La bella iniziativa editoriale di cui si è fatta portatrice Ilaria Giovinazzo curatrice e traduttrice dei versi di Lalla, mistica indiana del XIII secolo, usciti in Italia con il titolo Pura luce, ci permette di riflettere sul tema de “i maestri”. Sono ancora possibili nell’epoca moderna? In quali forme? Per quale platea? Giovinazzo ha dato il suo piccolo/grande contributo facendoci toccare con mano come il tempo non conta quasi nulla quando si tratta di rimettere al centro spunti spirituali di grande respiro, anche, e soprattutto, in versioni popolari e aperte, ma che ormai questa dialettica, questo confronto deve necessariamente assumere un profilo mondiale. Occorre immaginare nuovi canali di comunicazione e nuove forme che dopo la falsa vetrina di internet ci sappia davvero portare in una dimensione, verrebbe da dire in una koiné, davvero senza confini.
Il tema de “I maestri” quasi si impone nella società occidentale. Innanzitutto perché, avendoli costretti a smobilitare, oggi se ne sente la mancanza. Una mancanza quasi doppia se consideriamo il clima da “smarrimento strutturale” vissuto dalle persone e dalle comunità. La quasi totale cancellazione dei maestri dall’orizzonte sociale non solo ha portato a uno strappo, propinandoci dei surrogati devastanti, ma, a pensarci bene, a farne le spese è stata la stessa parola. Qui la devastazione è avvenuta a vari livelli: nel progressivo eclissamento del senso, e quindi delle sfumature, utili a “nominare i mondi”: pensiamo ad esempio ai danni che la fine dell’educazione sentimentale sta procurando alle giovani generazioni. Ma soprattutto, il “maestro che non può parlare”, il “maestro muto” ha finito per preparare le condizioni per il deterioramento dello “statuto di verità”. La verità non è più un processo di crescita collettiva attraverso una elaborazione lenta e stratifica tra coscienza generale e collocazione individuale, ma una imposizione violenta, forzata, della deliberazione del potere. Qui la parola potere non è intesa a mo’ di dietrologia, ma in chiave del potere materiale. Ovvero, parla solo “chi può parlare”.
Nelle riflessioni che Giovinazzo fa in questa intervista c’è un altro elemento che indica un punto di crisi forte della società occidentale: il ruolo e il valore del soggetto, e dell’individuo. Dopo tanto soffrire e sostenere, e investire e valorizzare, il mondo occidentale si ritrova una pratica della libertà del singolo che non ha eguali nella galleria delle nefandezze storiche, e mostra delle vere e proprie ferite. Il limite tra libertà individuale e dimensione collettiva, innanzitutto, e poi, ancora; cosa ci fa l’individuo della sua libertà se non sa come utilizzarla visto che non ha le basi per “essere libero da se stesso”?
Una proposta, la tua, che è consona con il tuo percorso complessivo ma che ripropone il legame stretto tra misticismo, parola, poesia.
Io partirei sicuramente dalla genesi del libro. Tutto è iniziato nel periodo universitario. E questo perché la filosofia orientale è sempre stata uno dei miei grandi interessi, credo, addirittura dai tempi del liceo. Ho percepito sempre una grande attrazione verso queste filosofie. Ho praticato lo yoga, e continuo a farlo, e poi la meditazione e gli studi per approfondire i vari aspetti. Durante l’Università, in un corso tenuto dal professor Raffaele Torella, rimasi letteralmente folgorata da alcuni passaggi sullo shivaismo kashmiro e sul tantrismo. Alla fine non diedi l’esame perché passai da Lingue Orientali ad Antropologia, però quella suggestione mi rimase tutta. E mi rimase tutto il bagaglio che Torella mi trasmise. Iniziai a documentarmi meglio sul tantrismo e mi resi conto che a parte i testi strettamente accademici la maggior parte del materiale di tipo divulgativo che trattava l’argomento era essenzialmente legato alle pratiche sessuali. Insomma, una visione un po’ ristretta rispetto a una filosofia di grande respiro e di immensa intuizione.
Lalla l’ho trovata in uno dei tanti libri che lessi in quel periodo. Era un saggio del professore tedesco Georg Feuerstein, indologo, che aveva inserito alcuni versi di Lalla nel suo saggio sul Tantra. Diciamo che fu una specie di amore a prima vista, soprattutto perché poi, appunto, leggendo di lei, cercando di lei… quelle poche cose che si trovavano all’epoca, mi appassionai a questa figura di donna eccezionale. Ricordo che trovai qualcosa in italiano soltanto sul sito di Gianfranco Bertagni, anche lui uno studioso di Oriente. Sul suo sito ho trovato tante notizie e indicazioni utili, ma dei testi c’era ben poco. Quando poi pubblicai la mia terza raccolta di poesie La religione della bellezza inserii un verso di Lalla in esergo. Lalla quindi continuava a rimanere dentro di me, “si muoveva”. Poi nell’estate del 2024, dopo essermi quasi miracolosamente imbattuta in una ristampa del vecchio testo di Lord Grierson mi misi a fare ricerche su internet. Alla fine sono riuscita a raggruppare tutta una serie di libri e di traduzioni sia dal Kashmiri che dal Sanscrito. Alcune traduzioni che ho incontrato in inglese erano infatti direttamente dal Kashmiri originario. Quelle sono state il mio punto di riferimento anche perché le traduzioni francesi e spagnole che ho trovato non mi hanno fatto impazzire in quanto ad aderenza filologica. Per arrivare alla traduzione italiana ho confrontato più traduzioni prima di arrivare a quella definitiva. Ho fatto un lavoro di comparazione notevole. Per quanto riguarda la vita di Lalla invece tutto quello che sappiamo sui lei c’è stato riportato da storici iraniani del 1500/1700.
Veniamo al tema dei maestri, al ruolo che hanno svolto nella storia dell’umanità e che potrebbero continuare a svolgere.
La tua domanda ha diverse sfaccettature e solleva diverse aree tematiche. Sicuramente Lalla la possiamo inquadrare in un discorso di misticismo, che resta sempre un po’ fuori dalla religione ufficiale. Esattamente come San Francesco, che rischiò di essere condannato come eretico. I mistici non si accontentano di qualcuno che parla di Dio a loro ma cercano il contatto diretto col divino. In tutte le culture il mistico è l’evoluzione dello sciamano, colui che comunica con gli dèi. Lalla è oltretutto una donna e arriva a fare questa scelta estrema, come molti altri rinuncianti, che prima del tempo rinunciavano alla vita di famiglia e si andavano a rifugiare nel bosco in solitudine. Nella società indiana, va detto che ci sono varie fasi di vita. A volte i rinuncianti abbandonano la vita sociale prima del tempo. Ogni fase di vita viene vissuta pienamente secondo il dharma, cioè le “il giusto modo” che quella fase prevede. Il Kamasutra ad esempio è stato scritto da un monaco perché anche il sesso fa parte dell’arte di vivere. La stessa cosa nei Veda, per la parte dedicata alla salute (ayurveda) e un’altra dedicata al denaro e agli affari.
Lalla come tutte le donne indiane viene data in sposa a dodici anni, così si ipotizza. Inizia a subire tutta una serie di angherie dal marito e dalla suocera. E ad un certo punto, esausta, va via di casa. Per la donna seguire un percorso spirituale restando in famiglia non era possibile, sulla donna ricadevano la maggior parte delle mansioni domestiche e familiari, e quindi l’unica scelta era quella radicale: andar via dalla famiglia. Al contrario per un uomo la conciliazione tra vita religiosa e famigliare era possibile, anche nello shivaismo kashmiro, a cui la stessa Lalla si richiamava, i maggiori studiosi e mistici kashmiri erano regolarmente sposati e avevano una famiglia. In un libro, Donne di Saggezza, della monaca buddhista Tsultrim Allione sono state raccolte le storie di alcune yogini buddhiste. E la cosa singolare è notare come molte storie di donne convergano in più punti.
I cento versetti di Lalla sono diventati cultura popolare. Quindi Lalla è diventata un punto di riferimento per la gente comune, che la venera come una santa.
All’epoca tutti i testi sacri e filosofici venivano scritti in Sanscrito. Lalla invece fa un’operazione straordinaria, e cioè trasmettere contenuti religiosi e mistici in kashmiri, che possiamo considerare l’equivalente del nostro volgare, esattamente la stessa cosa che fece San Francesco usando il volgare dell’epoca per le sue preghiere. Il professor Ranjit Hoskote, uno dei maggiori studiosi e traduttori di Lalla, ha analizzato i versi e si è resto conto della presenza del Sanscrito ma allo stesso tempo si è reso conto della presenza dei termini persiani, legati al fatto che gli insegnamenti di Lalla sono stati riportati, come detto, da intellettuali persiani. L’ipotesi è anche che Lalla sia entrata in contatto con il sufismo, e che i suoi insegnamenti siano stati assimilati e influenzati dai sufi.
San Francesco, Lalla… si riaffaccia, guarda caso, il tema del sincretismo religioso.
Nessuna religione è a tenuta stagna. Nessuna religione nasce dal nulla. L’Islam nasce dal Cristianesimo: nel Corano si parla con rispetto di Maria e di Gesù. Lo Shivaismo Kashmiro nasce dal sincretismo tra l’Induismo, il Buddhismo, e il Sufismo. È difficile distinguere una cosa dall’altra. E poi ci sono le identità regionali che influiscono. Il Buddhismo tibetano è molto diverso dal buddhismo Tailandese, a sua volta diverso dal C’Han cinese e dal buddhismo Zen che ad esempio ha sfumature shintoiste.
Un altro legame di cui tener conto è quello tra religione e poesia.
I versetti di Lalla sono quasi tutti delle quartine in cui c’è la rima alternata e una serie di accenti che creano un ritmo ben preciso. Quello che ho cercato di fare nella traduzione è stato cercare di trasmettere quella immediatezza delle immagini che chiunque poteva afferrare. È il senso del lavoro fatto da Hoskote, differentemente da Grierson, che tendeva a spiegare i versi. Io ho cercato di fare un lavoro di mediazione. Quello che ho provato a fare è stato anche tentare di attualizzare un pensiero del XIII secolo in modo che possa parlarci oggi. Torna il tema del ruolo della persona di fronte alla realtà che tocca con mano la frattura. E da qui la ricerca di un rapporto diretto con dio.
C’è un concetto importante nella filosofia indiana, il Velo di Maya, che non ci permette di vedere la realtà com’è davvero. Finché siamo sotto quel velo non riusciamo a comprendere la vera natura delle cose. In un versetto Lalla dice: «… Non esiste nessun tu e nessun io, nessun oggetto da contemplare C’è solo dio. I ciechi non lo vedono. Quando lo vedranno tutto sarà assorbito dalla sua luce». C’è una riflessione a tutto tondo sulla natura delle cose e su come arrivare all’illuminazione.

Altorilievo di Bhairava, Karnataka, India, XIII secolo, attualmente presso il Museo Guimet, Parigi. Bhairava (lett.: “Il Tremendo”) è ipostasi di Śiva
Shivaismo religione non duale. Cosa vuol dire letto con gli occhi di oggi?
Noi in Occidente abbiamo un grosso problema di Ego e anche un grosso problema legato all’Io, anche se questo è un problema minore. In India si riflette molto sulla falsa separazione tra gli uomini a causa dell’Ego. E quindi molti dei pensieri religiosi tendono all’annullamento dell’Ego. L’Io invece non è una cosa da distruggere, ma da trascendere. Nel momento in cui sei consapevole di te stesso devi fare un salto. È questa la strada verso l’illuminazione. E capire che sei più dell’Io. Lo Shivaismo Kashmiro non è l’unica filosofia non duale. Di solito noi consideriamo un creatore maschio che dà luogo al mondo e quindi si arriva a due entità separate. Nella visione dello Shivaismo la realtà divina fa parte della natura, ne è emanazione e ne è compenetrata. La natura è il gioco che Dio fa per imparare ad amare se stesso. Questo il verso di Lalla: «Sono uscita cercando la mia anima alla luce della luna./Cercandola, ho scoperto che la luce va in cerca della luce./Tu sei Tutto. Tutto è Narayana! Tutto è Narayana!/Signore, che senso hanno dunque tutte le tue maschere?».
Quali feedback hai raccolto nel corso delle tue presentazioni?
Se tu prendi il Tantraloka, che è il testo fondante dello Shivaismo Kashmiro, non lo apri nemmeno per la sua complessità. Lalla ha portato quella ricchezza alle persone semplici. Durante la presentazione mi hanno detto: «Hai fatto una cosa pazzesca. Con questa traduzione si capisce tutto. È tutto chiarissimo». Del resto Lalla stessa nei suoi versi parlava attraverso esempi tratti dal quotidiano. E questo le consentiva di essere compresa anche dalle persone più semplici. A questo dobbiamo l’ampia e pervasiva diffusione dei suoi versi. Credo che il significato dei suoi insegnamenti sia fondamentalmente che ognuno di noi può raggiungere la saggezza partendo dall’esperienza. Inizialmente Lalla non disdegna la figura del guru, del Maestro, che in India è fondamentale per chiunque percorra un sentiero spirituale. Il valore di un Maestro sta nell’aprirci gli occhi e renderci consapevoli di qualcosa che all’inizio non vediamo. Dopotutto insegnare significa trasmettere la propria esperienza e il proprio sapere in maniera semplice e adeguata a chi abbiamo di fronte. In Occidente la figura del maestro spirituale si è persa, come si è perso il senso di una spiritualità viva e ancorata al quotidiano. Non dimenticherò mai quando a Bali vidi, davanti alle case, dei piccoli contenitori di foglia di palma con dentro fiori, semi e dolcetti. Venivano messi ogni giorno come offerta all’Universo e come ringraziamento per i suoi doni. Ecco cosa abbiamo perso. Nessuno più qui da noi ringrazia per quello che ha, nessuno si alza la mattina per salutare il sole che sorge, senza il quale ogni cosa perirebbe; pochi ringraziano l’Universo prima di un pasto, ringraziando per il cibo che abbiamo sul tavolo. Abbiamo perso questo tipo di connessione con l’Universo, con la Terra, con lo Spirito. La società moderna è intrisa di materialismo. E l’Ego impera.
Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025
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Fabio Sebastiani, giornalista e poeta, è laureato in Filosofia nel 1988 con una tesi sulle lingue artificiali. Dal ’95 e fino al 2012 fa parte della redazione di Liberazione occupandosi del settore sindacale. Ha al suo attivo diverse iniziative giornalistiche come la creazione e la conduzione di alcune web radio come Radio Rete Edicole, Radio Iafue, Radio Mir e Radio Anmil Network. Come poeta ha pubblicato un libro di aforismi e una raccolta di poesie dal titolo Molecole semplici per rivoluzioni complesse. Ha curato insieme ad altri due poeti due poemi collettivi, Gabbia no e Amicizia Virale.
Ilaria Giovinazzo, laureata in Lettere, indirizzo antropologico con tesi in Storia delle Religioni, arteterapeuta plastico figurativa e docente di Lettere e Storia dell’arte nelle scuole superiori, ha pubblicato diversi romanzi e raccolte poetiche. Ha tradotto dall’inglese le poesie della mistica kashmira Lal Ded nel volume Pura Luce. Canti mistici del tantrismo kashmiro” (Jouvence 2024). Sue poesie sono state pubblicate su antologie, riviste specializzate e blog letterari. Ha ricevuto premi, segnalazioni e menzioni d’onore in diversi concorsi, tra cui il Premio Internazionale di poesia inedita Ossi di seppia, il Premio L’Arte in versi e il Premio Lorenzo Montano. Sue poesie sono state tradotte in inglese, spagnolo, serbo croato, arabo e bengali. Vive e lavora tra le colline sabine.
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