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Matteotti, l’uomo e le passioni

81v0mmv-pzl-_sl1500_di Riccardo Bardotti

L’opera, un lavoro realizzato a quattro mani da Marzio Breda (giornalista e critico letterario) e Stefano Caretti (storico e curatore delle Opere complete di Giacomo Matteotti), Il nemico di Mussolini. Giacomo Matteotti, storia di un eroe dimenticato (Solferino, Milano, 2024), esce a cento anni dall’omicidio del deputato veneto e si colloca in un’offerta editoriale relativamente ampia e diversificata facendosi apprezzare per la ricchezza delle informazioni e la fluidità dell’esposizione. Organizzata su ventitré capitoli (oltre a un’introduzione e alle note bibliografiche), ricostruisce tre aspetti fondamentali legati della storia di Matteotti. Il primo è quello della vita.

Si parte dalla nascita, avvenuta in uno dei luoghi più poveri dell’Italia dell’epoca, ossia il Polesine rovighese, in una famiglia di ricchi commercianti. È proprio nell’ambito familiare che avviene la prima formazione culturale e politica del futuro deputato, grazie all’entusiasmo del fratello maggiore Matteo che lo incoraggiò non solo ad entrare, giovanissimo, nel Partito socialista italiano ma anche a sperimentare percorsi di studio fuori d’Italia. Seguì poi la passione per il diritto grazie alla quale Giacomo Matteotti ebbe la possibilità di intraprendere la carriera accademica nonché l’apprezzamento di alcuni dei giuristi più noti dell’epoca come Eugenio Florian, Alfredo Rocco (l’autore dell’omonimo codice tutt’ora in uso), Luigi Lucchini e soprattutto il suo maestro Alessandro Stoppato.

Velia Titti, moglie di Giacomo Matteotti

Velia Titti, moglie di Giacomo Matteotti

L’intensificarsi degli impegni politici, alla vigilia della Grande Guerra, allontanò Matteotti dalla carriera giuridica ma non dalla passione per lo studio del diritto ed è significativo il fatto che ogni attacco condotto dall’attivista contro il fascismo non partì tanto dalle idee socialiste quanto da inoppugnabili principi legali.

Breda e Caretti documentano con dovizia di informazioni anche l’altro grande amore della vita di Matteotti, ossia la moglie Velia, una donna colta e intelligente che sacrificò quanto di più caro (il desiderio di sposarsi in chiesa, in quanto fervente cattolica) per quell’uomo a cui rimase attaccata in vita e anche dopo la morte di lui nonostante le feroci persecuzioni mussoliniane.

L’amore più grande di Matteotti fu senza alcun dubbio la passione politica intesa come battaglia al fianco dei ceti più umili (nonostante lui fosse ricco di famiglia come gli venne spesso rinfacciato per denigrarlo); una lotta portata avanti nelle Camere del Lavoro, nelle sale dei consigli comunali, provinciali e via via fino ad arrivare alla Camera dei Deputati. In questa passione risiede non solo il suo pacifismo intransigente ma anche, dopo la Rivoluzione d’Ottobre, il pragmatismo di una politica dei piccoli passi lontana dal sogno della rivoluzione che aveva contagiato alcuni tra i dirigenti massimalisti del suo partito.

Ancora la sua passione, così come il rispetto per le regole democratiche, lo vide in prima linea contro la montante ondata della violenza fascista; impegno pagato carissimo per via dei soprusi e delle persecuzioni subite che tuttavia non lo allontanarono dal suo intento di contrastare la nascita della dittatura.

Questa parte dell’esposizione culmina con il celebre discorso del 30 maggio 1924 e il successivo delitto, dopo di che Breda e Caretti passano ad analizzare i vari retroscena del crimine, messi a nudo dall’inchiesta, condotta a colpo sicuro dalla magistratura, e la conseguente crisi, grave ma passeggera, del fascismo conclusasi con il processo farsa dei colpevoli. E un’accurata analisi viene dedicata al movente mettendo in dubbio la pista Sinclair Oil (ossia l’ipotesi che Matteotti fosse stato ucciso perché stava per denunciare una storia di tangenti pagate dalla multinazionale statunitense Sinclair oil a membri dell’entourage di Mussolini) a favore della tesi del delitto politico.

Giacomo Matteotti

Giacomo Matteotti

La conclusione dell’opera è dedicata alla memoria di Giacomo Matteotti. La più illustre tra le vittime del duce divenne subito un eroe per migliaia di persone ma il fascismo, sempre attento a miti e simboli avversi, si impegnò con accanimento a cancellare la memoria del delitto. La salma venne trasferita a Fratta Polesine nel modo più discreto possibile e il cimitero sottoposto a una rigorosa sorveglianza fino al giorno della Liberazione ma non solo. Il regime tentò di rovinare economicamente la famiglia (che non ebbe la possibilità di espatriare per sottrarsi ai soprusi) e soltanto le pressioni internazionali contribuirono affinché questo piano non fosse attuato fino in fondo.

La persecuzione si abbatté anche contro le foto ricordo di Matteotti, diffusesi rapidamente dopo il delitto, e contro coloro che le conservavano nascondendole accuratamente. Finalmente le ‘icone’ poterono riemergere dalla clandestinità il giorno della Liberazione e un’immensa folla, il 10 giugno del 1944, nell’anniversario del delitto, si radunò sul lungotevere Arnaldo da Brescia dove si era consumato il può noto dei crimini fascisti. 

Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024

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Riccardo Bardotti, ricercatore e responsabile per la didattica presso l’Istituto Storico della Resistenza Senese e dell’Età Contemporanea “Vittorio Meoni”, è autore e saggista impegnato nel mondo del volontariato, da oltre vent’anni si occupa di percorsi educativi per giovani. Ha scritto: Canditi e caffè caldo (2012); Attenti a dove sparate (2018); Il pellegrinaggio dei Murphy (2018); Storia della Resistenza senese (2021); Marc Bloch. Una storia senza confini (2023); La Basilica dell’Osservanza tra guerra e ricostruzione (2024).

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