di Giada Cerri
Stages of Memory. Strategie per la rigenerazione dell’ex manicomio di San Salvi a Firenze (Tab edizioni 2023), di Eliana Martinelli, architetta e ricercatrice dell’Università degli Studi di Perugia, non è solo l’esito di un percorso di ricerca sulla rigenerazione dell’ex-manicomio di San Salvi a Firenze: è un libro utile. In collaborazione con la compagnia teatrale Chille de la Balanza, che dal 1997 ha sede nel Padiglione 16 del complesso, Martinelli propone un progetto di musealizzazione attiva di una porzione di San Salvi.
Dov’è e cos’è oggi l’ex manicomio? Si tratta di una sorta di “isola” recintata da alti muri e chiuso a sud dai binari della ferrovia, situata all’interno dello storico quartiere di San Salvi, non più periferia di Firenze. Oggi, l’area è sede del presidio socio-ospedaliero dell’Azienda Usl Toscana Centro. Alcuni padiglioni ospitano ambulatori, uffici e laboratori mentre altri sono in stato di abbandono. Tutto è immerso nel verde pubblico, diventato il polmone verde del quartiere.
Ai Chille e alla loro attività a San Salvi l’autrice dedica un capitolo del libro. Non è celebrativo, è una lucida descrizione della compagnia, nelle figure dei fondatori Claudio Ascoli e Sissi Abbondanza, e del suo ruolo all’interno delle dinamiche e della storia del luogo. Un aspetto interessante è la capacità dei Chille nell’essere diventati un presidio culturale nel quartiere. Il teatro fa vivere il “parco” anche durante la notte, attrae persone interessate e interessanti, crea dinamismo positivo. La presenza costante di un gruppo che vuol costruire nella comunità e per la comunità, anche utilizzando l’argomento non comodo del manicomio, rende ormai la presenza dei Chille necessaria allo sviluppo di questa porzione di città.
Il libro illustra il progetto di riappropriazione dell’area di San Salvi. Martinelli ricostruisce, attraverso ricerche d’archivio, la storia architettonica del complesso manicomiale e lo fa intrecciandola alla psichiatria e alle storie dei personaggi che sono passati da lì. Analizza casi di rigenerazione attiva dei manicomi, come il Laboratorio della mente a Roma, il Parco Basaglia in provincia di Gorizia e l’Archivio in mostra a Trieste, e ne sottolinea la volontà di rendere aperti luoghi che erano concepiti per essere di segregazione.
La proposta di rigenerazione è frutto di un lungo percorso, arricchito anche da attività didattiche universitarie. Nel volume, sono infatti raccolte le esperienze svolte grazie alla convenzione di ricerca tra i Chille e il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. In particolare, gli esiti dei seminari tematici Spacciamo Culture esplicitano la forza di alcune riflessioni sullo spazio, ovvero come l’arte e l’architettura possono contribuire a rigenerare i luoghi. Tra gli esiti più riusciti di queste esperienze si cita l’installazione Firenze Manicomio, di F.M. Corbucci (2021). Un cartello riproduce fedelmente quelli che si trovano alle stazioni ferroviarie e segnala l’immaginaria fermata di “Firenze Manicomio”, appunto. L’intervento denuncia un verosimile, ricorda uno dei progetti per l’area, la realizzazione di una stazione, e gioca sulle parole, abbandonando il politically correct e ricordando ai distratti che lì dove stanno passeggiano una volta abitavano i matti.
Il progetto di Martinelli, formalmente presentato al Comune di Firenze e riassunto nel capitolo “Memoria e progetto”, prevede di rendere accessibile l’archivio della memoria ricostruito dai Chille, un centro di documentazione e lo sviluppo di allestimenti museali per la trasmissione del patrimonio tangibile e intangibile dell’ex-manicomio. È una proposta aperta verso la città di Firenze, dinamica, connessa alla programmazione e alle attività dei Chille, veri e propri custodi di questa memoria, e partecipativa, rivolgendosi anche a coloro che abitano il quartiere. L’ipotesi progettuale prevede di trasformare, in accordo con la Ausl, un braccio del Padiglione 16 in uno spazio integrato. La parte dedicata all’archivio si configura come uno scriptorium ligneo. Un’architettura dentro l’architettura che contiene materiali cartacei e digitali e postazioni per la consultazione, un elemento a metà tra una macchina scenica e un rifugio.
La parte dedicata alla musealizzazione della memoria di San Salvi origina dalla volontà di essere non-sensazionalistica e interpretativa. L’autrice propone delle tappe progressive di avvicinamento alla comprensione dell’ex-manicomio. È imprescindibile il coinvolgimento del pubblico che è chiamato a interagire con le postazioni in una visita attiva (richiamando tra l’altro la filosofia teatrale dei Chille degli “spett-attori”). Potremmo definire l’allestimento come immersivo; non tanto per l’uso della tecnologia, che pure è presente ma misurata agli obiettivi e alla sostenibilità effettiva delle scelte nel tempo, quanto per la capacità di coinvolgere il visitatore, farlo empatizzare e renderlo, durante la visita, un paziente del manicomio.
Il libro è scritto con fluidità di linguaggio e immediatezza. Sebbene si collochi come un prodotto per addetti ai lavori, la maniera in cui Martinelli affronta la complessità e le sfumature del tema generale lo rendono una lettura potenzialmente interessante per tanti lettori. In un periodo in cui le complessità sono ridotte a slogan e si ricercano soluzioni veloci e immediate, il progetto per San Salvi denuncia che non si può agire per semplificazioni. I possibili livelli di lettura e le soluzioni costruiscono un programma di ampio respiro.
Il museo e l’archivio sono solo un pezzettino di un progetto complessivo che riguarda l’intera città di Firenze. Stages of Memory, quindi, è un libro utile perché è programmatico ma senza essere utopico, prospetta modi per vivere in maniera consapevole un luogo con una memoria considerata ingombrante, che non deve essere reclusa ma conosciuta (come le storie di coloro che abitavano l’ospedale psichiatrico). La ricerca è un manifesto sulle possibili buone pratiche attuabili nei luoghi di confine, quelli tanto cari anche a Giovanni Michelucci.
Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024
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Giada Cerri, architetta e dottore di ricerca in Management and Development of Cultural Heritage, Scuola IMT Alti Studi Lucca, Lucca, è docente a contratto e assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Firenze. È coinvolta in vari progetti e gruppi di ricerca nazionali ed europei. Parallelamente all’attività didattica e di ricerca porta avanti la pratica professionale. Si occupa di consulenza, progettazione e allestimento museale e del progetto di interni. Ha lavorato in Italia e all’estero, per esempio presso MCB, Museu da Casa Brasileira a San Paolo, Brasile, e BGC, Bard Graduation Gallery a New York, USA. È parte della redazione della rivista internazionale DAr Design, Architecture, Research; l’attività di pubblicazione si concentra su allestimento e museografia, management beni culturali, rigenerazione urbana e territoriale a base culturale, sicurezza e vulnerabilità sismica degli allestimenti museali. Tra i suoi ultimi scritti si segnalano la monografia Shaking Heritage. Museum Collections between Seismic Vulnerability and Museum Design, edito da Firenze University Press (2021), i saggi “Il progetto delle piccole città. Esperienze di recupero e valorizzazione a tema culturale” pubblicato all’interno del volume La preesistenza genera progetto. Il caso studio di Torri. Siena, a cura di Francesco Collotti (2023), “Open! Progetti e strategie curatoriali museali per l’inclusività” scritto in collaborazione con la direttrice scientifica del Museo della ceramica di Montelupo Lorenza Camin, parte del volume Specie di spazi, a cura di De Santis et al. (2023), e “’Living is being at home everywhere.’ Ceramics interventions in Montelupo Fiorentino (FI)”, pubblicato su Ed.A Esempi di Architettura, vol.11, n.1 (2024
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