentre, appena fuori della città, il territorio fu fondato come cristiano grazie al sepulchrum della sua ecista, divenuto un templum della comunità cristiana, desiderosa di distinguersi da quella non-cristiana, che aveva il suo spazio nel centro della città. Non a caso, parlando con il suo persecutore romano, Lucia si definisce un naos theou nella versione greca (§ 20) e un templum Dei in quella latina (§ 18). La sua immobilità e la sua inamovibilità concorrono a trasformarla simbolicamente in un tempio, dando consistenza materiale a una metafora religiosa. 

La Statua della Santa

La Statua della Santa

La sfida a una società maschilista 

Gli studiosi sono diventati sempre più attenti alle questioni di genere del mondo antico, come mostrano anche certe letture recenti delle passiones [4]. Come avviene spesso in simili testi, molti elementi includono la santa in un più ampio sistema culturale, rituale e religioso, con immagini, espressioni e situazioni standardizzate. La raffigurazione di Lucia è interessante però anche in una meno usuale prospettiva di genere. Lucia è presentata come una parthenos (BHG § 1) o una virgo (BHL § 1): una vergine di nobile famiglia, che, orfana di padre sin dall’infanzia, viveva con la madre. I testi asseriscono anche che questa non aveva solo ereditato il patrimonio del marito, ma l’aveva incrementato (BHG e BHL § 6). Lucia poteva quindi contare su un’ottima dote per il suo matrimonio, ma, avendo fatto voto di castità, ricusò il suo promesso (§ 5) e distribuì i suoi beni ai poveri (§ 8 e § 10). Ciò l’ha configurata anche come una santa della carità. Ma per i romani era un dannoso sperpero, che contraddiceva i princìpi dell’ordine economico e sociale. Inoltre la sua decisione di non sposarsi e di non aver figli era in contrasto con il loro modello patriarcale. Nel racconto si sottolinea questo elemento, che marcava una differenza non piccola fra la cultura cristiana e la cultura romana.

Per di più Lucia e sua madre vivevano senza avere accanto una figura maschile (un padre, un fratello, un marito) e possedevano un notevole patrimonio (terre, gioielli, vestiti etc.) che Lucia voleva sottrarre a una trasmissione sia orizzontale (al maschio di un’altra famiglia tramite il matrimonio) sia verticale (a legittimi eredi), come prevedeva il sistema romano. Inoltre, alienando le loro terre, le due donne agivano contro la tendenza dei latifondisti romani, molto influenti in Sicilia. I testi si soffermano su questo punto. Praticando dei rapporti commerciali, sia pur senza fini di lucro, agivano come dei maschi. Nel mondo romano l’imprenditoria femminile non era del tutto sconosciuta, ma suscitava molto sospetto (Cantarella, 1966). Il suo promesso sposo, di famiglia non cristiana, denunciò così quel comportamento, ritenendosene danneggiato.

Quella differenza culturale implicava anche un conflitto di genere. Non a caso l’inquisitore romano, nel colloquio che precede il martirio, chiede a Lucia come una fanciulla (kore, BHG § 20), anzi una fragile fanciulla (puella delicata, BHL § 18), potesse resistere a tanti uomini. «Agisco secondo il mio cuore», rispose Lucia (BHG § 12).

La cultura patriarcale romana emerge dai testi come un sistema pronto a stroncare ogni resistenza femminile con tutti i mezzi, abusi sessuali compresi. I testi usano espressioni semplici e chiare. Lucia, operando a favore del prossimo, anziché del suo promesso, e comportandosi come una sposa di Cristo, si configurava come una donna infedele. «Parli quasi da meretrice», le dice il magistrato romano (BHL § 13), che la condanna ad lupanar, cioè al bordello (BHL § 16-17). Entrambe le versioni sono molto esplicite: i suoi tenutari dovevano mobilitare contro di lei il populus e farla stuprare ripetutamente sino alla morte (BHG § 17; BHL § 16). La Passio latina aggiunge che, per accrescere la sua sofferenza, tali violenze dovevano essere operate “lentamente”.

Il racconto si sofferma sulla violenza maschile, ma sarebbe improprio attribuirgli per questo uno spirito femminista. Lucia però appare come una donna in rivolta contro una cultura maschilista [5]. Lo stesso presidente della Deputazione della Cappella di Santa Lucia, da me intervistato, l’ha paragonata in tal senso a una delle più nobili figure del teatro greco, Antigone, condannata a morte per aver sfidato l’ordine patriarcale e non essersi sottomessa al potere politico, in mani maschili. 

Siracusa, La processione

Siracusa, La processione

La processione e la costruzione dello spazio civico 

Le due passiones descrivono la formazione a Siracusa di un nuovo centro in corrispondenza del sepulchrum di Lucia e della contigua ma più tarda chiesa a lei dedicata. Ciò comporta la definizione di una nuova polarità urbana, con un’inversione fra centro e periferia, che cambia la natura religiosa e sociale della città.

Quei due monumenti sono in forte e diretto contrasto con l’organizzazione della città greco-romana. Sorgono sulla terraferma, fuori dell’isola di Ortigia (nucleo originario della colonia greca e poi sede dell’amministrazione romana), che ospitava i principali templi, ma sono anche fuori della Neapolis (la “città nuova” sulla terraferma), dove erano stati eretti gli edifici pubblici del periodo aureo della storia greca della città ed era stato ricavato nella pietra il suo grande teatro, utilizzato ancor oggi per la rappresentazione delle antiche tragedie.

La costruzione di Lucia quale patrona della comunità cristiana è avvenuta in tale contrapposizione. Ma, una volta che la città era stata cristianizzata, non c’era motivo di continuare a relegarla in uno spazio marginale. La cattedrale, come si è detto, era stata edificata nel centro della città, sul tempio di Atena, mentre la tomba e la chiesa di Lucia, pur essendo i centri simbolici della comunità cristiana, si trovavano nella sua periferia. Tale posizione, in una città che aveva al suo centro una cattedrale cristiana, assumeva però un altro significato: la tomba della sua santa patrona al suo limitare ne sorvegliava l’ingresso e l’uscita, a protezione del suo spazio. In altre parole, quella tomba veniva a segnare il confine fra spazi diversi. In proposito ha giocato un ruolo significativo l’identità di Lucia, caratterizzata, come vedremo, da un sistema di dicotomie: vita e morte, luce e buio, fertilità e sterilità.

Questa entità liminale doveva però essere in qualche modo reintegrata nel centro: un’operazione non in contrasto con il suo carattere, basato proprio sulle citate dicotomie. Lucia può stare, in realtà, contemporaneamente, dentro e fuori, al centro e al confine. Già figura immobile e inamovibile, nel nuovo contesto comincia a muoversi, a duplicarsi e a moltiplicarsi. Il suo simulacro si sposta due volte l’anno, in dicembre e in maggio. In quei momenti va dalla cattedrale alla sua chiesa e, otto giorni dopo, da quella chiesa alla cattedrale: viaggi circolari in cui non esiste un centro e una periferia, un inizio e una fine. Non si può dire che la santa viva nella cattedrale e due volte l’anno vada nella sua chiesa o che, al contrario, viva nella sua chiesa e due volte l’anno vada nella cattedrale.

Questa divisione dello spazio religioso fra isola e terraferma, centro e periferia, ha anche un significato sociopolitico. La cattedrale nel centro, fra i grandi palazzi aristocratici, rappresenta il potere, mentre la chiesa extra moenia, fra la città e la campagna, appare più legata alla vita agricola e alle classi che la praticano. Le processioni possono essere viste così come riti che uniscono quelle diverse realtà.

Siracusa, il corpo della Santa

Siracusa, il corpo della Santa

Va ricordato che il sepulchrum di Lucia era stato eretto fuori della città, secondo il canone greco-romano che prevedeva che necropoleis e cimiteri fossero al loro esterno, per ragioni simboliche e pratiche. Siracusa ha ereditato quell’uso anche per il monumento funerario di Lucia. Peraltro tale sua posizione ha acquisito un nuovo significato, coerente sia con il ruolo liminale di Lucia, figura legata al passaggio fra le stagioni e fra tenebre e luce, sia all’organizzazione politica ed economica del territorio.

I continui spostamenti fra centro e periferia svolgono una funzione fondamentale nella costruzione dello spazio civico, lo definiscono e lo modellano come un sistema di persone che vivono nel territorio marcato da quei movimenti e si riconoscono nel culto della santa. Le processioni rivestono quindi un’importante significato politico, perché creano i cittadini. Durante il loro svolgimento, i partecipanti invocano la santa gridando in dialetto che è siracusana (“Sarausana jè!”). In uno spontaneo processo, che diluisce frustrazioni e conflitti, la santa è considerata una parte viva del popolo. È una potente patrona, ma è anche una cittadina: una cittadina speciale che definisce l’appartenenza alla città.

Qualcosa di simile avviene, in modo ancora più chiaro, in un’altra città siciliana, Catania, che dista da Siracusa solo cinquanta chilometri. Le due città sono profondamente legate, anche grazie al particolare rapporto fra le loro patrone, Agata e Lucia (secondo la tradizione, sarebbe stata proprio la prima a rivelare alla seconda i suoi poteri speciali). Anche i fedeli di Sant’Agata, durante la processione che si tiene una volta all’anno nella città, si definiscono “cittadini”: lo spazio religioso occupa completamente lo spazio politico, definendo l’appartenenza civica.

Siracusa, Chiesa di santa Lucia al Sepolcro

Siracusa, Chiesa di santa Lucia al Sepolcro

Questa forte relazione fra il patrono e la sua città era già presente nell’antica cultura greca: il dio che la proteggeva era il suo polioûchos, cioè il signore della polis (una definizione che nella Grecia cristiana è applicata al suo santo patrono). Ad Atene la dea protettrice della città era venerata col nome di Atena Poliàs. Un fatto interessante, se si ricorda che ad Atena era dedicato il tempio di Siracusa, su cui sorge la cattedrale con il simulacro e le reliquie di Lucia. Ciò non implica una continuità diretta, ma mostra il ricorrere della stessa strategia simbolica.

A Siracusa la partecipazione alle due processioni annuali conferma l’appartenenza alla comunità e al suo sistema di valori e di pratiche. Anno dopo anno le processioni costruiscono il passato e il presente, definiscono eventi e memorie e tracciano la storia della città, per definirne il futuro. Ciò non accade solo a Siracusa e a Catania. Le processioni dei santi patroni svolgono simili funzioni in quasi tutte le città cattoliche del Mediterraneo. Anche in questi tempi secolarizzati tali processioni conservano importanti valenze: ravvivano la fede dei credenti; confermano l’appartenenza civica dei cittadini anche non credenti; richiamano gli emigrati, che ritornano temporaneamente a condividere le loro esperienze e a riaffermare la loro identità; educano i giovani, che, partecipandovi, introiettano anche inconsapevolmente i valori locali; assicurano entrate agli esercenti; e, in un’epoca di crescente mobilità, attraggono i turisti, desiderosi di sperimentare l’“autenticità” reale o rappresentata (MacCannell, 1976; Cohen, 1979) e di osservare con altezzosità, come ai tempi del Grand Tour, i curiosi costumi degli indigeni.

In queste processioni è possibile individuare le tracce di elementi antichi. Anche le poleis greche celebravano dèi ed eroi con processioni annue dalle simili funzioni: marcavano il territorio, segnavano i confini, riaffermavano i valori e le identità. Queste processioni univano centro e periferia e, muovendosi fra un tempio principale e i santuari peri-urbani o extra-urbani, definivano lo spazio civico e politico della polis (Polignac, 1984). Questi riti rafforzavano anche le relazioni fra il suo nucleo urbano e la circostante area rurale: «definivano la comunità e mantenevano la polis bene inserita nel territorio che la sostentava» (Cole, 2000). Una funzione importante anche nell’odierna Siracusa.

Non c’è (o per lo meno non è dimostrata) una diretta continuità fra questi eventi. Del resto, anche in altre aree, i monumenti sono spesso utilizzati per marcare i territori e le processioni religiose influenzano significativamente le comunità. Per di più, a Siracusa, come in altre città italiane, queste processioni sembrano essere degli eventi relativamente recenti, collegati all’introduzione di grandi feste religiose nel periodo in cui la Sicilia era politicamente e culturalmente soggetta alla Spagna (1516-1713). Lo stesso simulacro di Lucia è una statua barocca realizzata nel 1590 e la processione del mese di maggio celebra un miracolo del 1646. 

Siracusa, Reliquie della Santa

Siracusa, Reliquie della Santa

Inverno, buio, luce e alterità 

A Siracusa la processione principale si tiene nel giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre, una data molto speciale, che ci aiuta a capire il ruolo della santa. Nell’emisfero boreale (l’unico allora ben conosciuto), prima del calendario gregoriano (promulgato nel 1582, ma entrato in vigore solo gradualmente nei diversi Paesi) il 13 dicembre era il solstizio d’inverno. Non è un caso. Tutto indica che la festa di Santa Lucia sia in realtà una celebrazione di quel solstizio (“Santa Lucia è il giorno più breve che ci sia”). Sembra confermarlo anche il nome della santa, caratterizzato dalla radice della parola latina per luce: lux, lucis. Una relazione intuita dalla cultura popolare, che ha collegato la santa alla luce, in tutti i suoi aspetti (come nel detto “Santa Lucia ti protegga la vista”).

Il periodo che precede e segue immediatamente il solstizio invernale è estremamente difficile per ogni comunità che viva di agricoltura. I campi sembrano morti, la natura non produce più cibo e la comunità deve far conto sulle eventuali riserve del precedente raccolto. Lunghe notti fredde e buie minacciano la sopravvivenza di uomini e animali. In Sicilia l’inverno è in genere meno rigido che in altre regioni. Ma è un periodo in cui si attende con impazienza il ritorno della luce, del tepore e della vita nei campi. Nei tempi pre-moderni, oltre tutto, l’inverno era una minaccia ben più grave che adesso. Così il solstizio d’inverno, che segna il passaggio fra l’abbreviamento e l’allungamento delle giornate, rivestiva particolare importanza. Dopo quel giorno, pur rimanendo il clima ancora a lungo inclemente, le cose sembravano cambiare e le comunità potevano intravedere la fine del buio, del freddo e della sterilità della natura. Il ritorno della luce e della vita era atteso, ma non poteva esser dato per scontato e, in una prospettiva magica, doveva essere propiziato.

Archeologi e antropologi hanno analizzato a fondo le implicazioni di queste paure e di queste speranze. Molti siti archeologici serbano tracce di antichi calendari astronomici collegati con l’agricoltura e molte feste sono state messe in relazione con il solstizio d’inverno. In Europa il periodo centrato su questo solstizio è caratterizzato da riti apotropaici e da cerimonie con figure “altre” da placare o ingraziarsi con doni (Buttitta, 1971 e 1995; Melotti, 2002).

Siracusa, santa Lucia nella nicchia

Siracusa, santa Lucia nella nicchia

Dopo Halloween (31 ottobre), che cade esattamente a metà fra l’equinozio d’autunno e il solstizio d’inverno, si succedono il giorno dei Santi e il giorno dei Morti, Santa Barbara, San Nicola, l’Immacolata Concezione, Santa Lucia, il Natale, Santo Stefano, l’ultimo e il primo dell’anno, la “dodicesima notte” (dopo il Natale), l’Epifania, la Candelora, il Carnevale e, nell’Europa settentrionale, dove il freddo e il buio persistono più a lungo, Santa Valpurga, alla vigilia del Primo Maggio: una serie di feste e di celebrazioni che connettono buio e luce, paura e speranza, dolore e gioia, morte e vita. Il ritorno dei morti, la trasformazione dei bambini in figure inquietanti e lo scambio di doni sono elementi comuni a molte di queste ricorrenze. Ciò non sorprende, per l’identità o la somiglianza delle funzioni, la vicinanza e la convergenza dei simbolismi, i processi d’imitazione e d’ibridazione fra le comunità, la fluidità e la stratificazione delle tradizioni e, non ultima, la “liquidità”, già sopra ricordata, dell’attuale società, in cui mercificazione, carnevalizzazione e turismo incidono anche sulle culture locali (Melotti, 2021).

Siracusa, La processione

Siracusa, La processione

In questo contesto, le celebrazioni di Santa Lucia assumono un preciso significato, che rivela alcune importanti funzioni del suo culto. La santa patrona è una regina della luce, per non dire una sua divinità (tanto da essere stata identificata, a livello popolare, con Lucina, la dea italica della luce, invocata, con una candela accesa, perché guarisse la vista o aiutasse le partorienti a dare alla luce i bambini) [6]. Significativa, in proposito, è la festa di Santa Lucia nei Paesi nordici, caratterizzati da lunghissime notti invernali. In Svezia Lucia è impersonata da giovani donne con una ghirlanda sul capo, nella quale sono inserite sette candele accese: una rappresentazione che dà consistenza visiva al suo rapporto con la luce.

L’origine di questo rapporto non è però chiara. Una tradizione diffusa non solo in Sicilia collega Lucia con la vista, asserendo che si sarebbe accecata per sfuggire alla pressante corte di un pretendente, affascinato dalla bellezza dei suoi occhi, che Lucia  gli avrebbe poi offerto su un vassoio: una scena ricorrente nell’iconografia. Il racconto connette vista e cecità con la sessualità: l’auto-accecamento avrebbe sottratto Lucia ai desideri carnali, ponendola su un piano più alto, su cui non sarebbe potuta essere che sposa di Cristo.

La narrazione è coerente con gli Acta Martyrum. Lucia sarebbe stata processata per aver rifiutato di sposare un nobile romano: un gesto sovversivo in una società maschilista. Ma il sacrificio della vista e della sessualità ricorre in tante pratiche magiche e religiose, nella logica del dono e del contro-dono (Mauss, 1925). Chi aspira a poteri o a ruoli speciali o desidera “vedere” nel mondo altro deve dare qualcosa in cambio alla natura, alle divinità o agli spiriti, per mantenere l’equilibrio. Astinenza sessuale e cecità sembrano sacrifici adeguati a compensare quei poteri o quei ruoli. Lucia, rifiutando vista e sessualità, si costruisce come un essere speciale in grado di istituire una comunicazione fra i mondi, tanto più che la sua cecità è prodromica al martirio che le avrebbe conferito una nuova vita e una nuova identità.

Un passo presente sia nella Passio greca sia nella Passio latina racconta come e quando Lucia avrebbe acquisito la consapevolezza dei suoi poteri (BHG § 4 e BHL § 4). Era andata in pellegrinaggio a Catania, al sepolcro di Sant’Agata, assieme alla madre gravemente malata, ed era assorta nella preghiera. A un certo punto “cade in un sonno profondo” e in sogno “vede” Agata, che le dice di non pregarla più perché guarisca la madre, perché lei stessa avrebbe potuto farlo. Il testo descrive, nel suo linguaggio, un’incubatio, cioè il rituale praticato (soprattutto nei santuari della salute) per entrare nel mondo altro. Il sonno e il sogno sono condizioni liminali in cui si può vedere in quel mondo, ma sono anche situazioni connesse con la cecità (quando si dorme, gli occhi sono chiusi e non si può vedere in questo mondo) e con il buio (si dorme e si sogna prevalentemente di notte e l’incubatio avveniva per lo più nell’oscurità di santuari, caverne e spazi sotterranei). Quel passaggio stabilisce quindi una relazione fra Lucia e il mondo altro attraverso una cecità simbolica e il buio.

Siracusa, Catacombe di Santa Lucia

Siracusa, Catacombe di Santa Lucia

Negli antichi documenti su Lucia non vi sono però espliciti riferimenti alla cecità e al buio. Solo in un’iscrizione in greco del IV o V secolo (trovata nel 1894 in una delle catacombe di Siracusa, le più grandi dopo quelle di Roma) un marito ricorda la sua “irreprensibile” sposa cristiana, Euskia, morta a 25 anni “nel giorno di Santa Lucia”, a lui cara. Euskia (l’“ombrosa”), secondo l’autore della scoperta (Paolo Orsi, poi fondatore del museo che conserva l’iscrizione), sarebbe un nome connesso con i problemi di vista. Un’ipotesi affascinante ma vaga e un po’ forzata, suggerita forse dal desiderio di rinvenire la traccia di un rapporto a lungo cercato.

Alla cecità e a Lucia quale sua guaritrice fa riferimento uno scritto assai posteriore, un’agiografia di Sant’Odilia, una santa alsaziana di età merovingia (la Vita Odiliae abbatissae Hohenburgensis, scritta verso la metà del X secolo). In questo testo si afferma che Odilia, festeggiata anch’essa il 13 dicembre, avrebbe ricuperato due volte la vista, ma la sua guarigione, presentata come miracolosa, non è messa in diretta relazione con Santa Lucia, cui pure, a quanto vi si legge, sarebbe stata devotissima (Rizzo Nervo, 2006).

Il codice di San Metodio, del IX secolo, ricorda che Lucia ha “il nome della luce” e “illumina i ciechi”. Un riferimento simile (Lucia dicitur a luceLucia quasi lucis via) vi è anche nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, una diffusissima raccolta di vite di santi, scritta nel XIII secolo. Ma la connessione della santa con la vista sembra posteriore e compare nell’iconografia solo a partire dal XIV secolo (Amenta, 2003). Già agli inizi di quel secolo vi è però un’interessante testimonianza relativa a Dante. Questi, che nel Convivio (III, 9, 15-16) aveva scritto di aver sofferto di un grave problema di vista, ne sarebbe guarito, a quanto suggerisce suo figlio Jacopo, grazie a Santa Lucia, cui riservava «somma venerazione» (Alighieri, 2021). Forse anche per questo la santa compare in tutte le tre cantiche della Commedia: nella prima aiuta Dante a uscire dalla «selva oscura» (II, 97-108); nella seconda lo trasporta, «vinto dal sonno», nel percorso intrapreso «per non esser più cieco» (IX, 52-63); nella terza rifulge nella maggior gloria celeste (XXXII, 136-138).

In realtà, nella devozione popolare, Lucia è stata subito inserita in un immaginario caratterizzato dalle dicotomie di luce e buio, vista e cecità. Del resto, negli Acta agisce come una profetessa, capace di vedere nel futuro, e la sua auto-procurata cecità (con la conseguente astinenza sessuale) le attribuisce un’autorevolezza simile a quella di cui fruivano nell’antica Grecia gli indovini ciechi, come Tiresia.

In ogni caso la sua festa, che ricorre nel solstizio d’inverno del calendario giuliano, ne fa la protagonista di un rito di passaggio che conforta la comunità e l’aiuta a superare le difficoltà della stagione. 

Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023 
Note
[1] Si vedano, in particolare, James Frazer, 1890; John C. Lawson, 1910; Aby Warburg, 1932.
[2] Il corpo di Santa Lucia si troverebbe a Venezia, nella chiesa di San Geremia, dove sarebbe stato spostato dalla chiesa a lei dedicata, demolita nel 1861 per costruire la stazione ferroviaria che porta il suo nome. La chiesa di San Geremia è stata elevata a santuario nel 2018 ed è ora nota come il Santuario di Santa Lucia. Il corpo di questa sarebbe stato portato da Siracusa a Costantinopoli nel 1039, durante il breve ritorno dei bizantini in Sicilia, e sarebbe poi stato trasferito a Venezia dal doge Enrico Dandolo dopo il sacco di Costantinopoli (1204), durante la quarta crociata. A Siracusa Lucia è quindi venerata in absentia, ma la città ha chiesto ripetutamente la sua restituzione, asserendo che Lucia sarebbe la sua santa «per nascita, sangue e morte» e che a Venezia il suo corpo sarebbe utilizzato soprattutto per far cassa, secondo lo spirito mercantile di quella città (Paladino, 2009). Nel dicembre 2004 (1700 anni dopo la sua morte) e poi, di nuovo, nel 2014, dopo che le autorità locali si erano formalmente impegnate a non ostacolarne il rientro a Venezia, ci fu un temporaneo ritorno del corpo di Lucia a Siracusa, dove fu accolto con indicibili feste. Nel 2014, a quanto si asserisce, vi sarebbe stato anche un miracolo, perché dei delfini avrebbero scortato nel porto la nave che lo trasportava.
[3] Su Santa Lucia e sul suo culto a Siracusa si vedano Sardella, 1988; Fuiani, 1994; Palmieri, 2001; Magnano, 2004; Aiello 2010; Stelladoro, 2010.
[4] Si vedano, in particolare, Penner e Vander Stichele, 2007; Cobb, 2008; Ahearne-Kroll, Holloway e Kelhoffer, 2010; Bremmer e Formisano, 2012.
[5] Fra le letture “femministe” della figura di Lucia va ricordata quella data nel 2004 dall’allora ministra per le Pari Opportunità Stefania Prestigiacomo, nata a Siracusa ed eletta al Parlamento in quel collegio. Si può aggiungere che, forse anche per effetto di quelle letture, dal 2013 le donne sono state autorizzate a portare la teca con le reliquie della santa nelle sue celebrazioni.
[6] Lucina (che era anche un epiteto di Giunone e di Diana) corrispondeva alla divinità greca Ilizia, messa in relazione ora con Era ora con Artemide, una dea vergine particolarmente venerata a Siracusa. 
Riferimenti bibliografici 
Stephen P. Ahearne-Kroll, James A. Kelhoffer, Paul A. Holloway, eds., Women and Gender in Ancient Religions: Interdisciplinary Approaches, Tübingen, Mohr Siebeck, 2010.
Giuseppe Aiello, La vita e la storia di Santa Lucia, Siracusa, Dante, 2010.
Jacopo Alighieri, Chiose alla cantica dell’Inferno, Firenze, Bemporad, 1915.
Salvatore Amenta, Tradizione e culto di Santa Lucia a Siracusa, «Synaxis», 21, 2003: 157-165.
Zygmunt Bauman, Liquid Modernity, Cambridge, Polity Press, 2000.
Jan N. Bremmer, Marco Formisano, eds., Perpetua’s Passions: Multidisciplinary Approaches to the Passio Perpetuae et Felicitatis, Oxford, Oxford U.P., 2012.
Antonino Buttitta, La festa dei morti in Sicilia, in Id., Ideologie e folklore, Palermo, Flaccovio, 1971: 49-62.
Antonino Buttitta, Ritorno dei morti e rifondazione della vita, introduzione a Claude Lévi-Strauss, Babbo Natale giustiziato, Palermo, Sellerio, 1995: 9-42.
Eva Cantarella, Passato prossimo: donne romane da Tacita a Sulpicia, Milano, Feltrinelli, 1996.
L. Stephanie Cobb, Dying to Be Men: Gender and Language in Early Christian Martyr Texts. Gender, Theory, and Religion, New York, Columbia U.P., 2008.
Erik Cohen, Rethinking the sociology of tourism, «Annals of Tourism Research», 6, 1979: 18-35.
Susan G. Cole, Demeter in the Ancient Greek City and its Countryside, in Oxford Readings in Greek Religion, a cura di Richard Buxton, Oxford, Oxford U.P., 2000: 133-154.
James G. Frazer, The Golden Bough, London, Macmillan, 1890.
Pasquale Fuiani, Santa Lucia. Profili della vita e del culto della vergine e martire siracusana, Siracusa, Emanuele Romeo, 1994.
Jean Hoüel, Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malta et de Lipari, Paris, Imprimerie de Monsieur, 4 voll., 1782-1787.
John C. Lawson, Modern Greek Folklore and Ancient Greek Religion: A Study in Survival, Cambridge, Cambridge U.P., 1910.
Dean MacCannell (1976), The Tourist. A New Theory of the Leisure Class, New York, Schocken Books; 3ª ed. Berkeley, Los Angeles, London, University of California Press, 1999.
Pasquale Magnano, Lucia di Siracusa, Siracusa, Archivio Storico della Curia Arcivescovile, 2004.
Marcel Mauss (1925), Éssai sur le don. Forme et raison de l’échange dans les sociétés archaïques, «Année Sociologique», seconda serie, 1, 1923-1924: 3-186; tr. it. Saggio sul dono, Torino, Einaudi, 1965.
Marxiano Melotti, Tra mito e realtà: Halloween, i bimbi e il terremoto di S. Giuliano, «La Critica Sociologica», 142, 2002: 112-115.
Marxiano, Melotti, Canevalizzazione e società postmoderna. Maschere, linguaggi, paure, Bari, Progedit, 2021.
Stefano Paladino, Il Tamburo. Giornale di Stefano Paladino, dicembre 2009.
Giuseppe Palmieri, Il culto di S. Lucia nel mondo. Storie e tradizioni di S. Lucia vergine e martire siracusana, Siracusa, Franca Maria Gianni, 2001.
Todd C. Penner, Caroline Vander Stichele, eds., Mapping Gender in Ancient Religious Discourses, Leiden-Boston, Brill, 2007.
François de Polignac, La naissance de la cité grecque. Cultes, espace et société. VIIIe-VIIe siècles avant J.-C., Paris, La Découverte, 1984.
Francesca Rizzo Nervo, Lucia nelle altre vite di santi, in Euplo e Lucia. 304-2004, a cura di Teresa Sardella e Gaetano Zito, Firenze, Giunti, 2006: 329-342.
Jean-Claude Richard de Saint-Non (detto Abbé de Saint-Non), Voyage pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile, Paris, s.e., 5 voll., 1781-1786.
Teresa Sardella, Visioni oniriche e immagini di santità nel martirio di S. Lucia, in Storia della Sicilia e tradizione agiografica nella tarda antichità, a cura di Salvatore Pricoco, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1988: 137-154.
Johann Gottfried Seume, Spaziergang nach Syrakus im Jahre 1802, Leipzig, Hartknoch, 1803 (Berlin, Suhrkamp-Insel, 2019).
Maria Stelladoro, Lucia, la martire, Milano, Jaca Book, 2010.
John Urry, The Tourist Gaze, London, Sage, 1990; ed. riv. 2002.
Aby Warburg, Gesammelte Schriften, Leipzig, Teubner, 1932.

_____________________________________________________________ 

Marxiano Melotti, si è laureato con lode in lettere classiche all’Università di Milano e ha conseguito un dottorato in Antropologia del mondo antico all’Università di Siena e una specializzazione in Antropologia applicata all’Università di Milano Bicocca. Abilitato in Sociologia dei processi culturali e Sociologia del territorio, ha insegnato all’Università di Milano Bicocca, all’Istituto di Scienze Umane di Firenze (della cui Fondazione è stato anche segretario generale) ed è ora professore associato all’Università Niccolò Cusano di Roma. Fra le sue pubblicazioni, Turismo archeologico (Bruno Mondadori, Milano, 2008); Carnevalizzazione e società postmoderna (Progedit, Bari, 2019); e Le Sirene. Incanto e seduzione (Rizzoli Corriere della Sera, Milano 2020).

______________________________________________________________

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Religioni. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>