il centro in periferia
di Claudio Bocci
La sostenibilità nei luoghi della cultura
Anche nella cultura nulla sarà più come prima! Il virus ha scardinato modi di pensare e, soprattutto, modelli di pensiero che ora sono alla ricerca di nuovi equilibri: non più trionfanti dati di affluenza di visitatori ai luoghi della cultura ma una nuova attenzione alla cultura dei luoghi, con un particolare impegno nei confronti del territorio di prossimità. Anche i più blasonati musei statali, che per lungo tempo non potranno contare sui livelli di turismo internazionale finora conosciuti, si incamminano verso nuovi sentieri che guardano con maggiore attenzione ai cittadini, invocandone una partecipazione non più occasionale favorita da un’inedita scoperta delle potenzialità del digitale. L’accelerazione che hanno conosciuto le visite virtuali, spesso artigianali, hanno rappresentato una risposta da cui non si potrà più tornare indietro e che porrà il tema della qualità dell’offerta culturale con l’annesso tema di nuove professionalità in un settore che solo grazie al Covid ha scoperto l’uso strategico delle tecnologie.
Una recente ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali del Politecnico di Milano [1] dimostra che soltanto il 24% dei musei italiani è dotato di un piano digitale e solo il 49% dei musei ha personale dedicato al digitale anche se il 76% è presente almeno su un canale social. Colpisce il largo uso dei social network che, grazie alla facilità di accesso, è ampiamente utilizzato; anche se pensare che un museo su quattro non utilizza nemmeno questi mezzi, la dice lunga sul lavoro che resta ancora da fare!
La riapertura di musei ed aree archeologiche è entrata in una fase nuova che pone al centro non più l’effimera relazione con i visitatori ma la cura della relazione con i pubblici dei luoghi della cultura (dalle scuole alle persone con disabilità, dai ricercatori agli anziani), costringendoli a ritornare all’originale missione del museo, brillantemente descritta dalla definizione che ne dà l’ICOM-International Council of Museum quale «istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, e le comunica e le espone per scopi di studio, educazione, diletto». Una definizione che, pur apprezzabile, non appare ancora soddisfacente e che in tempi recenti è stata oggetto di una riformulazione in cui sono stati inseriti i concetti di accessibilità e di sviluppo sostenibile (facendo implicito riferimento ai 17 Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite) e introducendo la materia dei paesaggi culturali.
In effetti, il tema della sostenibilità sembra entrato nel tessuto profondo della società ed è crescente l’attenzione che anche fasce sempre più larghe di popolazione impongono. Ma ancora non basta se il 22 agosto 2020 è stato dichiarato Earth Over shoot Day, “giorno del superamento delle risorse” che, anche grazie al Covid, che ha stravolto le nostre vite ma anche bloccato molte attività produttive permettendo alla Terra di tornare a ‘respirare’, è stato dichiarato ben 24 giorni dopo la data del 2019. Anche per questo motivo, i luoghi della cultura dovranno progressivamente fare crescente attenzione alla sostenibilità ambientale che rischia di lasciare cumuli di scorie alle prossime generazioni!
Emergerà senz’altro anche il tema della sostenibilità economica dei musei e dei luoghi della cultura i quali, alla luce delle nuove modalità di visita, vedranno crescere i loro costi che, in ragione dell’essere la cultura un ‘servizio pubblico essenziale’ dovranno, in primo luogo, essere sostenuti dalla finanza pubblica e dalle fondazioni di origine bancaria (anche se la diversa distribuzione territoriale di questi soggetti privati, orientati alla solidarietà sociale, accentua la disparità di accesso a tali fonti di finanziamento da parte dei luoghi della cultura localizzati nel Mezzogiorno). Comprendere il nuovo ruolo della cultura come leva di benessere sociale sarà importante per porre il tema del finanziamento dei musei anche nell’ambito del Recovery Fund, soprattutto pensando alle nuove generazioni che, se si vedranno gravare di un crescente debito pubblico, dovrebbero almeno beneficiare di un maggiore benessere complessivo grazie al nuovo orientamento di governance e dei fini fondamentali delle istituzioni museali.
Immaginare un utilizzo del ‘Piano per la ripresa dell’Europa’, il Next Generation EU, anche per la cultura, collegato in primo luogo all’educazione scolastica, non pare un azzardo se vogliamo proseguire nella direzione solidaristica che la sciagura della pandemia ha impresso al progetto europeo. Sarà importante che il settore culturale, che ha difficoltà ad essere rappresentato, faccia sentire la sua voce e avanzi proposte di cui c’è assoluto bisogno! Utili saranno anche le riflessione che il mondo culturale si sta scambiando in questa fase e che hanno necessità di trovare un punto di sintesi ‘politico’ in grado di far emergere le straordinarie potenzialità di un settore fondamentale per il benessere dei cittadini e la coesione sociale.
Molto c’è da fare sul piano della gestione dei luoghi della cultura, musei in primo luogo, chiamati a ripensare se stessi e ad una governance che passi da una gestione puntuale ad una gestione integrata multilivello così da fare emergere le straordinarie economie di scala nella gestione di musei, aree archeologiche, teatri, archivi, biblioteche.
La gestione ispirata alla Convenzione di Faro
Si tratta di ripensare radicalmente il modello operativo dei musei rendendone esplicite e condivise dalla comunità le loro finalità ultime di «piattaforme di benessere esperienziale» [2] per farne emergere la rilevanza sociale ed economica come «vitali spazi pubblici che si rivolgono alla società intera e dunque possono svolgere un ruolo importante nello sviluppo dei legami e della coesione sociale, nella costruzione della cittadinanza e nella riflessione sulle identità collettive» [3].
Molto importante è la sottolineatura della finalità del museo dedicato a promuovere la conoscenza, il pensiero critico, la partecipazione e il benessere della comunità. Al tema della partecipazione dei cittadini darà senz’altro impulso la recente ratifica, da parte del Parlamento, della Convenzione di Faro, un autentico documento-faro promosso dal Consiglio d’Europa che pone l’accento, oltre che sulla tutela del patrimonio culturale, sul diritto dei cittadini ad accedere e partecipare all’esperienza culturale. La Convenzione di Faro è un testo rivoluzionario che ribalta la tradizionale gerarchia nella gestione del patrimonio culturale restituendo un inedito protagonismo ai cittadini quali titolari del diritto «a trarre beneficio dal patrimonio culturale e a contribuire al suo arricchimento» e incoraggiando un processo partecipato di «sviluppo economico, politico, sociale e culturale e di pianificazione dell’uso del territorio».
A questo fine sarà necessario incrociare la riforma del Terzo Settore, che prevede la crescita delle imprese sociali anche nel settore culturale, quali soggetti di promozione e gestione delle risorse culturali in chiave di sviluppo economico e di nuova occupazione. Il panorama delle imprese senza finalità di lucro ha già un cardine nelle imprese cooperative e, in fieri, con l’impresa culturale e creativa, che esiste nel nostro ordinamento sin dalla Legge di Bilancio del 2018 ma è ancora in attesa dei decreti attuativi che ne definiscano il profilo. L’articolato panorama delle attività culturali necessita, in effetti, di un regolamento che distingua le imprese creative, orientate al profitto (si pensi al cinema o al design), dalle imprese culturali di servizio pubblico promosse per lo più da Amministrazioni statali o locali e, in qualche caso, con l’apporto di soggetti non lucrativi (fondazioni di origine bancaria), la cui missione è quella di allargare la partecipazione dei cittadini alla cultura e che hanno dato un grande impulso all’offerta culturale tutelando, nel contempo, il lavoro: dal Museo Egizio di Torino alla Fondazione Musei Civici di Venezia, dal MAXXi di Roma al Museo Madre di Napoli, dalla Fondazione Scuole Civiche di Milano al Palazzo Ducale di Genova, dalla Fondazione Ravennantica alla Fondazione MIDA, che gestisce le grotte di Pertosa Auletta, in provincia di Salerno.
Molte imprese culturali di servizio pubblico hanno mostrato grande resilienza di fronte alla crisi dettata dal Covid e stanno riorganizzando le loro strutture salvaguardando i posti di lavoro, grazie all’applicazione del CCNL Federculture che si applica a queste realtà più avanzate del panorama culturale italiano. In futuro, la sostenibilità di queste imprese culturali presenta margini di incertezza per cui occorrerà individuare soluzioni innovative che muovano da un maggior coinvolgimento degli stakeholders dei luoghi della cultura, a partire dai cittadini e coinvolgendo scuole, università ed imprese. Potrà essere utile, altresì, allargare lo strumento dell’Art Bonus, favorendo un mecenatismo di comunità, o stabilendo rapporti stabili con le imprese del territorio. In questa direzione si sta muovendo la Fondazione Brescia Musei, impresa culturale promossa dal Comune di Brescia che, sotto la direzione di Stefano Karadjov, coadiuvato da un comitato scientifico di chiara fama, ha riorientato la missione del sistema museale con maggiore attenzione ai cittadini, compresi i più disagiati e i migranti, e ha siglato una nuova “Alleanza per la Cultura’, un vero e proprio patto tra pubblico e privato con l’obiettivo di affiancare la capacità di ricavo ‘ordinario’ dei musei della città con un nuovo tipo di supporto economico stabile, svincolato da specifiche mostre od eventi, di durata triennale, messo a disposizione dalle imprese del territorio.
La crisi imposta dal Covid ha evidenziato l’emergere di una nuova responsabilità dei cittadini e anche delle imprese che cercano il dialogo con il proprio territorio di riferimento. Si tratta di una sfida che prevede l’emergere di una diversa consapevolezza sia da parte delle imprese private che dei luoghi della cultura, entrambi chiamati a individuare territori comuni di collaborazione.
Nuove forme di partenariato tra pubblico e privato per una rinnovata sostenibilità
In questa visione si incardina il rapporto tra pubblico e privato nel processo di valorizzazione del patrimonio culturale in cui tutti i cittadini, e le loro varie forme di organizzazione, sono chiamati a svolgere la loro parte. In primo luogo il non-profit che può svolgere un ruolo attivo nel favorire la più ampia partecipazione dei cittadini all’esperienza culturale di un patrimonio, non solo statale, diffuso sul territorio: dai beni culturali al paesaggio, dalle arti performative alle tradizioni eno-gastronomiche, al patrimonio immateriale.
Ma anche il sistema delle imprese è pienamente coinvolto in questo processo attraverso diversi servizi commerciali necessari alla migliore esperienza culturale (visite guidate, ospitalità, ristorazione, trasporti, ecc.) e pertanto pienamente inserito nella lunga filiera economica attivata dalla cultura (basti pensare che il turismo culturale vale circa il 40% del totale del turismo in Italia).
La crisi in cui stiamo vivendo porterà a grandi cambiamenti nella fruizione della cultura e dello spettacolo e sappiamo che molti milioni di persone ne soffriranno le conseguenze. Una crisi che porta dentro di sé i segni del cambiamento, introducendo inediti esempi di solidarietà da parte dell’intero sistema economico. Si tratta di un germe che non dovrà andare perso quando si tornerà a crescenti livelli di ‘normalità’. Anche le imprese, sempre di più, dovranno misurarsi con un mondo cambiato che porrà nuovi ostacoli ma anche nuove opportunità centrate sul rapporto con i cittadini.
Ci attende un tempo favorevole alla crescita della consapevolezza da parte dell’intero sistema produttivo di nuovi modelli di business sempre più sostenibili. Una grande opportunità per la crescita delle Benefit Corporation, il nuovo modello di impresa che integra al profitto una finalità sociale. I nuovi tempi che ci attendono porteranno con sé le cicatrici prodotte dal coronavirus: sarà difficile dimenticare quello che stiamo vivendo, anche per gli imprenditori!
Le B Corp rappresentano il modello più evoluto al mondo in termini di azienda sostenibile e rigenerativa. Costituiscono un movimento globale che ha l’obiettivo di diffondere un paradigma economico più evoluto, che vede le aziende come protagoniste nel rigenerare la società e la biosfera. Benefit Corporation significa, inoltre, un profondo cambio culturale, dalla concezione di shareholders capitalism, in cui l’unico fine del business è quello di generare profitto e dividerne gli utili tra gli azionisti, all’accezione di stakeholdes capitalism, secondo la quale l’azienda ha lo scopo di generare valore per tutta la società, per l’ambiente e per il territorio di riferimento.
Il tessuto economico italiano sembra aver colto a pieno l’urgenza di tale cambiamento, attestandosi come il Paese con il tasso di crescita delle B Corp più alto in Europa e come il primo Stato sovrano al mondo ad introdurre la forma giuridica di Società Benefit nel proprio ordinamento, diventata legge in Italia a gennaio 2016. Quella di Società Benefit è nuova forma giuridica d’impresa che garantisce solide basi per allineare la missione e creare valore condiviso nel lungo termine. Oggi sono presenti in Italia circa 100 B Corp certificate e oltre 500 Società Benefit.
La questione ambientale, riportata alla ribalta da Greta Thunberg, sarà sempre di più tra gli obiettivi delle Società Benefit. Ma anche la cultura, per la sua potenza coesiva, dovrà entrare nelle finalità di un numero crescente di imprese e contribuire a disegnare nuove formule di partenariato tra pubblico e privato. Ci attendiamo, così, che per impulsi diversi il sistema delle imprese prenda sempre più in considerazione di puntare in alto e assisteremo ad una più matura presa di coscienza di operatori pronti ad assumere il profilo benefit che, peraltro, è premiato dal mercato. Occorrerà sviluppare piattaforme di dialogo tra le finalità benefit delle imprese e il tema della cultura dei territori, impegnando gli operatori culturali ad approcciare professionalmente questo colloquio.
Si tratta di affrontare un nuovo paradigma che favorisca il dialogo tra imprese private e luoghi della cultura che hanno molto da scambiarsi e che dovranno trovare un metodo di confronto continuo per individuare punti di interesse comune. Da un lato, le imprese private dovranno esplicitamente individuare nei luoghi della cultura, a prescindere dalla prossimità, partner strategici per una collaborazione in grado di favorire il dialogo con i rispettivi pubblici. Dall’altro, le imprese culturali dovranno affinare la loro capacità di relazione con i soggetti privati interessati ad entrare in contatto con il pubblico della cultura. Un percorso non facile ma non impossibile come dimostrano alcune esperienze in Italia e in Europa.
Negli ultimi anni si è molto parlato di partenariato pubblico-privato come leva di partecipazione dei cittadini e di sviluppo a base culturale. Tra i laboratori più attivi di questa discussione, Ravello Lab-Colloqui Internazionali (promosso da Federculture e dal Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali, con sede a Villa Rufolo, Ravello) che, sin dal 2006, si misura su temi di frontiera per collegare sempre più strettamente la cultura alla partecipazione dei cittadini.
L’edizione 2020, svoltasi dal 15 al 17 ottobre, è stata un interessante momento di riflessione per riportare al centro il tema della sostenibilità economica e sociale dell’impresa culturale e accrescere la capacità di dialogo con i cittadini attraverso l’ampio armamentario degli strumenti digitali. Un percorso nuovo da cui far emergere la necessità di fare impresa in cultura, profit e non profit, accrescere la partecipazione dei cittadini, sviluppare nuovi modelli di partenariato tra pubblico e privato, anche con l’ausilio delle nuove tecnologie.
Un vaste programme su cui confrontare, in primo luogo, l’apparato statale, a cominciare dai musei dotati di autonomia sempre più reattivi ad introdurre innovazioni, ma in cui coinvolgere anche il resto dei musei statali come possibili capofila di sistemi integrati territoriali; un percorso già sperimentato con successo con il programma MuSST #2 promosso [5] dal Mibact, in collaborazione con Federculture, nel biennio 2017/2018. Si è trattato di un progetto innovativo che ha chiamato alcuni musei statali (non dotati di autonomia) a sviluppare forme di partenariato pubblico-pubblico e pubblico-privato, a partire dai luoghi culturali del proprio territorio di riferimento con l’obiettivo di implementare un Piano Strategico Partecipato di Sviluppo Culturale. Attivando questo metodo sarà possibile superare le criticità che impediscono la piena valorizzazione delle risorse culturali: i) dalla propensione a privilegiare interventi puntuali e frammentati alla difficoltà a progettare strategie e progettazioni di area vasta; ii) dalla scarsa coerenza strategica tra gli interventi di valorizzazione del patrimonio culturale e le politiche generali dello sviluppo locale all’assenza di realistici piani di gestione in grado si assicurare nel tempo la sostenibilità economica degli interventi e con essa la massima ricaduta sociale, economica ed occupazionale; iii) dalla difficoltà ad attivare partenariati pubblico-pubblico e pubblico privato in grado di dare forza alle filiere della valorizzazione, compresi i servizi dell’accoglienza e della mobilità per la fruizione del patrimonio culturale, alla debolezza delle governance istituzionali indispensabile per garantire unitarietà strategica e gestione integrata degli interventi previsti e, infine, all’insufficiente coinvolgimento della cittadinanza in tutte le fasi di definizione delle strategie, degli interventi e del monitoraggio dei risultati.
È questa la sfida che attende il Sistema Museale Nazionale nell’avvicendamento dell’ottimo lavoro svolto dal Direttore Generale Musei del Mibact, Antonio Lampis, lasciato in eredità a Massimo Osanna. Una sfida che potrà essere vinta, anche grazie alle novità introdotte a fine agosto al Codice dei Contratti pubblici con la legge di conversione del Dl Semplificazioni che ha esteso agli enti territoriali la possibilità, finora riservata soltanto al Mibact, di attivare ‘forme speciali di partenariato’ tra enti e organismi pubblici e soggetti privati, al fine di consentire il recupero, il restauro, la manutenzione, la gestione e la valorizzazione delle risorse culturali, attraverso procedure semplificate di individuazione del partner privato. Si tratta di un decisivo passo in avanti per favorire metodi innovativi di coprogettazione che, specialmente per la gestione e la valorizzazione, possono favorire la crescita di imprese culturali e di nuova occupazione.
A queste finalità potrà essere assai utile il neonato Fondo Cultura (nato da una proposta rilanciata da Federculture nei primi mesi della pandemia), che nel Decreto Rilancio del maggio 2020 ha assegnato 50 milioni di euro al sostegno delle imprese culturali rinviando ad un successivo decreto attuativo che il Ministero dell’Economia e il Mibact hanno licenziato nel dicembre 2020. Il decreto attuativo, in particolare, destina 30 milioni di euro per la promozione degli investimenti e 20 milioni per finanziare un fondo di garanzia che concede contributi in conto interessi per salvaguardare e valorizzare il patrimonio culturale.
Dialoghi Mediterranei, n. 47, gennaio 2021
Note
[1] Cfr. Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali, Politecnico di Milano
[2] Maurizio Vanni-Domenico Piraina, La Nuova Museologia – Le opportunità nell’incertezza (in corso di pubblicazione)
[3] Cfr. Recommendation concerning the protection and promotion of museum and collections, pubblicato in 2015. www.unesco.org
[4] Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, Considerazioni finali del Governatore sul 2019, Roma – Palazzo Kock – Relazione annuale anno 2019 – 29 maggio 2020
[5] Mibact, Patrimonio culturale e progetti di sviluppo locale, #MuSST2 – Linee guida per la predisposizione del Piano Strategico di Sviluppo Culturale
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Claudio Bocci, già Direttore di Federculture, l’Associazione Nazionale che raccoglie Amministrazioni pubbliche e imprese culturali di servizio pubblico. È Consigliere Delegato del Comitato Ravello Lab, il think-thank di elaborazione e di proposta sulle tematiche che coniugano cultura e sviluppo, promosso da Federculture e Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali, con sede a Ravello (SA). È’ Autore di numerosi saggi e articoli sulle politiche culturali in chiave di sviluppo dei territori.
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