CIP
di Michele Santoro, Vito Teti
Caro Vito,
recentemente sono stato pochi giorni ad Altomonte e nel girare nel silenzioso centro storico mi chiedevo cosa ne sarà fra dieci o vent’anni. I pochi che vi abitano sono per lo più molto anziani e zia Liliana dalla finestra della piazza Balbia – un giorno ricca di negozi, artigiani e persone – mi dice che “non passa più nessuno, ogni tanto un turista”. La mia paura – dopo aver letto quasi tutti i tuoi bellissimi libri sulla Calabria – è che ormai sia troppo tardi, che si è rotto per sempre l’equilibrio sul quale il Paese ha costruito la sua storia fatta anche di arte e bellezza. Ho imparato da te ad evitare il tono catastrofico (“fa tutto schifo”) come il tono trionfalistico (“è tutto bello”), a vedere il brutto per correggerlo e il bello per valorizzarlo, quando c’è. Però questa volta sono malinconicamente pessimista. Spero solo di sbagliarmi. Un abbraccio.
Michele Santoro
Caro Michele,
mi fa piacere avere tue notizie. Purtroppo, devo darti ragione e dare la mia vicinanza come per un “lutto”. Perché i nostri paesi sono morti o destinati a morire. Si sono svuotati, hanno perso anima e memoria. Il mio era pieno, vitale, adesso è un cimitero. Non incontri nessuno. Ed è angosciante, doloroso, “terribile”. Non riesco a farmene una ragione e nemmeno vedere piccoli segni di speranza a cui attaccarmi. E i figli, i miei compresi, sono andati via e non torneranno se non per qualche giorno. Ho cercato sempre di dire parole di “speranza” per i pochi che vi abitano e resistono, ma penso che comincerò a descrivere la amara realtà. Forse essere pessimista, in maniera aperta, con pietà e affetto, può ancora svegliare qualcuno, può servire almeno a non illuderci e a immaginare che debba avvenire qualcosa di straordinario o sarà finita: Capisco la tua volontà di correggere il brutto e di valorizzare il bello – lo faccio anche io – ma temo che così continueremo a nascondere la verità e ad alimentare illusioni. Credo che cambierò tono e riflessione. Intanto, spero che tu e la tua famiglia stiate bene. E magari sentiamoci. E restiamo in contatto. Continua con i tuoi post e le tue foto. Un abbraccio
Vito Teti
Caro Vito,
grazie per aver condiviso le brevi riflessioni.
Il moto di pessimismo viene dalla realtà che è sotto gli occhi di tutti almeno dall’inizio del nuovo millennio. Meglio affrontarla e non nasconderla, cittadini e politici, prima di trovarci solo rovine.
Ti ringrazio per aver pubblicato la foto della casa dei nonni dove al centro appare una bambina che ci offre speranza.
(Esagero se dico che, guardando la bambina, ho pensato all’ultima immagine del film La bella vita di Fellini dove appare il viso innocente di Valeria Ciangottini che ci trasmette speranza?)
Michele
Caro Michele,
Grazie a te. L’amore per la verità e la speranza non sono in contraddizione. Disperazione e speranza sono sempre termini legati nel pensiero dei più grandi autori. Dire che un paese è “vuoto” è un’innegabile realtà, sperare che non si svuoti è un bisogno inevitabile.
Vito
Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023
[*] Leggere il contributo dello statistico e demografo Roberto Volpi, L’Italia sguarnita (pubblicato su La Lettura del Corriere della Sera del 1 ottobre 2023), produce su chi si occupa di aree interne, sviluppo locale, riabitazione dei piccoli paesi l’effetto di un crampo allo stomaco. Tutte le aree di cui ci occupiamo sfidando le previsioni demografiche sono state interessate ancora una volta in questi ultimi anni da ulteriori fenomeni di perdita di popolazione che, proiettati nel tempo, danno un senso di desolazione. O almeno spingono a ripensare le nostre utopie concrete facendole slittare nel tempo. Ci vorrà un’altra generazione, se potrà emergere, impegnata a lottare con tenacia minuziosa per una rinascita.
Volpi segnala però che le Alpi fanno eccezione al crollo demografico delle aree interne e montane italiane e presentano una lieve crescita. Lascia una indicazione di riferimento per la speranza, per i molti scenari dove si cerca un equilibrio tra desolazione ed effervescenza. Domenico Cersosimo e Sabina Licursi (in queste pagine con Abitare la rarefazione ma più sistematicamente nel libro Lento pede. Vivere nell’Italia estrema, Roma, Donzelli, 2023), confermano per la Calabria, ma anche per il quadro nazionale, queste gravissime difficoltà dei territori fragili. Un futuro più difficile di quanto potessimo immaginare e un costante esodo di giovani, pur con importanti ritorni e resistenze. Anche loro nel capitolo finale del libro “Per un futuro possibile” cercano di indicare regole di vita e di intervento nella ‘rarefazione’, quasi un viatico per renderla ‘abitabile’ e non marginale.
Così trovare su Facebook questa conversazione tra Vito Teti e Michele Santoro che raccontano dal di dentro dei loro paesi il crescente senso di perdita è stato come connettere le analisi ai vissuti, immaginare con quelle di Vito e Michele tante voci sulla linea della vita, tra malinconia e speranza, tra lotta e senso di sconforto. Questi scambi sono voci piene di quelle verità che aiutano a vedere sempre, oltre i concetti, e le analisi, il senso intero della vita, e in questo caso anche della restanza, il termine intenso e poetico di Vito Teti che è diventato per tanti un emblema (Pietro Clemente).
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Michele Santoro, ha studiato a Salerno dove si è diplomato, partito per Milano alla ricerca di un lavoro, ha trovato occupazione nel settore per l’organizzazione dell’ufficio per aziende multinazionali e successivamente ha fondato una piccola azienda nel settore informatico dove, ancora oggi, lavorano circa dieci persone (quasi tutti padani). Ha sempre avuto la passione per la fotografia, perché la madre contadina in ogni possibile occasione di festa familiare cercava di chiamare qualcuno per fissare il ricordo. Preferisce la fotografia sociale dove la presenza umana racconta una piccola storia. Ha fotografato quello che gli passava davanti, che gli offriva la vita, in vari viaggi nel mondo. Ha pubblicato un solo libro sul suo paese, Luoghi ritrovati, Altomonte negli anni settanta. Si definisce un dilettante perché fotografa per diletto.
Vito Teti, già docente ordinario di Antropologia culturale presso l’Università della Calabria, dove dirige il Centro di Antropologie e Letterature del Mediterraneo, è autore di numerose pubblicazioni, tra le quali si segnalano: Emigrazione, alimentazione e culture popolari; Emigrazione e religiosità popolare nei due volumi di Storia dell’emigrazione italiana (2000; 2001); Storia dell’acqua (2003); Il senso dei luoghi (2004); Storia del peperoncino. Un protagonista delle culture mediterranee (2007); La melanconia del vampiro (2007); Pietre di pane. Un’antropologia del restare (2011); Maledetto Sud (2013); Quel che resta. L’Italia dei paesi, tra abbandono e ritorno (2017), Il vampiro e la melanconia (2018), Pathos (assieme a Salvatore Piermarini), 2019). Ha di recente pubblicato Prevedere l’imprevedibile. Presente, passato e futuro in tempo di Coronavirus, Donzelli, 2020; Nostalgia (Marietti, 2020); La restanza (Einaudi 2022). Autore di documentari etnografici, mostre fotografiche, racconti, memoir, fa parte di Comitati Scientifici di riviste italiane e straniere.
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