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di Lorenzo Ingrasciotta
L’aeroporto militare di Castelvetrano, per noi il “Campo di Aviazione”, fu costruito al limite ovest della città durante gli anni ’30. Ingegneri asserviti al comando fascista ne intuirono l’importanza strategica per la realizzazione di una postazione militare, atta al controllo aereo del Mediterraneo. Centodieci ettari, a quattro chilometri dal centro della cittadina, una pista di atterraggio di poco meno di un Km, base capace di ospitare oltre settanta velivoli durante la Seconda guerra mondiale.
Così Castelvetrano ebbe il suo momento di gloria. Fu sito cruciale nella dura battaglia che si svolse fra 1942 e il ’43 nell’area Mediterranea. Uno dei gloriosi episodi viene ricordato per avere sventato un attacco da parte degli inglesi, costretti alla ritirata, dopo che la nostra contraerea aveva abbattuto un loro aereo.
Ma fu anche oggetto di una grave perdita di uomini con la distruzione di trenta dei settantacinque S.M. 79, da poco concentrati all’aeroporto per una missione straordinaria, a causa di una spedizione a sorpresa ancora una volta della” Royal Air Force”.
Una storia, quella dell’aeroporto castelvetranese, con tanti episodi e tanti eroi come il marconista Mario Mancusi, aggregato provvisoriamente alla 53a squadriglia bombardieri tattica dislocata all’aeroporto di Castelvetrano, uno dei protagonisti del durissimo combattimento aereo navale che si consumò la notte tra il 14 e il 15 giugno, sul cielo di Pantelleria. Tornato indenne, ricevette, presso il Comando Militare insediato all’interno del palazzo Pignatelli, anche una Croce al valore militare.
Rinunciò alla licenza matrimoniale, nozze che si sarebbero celebrate il 27 ottobre 1942, per far parte della spedizione che avrebbe bombardato Malta. Pur avendo portato a termine con successo la missione contro gli inglesi, il marconista Mancusi Mario perse la vita con tutto l’equipaggio del suo aereo, il 18 ottobre di quell’anno per un incidente contro un altro aereo decollato dall’appena bombardato aeroporto di Mikabba. Le sue povere spoglie furono seppellite il 21 nel cimitero di Castelvetrano.
Ma la storia che io non ho mai dimenticato mi è stata raccontata da mio padre. L’importanza che ho affidato a questo episodio la debbo al fatto che mi ha rivelato un suo lato oscuro. L’uomo che non mi ha mai detto no. L’uomo che mi ha dato sempre più fiducia di tutti. Che, prima di tanti altri, ha riconosciuto le mie capacità e le mie potenzialità. È stato l’uomo che mi ha insegnato a non aver paura di niente, l’uomo che aveva paura di tutto, ma che non avevo visto piangere mai!
Vittorio, classe 1920 o giù di li; un ragazzo poco più grande di papà, militare a Castelvetrano durante la seconda guerra mondiale, pilota di un trimotore, bombardiere italiano contro il nemico inglese. Partiva tutti i giorni dal Campo d’aviazione, verso il mare in direzione dell’Africa, quando il sole, sulla Terra, era appena tramontato, ma lassù, oltre le nuvole, era ancora pieno giorno. Sganciava il suo carico di morte sulle navi nemiche, ormeggiate nel porto di Malta, e ritornava in Sicilia prima che fosse notte fonda.
Papà, allora dodicenne, aveva conosciuto Vittorio perché ogni giorno portava ai militari del Campo il pane che nonno Lorenzo sfornava la mattina.
Diceva quanto ci si sentisse potenti quando si vola così in alto e quanto ci si sentisse piccoli di fronte all’immensità del mare, quando sotto di te c’è solamente acqua e sopra solo cielo.
«La terra da lassù mi sembra una parentesi tra una partenza e l’altra, quasi una inutile perdita di tempo. Da lassù c’è un’altra vista del mondo, un altro panorama della vita. Io e il mio aeroplano, una macchina sola, cinque quintali di pura bellezza. Un angelo nel cielo, veloce come un lampo e improvviso come una faina. Non saremo invecchiati mai».
Invece lui, poco più che bambino, a bocca aperta e naso in su segnava a dito ogni aereo di passaggio, alto nel cielo di una Castelvetrano ancora in bianco e nero, immaginando il suo “Amico” da solo al comando del prestigioso velivolo.
Quasi sempre lo trovava seduto a terra, da solo, all’ombra risicata del suo bolide volante, un SM 79. Gioiello della Regia Aeronautica Italiana. Il bombardiere più veloce dell’epoca. Tre Motori Alfa Romeo che viaggiava alla velocità di 140Km/h.
Vittorio, lombardo o veneto che fosse, comunque “polentone”, si fermava a parlare con papà e qualche suo amico per il tempo che richiedeva il ritorno puntuale al forno di nonno Lorenzo. Scriveva alla sua morosa, oppure alla sua famiglia. Oppure, stava immobile ad aspettare le nuvole che gli passavano sopra il capo con quei suoi grandi occhi chiari. Sembrava che le conoscesse una per una, a giudicare dal giocondo sorriso sul suo giovane viso rivolto al limpido cielo di Sicilia! Era come se in quell’aeroporto non conoscesse nessuno!
- Francesco ma tu ci vai a scuola?
- Ora no, ho fatto la quinta e lavoro con mio padre.
- Ce l’hai la fidanzata?
- No, debbo lavorare! Ma ho tre amici.
- Perché non me li fai conoscere? Portali domani e vi farò salire sul mio aereo, il più veloce bombardiere di tutto il Mediterraneo!
- Miii! ci fai volare?
- No, non posso! Vi ci farò salire. Da fermo.
Non c’era soddisfazione maggiore, quando ancora i ragazzini della loro età davano del voi al proprio padre, che dare del tu ad uno più grande e che, non era cosa da poco, indossasse la divisa da ufficiale dell’aviazione militare italiana e che “facesse” la guerra!
Il giorno che papà si sentì il ragazzino più importante di Castelvetrano fu quando Vittorio gli disse che, quel pomeriggio, alle diciannove e quindici, sarebbe decollato per raggiungere le coste dell’isola di Malta e che se lui e i suoi tre amici avessero puntato il naso verso il cielo a quell’ora, lui avrebbe descritto un cerchio nell’aria col suo bombardiere, Savoia Marchetti 79, e che sarebbe stato il suo affettuoso omaggio per i suoi piccoli amici.
- Io sarò di ritorno alle ventitré, ma domani mattina, – precisò serenamente Vittorio rivolgendosi personalmente a mio padre – quando porterai il pane, voglio sapere se eravate lì, puntuali, a darmi il vostro prezioso saluto.
Papà e i suoi amici tornarono a casa molto dopo l’orario loro concesso. Mentre mio padre si accingeva a concludere il suo racconto, le parole gli si strozzarono in gola: «Fra gli altri aerei che punteggiavano il cielo nero di mezzanotte doveva esserci il mio amico Vittorio…ma quando l’indomani consegnai il pane, ancora caldo, al Campo d’Aviazione … non trovai più Vittorio e nemmeno il suo aereo».
Mai più nulla si seppe di Vittorio. Io non riuscii a trattenere le lacrime di impertinente adolescente, quando mi accorsi, per la prima volta, che anche mio padre stava piangendo.
Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo 2021
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Lorenzo Ingrasciotta, originario di Castelvetrano, inizia a fotografare con una reflex, a Palermo, appena iscritto all’Università. Appassionato di viaggi, fa il primo reportage in Thailandia; una delle foto parteciperà ad un concorso fotografico e vince il primo premio. Ha realizzato servizi pubblicitari ed è stato premiato con menzione al secondo concorso nazionale indetto dall’AGFA. Sue foto sono pubblicate su quotidiani e riviste.
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