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Maschilità e cultura cattolica

jesus_2167395di Augusto Cavadi 

Nel linguaggio abituale usiamo come sinonimi termini che, invece, significano ‘cose’ diverse. Ormai gli studi biblici consentono di distinguere abbastanza chiaramente il kerigma (o “annunzio”) originario gesuano, sia pur filtrato dalle comunità del primo secolo; il cristianesimo come l’insieme delle molteplici interpretazioni e istituzionalizzazioni del “buon-annunzio” (“vangelo”) originario; il cattolicesimo come una di queste versioni ‘confessionali’ del cristianesimo (accanto a molte altre tradizioni ecclesiali, dalla costellazione delle Chiese ortodosse ‘orientali’ all’ancor più variegata galassia delle Chiese ‘riformate’ o ‘protestanti’). 

Un’agenzia educativa in affanno, ma non fuori gioco 

Se limitiamo il campo d’osservazione al cattolicesimo, e al cattolicesimo nell’area nord-occidentale del pianeta, non possiamo negare che esso patisca una forte crisi di consenso: le chiese si svuotano, gli ordini religiosi anche più antichi stentano ad attrarre nuove ‘vocazioni’, i movimenti e le associazioni registrano continui cali di adesioni [1]. Come accade alle stelle, però, c’è uno sfasamento temporale fra la dissoluzione intrinseca della Chiesa cattolica e la sua immagine pubblica: la decrescita statistica di cittadini/e che si dichiarano credenti e praticanti in senso confessionale non ha comportato una tempestiva e proporzionale diminuzione della sua influenza culturale nella società. Ciò per varie ragioni, tra cui l’utilizzazione selettiva e ideologica del discorso cattolico. Esemplare il caso dell’attuale pontificato. È rarissimo incontrare una persona che si riconosca integralmente nel magistero di Francesco: ma ciò non toglie che alcuni ambienti ‘progressisti’ si appellino a certe tematiche a lui care (la sensibilità per le sofferenze degli ‘impoveriti’ della Terra, la preoccupazione per l’equilibrio ecologico o il netto rifiuto della guerra come metodo di risoluzione dei conflitti); ed altri ambienti ‘conservatori’ si aggancino agli elementi devozionali che non mancano nella predicazione di questo papa (come ad esempio il culto di Maria e dei santi), sino al punto da sventolare crocifissi, madonne e rosari come esca elettorale.

1Se questo quadro è, sostanzialmente, realistico; se sono più numerose di quanto si possa supporre le persone che, pur dichiarandosi a vario titolo “non cattoliche”, restano tuttora segnate da anni di pedagogia cattolica, per aspetti che potrebbero valutarsi sia positivamente (ad esempio la critica all’individualismo carrieristico) sia negativamente (ad esempio la tendenziale indifferenza nei confronti degli esseri viventi e senzienti diversi dagli umani); allora esaminare il modello cattolico della “maschilità”, misurarne la pervasività nel tessuto sociale e interrogarsi criticamente su di esso, potrebbe non risultare ozioso.

Non è per nulla strano che, anche in ambito teologico, sia successo ciò che è avvenuto in tutti gli altri campi in cui si è cominciato a riflettere sull’essere ‘maschio’: lo spunto, l’avvio, è partito dallo sguardo femminile (e femminista). Si è trattato di uno sguardo plurimo, di punti di osservazione critica molteplici: dalla sociologia delle comunità religiose all’esegesi biblica, dalla storia della mistica alla liturgia sacramentaria, dalla morale matrimoniale alla teologia in senso primario (intendo: il modo di pensare il divino). A partire proprio da questo punto centrale e fondante (il “genere” di Dio), provo – sia pur sommariamente – ad esporre, in sequenza centrifuga, quali capisaldi della dottrina cattolica (in molti casi non solo cattolica) hanno contribuito alla costruzione di una visione del “maschio”, dei suoi diritti e dei suoi compiti, delle sue virtù e dei suoi difetti. 

a) Se Dio è maschio, il maschio si ritiene Dio

Il cattolicesimo è un ramo del cristianesimo che, a sua volta, è una delle ramificazioni dal tronco del monoteismo. Esso pertanto condivide non solo con le altre Chiese cristiane, ma anche con le altre due grandi religioni monoteistiche (ebraismo e islamismo), la concezione di Dio come un Padre eterno, onnipotente e onnisciente: 

 «Partendo dalla nostra eredità culturale possiamo affermare che Dio, per quanto non abbia sesso, ha però da migliaia di anni un genere: il genere maschile. Sappiamo che il sesso è una caratteristica biologica e il genere una costruzione culturale. Per questo, sebbene in Dio sia presente tanto il femminile quanto il maschile come espressioni della Vita, nella cultura ebraico-cristiana (…) come pure nell’islam, Dio ha un genere e questo genere è quello maschile. Ciò significa che Dio è immaginato, pensato, concepito, pregato, cantato, lodato o rifiutato…come un maschio. Come non pensare allora che questa millenaria identificazione culturale di Dio con la maschilità non abbia conseguenze sulla società umana?» [2]. 

Come mi è capitato di scrivere altrove, 

«è un caso che, in queste stesse religioni, il ruolo della donna sia nettamente inferiore ai ruoli riservati ai maschi? O non è evidente che il sistema patriarcale vigente in terra sia stato, per così dire, proiettato in cielo e che, a sua volta, il patriarcato celeste sia servito come legittimazione ideologica del patriarcato terrestre ?» [3]. 

Da qui l’avvertenza rilanciata anche dalla ministra protestante Judith van Osdol: 

«Le Chiese che immaginano o rappresentano Dio come un maschio devono farsi carico di questa immagine come un’eresia. Poiché là dove Dio è maschio, il maschio è Dio» [4]. 

3b)  Dio si è fatto maschio 

Il monoteismo cristiano ha assunto, dal IV secolo in poi, una configurazione trinitaria: l’Unico Dio sarebbe non solo Padre, ma anche Figlio e Spirito santo. Per esigenze di chiarezza espositiva non affronto la questione sul perché la Terza Persona divina – che in base a testi biblici si sarebbe potuta denominare al femminile: Ruah, Sapienza, Sofia… [5] – sia stata designata con termini ‘neutri’ (Pneuma) o maschili (Spiritus) e mi concentro sul tema dell’incarnazione del Verbo in un maschio: Gesù di Nazareth. Per la riflessione teologica maggioritaria nei primi venti secoli, la Parola di Dio si sarebbe potuta incarnare in una donna con le stesse (im)probabilità con cui si sarebbe potuta incarnare in un asino o in una zucca. Quanto ciò significhi nell’auto-interpretazione maschile è facile immaginarlo: egli non ha solo il diritto, ma prima ancora il destino, di perpetuare di generazione in generazione la presenza di Cristo nella storia.

Per la verità, secondo alcune ricostruzioni, Gesù avrebbe attestato una “maschilità esemplare”: junghianamente, avrebbe accettato il femminile in lui e, proprio per questo, non avrebbe mostrato nessuna ostilità verso il femminile fuori di sé  [6]. I suoi immediati discepoli avrebbero condiviso l’idea scandalosa di comunità inclusive in cui “non c’è più maschio e femmina, poiché siete uno in Cristo” (Galati 3, 28) e contrastato l’androcentrismo dominante nel mondo greco e romano. Forse le resistenze a questa rivoluzione culturale tentata da Gesù sono state, storicamente, da parte dei contemporanei, più dure di quanto Wolff non evidenzi. Tuttavia non c’è dubbio che ben presto, ad opera di Paolo e di ambienti a lui vicini, 

«sarà la linea patriarcale, e non quella egalitaria – la più antica e originaria che può richiamarsi alla prassi di Gesù e del primo movimento missionario – ad affermarsi e ad avere successo» [7]. 

5c)  Solo i maschi possono agire in persona Christi

Che questi presupposti biblico-teologici non siano privi di conseguenze pratiche e quotidiane lo si può constatare già all’interno della Chiesa cattolica. I ministeri ordinati (nel lessico extra-ecclesiastico: le funzioni dirigenziali) sono riservati esclusivamente a maschi etero-sessuali: essi solo possono ricevere la consacrazione a diaconi, poi a presbiteri e infine – eventualmente – a vescovi (con la nota preminenza assoluta del vescovo di Roma).

Il Documento ufficiale più recente (che, anche a parere di papa Francesco, mantiene intatta autorità sino ad oggi) è la Lettera apostolica di Giovanni Paolo II Ordinatio sacerdotalis ai vescovi della Chiesa cattolica sull’ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini del 22 maggio 1994 [8]. In esso – dopo aver precisato che attraverso “l’ordinazione sacerdotale” si trasmetterebbe «l’ufficio che Cristo ha affidato ai suoi Apostoli di insegnare, santificare e governare i fedeli» – si afferma che tale consacrazione «è stata nella Chiesa cattolica sin dall’inizio sempre esclusivamente riservata agli uomini». La ragione fondante di tale prassi persistente per due millenni sarebbe «l’esempio, registrato nelle Sacre Scritture, di Cristo che scelse i suoi Apostoli soltanto tra gli uomini». Tale opzione del Maestro sarebbe così vincolante che la Chiesa «non si riconosce l’autorità di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale».  

Il Documento non può negare che – «benché la dottrina circa l’ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini sia conservata dalla costante e universale Tradizione della Chiesa e sia insegnata con fermezza dal Magistero nei documenti più recenti» – «tuttavia nel nostro tempo in diversi luoghi la si ritiene discutibile, o anche si attribuisce alla decisione della Chiesa di non ammettere le donne a tale ordinazione un valore meramente disciplinare». Ma a questo fervore di studi e di iniziative pratiche dalla base del “popolo di Dio” non viene riconosciuta alcuna rilevanza, nonostante la stragrande maggioranza delle altre Chiese cristiane (con l’eccezione delle Chiese ortodosse) abbia ormai maturato la convinzione che Gesù non ha istituito alcun sacramento che imprima, nell’essere del pastore, un “carattere ontologico” (differenziandolo in maniera intima e definitiva dal resto dei fedeli) e che dunque il compito di presidenza/coordinamento/animazione può essere affidato a persone di qualsiasi sesso, genere e orientamento affettivo.

L’impianto patriarcale della Chiesa cattolica comporta delle conseguenze che, se non fossero tragiche, risulterebbero divertenti. Infatti chi sono gli organi istituzionali deputati a tratteggiare (possibilmente aggiornandolo di secolo in secolo) il modello cattolico di donna? Il papa, i suoi dicasteri romani (che corrispondono, grosso modo, ai ministeri di un governo statale), le conferenze episcopali (che, in casi eccezionali, come nei concili ecumenici e nei sinodi mondiali, si riuniscono addirittura a livello planetario): dunque sempre e solo maschi. Secondo una battuta del compianto gesuita Roger Lenaers, è come se a stilare una credibile trattazione sui migliori vini fosse incaricata un’assemblea di astemi [9]. In tono più serioso, la teologa Marinella Peroni si è in anni recenti rivolta così a papa Francesco in quanto esponente del genere maschile: 

«Non parlate delle donne e, tanto meno, della donna, continuando di fatto a parlare di voi. Troppo spesso assistiamo a una sorta di ‘paternalismo femminista’ che è una contraddizione in termini. Date l’esempio al mondo, anche quello che si ritiene ‘civilizzato’ e che invece fa ancora tanta fatica ad accettare che, tra uomo e donna, non c’è uno che è soggetto (anche di parola) e l’altra che è oggetto (anche di parola) , ma che, ormai, la soggettualità non può che essere condivisa. E ognuno parli di sé. Abbiamo gran bisogno di ascoltare uomini che parlino di maschilità. Anche nella Chiesa» [10]. 

d) Il marito è la Testa di ogni famiglia

Il maschilismo androcentrico intra-ecclesiale ha avuto, e in molti ambienti (come nelle formazioni partitiche e nell’associazionismo cattolico di Destra in cui pure si negano principi elementari del cristianesimo evangelico) continua ad avere, delle ricadute significative anche sul piano pedagogico e dell’organizzazione familiare. Un passaggio neotestamentario cruciale è in Efesini 5, 22 – 24: 

«Le donne siano soggette ai loro mariti come al Signore, poiché l’uomo è capo della donna come anche il Cristo è capo della Chiesa, lui il salvatore del corpo. Ora come la Chiesa è soggetta al Cristo, così anche le donne ai loro mariti in tutto». 

Indubbiamente il marito deve svolgere la sua funzione con rispetto e affetto (“Mariti, amate le mogli come il Cristo ha amato la Chiesa e si è offerto per lei”, Efesini 5, 25), ma la differenza di ruoli è netta e immodificabile: esattamente come la differenza fra padri e figli (anche se ai padri si raccomanda: “non esasperate i vostri figli, ma educateli, correggendoli ed esortandoli nel Signore”, Efesini 6,4) e fra padroni e schiavi (anche se si invitano i primi a smettere di “minacciare” i secondi, “consapevoli che nei cieli c’è il loro e il vostro Signore, che non ha preferenze personali”, Efesini 6, 9). 

14L’identikit del maschio cattolico 

A titolo di bilancio, sia pur provvisorio, si potrebbe provare a delineare l’identikit cattolico del maschio ideale? Solo un secolo fa sarebbe stato possibile: certo in linea teorica, di principio, non sulla base dell’osservazione sociologica empirica. Ma oggi la Chiesa cattolica non è più un continente, sostanzialmente compatto, bensì un arcipelago di isole collegate disordinatamente da ponti e traghetti più o meno transitori. In un certo ambiente educativo cattolico si potrebbero riconoscere modelli di maschilità molto differenti da altri ambienti cattolici e, invece, assai simili a modelli di ambienti protestanti o buddhisti o del tutto ‘laici’: il “politeismo dei valori” di weberiana memoria attraversa ormai i cattolicesimi effettivamente configuratisi sparsi sul pianeta non meno dei vari ebraismi o dei vari induismi insediatisi nei diversi contesti socio-culturali. Chi ha superato i settant’anni può testimoniare mutamenti enormi sia diacronici (soprattutto da prima a dopo il Concilio ecumenico Vaticano II degli anni 1962 – 1965) che sincronici (ad esempio fra il cattolicesimo mediterraneo e il cattolicesimo latino-americano).

Con questa avvertenza preliminare si può abbozzare un modello di maschilità basato su testi antichi e moderni che, più o meno persistentemente, hanno contribuito alla formazione della mens cattolica. 

a) L’interlocutore diretto di Dio

Come per ogni cristiano, anche per il cattolico, soprattutto dopo il Concilio ecumenico Vaticano II, la Bibbia esercita una rilevanza fondante: essa, infatti, è considerata la testimonianza privilegiata della rivelazione che Dio fa non solo di sé, ma del suo progetto sul mondo e sull’umanità. Ai bambini che frequentano i corsi catechistici in preparazione alla prima eucarestia o alla cresima, così come agli studenti che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica o ai giovani adulti che si iscrivono ai corsi pre-matrimoniali (tutte categorie statisticamente numerose, nonostante l’abbandono generalizzato della partecipazione alla vita delle parrocchie, soprattutto per attaccamento alle tradizioni familiari e per evitare ogni accenno di emarginazione sociale) viene insegnato che la Bibbia è Parola di Dio rivolta, per la mediazione di esseri umani, all’intera umanità. Ma è davvero così? O dal primo all’ultimo libro di questa Biblioteca l’ipotetica auto-rivelazione di Dio è rivolta a maschi attraverso la mediazione di maschi? Ci sono mille ragioni storiche per spiegare – e in parte giustificare – questa parzialità di prospettiva: ma se non viene riconosciuta e segnalata, essa condiziona l’auto-interpretazione antropologica (di maschi e di femmine) in maniera tanto più pervasiva quanto meno esplicita. L’androcentrismo biblico è insidioso perché, non essendo mai nominato, passa quasi come un orizzonte di senso ovvio: indiscusso perché invisibile.

Che il maschio sia l’interlocutore diretto di Dio – il principale se non l’unico – dal momento che spetta a lui l’onore e l’onere di trasmettere alle donne i messaggi divini, lo si evince da una messe davvero consistente di passi biblici. Si legga, quasi a caso, il libro dei Proverbi (che apre la breve serie dei libri sapienziali) nel Primo Testamento: è interamente ed esclusivamente indirizzato, da un anziano padre, a un giovane rampollo. 

«Figlio mio, non dimenticare il mio insegnamento
e il tuo cuore custodisca i miei precetti» (1,8). 

il-grande-codice-346130Ritornano frequentemente tre consigli: evitare le prostitute (“un uomo che ama la sapienza allieta il padre;/ chi frequenta le prostitute dissipa la ricchezza”, 29, 3); evitare l’adulterio con una donna sposata (la prudenza ti strapperà “dalla donna altrui,/dalla straniera che sa adoperare parole melliflue,/che ha lasciato il compagno della sua giovinezza”, 2, 16 – 17); evitare di sposare una stolta (“Goccia continua il giorno di pioggia/ e donna litigiosa si assomigliano./ Chi vuol calmarla, vuol far tacere il vento/ e raccogliere l’olio con la destra”, 27, 15 – 16) e, dunque, scegliere una moglie assennata (“Una donna efficiente chi la trova?/ È superiore alle perle il suo valore./Confida in lei il cuore di suo marito, /che ne ricaverà sempre un vantaggio./ Gli procura ciò che è bene, non il male,/ per tutti i giorni della sua vita”, 31, 10- 12). Nessuno di questi consigli, in nessun testo biblico, è mai formulato al femminile (ad esempio da una madre a una figlia).

Sia all’interno dei Proverbi che in tutte gli altri libri della Bibbia possono rintracciarsi innumerevoli altre conferme, ma forse la più plateale si ritrova in una delle “dieci parole” che, nella catechesi quotidiana, sono note come i dieci “comandamenti”: 

«Non desidererai la casa del tuo prossimo; non desidererai la moglie del tuo prossimo, il suo servo, la sua serva, il suo bue, il suo asino, e tutto quello che è del tuo prossimo» (Esodo 20, 17). 

Il divieto dell’invidia è rivolto esclusivamente al maschio e riguarda una serie di “proprietà” del prossimo che vanno dalla “casa” all’ “asino”, passando per la “moglie”. Che la Parola di Dio sia rivolta all’uomo in quanto maschio è confermato – se ce ne fosse bisogno – anche nel Secondo Testamento, per esempio là dove in una lettera ufficialmente attribuita a Paolo si legge: 

«Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti» (I Corinti, 14, 34 – 35). 

b) L’interprete di un ruolo prima, e più, che un soggetto emozionabile 

Oltre il messaggio implicito, subliminare, di essere stato scritto da maschi per maschi, cosa dice esplicitamente sul maschio Il grande codice (Northrop Frye) dell’Occidente? Che egli si realizza attraverso il rispetto rigoroso di un insieme di regole che ne definiscono il “genere” nell’accezione di ruolo socio-culturale. Dell’osservanza di questi parametri – a cui egli per primo è tenuto ad attenersi – dev’essere custode vigile e giudice inflessibile. 

«Va verso la vita chi custodisce la disciplina,
ma chi trascura la correzione sbanda» (Proverbi, 10, 17). 

La disciplina è qui auto-disciplina? La correzione da non trascurare è esercitata da altri su di noi o da noi su altri (mogli, figli, schiavi)? In passi come questo non mi pare chiaro, ma in altri è chiarissimo: 

«Correggi tuo figlio, perché c’è la speranza;
ma non trascendere fino ad ammazzarlo» (Proverbi, 19, 18). 

Consegne di questo genere sembrano veicolare una sorta di raccomandazione: il vero maschio adempie ai compiti previsti dal suo ruolo senza lasciarsi condizionare dai sentimenti. I doveri del proprio stato vanno assolti con fermezza, senza concessioni alle emozioni: 

«Chi risparmia il bastone odia il proprio figlio,/
chi lo ama prodiga la disciplina» (Proverbi, 13, 24). 
  • o ancora
«Non ricusare al giovane la correzione;
se lo colpisci col bastone, non morrà.
Tu dunque col bastone colpiscilo

e lo libererai dagli inferi» (Proverbi, 23, 13 – 14). 

11Oggi questi metodi da “pedagogia nera” [11] sono, almeno programmaticamente, rinnegati, ma ho conosciuto diversi maschi di formazione cattolica che nel corso dell’esistenza non hanno mai accarezzato figli o nipoti (almeno in pubblico) e che hanno anche proclamato apertamente come criterio generale che “i figli si baciano solo quando stanno dormendo”. Avrebbero avuto convinzioni e comportamenti differenti anche se non avessero ricevuto un’educazione cattolica? Molto probabilmente no, a giudicare dalla frigidità affettiva di tanti genitori formatisi in contesti etnico-religiosi differenti. Ma è certo almeno questo: il modello cattolico di maschilità non li ha incoraggiati a posture più empatiche. 

c)  Un soggetto da preservare dalle tentazioni 

Nel racconto mitico del paradiso terrestre Adamo disobbedisce a Dio su suggerimento del Diavolo: di per sé sarebbe un brav’uomo, ma è fragile e non immune dalle tentazioni. Non così debole da cedere subito: solo quando Eva si fa complice e portavoce del Serpente, il disgraziato si arrende. Da qui, già nel II secolo dell’era cristiana, le invettive misogine come da parte di Tertulliano: 

«Donna, tu dovresti sempre menar vita misera e triste, con gli occhi pieni di lacrime e di pentimento per far dimenticare che fosti tu a condurre a rovina il genere umano. Donna, tu sei la porta dell’inferno, tu hai mangiato dell’albero proibito, tu per prima hai disobbedito alla legge divina, tu hai convinto Adamo, perché il Demonio non era coraggioso abbastanza per attaccarlo, per colpa tua morì il Figlio di Dio» [12] . 

Idee, stereotipi, pregiudizi di altre epoche? Non direi. Proprio mentre scrivo queste righe apprendo dalla stampa nazionale la dichiarazione di un alto esponente dell’attuale maggioranza parlamentare riguardante le disavventure extra-coniugali di un suo amico, costretto a rassegnare a causa di queste le dimissioni da ministro. Chi parla è stato testimone di nozze (in chiesa) dell’amico ministro ed entrambi sono noti per l’appartenenza all’area cattolica: 

«Se avessi avuto il minimo sentore sarei intervenuto con amichevole durezza, senza bussare. Su quella donna non mi esprimo che è meglio. Viene dal nulla e nel nulla tornerà presto. Di persone così nella vita se ne incontrano tante, basta schivarle, lui purtroppo non ci è riuscito» [13]. 

Dunque: l’amante del ministro è una sorta di meteorite vagante nell’aere che il pover’uomo non è riuscito a scansare. Dopo duemilacinquecento anni il copione non è mutato: la donna come causa prima (se non unica) del “peccato” dell’uomo, vittima innocente delle circostanze tentatrici. Che egli abbia sfruttato il potere politico per godere dei favori sessuali di una signora non viene minimamente considerato: il focus è esclusivamente concentrato sull’aspirante consulente del ministro, intenzionata a sfruttare la propria avvenenza per favori clientelari. Difficile non concordare, in questa logica, con la lungimirante saggezza dell’arcivescovo di Firenze sant’Antonino che nel XV secolo aveva dipinto il ritratto della donna con pennellate non certo prive di efficacia letteraria: 

«Avido animale, bestiale baratro, concupiscenza della carne, dannoso duello, calore estenuante, falsa fedeltà, gola garrula, Erinni armata, fuoco invidioso, caos di bugie, veleno accattivante, menzogna mostruosa, nutrice di naufragi, fabbrica di odio, prima peccatrice, sconquasso della quiete, rovina dei regni, foresta di superbia, tirannide truculenta, vanità delle vanità…» [14]. 

In fondo, però, al maschio basterà poco per mantenersi indenne da sbandate autolesionistiche: ridurre al minimo le frequentazioni femminili e, anche in questi casi necessari, tenere a bada la propria “natura” di “cacciatore” in comprensibile ricerca di “prede” su cui canalizzare la tracimante libidine innata, senza la cui provvidenziale esuberanza, peraltro, l’umanità si sarebbe estinta da millenni. 

d) Qualche spiraglio sul futuro 

Dopo secoli di discorsi magisteriali e teologici maschilisti sulla maschilità, con papa Francesco si vanno aprendo dei piccoli spiragli di segno diverso. Già nel 2014 egli critica «l’idea semplicistica che tutti i ruoli e le relazioni di entrambi i sessi sono rinchiusi in un modello unico e statico» [15]. L’anno successivo, nel 2015, ha modo di ribadire l’opportunità che i genitori svolgano «ruoli e compiti flessibili, che si adattano alle circostanze concrete di ogni famiglia» [16]. Poi, nel 2016, si sofferma in particolare sulla necessità che il padre 

«sia vicino ai figli nella loro crescita: quando giocano e quando si impegnano, quando sono spensierati e quando sono angosciati, quando si esprimono e quando sono taciturni, quando osano e quando hanno paura, quando fanno un passo sbagliato e quando ritrovano la strada; padre presente, sempre. Dire presente non è lo stesso che dire controllore. Perché i padri troppo controllori annullano i figli» [17]. 

È interessante, nel medesimo testo, la distinzione fra ciò che potremmo definire ‘naturale’ e ‘culturale’ ai fini di una equilibrata visione del “genere” come «configurazione del proprio modo di essere, femminile o maschile»:   

«È’ vero che non possiamo separare ciò che è maschile e femminile dall’opera creata da Dio, che è anteriore a tutte le nostre decisioni ed esperienze e dove ci sono elementi biologici che è impossibile ignorare. Però è anche vero che il maschile e il femminile non sono qualcosa di rigido. Perciò è possibile, ad esempio, che il modo di essere maschile del marito possa adattarsi con flessibilità alla condizione lavorativa della moglie. Farsi carico di compiti domestici o di alcuni aspetti della crescita dei figli non lo rendono meno maschile. […] La rigidità diventa una esagerazione del maschile o del femminile, e […] può impedire lo sviluppo delle capacità di ciascuno, fino al punto di arrivare a considerare come poco maschile dedicarsi all’arte o alla danza e poco femminile svolgere un incarico di guida» [18]. 

21Non priva d’interesse inoltre, perché distante dall’agiografia tradizionale la lettura che papa Francesco propone, nel 2020, della figura (prevalentemente simbolica, s’intende) di san Giuseppe di cui sottolinea la tenerezza (con cui «dobbiamo imparare ad accogliere la nostra debolezza»), l’accoglienza della compagna di vita («Giuseppe accoglie Maria senza mettere condizioni preventive») e la preferenza per “l’ombra” («essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze. […] La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera. Non ha mai messo se stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù») [19].

Queste timide aperture papali non possono essere sopravvalutate per almeno tre ragioni. Intanto perché s’intrecciano con posizioni, opinioni, esternazioni del medesimo pontefice che risentono di eredità sessuofobiche e/o omofobe di altro tenore. Poi perché «nella comunità cristiana lo sviluppo di pratiche di autocoscienza tra uomini e percorsi collettivi di ‘critica alla costruzione sociale della maschilità’ è stato assai limitato e l’elaborazione di un pensiero sul ‘maschile’ è avvenuto anche in campo teologico in modo piuttosto discontinuo» [20]. Infine perché il dibattito sulle differenze di “genere” si va spostando molto più in avanti, sino a chiedersi se continuare a definire, pur elasticamente, le categorie del maschile e del femminile (con il rischio di restare impigliati nello schema essenzialista di ciò che sarebbe tipico degli uomini e tipico delle donne) sia un’operazione conducente e persino legittima nell’epoca della tematizzazione del queer [21]: davvero esistono due o tre generi (sia come identità psicologiche sia come ruoli sociali) o non è più realistico riconoscere, con il teologo don Cosimo Scordato [22], che esistono tanti generi quante sono le persone sulla faccia della Terra? Se a ogni passo in avanti della Chiesa cattolica ne corrispondono cento della società civile, quest’ultima si troverà sempre un po’ più avanti – se non nelle risposte – almeno nelle domande. 

Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025 
Note
[1] Cfr. L. Diotallevi, La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019, Rubbettino Editore, Soveria Mannella 2024 e le mie osservazioni in proposito su “ADISTA /Segni nuovi” del 12.4.2024. 
[2] M. López Vigil, Dove Dio è maschio in Aa. Vv, Giustizia di genere, una nuova visione, Agenda Latinoamericana mondiale, senza luogo e senza data: 95. Sul tema cfr. anche S. Zorzi, Il genere di Dio. La Chiesa e la teologia alla prova del Gender, La Meridiana, Molfetta 2017.
[3] A. Cavadi (in collaborazione con il Gruppo “Noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne”), L’arte di essere maschi libera/mente. La gabbia del patriarcato, Di Girolamo Editore, Trapani 2020: 64.
[4] La citazione è riportata in J.M. Vigil – C. Fanti – C. Thomareizis, Prefazione a Aa. Vv., Giustizia di genere, cit.: 7. Il copyright della formula spetta però a Mary Daily: cfr. https://www.noidonne.org/articoli/se-dio-maschio-il-maschio-dio-di-letizia- tomassone-00620.php
[5] “Dal III secolo a. C. in poi la teologia sapienziale giudaica ha celebrato la bontà misericordiosa di Dio nel creare il mondo ed eleggere Israele come il popolo in mezzo al quale la presenza divina risiede nella Gestalt (figura) femminile della divina Sophía. (…) La divina Sophía (Sapienza) è il Dio d’Israele nel linguaggio e nella Gestalt (figura) della dea. Sophía è chiamata sorella, moglie, madre, amata e maestra; è la guida sul cammino, colei che predica in Israele, Dio-insegnante esigente e creatrice. È lei che cerca le persone, le trova sulla via, le invita a pranzo; offre vita, riposo, conoscenza e salvezza a coloro che l’accettano. Ha la sua dimora in Israele e officia nel santuario. Manda i profeti e gli apostoli e fa di coloro che l’accettano degli «amici di Dio». «Ella non è che una, ma può fare tutto, rimanendo immutata. Lei fa nuove tutte le cose» (Sapienza 7,27). (…) Sophía è descritta come «onnipotente, intelligente, unica» (Sapienza 7,22). È uno spirito che ama la gente (philántrōpon pneȗma, 1, 6), che condivide il trono con Dio (9,10). (…) Qui si può avvertire quanto il linguaggio si sforzi di descrivere la Sophía come divina (senza cadere nel diteismo)” (E. Schüssler Fiorenza, In memoria di lei. Una ricostruzione femminista delle origini cristiane, Claudiana, Torino 1990: 158 – 159).
[6] Cfr. H. Wolff, Gesù, la maschilità esemplare. La figura di Gesù secondo la psicologia del profondo, Queriniana, Brescia 1979.
[7] R. Gibellini, Donna nuova, terra nuova. La letteratura teologica femminista, “Rocca” 49 (1990/12).
[8] Testo reperibile anche in internet, ad esempio https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_letters/1994/documents/hf_jp-ii_apl_19940522_ordinatio-sacerdotalis.html
[9] Cfr. R. Lenaers, Atei, per rispetto di Dio. Vivere le fede dopo le macerie della religione, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2022: 31 – 32 (nota 17).
[10] Il testo della Peroni è ripreso in L. Eugenio, Più giustizia per le donne nella Chiesa: la voce di Francesco, l’inserto dell’ “Osservatore” in “Adista” (2020/1): 2.
[11] Il testo fondamentale è K. Rutschky, Pedagogia nera. Fonti storiche dell’educazione civile, a cura di P. Perticari, Mimesis, Udine – Milano 2015. Le matrici biblico-teologiche di questa impostazione (nella quale non c’è spazio per “un’inutile pietà” da parte “del maestro o del padre giusto”) sono state sottolineate anche da H. Wolff: cfr. A. Cavadi, Tenerezza. Hanna Wolff e la rivoluzione (incompresa) di Gesù, Diogene Multimedia, Bologna 2016: 15 – 28.
[12] Anonimo, Le migliori perle sulla donna nel cristianesimo in Aa. Vv., Giustizia di genere, cit.: 32.
[13] Tra le molte fonti anche /
[14] La citazione l’ho tratta da P. Marazzani, La Chiesa che offende. Due millenni di ingiurie contro gli “altri”, Erre emme Edizioni, Roma 1993: 106.
[15] Intervento al “Colloquio internazionale sulla complementarietà tra uomo e donna” (17.11. 2014). Traggo questa citazione e le successive dal contributo di M. Castagnano, Gli uomini ‘diversi’ di papa Francesco, “Adista”, 21, 8.6.2024: 14 – 15.
[16] Intervento sul matrimonio nel quale ha modo di bollare come “falsità” – come “forma di maschilismo, che sempre vuole dominare la donna” – la tesi che la difficoltà a restare in coppia dipenda dalla “emancipazione della donna” in corso.
[17] Lettera apostolica Amoris Laetitia, n. 177.
[18] Ivi, n. 286.
[19] Lettera apostolica Patris corde.
[20] M. Castagnano, Gli uomini ‘diversi’, cit: 14.
[21] Di non agevole fruibilità Althaus-Reid Marcella, Il Dio queer, Torino: Claudiana 2014 . Più comprensibile Teresa Forcades, Siamo tutti diversi ! Per una teologia queer, a cura di C. Guarnieri e R. Trucco, Castelvecchi, Roma 2019.
[22] Nel corso di una conversazione a Palermo con una rappresentanza del Gruppo “Uomini in cammino” di Pinerolo (accompagnati da Beppe Pavan) di cui c’è traccia in “Foglio di comunità”, 2017, 10.

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Augusto Cavadi, già docente presso vari Licei siciliani, co-dirige insieme alla moglie Adriana Saieva la “Casa dell’equità e della bellezza” di Palermo. Collabora stabilmente con il sito http://www.zerozeronews.it/. I suoi scritti riguardano la filosofia, la pedagogia, la politica (con particolare attenzione al fenomeno mafioso), nonché la religione.. Tra le ultime sue pubblicazioni:  La mafia desnuda – L’esperienza della Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone” (Di Girolamo, 2017); Peppino Impastato martire civile. Contro la mafia e contro i mafiosi (Di Girolamo, 2018), Dio visto da Sud. La Sicilia crocevia di religioni e agnosticismi (Spazio Cultura Edizioni, 2020); La filosofia come terapia dell’anima. Lineamenti essenziali di spiritualità filosofica (Diogene Multimedia, 2019); Voglio una vita spregiudicata. La spiritualità di chi crede di non averne alcuna (Diogene Multimedia 2020); Tremila anni di saggezza. La spiritualità nella storia della filosofia (Diogene Multimedia 2020); O religione o ateismo? La spiritualità “laica” come fondamento comune (Algra 2021).

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