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Memes di Capodanno: aspirare alla “buona vita” futura e rovinare la festa

La semplice presa di parola rappresentata come un atto rivoluzionario

La semplice presa di parola rappresentata come un atto rivoluzionario

di Fulvio Cozza [*] 

Introduzione: pensare gli anni che verranno attraverso i “memes” 

Dal momento che questo numero di Dialoghi Mediterranei vede la luce in contemporanea con l’inizio del 2024, colgo l’occasione per rivolgere i migliori auguri di buon anno a chi legge e apprezza questo generoso e puntuale bimestrale. Nel presente articolo, vorrei proporre qualche breve riflessione sulle tendenze riguardanti le modalità di immaginare il futuro in Italia partendo da alcune osservazioni sugli usi quotidiani dei social media.

Come è noto, il periodo del Capodanno costituisce per molte persone un momento di riflessione e pianificazione, dove si guarda consciamente al futuro, con il relativo carico di aspirazioni e/o timori (Bryant e Knight 2019). L’esperienza media italiana – fatta di infiniti pranzi e cene in famiglia o tra gli amici – è stata spesso immortalata nelle sue varie configurazioni tra film, libri e altro. L’avvento di Internet non l’ha risparmiata e, attraverso i memes, immagini più o meno satiriche molto condivise sui social media, ne viene rappresentata qualche stralcio i cui significati possono essere interpretati come “spie” (Ginzburg 1986) di una tendenza che appare assai diffusa nel contesto italiano.

71jzl1wdgzl-_ac_uf10001000_ql80_Esaminare queste immagini, infatti, può aprire una finestra per la comprensione di modalità di modellamento del futuro, spesso fuggevoli all’attenzione della coscienza, benché capaci di riprodurre una precisa organizzazione del tempo con gravi effetti sulla vita quotidiana, nonché sulle “condizioni del riconoscimento” (Appadurai 2014). In altre parole, i memes sulle cene di Capodanno possono fornire un’interpretazione delle condizioni che rendono possibile la contestazione e il ripensamento del proprio posto nel mondo, appunto: la progettazione del futuro nell’Italia contemporanea. 

Feste con i tuoi: aspirazioni di “buona vita” a confronto

Il tempo, come già indicava Agostino, è tra le dimensioni più scontate e contemporaneamente sfuggenti dell’esperienza di ogni essere umano. Il filosofo di Ippona osservava che: 

«Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più. E tuttavia io affermo tranquillamente di sapere che se nulla passasse non ci sarebbe un passato, e se nulla avvenisse non ci sarebbe un avvenire, e se nulla esistesse non ci sarebbe un presente» (Agostino 1968: 759). 
Un meme “tradizionalista” tratto dalla pagina Facebook “AlphaMan”. L’adesione al cambiamento vista come un decadimento

Un meme “tradizionalista” tratto dalla pagina Facebook “AlphaMan”. L’adesione al cambiamento vista come un decadimento

Impossibile – e forse anche conoscitivamente sterile – ricercare un modo “oggettivo” di definire e misurare il tempo (Gell 2001), più interessante invece osservare come questa dimensione venga articolata dalle cornici culturali per dare senso al mondo e per modellare dei canovacci di intervento su questo (Bryant e Knight 2019).

Come mostrano le indagini di Hartog (2007, 2022), la divisione tra tempo passato, presente e futuro deve intendersi come una distinzione tutt’altro che oggettiva. Ogni società stabilisce dei regimi di storicità che ordinano, impongono e stabiliscono una gerarchia del tempo; qui il passato è più importante del presente, lì il futuro è la dimensione più significativa, altrove il tempo decisivo è quello del presente. È proprio nel gioco di influenze fra tali classificazioni della freccia del tempo che, nelle sue ricerche al confine tra filosofia della storia e antropologia, lo studioso francese distingue il regime di storicità modernista – nel quale si anela al futuro con fiducia nel progresso (il regime dell’evoluzionismo, del socialismo, etc.) – da quello presentista, nel quale invece l’avvento del futuro e le premesse di un cambiamento minacciano l’intoccabilità dell’ordine vigente (il regime del tradizionalismo, del conservatorismo, etc.). Nel regime di storicità modernista il passato ha un ruolo marginale e tutti gli sforzi sono rivolti al raggiungimento del domani, nel regime di storicità presentista – quello che starebbe vivendo il mondo di oggi – il passato è invece luogo di fondazione sul quale costruire il proprio stabile rifugio dagli assalti del tempo che scorre.

Dal momento che tale presentismo guarda al cambiamento con occhi alquanto sospettosi, portando alle estreme conseguenze le riflessioni di Hartog, viene da chiedersi come in tale regime di storicità possa organizzarsi ciò che Arjun Appadurai (2014) ha chiamato la capacità di aspirare, ovvero, la capacità di cambiare il percorso della propria vita: 

«la capacità di aspirare è una capacità culturale, nel senso che trae la propria forza dai sistemi locali di valore, di significato, di comunicazione e di dissenso. La sua forma è riconoscibilmente universale, ma la sua forza è nettamente locale e non può essere separata dal linguaggio, dai valori sociali, dalle storie e dalle norme istituzionali che tendono a essere altamente specifiche» (Appadurai 2014: 398). 
Un altro esempio di meme “tradizionalista” dalla pagina Facebook “AlphaMan”.

Un altro esempio di meme “tradizionalista” dalla pagina Facebook “AlphaMan”

In altre parole, se le modalità culturali attraverso le quali si progetta il proprio posto nel mondo del futuro ha necessità di nutrirsi di un riconoscimento collettivo, di qualcosa che si potrebbe definire senso comune, e che proprio da questa “pubblicità” trae il vigore necessario alla protesta e al cambiamento dello status quo, in quali ambiti della nostra quotidianità è possibile osservare delle nuove proposte di “buona vita”? Come vengono recepite queste proposte dal senso comune? Le tendenze del regime di storicità presentista hanno un qualche ruolo nell’accoglienza o nel rigetto di tali aspirazioni?

Mi sembra che un buon punto di osservazione su tali questioni possano essere i memes riguardanti le tavolate familiari e/o amicali che si svolgono specialmente in occasione delle festività natalizie e di Capodanno. Momenti agrodolci di convivenza durante i quali, molto spesso, l’ampia diversità delle cornici valoriali dei convitati – le loro diverse vedute – mette alla prova il ruolo di mediazione di chi s’industria per la buona riuscita della cerimonia, esito sintetizzabile nella creazione di un’esperienza di armoniosa unione collettiva (Apolito 1993; Bonato 2016; Koensler e Meloni 2019).

9788891930958_0_536_0_75Come segnalato da questo vero e proprio genere narrativo – con memes non casualmente apprezzati e molto condivisi sulle piattaforme social dei giovani (teenagers) e dei giovani-adulti (trentenni) – l’appello a “non rovinare la festa”, a “non parlare” di determinati argomenti e addirittura a dissimulare la condivisione di vedute al fine di salvare l’irenica atmosfera della riunione familiare è un’esperienza ben conosciuta, specialmente e significativamente da chi appartiene alle nuove generazioni e magari si fa promotore di importanti istanze di cambiamento.

Facendo tesoro della lezione femminista sul carattere pubblico e politico degli aspetti più “privati” e intimi (Cavarero e Restaino 2002; Hanisch 2006; Castelli 2019), vorrei qui interpretare il senso di queste richieste di non esporsi, delle situazioni di battibecco a tavola o delle tematiche da evitare poiché ritenute troppo scottanti e divisive, nell’idea che al di là degli specifici “casi familiari” è possibile individuare un comune conflitto la cui posta in gioco è l’immaginazione della buona vita del futuro nonché il cambiamento del senso comune.

Il senso di assedio esperito durante le cene di famiglia. Si noti il fatto che il personaggio raffigurato dal meme non è conforme ai modelli della bellezza femminile normata

Il senso di assedio esperito durante le cene di famiglia. Si noti il fatto che il personaggio raffigurato dal meme non è conforme ai modelli della bellezza femminile normata

Se infatti con quest’ultimo termine – seguendo Gramsci (1975) – si intende la concezione della vita e della morale più diffusa (Dei 2018), dunque le cose che si pensano e dicono più o meno istintivamente e cioè in virtù di essere nati e cresciuti in una determinata posizione socio-culturale, senza dubbio la situazione descritta dai memes e dai resoconti delle cene e dei pranzi in famiglia pone la generazione degli adulti – i cosiddetti baby-boomer – in una posizione tendenzialmente egemonica nei confronti dei giovanissimi e dei giovani-adulti, rispetto al controllo e selezione dei criteri che modellano la buona vita. Non voglio dire che questi ultimi non abbiano alcuna voce in capitolo nell’affermazione di una gerarchia dei valori di senso comune, più semplicemente intendo dire che i giovani e i giovani-adulti, in determinati contesti, non godono della stessa legittimità discorsiva concessa a quei soggetti che si appoggiano ad una tradizione più o meno strutturata nel tempo.

L’idea di conflittualità generazionale espressa da un meme della pagina Facebook “a chi si figlio?”.

L’idea di conflittualità generazionale espressa da un meme della pagina Facebook “a chi si figlio?”

Non è un caso, insomma, che nei setting festivi descritti dai memes il soggetto a cui è assegnato il privilegio di esprimere liberamente il senso comune e la sua cornice valoriale è spesso personificato da un maschio adulto eterosessuale (quasi sempre uno zio, più raramente un padre o un nonno), mentre i soggetti ai quali viene assegnato il compito di censurarsi, “tollerare”, “far finta di niente” –  o al contrario “controbattere” e protestare – sono gli/le appartenenti delle “nuove” generazioni che si fanno promotrici delle questioni contemporanee – antirazzismo, femminismo, ecologia, veganesimo, etc – che mirano più o meno direttamente a contestare tale senso comune o che si trovano nella sgradevole posizione di doversi giustificare per la propria non conformità al modello normato.

L’idea di conflittualità generazionale espressa da un meme della pagina Facebook “a chi si figlio?”.

L’idea di conflittualità generazionale espressa da un meme della pagina Facebook “a chi si figlio?”

Come mostrano i memes che ho scelto di riportare qui a scopo meramente illustrativo, le esperienze richiamate da queste immagini satiriche descrivono spesso cornici di senso comune implicitamente tradizionaliste, nelle quali il cambiamento è percepito come un inarrestabile deterioramento e la presa di parola dei più giovani come un atto pressoché rivoluzionario. Volendo schematizzare si potrebbe dire che agli opposti di un continuum di senso comune vi è un modello “tradizionalista” che si misura con un modello “innovativista”.

Ciò che colpisce di tali tendenze è il fatto che anche quando le istanze promosse da queste giovani generazioni fanno perno su tematiche totalmente inoppugnabili e tutt’altro che aliene al senso comune – ad esempio la lotta alla violenza sulle donne –, gli esponenti della versione tradizionalista mettono in mostra un atteggiamento diffidente se non apertamente critico – ben rappresentato nei memes satirici che ne riportano le retoriche: “anche le donne sono cattive”, “c’è troppa libertà per le donne”, “non si può dire più nulla”, “non è questo il modo giusto” – con buona pace dei giovani e dei giovani-adulti che si devono sobbarcare la pressoché totale incombenza di contestare e/o tollerare tali visioni egemoniche.

Chiamando in causa le argomentazioni di Hartog (2007, 2022), viene da chiedersi se tale sfiducia nel cambiamento – così come l’implicita fiducia nel senso comune “tradizionalista” – non possa essere effettivamente il frutto del regime di storicità presentista, cioè quel regime di storicità che preferisce la conservazione dell’ordine vigente al cambiamento e che proprio nel cambiamento individua il segno di un inarrestabile decadimento (con buona pace per il futuro e per le aspirazioni della gente). 

61292yfzfpl-_ac_uf10001000_ql80_Conclusioni

L’analisi dei memes sui banchetti familiari mette in mostra una tendenza generazionale – quella degli adulti – che egemonizza il senso comune a discapito delle altre, le quali, pur condividendone alcuni tratti, spesso si impegnano nel gravoso sforzo di cambiarne le logiche e le gerarchie valoriali. Ritornando alle argomentazioni di Appadurai (2014) sulla progettazione del futuro e sull’importanza di avere uno spazio di riconoscimento, il risultato che emerge dalla panoramica sui memes che ho qui tentato di disegnare, è che le aspirazioni di una parte di persone che vivono in Italia fatica a trovare compimento se prova ad immaginare un futuro che va oltre la realtà e le possibilità del presente, cioè del senso comune tradizionalista e delle forme di buona vita proposte da quest’ultimo.

In un Paese sempre più anziano come l’Italia contemporanea, sofferente di una strutturale carenza di giovani, con un’economia, un welfare e condizioni del lavoro particolarmente inospitali per i giovani e i giovani adulti (Pitti e Tuorto 2021), questa peculiare opera di censura e delegittimazione non solo impedisce la possibilità di cambiare le cose ma agisce ancora più a monte, depotenziando la possibilità di esprimere una protesta e dunque diminuendo le chances di guadagnarsi uno spazio politico e di pubblico ascolto (Appadurai 2014).

Agli inizi di questo 2024, la speranza è quindi che i giovani ed i giovani-adulti abbiano sempre più voce in capitolo riguardo alle modalità di immaginare il futuro, anche e soprattutto a costo di guastare la festa a qualcuno.

 Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2024
[*] Ringraziamenti
Ringrazio Gaia Santini per aver letto e discusso con me le questioni trattate in questo breve articolo. La responsabilità di refusi ed errori è solamente mia. 
Riferimenti bibliografici
Agostino, 1968, Le confessioni, Bologna, Zanichelli, 1968.
Apolito, P., 1993, Il tramonto dei totem. Osservazioni per un’etnografia della festa, Milano, Franco Angeli.
Appadurai, A., 2014, Il Futuro come fatto culturale. Saggi sulla condizione globale, Milano, Raffaello Cortina Editore.
Bonato, L., 2016, Antropologia della festa. Vecchie logiche per nuove performance, Milano, Franco Angeli.
Bryant, R., Knight D. M., 2019, The Anthropology of the Future, Cambridge, Cambridge University Press.
Castelli, F., 2019, Lo Spazio Pubblico, Roma, Ediesse.
Cavarero, A., Restaino, F., 2002, Le filosofie femministe. Due secoli di battaglie teoriche e pratiche, Milano, Bruno Mondadori.
Dei, F., 2018, Cultura popolare in Italia. Da Gramsci all’Unesco, Bologna, Il Mulino.
Gell, A., 2001, The Anthropology of Time: Cultural Constructions of Temporal Maps and Images, London, Routledge.
Ginzburg, C., 1986, Miti Emblemi Spie. Morfologia e storia, Torino, Einaudi.
Gramsci, A., 1975, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, 4 voll., Torino, Einaudi.
Hanisch, C., 2006, The Personal is Political (online: http://www.carolhanisch.org/CHwritings/PIP.html (ultimo accesso 04/12/2023).
Hartog, F., 2007, Regimi di storicità. Presentismo e esperienze del tempo, Palermo, Sellerio.
Hartog, F., 2022, Chronos. L’Occidente alle prese con il tempo, Torino, Einaudi.
Koensler, A., Meloni, P., 2019, Antropologia dell’alimentazione. Produzione, consumo, movimenti sociali, Roma, Carocci.
Pitti, I., Tuorto, D., 2021, I giovani nella società contemporanea. Identità e trasformazioni, Roma, Carocci.

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Fulvio Cozza, ricercatore indipendente, PhD in Antropologia culturale ed Etnologia presso la Sapienza Università di Roma. I suoi studi riguardano il rapporto tra vita quotidiana, pratiche archeologiche e forme di intimità nello spazio urbano di Roma. Nel 2021 ha pubblicato una monografia frutto della sua ricerca sul campo in alcuni scavi archeologici universitari dal titolo: Fare Archeologia. Etnografia delle Pratiche Ricostruttive, Roma, Cisu.

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