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Metref e i racconti di una vita di frontiera

cover2di Alaa Dabboussi

Tra i vari scrittori della letteratura italofona attuale, abbiamo scelto di focalizzare la nostra attenzione sullo scrittore algerino Karim Metref e sulla sua narrativa Tagliato per l’esilio. I motivi di questa scelta sono molti: innanzitutto Karim Metref, oltre ad essere uno scrittore italofono, è un intellettuale che ha dedicato all’interculturalità tutta la sua carriera professionale e personale, sia prima che dopo la sua emigrazione dall’Algeria all’Italia.

Professionale perché il suo lavoro non è semplicemente quello di scrittore ma egli è anche insegnante e educatore. Personale perché le sue idee sulla necessità di una società interculturale lo hanno portato a farsi portavoce in prima persona, non solo nella letteratura ma anche nella vita reale, delle istanze degli emarginati dal sistema, di coloro, cioè, che sono esclusi dai percorsi intellettuali e che proprio per questo, con la loro stessa presenza sono testimoni del bisogno di interazione che avverte la società italiana e di tutto il mondo. La sua opera Tagliato per l’esilio affronta principalmente la tematica dell’esclusione attraverso percorsi concettuali che spaziano dalla dimensione psicologica a quella politica, dai concetti di identità e tradizione a quelli di mescolanza e, appunto, intercultura, dal valore della tradizione all’importanza della proiezione nel futuro.

2Biografia, attività professionale e impegno sociale dell’autore 

Karim Metref è nato in Cabilia (centro Nord dell’Algeria), nel 1998 si trasferisce in Italia, prima in Liguria poi a Torino, città in cui vive tuttora e in cui lavora come educatore e formatore in educazione alla pace, alla pedagogia interculturale e gestione non violenta dei conflitti. Ha pubblicato Quando la testa ritrova il corpo (Ega, 2003) Caravan to Baghdad (Mangrovie 2006), Tagliato per l’esilio (Mangrovie 2008).  Inoltre, scrive anche su varie testate cartacee “Carta”, “Il Manifesto” e cura un blog personale e il sito “Letterranza” [1].  In Algeria è stato insegnante per circa dieci anni, impegnandosi anche nella militanza per i diritti culturali dei Berberi e per l’accesso ai diritti democratici in Algeria. Il giornalismo e la scrittura sono strumenti che hanno sempre veicolato le sue convinzioni politiche e le nuove forme di pedagogia che contribuisce a diffondere come formatore.

La patria di Metref è la Cabilia, regione che si estende a Est di Algeri, lungo la costa mediterranea. E con la terra cabila, la patria di Metref è la lingua, quella variante locale della lingua amazigh., il cabilo con cui ha scritto i suoi primi racconti. É stato un attivista di base del Movimento culturale berbero che dalla primavera berbera del 1980 e per gli anni successivi ha caratterizzato la lotta dei cabili per il riconoscimento della lingua e della cultura e che è stata fucina per la formazione di intellettuali democratici in Algeria [2]. 

Villaggio Kabyle

Villaggio Kabyle

Tagliato per l’esilio: Genere e struttura dell’opera 

L’esilio è una condanna che consiste nell’allontanare qualcuno dal proprio paese, allontanamento forzato o fuga volontaria dalla propria terra, separazione, isolamento da qualcuno o qualcosa. Molti sono i modi in cui possiamo declinare la parola esilio. Esilio è essere costretti ad abbandonare la propria terra, la propria casa, i luoghi cari e gli affetti, le tradizioni e la lingua. L’esilio è il confino, sistema della eliminazione fisica e che implica la perdita delle libertà personali, è la lontananza da un luogo amato e rimpianto. La perdita di una persona cara, la sua assenza, la separazione, la rinuncia a qualcosa a cui si teneva, ad uno stato di grazia a cui si è dovuto rinunciare, ad una parte di noi che non ci appartiene più [3]. Esilio è il distacco, l’allontanamento da una società, da un contesto, da un mondo nel quale non ci si riconosce più. A tale proposito Metref chiarisce:

«Il mio destino di esule sulla mia terra fu segnato della scelta fatta da qualche burocrate francese di costruire quel piccolo edificio lì sulla piazza del nostro villaggio in mezzo alle tombe dei nostri Avi» [4].

Migrare,  partire per scelta o per necessità è per molti versi esiliarsi ma anche poi scontrarsi con la lingua del Paese di arrivo la cui ignoranza contribuisce al sentirsi alieni e alienati ed è per questo che i racconti di Metref catturano l’attenzione con le loro narrazioni della Cabilia algerina filtrate attraverso la lingua italiana perché raccontano anche la storia personale del loro autore, arrivato in Italia da undici anni dopo un passato da insegnante e da personaggio per l’appunto tagliato per l’esilio. A tale proposito l’autore dichiara:

«Partire mi sono detto. Partire! Staccarmi, cambiare aria… acquisire più libertà, un’altra libertà. Non fuggivo dalla mia cultura, non me ne vergognavo. No! Volevo prendere distanza, vedere altro. Partire e confrontarmi con l’altro. Partire e poter assumere la mia cultura per scelta mia e non per costrizione dovuta all’azzardo di una nascita in un paesino sperduto della montagna Cabila…» [5].

Lo scrittore e giornalista algerino in questa raccolta di piccoli racconti di storie, alcune delle quali vissute in prima persona, affronta il tema dell’esilio inteso non tanto come fuga dalla propria terra bensì come scelta voluta, volontaria e consapevole il cui scopo principale è il confronto con la diversità. Con Tagliato per l’esilio il tema dei migranti offre al lettore uno spazio parallelo per conoscere usanze e costumi di popoli geograficamente vicini ma lontanissimi per il loro modo di vivere e per le dinamiche sociali e regole familiari.

Un esilio prima di tutto all’interno del proprio Paese per chi fa parte di una minoranza, nel caso specifico quella berbera di cui Metref si è sempre eretto a strenuo difensore, un esilio volontario che nasce dalla volontà di partire per conoscere, capire, liberarsi da una strada predefinita, una lontananza che non esclude il legame profondo con la terra in cui è nato ma che arricchisce con l’apporto di altre culture e conoscenze di cui si è appropriato nel tempo, che gli fa scegliere in piena libertà ciò che vuole essere costringendolo però a non avere nessun tipo di vincolo e ad essere pertanto uno “tagliato per l’esilio” [6].

Appartenente all’etnia cabila, una popolazione berbera del nord dell’Algeria, Metref si è speso molto per la tutela delle tradizioni del suo popolo nel vortice dell’Algeria moderna ma riguardo alla sua scelta di usare l’italiano come lingua di scrittura lui afferma:

«Ho trovato casa nell’italiano ed appena ho potuto ho tradotto in italiano le mie opere in lingua berbera, si scrive per comunicare e si comunica innanzitutto con chi ci sta attorno e la lingua italiana è la lingua che mi serve, per questo la descriverei come una lingua musicale, poetica» [7].

Tagliato per l’esilio è una raccolta di racconti, brevi storie legate a situazioni reali che con semplicità e concretezza affrontano, dunque, il tema dell’esilio, dell’altrove, della migrazione.  L’esilio di cui parla Metref è il disagio profondo che una persona prova quando non si sente nel suo ambiente, nel posto giusto, un esilio che può avvertire anche a casa sua, un senso di non appartenenza ad una comunità.

Nel primo racconto l’autore scrive: «sono nato in esilio sulla terra dei miei avi» [8]. Sta parlando della Cabilia, la cui cultura è stata a lungo occultata dai vari dominatori arabi e francesi. Solo nel 2005 la loro lingua è insegnata nelle scuole, è stata riconosciuta come lingua nazionale, iscritta nella Costituzione. Più tardi verrà ammessa anche come lingua Ufficiale. In cabilo sono stati scritti i primi racconti, altri invece direttamente in italiano con un singolare movimento tra le lingue; è infatti un libro che da una parte riporta in quelle tradizioni e in quel ambiente in mezzo a uomini avvolti nel burnus tessuto dalle loro madri, dall’altra si muove in terra italiana, nelle strade antiche di Genova, nel monolocale di Milano, abitato e popolato da immigrati dei tipi più diversi.

61v66wsx9nl-_ac_uf10001000_ql80_Metref parlando del suo straniamento scrive: «Migrare è lanciarsi a testa bassa nel buio: essere l’estraneo, lo straniero, l’altro…». Il sentimento dello straniamento è presente lungo tutta l’opera e costituisce una parte integrale dell’identità di Metref rimasta sospesa tra due mondi, quello d’origine e quello ospitante. Infatti, leggendo la sua opera si sente lo sconvolgimento dell’abituale percezione della realtà trasmessa dal narratore che vive in un mondo plurale e duale, tra la cultura d’origine e quella ospitante, la lingua araba e quella italiana, lo stato di emigrante e quello di immigrato. Attraverso la sua opera racconta questa sfida che lo costringe ad adattarsi alle diversità culturali, una sfida in cui si mette e mette in discussione i propri confini e i confini dell’altro.

La consapevolezza della complessità del mondo porta l’autore a riflettere sulla propria condizione e sulle molte varianti del concetto di identità per chi ha scelto di partire. A tale proposito Metref scrive: «sono cabilo ma non sono solo cabilo, sono un po’ di tutto quello che mi contamina quotidianamente» [9]. Lungo tutto il racconto è costante l’idea / la poetica della reciprocità, di un tipo di identità frutto di una dinamica relazionale, che consiste principalmente nell’instaurare legami con la diversità, che così spiega:

«sono cabilo per me vuol dire sono di questa terra e ci sono attaccato sono di questa lingua e ci sono attaccato ma a nessuno di questi elementi do un carattere di sacralità, l’attaccamento ad una terra, una lingua per me è solo un porto d’attracco da dove si parte per altri orizzonti e dove si sa di tornare un giorno per riposare il carico di ricchezze portate da altrove»[10].

Nel racconto l’autore evoca anche ricordi familiari soffermandosi così sul valore simbolico del burnus: «oltre all’essere un oggetto molto utile, questo è anche simbolo molto forte dell’onore della maschilità, della famiglia e del legame con gli antenati» [11].

In questi ricordi, dominante in assoluto è la figura del nonno a cui l’autore era fortemente attaccato sin da piccolo:

«Ma oggi in questo mio esilio volontario, dopo tanti anni di esilio sulla terra dei miei avi, questo burnus mi riporta a tempi ormai andati, ogni tanto mi ci avvolgo e mi metto a sognare, vedo mio nonno seduto a parlare con altri vecchi che tiene sempre al suo fianco un bambino: Quel bambino sono io, assorbe con avidità tutte le parole che escono dalla sua bocca di vecchio» [12].

I racconti sono sette, ambientati in Algeria e nello specifico in quella regione particolare che è la cabila. Tagliato per l’esilio è il titolo del primo racconto ma anche dell’intera raccolta di episodi narrativi, in ciascuno dei quali viene descritto e narrato un aspetto dell’esilio.

9788878704442_0_424_0_75Nell’antichità e non solo l’esilio era la condanna a cui era sottoposto chi si macchiava di colpe politiche, l’essere costretti ad abbandonare la propria comunità era una pena terribile. Nei racconti di Metref emerge la concezione che l’esilio sia qualcosa di insito nella storia dell’individuo indipendentemente dalle sue azioni politiche e si accompagna alla disappartenenza di chi non si sente accettato dalla comunità d’origine e allora cerca un altrove dove sperimentare la propria possibilità di esistenza e un nuovo progetto di vita.

Aver usato il termine esilio piuttosto che emarginazione o emigrazione sta ad indicare che comunque quando ci si allontana dalle persone, dal luogo che ti ha visto nascere e crescere si compie sempre uno strappo, essendo l’allontanamento comunque sempre dettato o accompagnato da considerazioni psicologiche individuali.

Il titolo della raccolta è espressione di un tema che si addice a tutti gli altri racconti. Tutti i personaggi delle singole narrazioni per quanto abbiano anche esito positivo sono dei disappartenenti. Il primo racconto narra di una famiglia che progressivamente per la posizione culturale che assume viene sentita diversa fino a quando il protagonista avverte la sua estraneità alla comunità e decide di andare via, anche e contro la possibile disapprovazione della sua stessa famiglia. In “Adieu Paris” il protagonista non ha altro rimedio che allontanarsi dalla cabila per realizzare se stesso e dare uno scopo alla sua vita. In “Anza” la difesa ad oltranza dei diritti dei propri figli fa sì che la protagonista Werdiya diventi una incompresa e non più accettata dalla sua comunità. Mertef scrive a proposito della fine tragica della protagonista

«Fu portata così dal centro del villaggio fino a quello dirupo che chiamiamo Ifri. Non si sa da dove abbia tirato quella forza ma prima di essere buttata nel vuoto disse ‘Vi affido alla giustizia divina, in nome dell’innocenza di quegli orfani che dormono, vi affido alla giustizia divina voi e tutti quelli che hanno visto l’ingiustizia senza opporsi’. Poi cadendo lanciò un grido che si sentì fino al villaggio» [13].
Metref

Karim Metref

Il messaggio filosofico e umano dell’opera

Alla fine di questo percorso narrativo, il lettore esce avendo partecipato non solo al racconto di una esperienza vissuta ma sentendosi coinvolto dalla stessa emotività dello scrittore che mette in comunicazione mondi diversi, Nord e Sud, Oriente e Occidente. Attraverso la letteratura questi autori possono far nascere un nuovo tipo di scrittore, e nuove esperienze di scrittura dando vita a soggetti che diventano interpreti e portatori di più culture. Lo scrittore magrebino che si muove nell’ottica italiana è un uomo di frontiera che appartiene a più di una cultura e questi romanzi rappresentano meglio di qualsiasi studio storico o sociologico l’avvenire del pianeta [14].

La nascita di questa nuova scrittura comporterà comunque la nascita di un nuovo tipo di letteratura per la quale i conflitti si dilatano, il concetto di patria si trasforma in un’immagine che comprende almeno due Paesi,  la scrittura diventa la naturale risposta al bisogno di parlare di sé, di spiegare la propria esistenza agli altri, di tentare un colloquio interculturale con tutta la società civile italiana a partire da una condizione socio-antropologica problematica e difficile ma coinvolgente ed aperta al futuro.

I tempi che viviamo sono davvero difficili e rimane compito degli intellettuali quello di impegnarsi attivamente affinché un nuovo umanesimo possa maturare dall’una all’altra sponda del Mediterraneo, così da portare l’immaginario da una riva ad un altra non soltanto nel senso dell’incontro tra le culture ma pure nel senso della riscoperta di una memoria comune.

Contro il razzismo e l’intolleranza che stanno minando le basi della convivenza civile in Italia gli scrittori della migrazione ci propongono con le loro opere una cultura in cui ci sia spazio per l’altro. Accoglierlo senza paura e confrontarsi con lui equivale a conoscere meglio se stessi. La letteratura migrante serve anche a questo. Primo Levi ha scritto: «L’ibrido è l’uomo nato dopo Auschwitz».

Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2024
Note
[1] Letterranza è un sito che parla di autori immigrati e della loro produzione, autori accomunati dall’esperienza migratoria dal proprio Paese verso l’Italia e la scelta di scrivere in italiano. L’obiettivo è quello di promuovere tali autori è quello di dare visibilità ad una figura di immigrati considerata positiva e utile per stabilire un dialogo: la figura dell’immigrato scrittore è quella di una persona che si apre verso l’altro, vuole comunicare, vuole raccontarsi e vuole dialogare.
[2] Mauceri Maria Cristina, Scrivere ovunque: Diaspore e migrazione planetaria. Nuovo planetario Italiano, Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa 2006, Città Aperta Edizioni, Troina: 41-85.
[3] Alberto Asor Rosa, La letteratura italiana e l’esilio, “Bollettino di italianistica Rivista di critica, storia letteraria, filologia, linguistica”, 2011, 8/2: 7-14
[4]Karim Metref, Tagliato per l’esilio, Mangrovie Edizioni 2008:12.
[5] Ivi: 13.
[6] Armando Gnisci, La lingua strappata, testimonianze e letteratura migrante (a cura di A Ibba e.R. Taddeo) Leoncavalli editore, 1999: 18.
[7] Franca Sinopoli, La storia nella scrittura diasporica, Bulzoni, Roma 2004.
[8] Karim Metref, Tagliato per l’esilio, cit.: 21.
[9] ivi: 22
[10] ivi: 24
[11] ivi: 25
[12] ivi:26
[13] Franca Sinopoli, La critica sulla letteratura della migrazione italiana, Nuovo planetario italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa, Città Aperta Edizioni, Troina 2006: 87-110.
[14] Daniele Comberiati, Scrivere nella lingua dell’altro. La letteratura degli immigrati in Italia (1989-2007), Bruxelles, Peter Lang, 2010: 28. 
Riferimenti bibliografici 
ASOR ROSA Alberto
 2011, La letteratura italiana e l’esilio, «Bollettino di italianistica. Rivista di critica, storia letteraria, filologia, linguistica», 8/2: 7-14.
 BARNI Monica – VILLARINI Andrea
 2001, La questione della lingua per gli immigrati stranieri, Franco Angeli, Milano.
BREGOLA Davide
 2002, Da qui verso casa, Edizioni Interculturali, Roma.
2005, Il catalogo delle voci. Colloqui con poeti migranti, Cosmo Iannone Editore, Isernia.
COMBERIATI Daniele,
2010, Scrivere nella lingua dell’altro. La letteratura degli immigrati in Italia (1989-2007), Bruxelles, Peter Lang
GNISCI Armando
2003, Creolizzare l’Europa. Letteratura e migrazione, Meltemi, Roma.
 2006, Scrivere nella migrazione tra due secoli, in Nuovo Planetario Italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa, Città Aperta Edizioni, Troina: 13-39.
GNISCI Armando – MOLL Nora IBBA Alberto – TADDEO Raffaele 1999, La lingua strappata. Testimonianze e letteratura migranti (a cura di A. Ibba, R. Taddeo)
MAUCERI Maria Cristina
2006, Scrivere ovunque. Diaspore europee e migrazione planetaria, in Nuovo Planetario Italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa, Città Aperta Edizioni, Troina: 41-85.
METREF Karim,
2008, Tagliato per l’esilio, Mangrovie edizioni
ROMEO Caterina
2011, Vent’anni di letteratura della migrazione, in «Bollettino di italianistica. Rivista di critica, storia letteraria, filologia, linguistica», 8/2: 381-407.
SINOPOLI Franca
2004a, Migrazione/Letteratura: due proposte d’indagine critica, in Culture della migrazione. Scrittori, poeti e artisti migranti, Cies, Ferrara: 15- 26.
2004b, La storia nella scrittura diasporica (a cura di F. Sinopoli), Bulzoni, Roma.
2006a, La critica sulla letteratura della migrazione italiana, in Nuovo Planetario Italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa, Città Aperta Edizioni, Troina: 87-110.
2006b, “Postfazione”, Ai confini del verso. Poesia della migrazione in italiano, Le Lettere, Firenze: 215-228.
TADDEO Raffaele
2006, Letteratura nascente: letteratura italiana della migrazione. Autori e poetiche, Raccolto Edizioni, Cascina del Gualdo. 
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Alaa Dabboussi, nato in Tunisia, dottore in lingua, letteratura e civiltà italiana, ha seguito un corso magistrale e ha ottenuto il master nel 2015 presso la Facoltà delle lettere e delle scienze umanistiche de La Manouba. Presso lo stesso Ateneo ha discusso nel 2021 la sua Tesi di dottorato. Insegna letteratura italiana all’Università di Cartagine e la sua ricerca scientifica si focalizza sullo studio della letteratura di frontiera e sugli scambi interculturali dell’area del Mediterraneo.

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