di Marcello Vigli
Numerosi e significativi sono gli eventi che hanno animato in questi giorni il “mondo” oggetto delle nostre riflessioni: da un lato, si è confermata la spinta al cambiamento impressa da papa Bergoglio, dall’altra, se ne evidenziano le difficoltà. Prima fra tutte l’opposizione ancora molto attiva all’ interno della stessa gerarchia, confermata dalla nuova lettera inviata il 25 aprile dal cardinale Caffarra anche a nome dei cardinali Burke, Brandmuller, Meisner – con lui autori di quella del novembre 2016 in cui esprimevano dubia su alcune parti dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia – per chiedere udienza. In essa chiedevano l’occasione di spiegare al Pontefice le ragioni dei precedenti dubia e l’opportunità di esporre la situazione di grave confusione e smarrimento in cui, a loro avviso, versa la Chiesa, soprattutto per quanto riguarda i pastori d’anime e, “in primis”, i parroci. Il papa non li ha ricevuti né ha risposto alla lettera!
Difficoltà il papa incontra anche nella sua missione nel mondo. Ne è un esempio il suo viaggio in Egitto, alla fine di aprile, per un incontro con il nuovo dittatore, una condivisione con il Patriarca dei copti egiziani e una visita all’università sunnita di Azhar, coinciso con il massacro di 35 fedeli copti in viaggio verso Minya, sud dell’Egitto ad opera di un commando di dieci islamisti in tuta mimetica. Dell’episodio ha parlato domenica 28 maggio, al “Regina Coeli” per lasciar intendere che, pur chiamandoli ancora terroristi, considerava i massacratori mossi proprio da motivi religiosi, cioè da quella «idea di conquista inerente all’anima dell’Islam» che lo stesso Francesco, in altra occasione, ha indicato come movente di simili atti. Anche perché è seguito al duplice attentato, rivendicato dallo Stato islamico (Isis), che aveva colpito un mese prima due chiese copte a Tanta ed Alessandria, causando 47 morti e 126 feriti. Si rompe così il silenzio sul carattere religioso della guerra scatenata da diversi settori del mondo musulmano, anche se espressa con azioni individuali come in Gran Bretagna e in Francia, ma anche in Indonesia e nelle Filippine
Se più tranquillo è stato il viaggio a Fatima nel centesimo anniversario delle apparizioni mariane ai tre pastorelli, non certo drammatici, ma ugualmente ricchi di significato anche gli altri incontri del papa con i Capi di stato e di governo. Significativo quello a Roma con il Presidente Trump per la freddezza che molti hanno rilevato nelle immagini pubbliche che ne sono circolate, freddezza del tutto assente in quelli con il Presidente Mattarella e la cancelliera Merkel. Con loro Bergoglio ha direttamente affrontato problemi urgenti come le migrazioni verso l’Italia e l’evoluzione dei Paesi africani. Nell’occasione il papa ha auspicato il rafforzamento del legame tra la gente e le istituzioni: perché da questo nasce la “vera democrazia”. In questa prospettiva la Costituzione italiana ha promosso «una peculiare forma di laicità, non ostile e conflittuale, ma amichevole e collaborativa, seppure nella rigorosa distinzione delle competenze proprie delle istituzioni politiche da un lato e di quelle religiose dall’altro», ha detto Francesco ricordando come grazie a questo è «eccellente lo stato dei rapporti nella collaborazione tra Chiesa e Stato in Italia, con vantaggio per i singoli e l’intera comunità nazionale».
Ugualmente significativo l’impegno del papa per la soluzione del conflitto che, in Venezuela, oppone la destra al governo, essendosi dissociato dalla propaganda, che vuole Maduro unico responsabile della situazione, e avendo sollecitando iniziative di dialogo e di confronto. Non è stato tenero con i militari Usa per il nome di “madre” attribuito alla bomba ad altissimo potenziale lanciata in Afganistan: «Mi sono vergognato. La mamma dà la vita e diciamo mamma a un apparecchio che dà la morte? Ma che sta succedendo? Dobbiamo denunciare queste cose brutte perché il mondo vada avanti, per la strada giusta. E mai rassegnarsi». Anche a Macron non concede piena fiducia, mentre riafferma l’importanza della collaborazione fra le diverse fedi, in particolare dei cattolici con gli anglicani, ricevendo l’arcivescovo David Moxon, che riconosce «Un’intimità crescente tra cattolici ed anglicani». Significative le nomine “bipartisan” nel ridisegnare l’Accademia per la vita in Vaticano: entrano due rabbini, un musulmano, un ortodosso e un anglicano.
Analoga disparità di comportamento si può rilevare nei rapporti con due chiese locali pur se in circostanze fra loro radicalmente diverse e con minore rilevanza per la Chiesa universale: la Chiesa italiana e la Chiesa nigeriana. In Italia la nomina del cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, a Presidente della Conferenza episcopale italiana ha finalmente chiuso la lunga controversia fra papa Bergoglio e la Cei che, fin dall’inizio del nuovo pontificato, era emersa chiaramente. I vescovi italiani, come è noto, si erano rifiutatati di eleggere il Presidente della loro assemblea a cui li sollecitava il papa per rompere la loro condizione di privilegio di avere il loro Presidente non eletto, ma designato dal papa come era stato per Ruini e per Bagnasco. Si è faticosamente raggiunto un compromesso: alle dimissioni di quest’ultimo i vescovi hanno presentato al Papa una terna di nomi fra cui scegliere. Ovviamente i nomi proposti erano tutti di gradimento del papa, ma con questa formalità si è affermato il principio dell’autonomia dell’episcopato italiano, anche se l’età del prescelto, coincidente con quella pensionabile, lascia intendere il carattere transitorio della scelta, e tuttavia la personalità del cardinale Bassetti garantisce che il quinquennio sarà utilizzato per avviare l’auspicato rinnovamento.
La via indicata da Bergoglio è chiara, ma forte è l’opposizione a percorrerla per i grandi “sacrifici” che impongono le troppe “svolte” richieste per uscire dallo stato di una “normale amministrazione”, il solo possibile per la sopravvivenza di una struttura ecclesiastica inadeguata a coinvolgersi, nell’ambito della sue competenze, nei progetti di rinnovamento socio-politico. Il nuovo Presidente sarà chiamato ad affrontare una difficile situazione senza poter contare sulla collaborazione del clero, vescovi e preti, più impegnati nella gestione “dell’azienda Chiesa” che nella cura pastorale di una società in profonda crisi di identità culturale e di gestione politica. Lo si è visto nello scontro fra il monsignor Galantino e la Lega sulla questione dello jus soli, che si è espresso con reciproche dure accuse: «La Chiesa pensi piuttosto ai poveri e ai disoccupati italiani», dice Calderoli; mentre Galantino accusa: «tra i contrari c’è chi neanche legge il testo e fa politica unicamente per rincorrere il proprio successo perché vuol fare solo il proprio interesse».
Non è chiaro l’effetto che tale nomina potrà avere sulle organizzazioni laicali che, nella nuova Presidenza della Cei, possono trovare una sollecitazione a maturare al loro interno spinte al cambiamento, ma anche resistenze al diffondersi di nuove sensibilità. Ad esempio a Staranzano, piccolo comune in provincia di Gorizia, uno dei capi scout del gruppo Agesci locale, Marco Di Just, ha celebrato la sua unione civile con un consigliere comunale; il parroco del paese, dopo aver informato l’arcivescovo di Gorizia, ha spiegato tramite il bollettino parrocchiale perché a suo giudizio, Marco, non possa più essere un valido educatore in parrocchia. Nel frattempo l’Agesci non ha ancora ufficialmente preso posizione! I tempi del cambiamento, però, non possono che essere lunghi tanto profonda è l’inerzia fin qui ingenerata dalla staticità della situazione.
Ben più duro è stato l’intervento del papa nei confronti dei preti della diocesi di Ahiara, in Nigeria che non hanno consentito al vescovo nominato da Benedetto XVI nel 2012 di insediarsi. Per sbloccare la situazione nei giorni scorsi Francesco ha assunto un’iniziativa davvero senza precedenti in tempi moderni: ha deciso che «ogni sacerdote o ecclesiastico incardinato nella Diocesi di Ahiara, sia residente, sia che lavori altrove, anche all’estero, scriva una lettera indirizzata personalmente al Papa in cui domanda perdono; tutti, devono scrivere singolarmente e personalmente; tutti dobbiamo avere questo comune dolore». Nella lettera si deve chiaramente manifestare totale obbedienza al Papa, e chi scrive deve essere disposto ad accettare il vescovo che il Papa invia, cioè il vescovo nominato. La lettera deve essere spedita entro trenta giorni a partire da oggi fino al 9 luglio. «Chi non lo farà ipso facto viene sospeso a divinis e decade dal suo ufficio».
Non così radicali appaiono le sanzioni contro chi è in combutta con la mafia. Si è tornati, infatti, a parlare di scomunica degli affiliati, ma ancora una volta senza che alle parole seguissero fatti. Papa Francesco ha messo del tutto fine al “rapporto” tra religione cattolica e mafia, già avviato dai suoi due predecessori, pronunciando in Calabria, terra martoriata dalla ‘Ndragheta, nel giugno del 2014 una scomunica latae sententiae nei confronti di tutti quelli che si professano mafiosi. «I mafiosi sono scomunicati, la ‘ndrangheta adora il male», aveva affermato. In questi giorni Don Luigi Ciotti, fondatore dell’Associazione Libera, dopo un’intera giornata in Vaticano di lavori della Conferenza voluta dal cardinale Peter Appiah Turkson, il prefetto del nuovo Dicastero per lo sviluppo umano integrale, ha dichiarato che proprio nel corso della Conferenza era nata l’idea di valutare la possibilità della scomunica a mafiosi e corrotti già annunciata dalla Sala Stampa Vaticana. Anche per i corruttori e i corrotti, ha confermato, perché rifiutano di riconoscere la loro colpevolezza e non possono essere perdonati. Il lancio di tale scomunica non si è ancora avuto. Non è facile, perché è indispensabile l’assenso dei canonisti della Curia romana e del Tribunale della Penitenzieria Apostolica. Già ipotizzarla, però, rilancia una rivoluzione culturale, etica e sociale che non parte solo dall’alto ma sopratutto dal basso, ma ancora di più da dentro. Dall’interno delle coscienze.
Bisogna fare attenzione che le parole “lotta alla corruzione” e “legalità” non diventino idola che portano al compiacimento e alla copertura, ad una legalità malleabile e sostenibile, cioè fino a un certo punto. La legalità è uno strumento per conseguire la giustizia. È la giustizia (cioè la sana imprenditoria, il lavoro, la dignità e la speranza delle persone) che noi vogliamo sia possibile.. Nella piana di Sibari, Papa Francesco parlò dei mafiosi come adoratori del Male. Ma anche il corrotto adora il denaro e il potere. È in questo senso che si deve intendere la scomunica, cioè il fatto che la persona che pratica la corruzione si pone fuori dalla vita, dal bene e dalla vita della Chiesa. Il Vangelo è incompatibile con le mafie e con ogni forma di corruzione. La fede non può essere silente, indifferente o inerte di fronte al male e alle ingiustizie.
Ben più marginale, pur se mediaticamente rilevante è la polemica insorta in seno alla Chiesa italiana per l’intervista a Beppe Grillo pubblicata su l’Avvenire, espressione ufficiale della Cei, in cui viene affermato che il programma politico del Movimento 5 stelle è per tre quarti condivisibile dai cattolici. Ne è derivata l’accusa di “clericogrillismo” avanzata da Alberto Melloni su La Repubblica del 20 aprile, ma, soprattutto, una dura reazione di monsignor Nunzio Galantino, il Segretario imposto alla Cei da papa Bergoglio, che ha ribadito con irata fermezza: «No a collateralismi tra Chiesa e Grillo. … Non è che si possano fare sconti a Grillo, e sostenere che siamo su posizioni coincidenti per tre quarti. E il quarto su cui non lo siamo? Sui poveri siamo così d’accordo? Poveri sono anche i rifugiati che arrivano in Italia. E non mi sembra che su questo i Cinque Stelle siano in sintonia con la Chiesa. Non ci si può dire d’accordo con uno che rispetta sei comandamenti su dieci. Va messo in rilievo anche quanto ci divide dal M5S».
Gli esiti delle elezioni amministrative, che si sono svolte in questo mese di giugno, non possono certo offrire indicazioni sufficienti per valutare l’effetto di tale polemica, anche perché non è ancora chiaro se i cattolici italiani hanno inteso il nuovo assetto della Cei come indiretto richiamo ad una maggiore responsa- bilizzazione e come un’occasione di cambiamento. Certo la prossima cam- pagna elettorale per il rinnovo del Parlamento, sia anticipata in autunno o lasciata alla scadenza naturale di primavera, potrà diventare un’occasione per dimostrare che non esiste un “voto cattolico” da barattare o da conquistare, ma che i cattolici, emancipati dall’invadenza della gerarchia, contribuiscono a rendere l’elettorato italiano sempre più consapevole e autonomo nelle sue libere scelte, capace di contrastare le grandi manovre dei leader di partito. Raccontate anche in questi giorni dai media, con abbondanti riferimenti sono ancora prive di chiarezza, finalizzate a condizionare a loro favore le scelte dei cittadini elettori non per garantire loro il pieno esercizio della sovranità di cui sono titolari.
Decisamente nuova, pur se attesa, è, invece, la piena riabilitazione di don Milani e don Mazzolari. Già aveva costituito un evento significativo il 23 aprile la presentazione, a cinquant’anni dopo la sua scomparsa, alla fiera dell’editoria italiana del libro con tutte le opere di don Lorenzo Milani, accompagnata da un video messaggio di papa Francesco. Diventa eccezionale il pellegrinaggio del papa alle tombe di don Mazzolari e di don Milani, da alcuni letto come un viaggio alle sorgenti della nonviolenza italiana, ma in verità in quanto riabilitazione ufficiale di persone discriminate e isolate anche dal mondo ecclesiastico degli anni 50 e 70 del secolo scorso, proprio come legittimazione del loro modo d’intendere l’esercizio del sacerdozio. Interessante la lettura di “Noi Siamo Chiesa”: Dopo l’evangelico viaggio di papa Francesco a Bozzolo e a Barbiana bisogna andare avanti: Abolire i cappellani militari. Rilanciare la teologia della liberazione. Riabilitare Ernesto Buonaiuti.
Dialoghi Mediterranei, n.26, luglio 2017
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Marcello Vigli, partigiano nella guerra di Resistenza, già dirigente dell’Azione Cattolica, fondatore e animatore delle Comunità cristiane di base, è autore di diversi saggi sulla laicità delle istituzioni e i rapporti tra Stato e Chiesa nonché sulla scuola pubblica e l’insegnamento della religione. La sua ultima opera s’intitola: Coltivare speranza. Una Chiesa altra per un altro mondo possibile (2009).
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