Stampa Articolo

L’universo culturale della cornamusa e della zampogna

1di Mario Sarica

«Mentre Dio ha inventato il flauto, il Diavolo ha inventato la cornamusa, ma poteva usare lo strumento solo dopo aver preso la cera dalle api – che sono creature di Dio – per accordare il suo strumento».

Un incipit, questo, sulle origini misteriose ed arcaiche degli aerofoni a sacco pastorali nel ‘tempo senza tempo’ – attinto dalla ‘saggezza popolare’ rumena – che campeggia sulla copertina digitale di un’opera on line, davvero monumentale, mai immaginata prima, il cui titolo recita Dizionario enciclopedico della terminologia internazionale di cornamusa e relativi strumenti – uno studio organologico-linguistico, provvisto di numerose appendici.

img-20201220-wa0024L’autore di questa singolare e sconfinata ricerca sul campo – e che campo!, visto che si muove dall’estremo Oriente alla luce abbagliante del Mediterraneo, e ai paesaggi dell’Europa continentale fra est ed ovest, spingendosi fino alle brume della Scozia e dell’Irlanda – replicando così una sorta di Gran Tour di memoria settecentesca, alla ricerca, in questo caso non di vestigia classiche perdute, ma della famiglia organologica più ampia e cosmopolita, quella delle cornamuse e zampogne, quest’ultime, com’è noto patrimonio esclusivo dell’Italica penisola, dagli Abruzzi alla Sicilia, nelle diverse varianti organologiche – è Wiebe Stodel, un olandese ‘errante’ da anni e anni, lunghe le antiche vie dei suoni pastorali.

img-20201219-wa0003Un enciclopedista, Stodel, del terzo millennio, dal multiforme ingegno, che si ricongiunge con la formidabile storia della primaclassificazione di strumenti musicali in etnomusicologia e ed etnorganologia di Hornbostel-sachs, pubblicata nel 1914, inseguendo un sogno, alimentato da una passione infinita, per uno strumento, la cornamusa. Aerofono pastorale, la cornamusa, caratterizzata organologicamente da uno chanter (canna del canto, su cui diteggiano le due mani) e uno o più bordoni, con ance doppie, a differenza della zampogna italiana, con due chanter (su cui diteggiano separatamente le due mani) e due o tre bordoni fissati su unica testata, ripartiti tra zampogna a chiave, da suonare con l’oboe popolare (ciaramella), e la zampogna cosiddetta ‘a paro’ di area grecanica aspromontana calabrese e siciliana, quest’ultima distribuita fra Peloritani, area elettiva d’uso ancora oggi,  assieme alla numerosa famiglia di aerofoni pastorali (flauti ed anche), Nebrodi, paesi pedemontani dell’Etna, a partire da Maletto, per spingersi per vie pastorali, fino a Licata e Palma di Montechiaro, nell’Agrigentino.

Una ‘lista da vertigini’, per dirla con Umberto Eco, quella proposta dall’olandese Stodel, che dischiude un orizzonte di conoscenza sistematica sull’aerofono a sacco di più antica memoria, che dall’Oriente è giunto, nomade con gli uomini, sulla scena mediterranea, conquistando e colonizzando il pensiero astratto e simbolico delle comunità pastorali. Una storia di uomini e di suoni primigeni di grande fascino, che precede la fondativa rivoluzione agricola del Neolitico.

Francesco Bergamini, Scena galante, sec. XIX

Francesco Bergamini, Scena galante, sec. XIX

Dall’area della Mezzaluna, ecco prendere forma il pensiero e la cultura antica, fino al Pantheon mitologico dei Greci, che riconducono, proprie agli dèi, o figli di dèi, come al caprino Pan, l’origine misteriosa e magica degli strumenti a fiato. E agli strumenti a fiato, variamente rappresentati nella tipologia del doppio calamo (aulos ad ancia doppia, clarinetto ad ancia semplice e flauti di diversa foggia) si unisce presto la poesia, la cui sorgente – come ci racconta nei suoi mirabili versi Teocrito, cantore della cultura pastorale, ripresa dalle Bucoliche di Virgilio – affonda le sue radici proprio in Sicilia.

Ma torniamo ora all’opera di Stodel, dall’Home page-copertina del suo sito, che ci guida in un affascinante labirinto di elenchi e liste, per titoli chiave, alla scoperta di un mondo sonoro di origine pastorale reso afono dagli eccessivi rumori di fondo della nostra inquieta e convulsa contemporaneità. Eppure la cornamusa e la zampogna italiana – quest’ultima per la sua singolare storia etnorganologica si candida meritatamente, lungo un percorso, ahimè accidentato, per incomprensibili veti accademici, istituzionali e campanilistici, a patrimonio immateriale dell’Unesco – godono complessivamente di ottima salute.

img-20210803-wa0005Perché riconosciute anche dalle new generation digitali come tratto distintivo identitario regionale da tutelare e valorizzare, rigenerandole magari sul piano performativo, con nuove riscritture compositive non esenti da contaminazioni; e magari con nuove varianti organologiche introdotte dai nuovi costruttori, che non hanno di certo in gran parte rinnegato la sapienza antica dei pastori-costruttori-suonatori di un passato tutto sommato recente.

Si diceva in apertura dei versi illuminanti della cultura popolare rumena, che meglio di ogni altro trattato ci dice molto sull’origine della cornamusa, vera e propria protesi, assieme all’arcaico flauto, per sviluppare oltre la voce e il linguaggio, il segreto ed armonico codice dei suoni fra terra e cielo, uomo e paesaggio ambientale. Ancora una volta il bene, rappresentato da Dio, e dal suo flauto, si fronteggia e combatte il male di cui è espressione il Diavolo con la sua cornamusa. Ma quest’ultimo, alla fin fine, deve piegarsi al bene necessario della cera d’api per suonare il suo strumento, e dunque acquietare le pulsioni irresistibili e inconfessabili che agitano da sempre il genere umano.

Sostena Puglisi alla zampogna "a paro"

Sostena Puglisi alla zampogna “a paro”

E la cera d’api, incredibilmente, è usata ancora oggi dai suonatori di zampogna “a paro” calabresi e siciliani, e non solo, per accordare i loro strumenti, ovvero ridurre o allargare i fori digitali degli chanters. Altra significativa fedeltà agli insegnamenti dei padri, sempre in area calabro-sicula, è attestata dall’uso di ance semplici vegetali, ricavate da canne (arundo donax) e dall’impiego dell’otre di pelle di capra.

Quanto ci racconta il testo rumeno, richiama anche la cattiva reputazione musicale riservata a cornamuse e zampogne fin dalla mitologia greca, dovuta sia al collerico e selvatico Pan, che, per acquietare i suoi istinti sessuali, dopo la perdita della ninfa Syrinx, trasformata in un canneto, ricava il suo mitico flauto di canne, nostalgico e consolatore; sia alla fine drammatica del satiro Marsia, che, dopo aver sfidato con il suo flauto lussurioso e lascivo, i suoni armoniosi della lira di Apollo, viene scuoiato come una capra! Un lascito di cattiva fama per gli strumenti a fiato pastorali, riscattati, come dicevamo dai versi sublimi teocritei.

Rosario Altadonna alla zampogna "a paro"

Rosario Altadonna alla zampogna “a paro”

Ecco le essenziali istruzioni d’uso per orientarsi ed addentrarsi lungo i fascinosi sentieri di questa sconfinata mappa geografica etnorganologica proposta da Stodel. Le chiavi d’accesso all’universo sonoro delle cornamuse e zampogne di Stodel (all’indirizzo www.editobari.nl), ci proiettano in una dimensione spaziotemporale dilatata oltre ogni confine, con una serie coerente e ragionata di ‘caselli d’entrata’ ben segnalati da una prima barra di link in testa all’Home page.

Si parte da Home, con un’introduzione e puntuali riferimenti a strumenti, quali le launeddas sarde e agli organi a bocca orientali, quali archetipi degli aerofoni a sacco. Poi con Basic lexicon, ecco l’accesso alle lingue con cui dialogare, ovvero inglese, francese, tedesco e spagnolo. Nel link Countries, il mare magnum delle aree del mondo da Oriente ad Occidente, da Sud a Nord, delle aree di tradizioni musicali che hanno adottato gli aerofoni a sacco, a suono continuo. Alla voce Thesaurus si schiude un territorio di classificazioni, degno del regno botanico, mutuando, con maniacale cura tassonomica, il Dominio, il Regno, la Divisione, la Classe, l’Ordine, la Famiglia, il Genere, infine la Specie, dunque l’appartenenza geografica culturale di ogni singolo strumento, con l’indicazione dei caratteri organologici propri.

img-20210806-wa0008Sconfinato è poi il palinsesto della Terminology, con la specifica linguistica locale di ogni elemento costitutivo dello strumento. Per la sezione Instruments, la suddivisione organologica areale nelle singole famiglie di Hornpipes, Launeddas, Bladder pipes, Bagpipes, Mouth organ. In Main parts ritroviamo gli elementi costitutivi delle Bagpipes, comprendenti cornamuse e zampogne italiane, e dei Mouth organ orientali.

La verità è che al Pico della Mirandola delle cornamuse e zampogne, Stodel, non sfugge niente, in questa opera singolare e formidabile, mai tentata prima: ecco i Performers, ovvero suonatori ed ensemble di tutto il mondo, con una significativa rappresentanza italiana, Sicilia compresa, dediti con passione all’uso dell’aerofono a sacco più antico che possiamo vantare nel terzo millennio. Non mancano nemmeno i Proverbi e i modi di dire che le diverse culture pastorali attorno al loro strumento musicale simbolo hanno prodotto e affidato rigorosamente alla tradizione orale.

Sterminate poi le Sources, ovvero la bibliografia, nel genere dei libri, dizionari, riviste e periodici, produzioni discografiche, dai 78 giri ai CD, e a quelle che definisce “Personal communication”. Nel link MFI.&C ecco in scena Musei, Festival, Organizzazioni, Siti web. Per chiudere il lungo viaggio le sezioni WS e Contact, ovvero la possibilità offerta a studiosi e ricercatori di ampliare quest’opera aperta con nuovi e originali contributi.

E sempre sull’Home page, giusto per richiamare la sconfinata iconografia che ad ogni latitudine geografica e culturale si è riservata, suonatori ambulanti in una incisione seicentesca di Rembrandt.

Un’esperienza di conoscenza da sindrome di Stendhal che,  mutuando quanto scrive Umberto Eco a proposito delle Liste di cose (La vertigine della lista, Bompiani 2009: 17-18),  è animata dal timore-ossessione, tipico del genere umano di ogni tempo che tutto vuole classificare, ordinare, sistematizzare, per trasformare il Kaos in Cosmos, nel duplice registro dell’elenco come «forma, caratteristica delle culture mature, che conoscono il mondo che le circonda, di cui hanno riconosciuto e definito l’ordine; al contrario l’elenco sarebbe tipico di culture primitive che hanno un’immagine imprecisa  dell’universo e si limitano ad allinearne le molte proprietà che sanno nominare senza tentare di instaurare tra di esse un rapporto gerarchico». 

Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021
 __________________________________________________________________________
Mario Sarica, formatosi alla scuola etnomusicologica di Roberto Leydi all’Università di Bologna, dove ha conseguito la laurea in discipline delle Arti, Musica e Spettacolo, è fondatore e curatore scientifico del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso-Messina. È attivo dagli anni ’80 nell’ambito della ricerca etnomusicologica soprattutto nella Sicilia nord-orientale, con un interesse specifico agli strumenti musicali popolari, e agli aerofoni pastorali in particolare; al canto di tradizione, monodico e polivocale, in ambito di lavoro e di festa. Numerosi e originali i suoi contributi di studio, fra i quali segnaliamo Il principe e l’Orso. Il Carnevale di Saponara (1993), Strumenti musicali popolari in Sicilia (1994), Canti e devozione in tonnara (1997); Orizzonti siciliani (2018).

______________________________________________________________

 

 

 

 

 

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Letture. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>