di Bruno Genito
Brevi Premesse storico-geografiche
Nell’odierno quadro geopolitico sempre più conflittuale e pericoloso, dal Vicino oriente alla Cina, passando naturalmente per l’Ucraina e la Russia, è forse opportuno provare a fare un po’ di chiarezza su cosa sono e soprattutto cosa sono state le aree, le regioni e i Paesi, molti dei quali coinvolti in quel quadro, e che oggi, spesso, chiamiamo con un nome molto diverso da quelli in uso centinaia di anni fa. L’impoverimento culturale sempre più crescente delle nostre società post-industriali, la progressiva riduzione, tra i nostri valori, dell’importanza della storia, e la disarmante rimasta sola acculturazione “digitale”, ci fanno ricordare quel paradigma storiografico per il quale, tra l’altro, risuona in maniera assordante la famosa espressione “non conoscere il passato e i suoi errori, aiuta inesorabilmente a ripeterli”.
In un contesto tecnicamente e tecnologicamente così avanzato, in cui viviamo oggi, poi, nel quale in meno di un giorno si può dall’Italia raggiungere la Cina e/o l’estremo ovest della California, si avrebbero, in mano le chiavi, mai possedute dalle generazioni che ci hanno preceduto, per acquisire una più piena e consapevole conoscenza di Paesi, così distanti da noi e che possiamo facilmente visitare. Tuttavia, si ritorna da quei Paesi molto spesso con cognizioni superficiali, inesatte e anche fuorvianti, che certamente non aiutano a capire meglio l’oggi contemporaneo.
Avevamo cominciato a proporre qualche anno fa, proprio su Dialoghi Mediterranei che molto cortesemente aveva messo a nostra disposizione uno spazio per chiarire un po’ la storia dell’Ucraina «di l’altro ieri» (Genito 2002: 70-82). Oggi da premesse e scopi diversi da allora, proveremo a fare la stessa operazione per l’Uzbekistan, Paese abbastanza poco conosciuto dai più, ma che ha svolto storicamente e svolge ancora oggi un ruolo cruciale di mediazione tra Occidente e Oriente. Tutto ciò anche perché con questo Paese, che si trova nel pieno dell’Asia Centrale [1], l’Italia ha una tradizione di studio e attività archeologiche che dura ormai da quasi vent’anni e che speriamo abbia potuto contribuire alla conoscenza reciproca.
Il Paese ufficialmente si chiama Repubblica dell’Uzbekistan, e osservando una carta geografica o una delle tante piattaforme digitali di immagini satellitari a disposizione (Google Earth o Google Maps etc.) si può osservare chiaramente che confina a nord e a ovest con il Kazakistan, a est con il Kirghisistan e il Tagikistan, a sud con l’Afghanistan e a sud-ovest con il Turkmenistan. Assieme al Liechtenstein, l’Uzbekistan è uno dei pochissimi due Stati al mondo doppiamente senza sbocco al mare; oltre a non avere direttamente sbocchi al mare cioè, esso confina, infatti, con Stati anch’essi privi di sbocco marino. Questo aspetto che può sembrare di poca o nessuna importanza, ha invece segnato e scandito, in modo molto particolare tutta la storia di questo Paese “interno”, compresi i complessi fenomeni dell’origine e lo sviluppo del popolamento e dei movimenti migratori in una o in un’altra direzione, da millenni la cifra questi ultimi, tra l’altro, della difficile e controversa relazione tra nomadi pastori e agricoltori sedentari [2]. Causa e, allo stesso tempo, effetto di quella caratteristica geografica è la presenza, nel suo territorio, di alcuni tra i più grandi e lunghi fiumi del pianeta con particolari delta terminali, detti “endoreici” che favoriscono in determinate condizioni l’insabbiamento delle loro acque nel deserto o culminano con assetti lacustri, a loro volta, destinati, spesso, a scomparire. Come si può vedere non è sempre vera la famosa espressione “tutti i fiumi vanno al mare”. Le lingue ufficiali del Paese sono l’uzbecoe, nella repubblica autonoma del Karakalpakstan a nord ovest, a sud del lago d’Aral, il caracalpaco, entrambi di origine turca; la capitale è Taškent.
Il territorio dell’attuale Uzbekistan in antico fu compresa nelle province (satrapie) dell’Impero persiano (dinastia achemenide dominante tra il VI e il IV secolo a.C.) chiamate “Sogdiana” e “Corasmia”, fino alla conquista di Alessandro Magno (fine IV secolo a.C.). Una rapida carrellata dei principali sistemi politici statali, imperiali e regali che si sono succeduti in poco più di 1500 anni nell’area (dal VI secolo a.C. al XIII-XIV secolo d.C.) e di cui proponiamo alcune sintetiche e approssimative carte geografiche tratte da internet, ci dà l’esatta percezione dell’importanza e della centralità delle regioni nelle quali il Paese si colloca, a metà strada tra il Medio e l’Estremo Oriente [3], per dirla in breve, tra l’Iran e la Cina. Successivamente la regione entrò a far parte, sia pure parzialmente degli Imperi dinastici, etnicamente sempre “iranici”, dei Parti (metà III secolo a.C. – inizi III secolo d.C.) [4] e dei Sasanidi (inizi III secolo d.C. – metà VII secolo d.C.) [5].
Nel medioevo emerge, per la prima volta, poi, l’elemento etnico turco con la forza e la potenza della dinastia dei Qaraqanidi (IX-XII secolo, che si rafforzerà dall’XI secolo a spese del regno dei Samanidi (inizi IX secolo, inizi XI secolo d.C.). Questa verrà poi soppiantata dai Mongoli all’inizio del XIII secolo, che fonderanno il khanato (sistema politico retto da un Khan – capo) centroasiatico del Chagatay (1225-1680), peraltro rapidamente turchizzatosi nella lingua e nei costumi.
Successivamente, con l’emergere della figura di Tamerlano (Timur Lang, Timur lo zoppo) che si riproponeva di rinnovare i fasti e le conquiste di Gengis Khan, Samarkanda diverrà uno dei più grandi centri urbani dell’Asia Centrale musulmana, che nel XIV secolo fu trasformata in una capitale con moschee(tra cui “Bibi Khanum”) e mausolei (tra cui il Gur e-Mir, la tomba di Tamerlano) la piazza del mercato (Rigistan), madrase (scuole coraniche) e necropoli (Shah-i Zinda), rivestite da piastrelle in ceramica invetriata di color turchese che, in qualche modo, volevano competere con le maestose architetture e decorazioni della safavide Isfahan.
Dal XVI secolo, con la dinastia di origine mongola degli Shaybanidi il Paese cominciò a chiamarsi Uzbekistan e, nella seconda metà del secolo, la capitale viene spostata a Bukhara a nord ovest. Emersero successivamente due formazioni politiche destinate a durare tra alterne vicende fino alla metà del XIX secolo, i Khanati di Khiva e quello di Bukhara, spesso in conflitto tra loro, e dal Settecento si formerà, più a est, quello di Kokand (in Fergana).
La regione fu per tutta l’epoca dell’Impero dinastico safavide (di origine turca, ma dominante sull’altopiano iranico) (XVI secolo – metà del XVIII secolo) [6] al centro di conflitti sia con i sovrani persiani sia, più tardi, con la nascente potenza russa. Nel XIX secolo, l’Impero russo cominciò la sua espansione in Asia Centrale; ma a differenza di altri territori turchi centro-asiatici (come il Kazakistan e il Kirghizistan), Khiva e Bukhara non vennero subito annesse, bensì divennero emirati vassalli della corona Zarista. Sullo sfondo è il periodo del “Grande Gioco”, ovvero del confronto geopolitico e militare tra Impero Russo e Impero britannico, che si fa solitamente iniziare nel 1813 e finire con la convenzione anglo-russa del 1907. Dopo la rivoluzione bolscevica del 1917 seguì una seconda fase dei rapporti con la Russia, con la creazione, dopo varie complesse vicende, della Repubblica bolscevica di Bukhara. In seguito, nonostante alcune prime resistenze ai bolscevichi, l’Uzbekistan entrò a far parte dell’Unione Sovietica.
Esteso per 500 km da nord-ovest a sud-est, con una larghezza media che non supera i 300 km, l’Uzbekistan si allunga dalle falde occidentali del massiccio dell’Alaj (a est, in Tagikistan) che inquadrano la valle del Fergana, sino alle rive del vastissimo lago d’Aral (a ovest), residuo dell’antico mare Paratetide o Sarmatico [7], a soli 53 m di altitudine. Nel territorio si distinguono due zone geomorfologiche e climatiche. La parte occidentale è dominata dalla steppa arida del Kizilkum (Kum, deserto/sabbia e/o steppa, Kizil, rossa) (300 mila km², in parte nel Kazakistan), che arriva sino al lago d’Aral. L’Amudarya (l’antico Oxus), che segna per un lungo tratto il confine con il Turkmenistan, divide questa zona semidesertica, ricca di giacimenti di gas naturale, dall’altopiano desertico del Karakum (in territorio turkmeno) (Kum deserto/sabbia e/o steppa, Kara nero) e dal deserto dell’Ustyurt, che si estende a ovest dell’Aral sino al Caspio. Le pianure che circondano il lago d’Aral appartengono alla Repubblica autonoma del Karakalpakstan. Nella parte orientale, i bacini fluviali dello Zeravshan, dell’Amudarya e del Syrdarya (l’antico Jaxarte) sono separati dalle estreme propaggini del Tian’ Shan, dell’Alaj e del Pamir, catene montuose giovani e fortemente sismiche. La più elevata tra queste è quella dei Gissar, dove al confine con il Tagikistan si trova la più alta vetta del Paese, il Khazret Sultan (4643 m s.l.m.). Tra le catene dell’Alatau e dell’Alaj si estende la già menzionata pianura del Fergana, bacino tettonico lungo 300 km e largo 100, bagnato dal Syrdarya e dai suoi affluenti, in cui si concentra una parte rilevante della popolazione. La frontiera con il Tagikistan taglia queste catene e le valli che le separano in modo assai complesso: la valle del Fergana, per esempio, è separata dalla capitale Taškent da territorio tagico.
In un’area geologicamente così complessa è evidente che anche la storia del popolamento ha risentito col tempo della presenza in questa regione di molteplici realtà etnolinguistiche, delle quali citiamo solo le principali; quelle turcofone (kazake, uzbeche, turkomanne e kirghise) e iranofone (tagiche) che hanno arricchito i valori culturali dell’area, ma anche accresciuto alcune potenzialità conflittuali.
Samarkanda
Parliamo ora della citta, forse più famosa, assieme a Bukhara, di tutto l’Uzbekistan, Samarkanda. Come è noto, essa ha sempre evocato, in Occidente, soprattutto in chi non c’è mai stato, luoghi esotici ed immaginari, desiderati e inarrivabili, luoghi di indicibile bellezza, luoghi forse esistenti solo in leggende o in scritti di viaggiatori di epoche lontane. Nessuna città al mondo come Samarcanda fonda fortemente il suo fascino non tanto sull’importanza o sulla bellezza dei suoi monumenti o su avvenimenti storici, altrettanto documentati, o su romanzi che la descrivono, bensì su un mito, impalpabile e fortemente suggestivo. La città esiste, invece, veramente, e si materializza agli occhi del visitatore per poi rapirlo subito dopo, risucchiandolo nel suo mito evocativo nel corso delle visite alle vestigie di un’epoca, quando Samarcanda fu un’importantissima tappa sulla Vie della Seta, a partire più o meno dall’epoca cristiana, crocevia di razze, culture, lingue, religioni. Pochi nomi di città sono stati tanto così evocativi: “la città ricca”, “la città dorata”, “il giardino dell’anima”, “lo specchio del mondo”, “il gioiello dell’Islam”, “il paradiso dell’antico Oriente”, “la perla preziosa del mondo Islamico”, “la Roma dell’Oriente”, etc. Questi sono solo alcuni dei nomi con cui è stata chiamata Samarkanda. Se si abbandona, tuttavia, per un po’ la prospettiva del mito e quella dei favolosi tempi medievali dell’epoca Timuride (XIV-XV secolo), di cui esiste, comunque, un’abbondante documentazione storica, archeologica e storico-artistica, le origini della città restano sostanzialmente avvolte ancora nel buio.
Su dizionari, enciclopedia e/o pubblicazioni divulgative, si viene a sapere che la città sarebbe stata fondata nell’VIII secolo a.C., data da qualcuno messa arditamente in relazione alla contemporanea presunta età della fondazione di Roma del 753 a.C. [8]; essa sarebbe, poi, stata un capoluogo della provincia/satrapia della dinastia persiana degli Achemenidi con il nome di Marakanda – la leggendaria capitale della Sogdiana (VI a.C.- 329 a.C.) per poi passare sotto il dominio Alessandrino (329 – II a.C.), il periodo sogdiano (V-VIII sec. d.C.), e per ultimo un lungo periodo islamico (VIII- XIII sec. d.C.) fino poi all’epoca timuride, tra il 1370 e il 1405.
Samarkanda si trova nell’area che storicamente si chiamava “Sogda/Sugda/Suguda” termine, per la prima volta, usato da Dario I, come già detto, nella famosa iscrizione trilingua (antico persiano, elamico, e babilonese/accadico) a Bisutun, nella provincia iraniana di Kermanshah [9], e che sarebbe riferibile, in base, alle varie fonti disponibili, all’area vicina a Maracanda (l’antica Samarkanda e la sua parte più antica Afrasyab), esistente, ancora all’epoca di Alessandro Magno. I dati archeologici e delle ricognizioni delle due missioni archeologiche italiane in Uzbekistan delle Università di Bologna e dell’Orientale di Napoli tra la fine degli anni 90’ del secolo scorso e i primi due decenni di questo secolo, hanno evidenziato che i siti databili al periodo più antico, quello della dinastia Achemenide sono davvero pochi, e mai da quanto attualmente noto, essi presentano resti monumentali di un certo rilievo, e che, da sempre, sono l’indicatore principale del carattere “imperiale” del periodo.
Tutto ciò, confermerebbe, quindi, la tendenza ad una scarsa propensione all’urbanizzazione da parte di quella dinastia. Se si desse anche per plausibile, per diverse e complesse ragioni, che a Samarcanda e dintorni sia potuta rimanere prevalente una tradizione orale per lo meno fino al periodo islamico, la documentazione archeologica e topografica, resterebbe, la sola fonte primaria per un inquadramento aggiornato dello stato dell’arte sulla questione.
Sogdiana in epoca persiana
La pianura della Sogdiana deve la sua prosperità, come si è ben capito, al bacino idrografico endoreico dello Zeravshan, alla sua ricchezza agricola e su una fitta rete irrigua, organizzata da grandi canali derivati dal fiume: in particolare il Dargom a sud e il Bulungur a nord di Samarkanda. Questa ricchezza agricola a cavallo tra l’età del bronzo e l’età del ferro, contribuì alla nascita di due grandi insediamenti urbani: Samarcanda/Afrasiab, rifornito di acqua dal canale Dargom, e Koktepe, a 30 km a nord, il cui territorio sarebbe stato alimentato dal canale di Bulungur. Per conoscere gli strati più antichi, le attività archeologiche dei francesi si concentrarono sullo studio di Koktepe (15 ettari c.), una sorta di sito “gemello” di Afrasiab (220 ettari). A differenza di quest’ultimo, Koktepe conobbe, però, solo una sporadica occupazione dopo l’antichità, che permise la conservazione dei periodi più antichi, a partire dall’ultimo terzo del II millennio a.C., fino al III sec. a.C.
A Koktepe una prima occupazione risalirebbe dal II millennio a.C. – all’VIII secolo a.C. Prima della strutturazione monumentale, il sito era occupato, in un’epoca che è possibile collocare tra il XIII e l’VIII secolo, da una popolazione che produceva ceramiche grezze e dipinte, di affinità culturali con la regione del Fergana, e che utilizzava come materiale da costruzione la terra cruda e i mattoni piano-convessi che continueranno ad essere utilizzato per diversi secoli, e per questo non ha facilitato una cronologia assoluta (in assenza di abbondanti ceramiche stratificate e datazione al carbonio 14 affidabile per il periodo dell’VIII-V secolo). La fase monumentale (VIII – III sec. a.C.) a Koktepe è costituito da un vasto terrazzo alto fortificato di 17 ettari, apparentemente compreso in un recinto molto più grande, l’unica sezione superstite del quale è a nord. La prima fase monumentale è senz’altro situata nel periodo pre-achemenide; i mattoni recano poi segni contabili simili a quelli riscontrati sul primo baluardo di Afrasiab.
Ad Afrasiab sito esplorato attivamente ma senza alcuna reale continuità dal 1873 da gruppi di lavoro russi prima, e sovietici poi, gli sforzi delle attività europee, in particolare francesi si concentrarono quasi esclusivamente nell’area della parte alta della città, dove esistevano i monumenti del potere (politico, militare, religioso). La cinta muraria più antica fu scoperta nel 1991 all’estremità sud-orientale dell’acropoli, separandola dalla città bassa; successivamente è stata avvistata tutto intorno all’altopiano urbano (5,5 km). Si tratta di un massiccio muro di 6 m. di spessore, costruito con grandi mattoni piano-convessi, tutti recanti segni che identificano le brigate incaricate della costruzione dei diversi settori. La città nacque, quindi, da un’iniziativa politico-statale che riguardò da subito tutto l’altopiano, con al suo interno lo sviluppo di un’apposita difesa dell’acropoli. La datazione pre-achemenide o antico achemenide, rimane, tuttavia molto incerta. È probabile che questa prima fondazione urbanistica sia andata di pari passo con la costruzione della stessa rete irrigua della pianura, i sondaggi dei quali sul canale centrale della città avrebbero attestato molto problematicamente l’esistenza al periodo achemenide.
Le attività Archeologiche Italiane
All’interno di questa difficile realtà storica e per certi versi insufficiente documentazione archeologica, dal 2008 cominciarono alcune attività archeologiche congiunte italo-uzbeke sulla base di una collaborazione dell’Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze dell’Uzbekistan, sezione di Samarcanda, e l’Università di Napoli “L’Orientale”, il Ministero degli Affari Esteri e l’ISMEO. Il principale scopo di quelle attività era quello di analizzare la reale consistenza archeologica tra il VI e il IV secolo a.C. in un’area specifica, collocata per di più in una macro-regione storiograficamente molto significativa, la Sogdiana tra Bukhara e Samarkanda.
L’area non era mai stata particolarmente investigata se non in epoca sovietica e, comunque, in maniera molto sommaria. Questa macro regione, dai confini storicamente ed archeologicamente ancora imprecisabili, a dire la verità, risulta, paradossalmente, molto più conosciuta in dettaglio all’inizio dell’epoca alto-medievale (IV-VII sec. d.C.), grazie alla presenza, storicamente ben documentata, di quel sostrato etnico-culturale ed etnico-linguistico, del “sogdiano”, variante orientale iranica, particolarmente diffusa, fin nella Cina occidentale ((la provincia uighura dello Xinijang). Le informazioni delle fonti scritte sull’area sono sparse e frammentarie, mentre quelle più importanti appartengono proprio al periodo sogdiano, cioè pre-arabo e ad autori cinesi che probabilmente avevano potuto visitare l’area in relazione alla necessità di stabilire contatti più o meno regolari con l’Occidente di cui l’area di Samarkanda costituiva uno degli avamposti più significativi.
Nell’VIII e nel VII secolo a.C., nella Sogdiana i pochi insediamenti rinvenuti, fatti da semi-capanne delle epoche precedenti, in particolare relative all’orizzonte cronologico di Yaz [10] molto diffuso soprattutto nell’oasi del delta del Murghab, o la storica Margiana (Turkmenistan meridionale) cominciano ad essere progressivamente sostituiti, o almeno archeologicamente documentati, da “aree” più grandi, tra cui, come già detto, proprio Koktepe e Afrasiab.
Un nuovo livello dello sviluppo socio-economico, politico e culturale, e anche questo è indiscutibile nella Sogdiana, iniziò proprio tra VII e VI secolo a.C., ma ancora non risulta chiaro né dalle fonti storiche ed epigrafiche che da quelle archeologiche se tutto ciò sia potuto essere stato, in prima o in ultima istanza, causato proprio dalla costituzione della grande formazione politico-imperiale/statale della dinastia Achemenide, originatasi nell’area del Fars sull’altopiano iranico e che comprendeva come già detto anche la Sogdiana. Alcune caratteristiche nella cultura materiale, compresa quella relativa alla produzione ceramica, nelle aree che poi, più o meno, diventeranno le province (satrapie) achemenidi come la Battriana (Afghanistan nord orientale), la Margiana (delta del Murghan, Turkmenistan meridionale), il nord della Parthia (Iran nord orientale) e, un po’ più tardi, la Chorasmia (Uzbekistan settentrionale), non si diffusero, però, oltre i territori a nord-est della Sogdiana stessa, facendo pensare che restarono caratteristiche prevalentemente autoctone.
I cambiamenti culturali che pure ci furono, non si verificarono immediatamente dopo che i territori delle future province furono, probabilmente, conquistati da Ciro il Grande. Forme greche nella produzione ceramica apparvero solo nel III secolo a.C., durante l’impero dei Seleucidi [11], e non certo subito dopo la conquista della Sogdiana da parte di Alessandro Magno nel 320 a.C. Diversi popoli nomadi conquistarono la Sogdiana alla fine del III secolo e anche i greci sarebbero arrivati in Sogdiana solo nella prima metà del II secolo. Verso la metà dello stesso secolo, i nomadi presero, comunque, decisamente il sopravvento e, tra questi, storicamente documentati ci furono gli Yüeh Chih, menzionati chiaramente dalle fonti cinesi, come popolo non cinese, in qualche modo, poi correlabile con i più tardi Kushana. Alcuni antichi elementi culturali “orientali” cominciarono a prevalere nell’architettura di periodo greco, come potrebbero essere state le stesse mura della città di Afrāsīāb, costruite con grandi mattoni in crudo di un tipo sconosciuto nella cultura ellenistica, su cui i nomi dei realizzatori sono scritti in lettere greche. Nell’insediamento di Boisarytepa, fondato nel periodo ellenistico e situato vicino a Sazagan, durante gli scavi dalla spedizione italo-uzbeka della Università di Bologna fu trovato anche un tetradrachma di Seleuco I.
Kojtepa
Il sito di Kojtepa, scelto nel 2008 è un importante insediamento fortificato già parzialmente noto, costituito da un “tepe” [12] centrale di forma tronco-conica di 9 m. di altezza, circondato da un terrapieno e da un fossato, secondo una tipologia architettonica-urbanistica, probabilmente di età ellenistica. Nelle fotografie aeree e quelle satellitari (di epoca sovietica e quelle CORONA della metà degli anni sessanta) si può chiaramente vedere che tutte le porzioni del terrapieno che circondano il sito sono state costruite come una singola unità, a parte quello settentrionale e, in particolare, il suo angolo nord-orientale. Se ci si sposta a breve distanza, a sinistra dell’angolo, si vede una sezione scura che mostra l’esistenza di un’interruzione nel terrapieno settentrionale proprio in questo punto. È possibile che ci fosse una volta un ingresso, o uno spazio davanti a una porta. Questa interruzione, tuttavia, si può mettere in relazione al taglio del fossato, il che suggerirebbe che forse una specie di ponte levatoio a partire dal terrapieno potesse essere stato installato proprio in quel punto. Sulla base dei risultati topografici raccolti all’epoca, le mura dell’insediamento, sebbene non ancora chiaramente identificate, e parzialmente distrutte dalle moderne attività agricole, corrispondevano ad un ben noto modello insediativo per i siti e gli insediamenti nelle antiche aree di Samarcanda e dell’Ustrushana nel nord del Paese. La stessa tipologia era anche presente nelle aree vicine alla catena del Karatyube a sud, nel periodo storico ed ellenistico e Kojtepa si trova proprio al confine tra le aree irrigue e la steppa pedemontana.
Ci sono molti altri dettagli visibili dalle fotografie aeree e oggi da quelle satellitari e dai rilevamenti fotografici e topografici dei droni che indicano chiaramente la presenza di caratteristiche del tutto particolari della distribuzione delle aree del sito. La prima è una linea chiara che collega la sommità del tepe (cittadella) e l’angolo nord-est. La foto satellitare da Google, quella aerea e il volo di un drone hanno permesso di “ricostruire”, in parte, la disposizione del terrapieno, almeno fino al momento della sua successiva grande distruzione.
Nelle indagini topografiche condotte preliminarmente sul campo dalla Università di Bologna, attorno a Kojtepa per un raggio di 6 km, sono stati identificati circa 150 diversi siti, che, a parte il loro buono o scarso stato di conservazione, forniscono una chiara evidenza della misura in cui l’area immediatamente a nord della catena del Karatyube fosse ampiamente colonizzata e abitata; tra questi siti, ci sono molte e diversi tepe di varia dimensione.
Oltre a Kojtepa, anche altri insediamenti circondati da un terrapieno situati nella steppa attorno al canale del Dargom sono classificati come siti di periodo ellenistico. Su una mappa del 1905, molti dei siti più vicini a Kojtepa designati come Abduvaitepa “Bugry” (o collinette) sono sopravvissuti fino ai giorni nostri, sebbene abbiano subito gravi danni.
Gli scavi archeologici condotti a Kojtepa dimostrano che l’antica popolazione che l’abitava era fortemente impegnata nell’attività agricola, considerando l’altissimo numero di diversi tipi di macine in pietra rinvenute. Nonostante le possenti mura dell’insediamento, un fossato e un terrapieno circostante, l’economia deve aver giocato un ruolo importante nella vita complessiva dell’insediamento. L’intero territorio adiacente era una regione di confine tra le steppe dei nomadi a sud e le aree a culture agricole a nord, ma la sopra-elevata posizione di Kojtepa e il rilievo abbastanza uniforme dell’area circostante, gli dovevano aver conferito un’importanza strategica di rilievo. Da questo punto di vista, non solo gli insediamenti limitrofi, ma anche quelli più distanti a sud, situati nei principali pendii montuosi erano tutti chiaramente visibili.
La posizione di Kojtepa consentiva, evidentemente, di osservare da un punto di vista privilegiato panoramico l’intera valle del Dargom.
Tenendo presente queste caratteristiche, si può presumere che insediamenti di questo tipo potevano essere usati come posti di osservazione dai quali inviare avvertimenti ad un eventuale nemico, ma anche come sistemi di delimitazione dei campi per l’intensa attività agricola.
Le vicende dello scavo tra il 2009 e il 2015, hanno permesso, come si può vedere dalle piante dello sviluppo topografico dell’area scavata, di esplorare quanto più possibile la sommità del tepe dal quale proviene una figurina in terracotta molto particolare con la rappresentazione di un musicante con uno strumento a corda; la seconda area dove si sono svolti i saggi di scavo tra il 2009 e il 2015 è quella sulle mura esterne. Una terza area indagata è l’angolo nord-orientale, dove a partire dal 2011 si era potuto osservare una piccola sopraelevazione contigua alla porzione settentrionale del terrapieno orientale tra il muro esterno e il tepe, e infine nel settore occidentale nel 2016 le Trincee n. 23 e 24 consentirono di rinvenire le tracce del secondo muro esterno, che dettero una svolta decisiva alle indagini.
Le campagne di scavo del 2018 e del 2019, dopo due anni di interruzione a causa del covid, hanno portato ulteriori informazioni interpretative anche perché cominciò l’uso dei droni che facilitarono le modalità di rappresentazione del rilievo topografico e di scavo). Le Trincee n. 33, 36 e 38 aperte per comprendere i resti della struttura muraria rinvenuta nel 2016 nella Trincea n. 24, hanno prodotto ottimi risultati con l’evidenza di chiari allineamenti di una tessitura muraria in nuovi settori appartenenti alla stessa epoca dei primi, sebbene ad una quota differente. Nella zona ovest il riconoscimento di altre strutture murarie soprattutto nelle Trincee n. 30, 35, 25 e 32, portò al definitivo riconoscimento del muro SU473, e all’individuazione di un corridoio tra questa fila e quello del muro esterno a nord SU557 (Trincee n. 33, 36 e 38) e il muro SU464 nel Trench n. 24. Il muro SU473 chiaramente si collega sia per tipologia che per grandezza a quelli rinvenuti nelle Trincee n. 27, 29, 30 e 31 e cioè SU95, SU 501 e SU514 e in particolare alla SU514.
Le attività del 2019 si sono concentrate nei versanti nord con le Trincee n. 39-41 e ampliamenti nelle Trincee n. 20, 21, 28 e 29, dove l’intreccio complesso dei resti strutturali non trova ancora una soluzione adeguata alle problematiche relativa alla cortina muraria esterna e nella Room III, dove accanto alle problematiche di un secondo corridoio tra il muro esterno SU317, e la realtà del muro SU514, si sono aggiunte anche i molto frammentari resti pittorici con l’uso del bianco e del blu, tutti ancora da decifrare. Nel settore nord-ovest i saggi nelle Trincee n. 40, 42, 43, 44 e 32 hanno, tra l’altro prodotto, l’individuazione di un muro SU611, e la scoperta di una Room IV circondata da muri possenti come la SU 611 e SU652 a est e SU634 a sud, probabile muro esterno a ovest, con la presenza di enormi giare già in numero di tre, e un quarto già preliminarmente intravisto in sezione, individuato alla fine dello scavo e disposto già sul declivio in quella direzione.
Conclusioni
Le stagioni di scavo sin qui condotte a Kojtepa hanno chiaramente stabilito l’importanza del sito nella storia e nella topografia dell’area. La sua posizione, tra l’area irrigua a nord creata dalla forza espansiva del canale Dargom, e a sud le pendici pedemontane della catena del Karatyube, ne fanno uno dei siti più importanti della regione soprattutto in relazione allo studio dei modi di vita dei nomadici e degli agricoltori. I resti architettonici finora rinvenuti hanno rivelato tracce di importanti mura di fortificazione in cima al tepe e una chiara riutilizzazione delle mura di cinta settentrionali e orientali risalenti al primo e al tardo periodo ellenistico. La cultura materiale raccolta conferma che appartiene a diverse fasi distinte dell’occupazione, che si possono considerare estese dal III secolo a.C. al III secolo d.C.
Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025
Note
[1] L’Asia centrale è una regione interna dell’Asia, che convenzionalmente si può considerare estesa dalla sponda asiatica del mar Caspio fino alla Cina nord-occidentale. Conosciuta dai Romani con il nome di Transoxiana (al di là dell’Oxus, l’odierno fiume con il nome di Amudarya), la regione comprende cinque Stati (Turkmenistan, Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghisistan, un tempo facenti parte dell’Unione Sovietica e indipendenti dal 1991), di cultura e lingua turca, ad eccezione del Tagikistan, di lingua e cultura iranica. Parte della popolazione pratica ancora oggi diverse forme non generalizzate di nomadismo e la religione più diffusa è l’Islam sunnita. L’area è caratterizzata da una variegata realtà etnica, geografica e culturale dovuta al susseguirsi di invasioni, migrazioni, stanziamenti di tribù, formazione di città-Stato e vasti imperi. Utile è certamente dare un’occhiata al diario di viaggio in questa regione al volume di R. Byron (1937) che ci dà uno spaccato dell’area contigua al fiume Amu Darya (Oxus) ai suoi tempi.
[2] La caratterizzazione di aree “interne, ha particolari e precise conseguenze sull’assetto geomorfologico e climatico. Le principali caratteristiche geomorfologiche, climatiche e idrografiche dell’Asia centrale, e quindi, anche dell’Uzbekistan sono, infatti, una grande quantità di catene montuose molto elevate, aree steppiche, pianure desertiche; temperature molto elevate, elevata aridità, elevato grado di evaporazione dell’aria, forte escursione termica; fiumi interni molto lunghi e grandi, come l’Amydarya, il Syrdarya, il Tedžen e il Murghab.
[3] Alcune precisazioni storiche e geografiche vanno fornite al lettore per comprendere meglio la collocazione dell’area in questione e l’uso di terminologie, a volte improprie che non rispettano sempre le definizioni storicamente accettate. Quello che noi chiamiamo oggi “Medio Oriente” (dall’inglese Middle East) (Israele, Libano, Siria e i territori palestinesi) sarebbe da indicare, più propriamente con “Vicino Oriente” (dall’inglese Near East), cioè quella parte dell’Asia e/o Oriente più vicina al Mediterraneo; l’Iran, l’Afghanistan e l’Asia Centrale dovrebbero chiamarsi più propriamente Medio Oriente; la Cina, la Corea e il Giappone, Estremo Oriente. A parte naturalmente andrebbero poi considerati il sub-continente Indiano (India, Bangladesh, Bhutan, Maldive, Nepal, Pakistan e Sri Lanka) e il sud est asiatico (Myanmar/Birmania, Laos, Cambogia, Tailandia, Vietnam e Malesia). Naturalmente, come è noto le terminologie che usiamo sono nate in un contesto squisitamente euro-centrico, nel quale la minore o maggiore distanza geografica dal Mediterraneo erano gli elementi significativamente più caratterizzanti. Come è noto, le denominazioni, poi, cambiano di epoca in epoca e non è escluso che quello che ho appena cercato di definire potrà essere, successivamente e in maniera diversa, declinato a seconda di eventuali nuovi equilibri geo-politici sempre in divenire.
[4] La dinastia è a noi nota soprattutto per la sconfitta e morte del console romano Crasso nella famosa battaglia di Carrhae (l’odierna Ḥarrān in Turchia) nel 53 a.C.
[5] Questa dinastia è altrettanto a noi nota per la sonora sconfitta dell’imperatore Valeriano nel 260 d.C. ad Edessa (Siria), l’unico imperatore romano morto in cattività nell’Iran Sasanide.
[6] L’Iran Safavide chiamato anche impero Safavide, fu uno dei più grandi e longevi imperi dopo la conquista musulmana nel VII secolo. Questo impero è stato governato dalla dinastia Safavide, originari dell’Azerbaigian iraniano dal 1501 al 1736; è spesso considerato il punto d’inizio dell’età moderna dell’Iran.
[7] Il lago d’Aral era un lago salato di origine oceanica, situato alla frontiera tra l’Uzbekistan (nel territorio della repubblica autonoma del Karakalpakstan) e il Kazakhistan. Dal 1986 il processo di ritiro delle acque causato dallo sfruttamento delle risorse idriche dei due immissari principali l’Amudarya e il Syrdarya per la produzione intensiva di cotone (a partire dagli anni cinquanta), ne ha causato prima la separazione in un bacino più piccolo a nord e uno di maggiore estensione a sud e infine il suo quasi totale esaurimento. A questo proposito è bene consultare il recentissimo volume di Riccardo Mario Cucciolla (2024) che mette in risalto il particolare rapporto tra coltivazione del cotone e imperialismo sovietico.
[8] Lo storico Tito Livio (Livio Ab Urbe condita, 1, 10,11), Flavio Eutropio (Eutropio Breviarium ab Urbe condita, 1, 2) e Plutarco parla della fondazione di Roma (Plutarco Vita Romuli, 14, 1). Nei fasti triumphales si trova un elenco annuale dei trionfi effettuati dai magistrati nell’antica Roma; pubblicati nel 12 a.C., ci sono l’elenco dei generali vittoriosi dalla fondazione di Roma fino al principato di Augusto. Essi sono conservati in una più ampia iscrizione presso i Musei Capitolini a Roma.
[9] L’iscrizione di Bisotun (noto anche come Bisitun o Bisutun o Behistun; in persiano antico Bagāstana, che significa “luogo degli dèi”) sul Monte Behistun nella provincia iraniana di Kermanshah, nello shahrestan di Harsin è un’iscrizione trilingue, tra le più importanti iscrizioni di tutto il Vicino oriente antico. L’iscrizione, risale agli anni fra il 520 e il 518 a.C. durante il regno di Dario I, è composto da tre versioni dello stesso testo, scritto in caratteri cuneiformi in antico persiano, elamico, e babilonese (forma evoluta dell’accadico). Un ufficiale della Bristish Army, Sir H.C. Rawlinson, li trascrisse in due parti, nel 1835 e nel 1844 (1846-51; 1848). Egli riuscì poi a tradurre il testo in antico persiano nel 1838, mentre le versioni elamica e babilonese vennero tradotte da Rawlinson ed altri dopo il 1844. Quest’iscrizione furono per la scrittura cuneiforme quello che fu la stele di Rosetta per i geroglifici egiziani: il documento cruciale per decifrare un sistema di scrittura che si credeva perduto.
[10] Yaz I e II (la datazione comunemente accettata di questi orizzonti sono per Yaz 1 (c. 1500/1400 – 1000 a.C.); Yaz 2 (1100-700 o 1000-540 a.C.); Yaz 3, (700-400 a.C., o seconda metà del VI e del IV a.C. (c. 540-329 a.C.).
[11] L’Impero seleucide è stato un regno del periodo ellenistico fondato sui territori di Mesopotamia, Siria, Persia e Asia Minore, governato dai sovrani di una dinastia iniziata con Seleuco I, uno dei generali di Alessandro, dopo la disgregazione del suo impero e conclusosi definitivamente nel 64 a.C. con la conquista romana ad opera di Gneo Pompeo Magno e la creazione della provincia romana di Siria.
[12] Un tepe, tepa, tappeh o tell o tel, tall, è un tipo di sito archeologico, risultato dell’accumulo e della conseguente erosione di materiali depositati dall’occupazione umana in lunghi periodi di tempo. Solitamente un tepe è formato per la maggior parte di mattoni in terra cruda o di altre strutture architettoniche contenenti una grande percentuale di pietre o limo. Questa tipologia è diffusa in un’area che va dalla valle dell’Indo (a est) alla penisola balcanica (a ovest).
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Per chi volesse, poi approfondire le informazioni sugli scavi di Kojtepa
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Abdullaev, K., B. Genito, B. (2012) Trial Trenches at Koj Tepa, Samarkand Area (Sogdiana), (Fourth lnterim Report 2012), Genito, B. (ed.) Newsletter di Archeologia (CISA), Vol. 3, 9-85. Napoli.
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Volumi Monografici su Kojtep
Abdullaev, K., B. Genito (eds.) (2014)) The Archaeological Project in the Samarkand Area (Sogdiana): Excavations at Kojtepa (2008-2012). Samarkand-Napoli.
Genito, B., M. Pardaev (eds.) (2020) The Archaeological Project in the Samarkand Area (Sogdiana): Excavations at Kojtepa (2013-2015), II. Samarkand-Napoli-Rome.
Genito, B., M. Pardaev (eds.) (in corso di stampa) The Archaeological Project in the Samarkand Area (Sogdiana): Excavations at Kojtepa (2018-2019), III. Samarkand-Napoli-Rome.
Fonti Storiche
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Strabone, Geografica, XI, 11, 4
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Bruno Genito, Professore Ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte Iranica e dell’Asia Centrale, presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” (UNO) dal 2005, ha diretto la Missione Archeologica Italiana in Iran, dell’Azerbaigian dal 2016-2022, dell’Uzbekistan dal 2008 dell’UNO in collaborazione con il Ministero Italiano degli Affari Esteri, l’Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze dell’Azerbaigian, Baku, l’Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze dell’Uzbekistan, Samarkanda, l’Ente Iraniano per la Cultura, l’Artigianato e il Turismo e l’ISMEO; è stato vicedirettore della Missione Archeologica Italiana nel Turkmenistan (1989-1994), dell’UNO in collaborazione con il Ministero Italiano degli Affari Esteri, l’Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica, e l’Università di Stato di Ashabad e l’IsMEO/IsIAO, nonché direttore della Missione Archeologica Italiana in Ungheria (1983-1997) (UNO), in collaborazione con il CNR, IsMEO/IsIAO, il Ministero Italiano degli Affari Esteri, l’Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze d’Ungheria, Budapest, l’IsMEO/IsIAO. Responsabile di numerosi progetti scientifici, è membro di diverse Società e di comitati scientifici di riviste nazionali e internazionali.
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