di Nadia Terranova
Apro questo file in un giorno di giugno, a Roma, dalle mie finestre non entra il mare ma un tiepido sole romano. Ieri ho partecipato qui nel quartiere a un incontro sul movimento No Ponte organizzato da un gruppo di ragazzi, e giovani erano anche fra il pubblico: non molti, ma coesi e interessati ad approfondire. C’era un bel clima di speranza.
Dicevo loro, durante il mio intervento, che sono nata con la maglietta No Ponte addosso, così come altri nascono con la camicia: è una battuta che faccio spesso, ma è la verità. Negli ultimi anni buona parte del mio impegno è stata messa nel far capire che non si tratta di una postura reazionaria, ma del suo contrario: la necessità di far capire quanta bellezza, quanto futuro nascono se smettiamo di sprecare energie e risorse del nostro immaginario su un ecomostro, e cominciamo a guardare quello che abbiamo.
Non ho altro da dire se non le parole di un breve testo che qualche tempo fa ho scritto per una storica rivista siciliana, Mezzocielo, diretta per quel numero speciale da Bianca Stancanelli.
Eccolo, il nostro Mezzomare tutto intero.
Non c’è bisogno di aprire le imposte, so che è lì.
Anche quando la luce non entra, quando è notte e rigirandomi sento venire dalla strada non le onde mai rumori dei tir di passaggio. È la condanna: siamo di passaggio, una città che i viandanti attraversano e abbandonano senza sentire il bisogno di lasciare qualcosa. È il destino delle coste, dei porti sporgenti su altri porti, dei canali, dei mari dimezzati da un di fronte troppo vicino. Il nostro mare non è come gli altri, non è intero: è il Mezzomare. Ad attraversarlo troppo in fretta, qualcosa si perde per forza.
Siciliani e calabresi se lo spartiscono come un ospite d’onore, un parente arrivato all’improvviso o che sta lì da sempre, un banchetto dei giorni di festa, una fortuna così segreta che non la vede nessuno, a volte nemmeno loro. Noi. Che siamo dello Stretto, prima ancora che siciliani o calabresi, eppure a volte lo diamo per scontato, il nostro Mezzomare. Lui se ne infischia. Sta lì come un’eredità greca, una promessa felice, una predizione sinistra. Tutto insieme. Quante cose intere stanno in una metà!
Il Mezzomare ce lo guardiamo e gingilliamo, siciliani e calabresi, da una costa all’altra, ciascuno come una carta dei tarocchi presa al rovescio. Forse è per via di questo mare che non appartiene del tutto a nessuna delle due coste che devono ancora capirne e riconoscerne l’unicità, se ancora oggi qualcuno ritiene di poterne fare scempio. Il Mezzomare secondo loro lascerebbe sottomettere la sua verità, i suoi miti, le sue leggende, alla bruttezza clamorosa di un mostro che la scavalca e la sovrasta. Secondo loro, sì.
Non ho bisogno di socchiuderle, quelle imposte. È lì con i suoi rumori di imbarchi e di sbarchi, le macchine che prendono il largo, il largo che si fa Stretto, ferita e origine, destino e meta. Me lo porto dietro sempre, anche se non dico di lui.
Il Mezzomare è lì dove sto scrivendo una parola tutta intera, è dove sono nata mille anni fa, dove ancora e sempre tornerò a nascere.
Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024
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Nadia Terranova, nata a Messina vive a Roma. Ha pubblicato i romanzi Gli anni al contrario (Einaudi 2015), Addio fantasmi (Einaudi 2018, finalista al Premio Strega 2019), Trema la notte (Einaudi 2022) e diversi libri per ragazzi, tra cui Aladino (Orecchio Acerbo 2020, illustrazioni di Lorenzo Mattotti), Il segreto (Mondadori 2021, illustrazioni di Mara Cerri, Premio Andersen 2022; Premio Strega ragazze e ragazzi 2022), Il cortile delle sette fate (Guanda 2022, illustrazioni di Simona Mulazzani), Il mare dappertutto (Emme edizioni 2023, illustrazioni di Serena Mabilia), Scintilla (Mondadori 2024, illustrazioni di Mariachiara Di Giorgio). È tradotta in tutto il mondo.
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