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di Alessandro Curatolo
È il 12 settembre 2021 ed è ancora l’alba. La metropolitana che mi porta alla stazione centrale brulica di gente, tutti stanno raggiungendo la piazza principale per un evento sportivo simile alla maratona. Il treno lascia Atene alle sette del mattino, direzione Kalabaka, Grecia del nord, 355 km a nord della capitale.
Impiegherò quattro ore per raggiungere questa piccola cittadina ai piedi delle formazioni geologiche chiamate “Meteora” (in lingua greca: Μετέωρα, pronunciato [mɛtɛoɾɐ], letteralmente “in mezzo all’aria” dal greco μετά, metá, “in mezzo a” e ἀείρω, aeírō, aria, “sospeso in aria” o “in alto nei cieli”).Un importantissimo centro per la Chiesa ortodossa greca, secondo solo a quello del monte Athos.
Meteora è una famosa meta turistica che nel 2019 ha visto più di 3 milioni di persone e nel 1988 è stata dichiarata patrimonio dell’Unesco. Dei 24 monasteri edificati con enormi sacrifici in cima a spettacolari falesie di arenaria, oggi solo 6 sono ancora abitati, in parte recuperati dopo anni di abbandono.
La nostra guida ci conduce alla prima tappa del tour: una piccola chiesa a pochi passi da un monastero abitato da un eremita. La porta principale della chiesa è molto piccola e stretta ed era stata ideata in tal modo proprio per ostacolare l’accesso ai soldati ottomani a cavallo, durante le invasioni che hanno depredato la Grecia nel XIII secolo.
Sopra la porta principale della chiesa si trova una immagine della Madonna con al centro Gesù bambino: lei con le braccia aperte in simbolo di preghiera, Gesù bambino con le dita incrociate in segno di benedizione.
I monaci utilizzavano questa chiesetta per ripararsi dal freddo durante i mesi invernali (come si può immaginare, il monastero scavato nella roccia e raggiungibile solo attraverso delle piccole scale di legno, era un luogo molto austero e privo di riscaldamento).
Le scale di legno erano pieghevoli e venivano utilizzate per l’accesso al luogo sacro, e in passato venivano tirate su dagli eremiti per paura di possibili incursioni notturne. L’accesso ad alcuni monasteri era quasi impossibile (non vi erano scale in pietra o gradini), dunque gli eremiti venivano portati su attraverso delle funi, scale di corda o con delle ceste fatte di reti e carrucole.
La maggioranza dei ricercatori sostiene che i primi monasteri siano stati costruiti intorno alla fine del X secolo. Le costruzioni si susseguirono per oltre tre secoli. Altri testi evidenziano che l’aggiunta di nuovi edifici annessi agli esistenti avvenga ancora oggi, ma senza l’approvazione dell’UNESCO.
Il monaco che vive in questo monastero celebra messa direttamente dall’eremo, in quanto la sua abitazione è inaccessibile alla comunità: la sua casa è luogo sacro, di preghiera in solitudine e di silenzio.
Talvolta i fedeli si radunano nel giardino adiacente alla chiesa dove possono ascoltare la voce del monaco da un altoparlante. I primi eremiti in situ, utilizzavano come abitazioni le grotte naturali che il vento aveva modellato nel corso dei secoli: costruivano delle piattaforme in legno che posizionavano all’interno delle insenature dove avrebbero risieduto per anni.
È pomeriggio e oggi abbiamo già visitato quattro monasteri: ho perfino incontrato uno dei monaci all’interno di una chiesetta con degli affreschi davvero stupefacenti.
A questo punto mi domando: ma si tratta realmente di una vita solitaria e di preghiera oppure si vuole piuttosto esaltare una immagine di eremitaggio, oggi giorno lontanissima dalle nostre abitudini cittadine e caotiche, per andare incontro alle curiosità e alle attese dei visitatori? Quando esattamente si è passati dalla “vera” vita monacale di clausura ad una turisticizzazione del fenomeno?
I monaci che vivono oggi in questi luoghi non sembrano avere nulla a che fare con gli eremiti dell’epoca medievale: sono frequentissimi i contatti con l’esterno. In verità, coloro i quali vogliono intraprendere la strada dell’ascetismo, di certo hanno scelto mete meno accessibili e lontane delle rotte degli itinerari turistici.
A sentire le confidenze della guida che ci accompagna pare che, durante la produzione di documentari o film, alcuni monaci abbiano lanciato giù dal monastero della biancheria intima appesa a delle funi così da rovinare il panorama del set cinematografico. In alcuni casi la regia è stata costretta a sospendere le riprese
Si aggiunga che i monaci hanno una produzione propria di vino che vendono nel negozietto di souvenir. All’esterno di uno dei sei monasteri visitabili, si trova una piccola cappella votiva: i pellegrini donano dei braccialetti, delle monete o dei fogli di carta con richieste o preghiere.
Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023
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Alessandro Curatolo, giovane laureato in Beni Demoetnoantropologici e in Antropologia culturale ed Etnologia presso l’Università degli Studi di Palermo con una tesi sull’origine rituale del matrimonio indiano e iraniano. Nel 2010 ha collaborato con Vittorio Sgarbi e la sua Fondazione alla realizzazione del Museo della Mafia “Leonardo Sciascia” a Salemi. Nel 2012 ha curato i cataloghi di Demetz e Notari per la mostra organizzata nell’ambito del “Festival dei Due Mondi di Spoleto”.
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