Stampa Articolo

Migrazioni e naufragi, historie de longue durée

copertina_lopes_1891di Santo Lombino 

Nell’anno 1516, in pieno Rinascimento, viene dato alle stampe De optimo rei publice statu, deque nova insula Utopia, libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus, ovvero Libretto invero aureo, non meno utile che divertente, sull’ottima forma dello Stato e della nuova isola Utopia. Autore del libro, il celebre umanista e politico inglese Thomas More, che diverrà martire della fede avendo disobbedito a Enrico VIII.  «Di Utopia si ama citare il secondo libro, descrizione del modello di Stato ottimale edificato nell’isola eponima, con suoi caratteri protocomunisti, pacifici, etici […]. In Utopia si respira l’aria felice della libertà, della solidarietà, del tempo libero. Si dà fiducia alla ragione umana, capace di allestire un ambiente modello per uomini e donne in carne ed ossa […]. La fede nella natura buona dell’umanità è il filo rosso che da Moro in poi muove coloro che non hanno rinunciato a credere possibile un altro mondo …» (Limes, rivista italiana di geopolitica, n. 8, settembre 2013). Da allora in poi, come è noto, quel nome di origine greca indicò per antonomasia un orizzonte fisico o ideale di vita improntata alla giustizia e alla pacifica convivenza e a volte una meta illusoria mai raggiungibile.

Che fosse un omaggio all’opera di More o che servisse ad indicare ai viaggiatori l’Eldorado o il paese di Bengodi delle traversate transoceaniche, nel 1874 viene battezzato con «Utopia» un vapore costruito a Glasgow dalla società Robert Duncan & Co. e poi acquisito dalla Anchor Line, una delle maggiori compagnie di navigazione dell’epoca. Abilitato otto anni dopo alla rotta Glasgow-Mediterraneo-New York, il piroscafo arriva alla sua tappa finale nel 1891, in un tempestoso pomeriggio alla rada di Gibilterra, territorio di Sua maestà britannica.

morus-utopia-1Per collocare nelle sue coordinate spazio-temporali l’avvenimento, Roberto Lopes, docente di storia e filosofia, nonché musicista, autore teatrale e scrittore sempre attento alle storie degli ultimi, ricostruisce in apertura del suo libro 1891. Il naufragio del piroscafo Utopia (Istituto Poligrafico Europeo, Palermo 2023), il contesto socio-economico e le cause del fenomeno migratorio italiano della seconda metà del XIX secolo. Lo fa utilizzando anche la «radiografia» del mondo contadino italiano emersa dalle pagine dei volumi della Giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola (la cosiddetta Inchiesta Jacini), pubblicati tra il 1881 e il 1886.

Com’è noto, il «sogno americano» conquistava in quegli anni centinaia di migliaia di italiani: alle partenze dalle regioni settentrionali della penisola si aggiungevano verso la fine del secolo quelle delle regioni meridionali e insulari. I siciliani, restii a lasciare l’Isola nei decenni precedenti, avevano cominciato solo alla fine degli anni ’80 a dare un contributo consistente all’esodo e si erano indirizzati, oltre che verso la Tunisia e agli altri Paesi rivieraschi del Mediterraneo, al Nord e al Sud America, superando dal 1889 le diecimila unità di imbarcati all’anno, fino ad arrivare a circa 106 mila nel 1905 e a 146 mila nel 1913.

24-n-623Scendendo nel particolare, l’autore ci offre i risultati della sua ventennale ricerca sulla tragedia che il 17 marzo del 1891 vide colare a picco, presso le coste di Gibilterra, il piroscafo Utopia con la conseguente scomparsa di 554 vittime. Ad inizio di marzo la nave (il cui nome  la voce popolare trasformava in «Tobia») aveva raccolto passeggeri prima a Trieste, poi nei porti di Messina, Palermo, Napoli e da qui puntato su New York con un equipaggio di circa 59 (o secondo altre fonti, 70) componenti e con circa 813 passeggeri, uomini, donne e bambini che lasciavano l’Italia, secondo i dati ufficiali. A salire sulla nave inglese furono abruzzesi, calabresi, lucani, pugliesi, molisani, campani, siciliani di ogni età, domiciliati in circa 170 comunità locali, per la stragrande maggioranza contadini e in minore misura braccianti, operai e artigiani in vari settori. Dalla Sicilia erano saliti a bordo abitanti delle province di Agrigento (Lucca Sicula e Casteltermini), Caltanissetta (Marianopoli), Palermo (Termini Imerese e Mezzojuso), Messina, attratti dalle catene migratorie formatesi in quegli anni, desiderosi di andare a cercare lavoro e dignità anche grazie a parenti e conoscenti che in precedenza avevano percorso lo stesso tragitto.

Il volume racconta con chiarezza e ricchezza di dettagli il momento centrale del dramma, verificatosi cinque giorni dopo che l’imbarcazione aveva lasciato le coste italiane: lo scontro del vapore carico di migranti con la corazzata inglese Anson durante una forte e prolungata tempesta che rendeva difficile la visuale e pericolosi i movimenti delle navi. Il capitano dell’Utopia, John McKeague, ordinò probabilmente una manovra sbagliata che provocò lo speronamento, che ne causò l’affondamento dopo meno di un’ora.  Terribile e movimentata fu la disperata fuga dei migranti che tentarono con le scialuppe e con mezzi di fortuna di salvare la propria vita, anche con il generoso aiuto dell’equipaggio e di marinai di altre navi, ma la gran parte non sapevano nuotare e fu travolta dalle onde. Dei superstiti, una parte scelse di proseguire verso la meta, un’altra di tornare indietro per i più diversi motivi, tra cui evidentemente lo shock provato a Gibilterra.

Naufragio di Utopia, dalla stampa dell'epoca

Naufragio di Utopia, dalla stampa dell’epoca

Lopes segue passo passo lo svolgersi dei momenti successivi al disastro: il lavoro di sommozzatori e palombari, il riconoscimento dei cadaveri, i solenni funerali e la sepoltura, il soccorso morale ed economico ai sopravvissuti (tra cui minori rimasti orfani), il recupero del relitto, appesantito da quintali di fave, maccheroni e altri materiali, durato più di tre mesi; l’accertamento nei tribunali inglesi e italiani delle responsabilità dell’accaduto, le richieste di risarcimento avanzate dai familiari delle vittime. La stampa del tempo si occupò ampiamente per alcune settimane dei tragici eventi, ma con il passare degli anni tutto fu coperto dalla polvere del tempo, tanto che nessuna strada, piazza o monumento ricorda oggi nei paesi di partenza i nomi e le vicende di chi perse la vita nel naufragio. «La tragedia dell’Utopia – sostiene a questo proposito l’autore – non è entrata nella memoria collettiva della nazione perché non ha interessato i ceti dirigenti ma le classi subalterne».

Naufragio del piroscafo Bourgogne

Naufragio del piroscafo La Bourgogne

Non si trattò certo dell’unico naufragio verificatosi durante i decenni del grande esodo migratorio a cavallo dei due secoli. A parte il caso famoso del transatlantico Titanic, furono tanti i casi in cui l’Oceano Atlantico inghiottì i migranti. Basti ricordare, tra gli altri, che il naufragio della nave Ortigia nel novembre 1880 causò 149 morti, quello del piroscafo francese La Bourgogne 549 passeggeri (1898), mentre risale al 1906 il naufragio della nave Sirio (ancor oggi presente nei canti popolari) i cui defunti furono stimati attorno a 500. Nell’ottobre 1926 furono poi 657 le persone travolte dalla fine del Principessa Mafalda. Sono state per altro documentate le percentuali di mortalità e di morbilità a bordo delle «carrette del mare», specialmente tra i passeggeri di terza classe costretti a vivere per tutta la traversata in ambienti con scarsi servizi igienici, angusti e poco areati.

Il volume rivela un lungo e appassionato lavoro di indagine basato sulla consultazione di Archivi storici centrali e periferici, dei quotidiani dell’epoca editi in Spagna, Gran Bretagna, Italia, dei registri di imbarco e di sbarco, delle carte processuali, dei resoconti parlamentari, della corrispondenza privata e pubblica dell’epoca. Grazie a tale ricerca, oltre che seguire la accurata ricostruzione dei fatti, è stato ricostruito l’elenco nominativo di tutti i viaggiatori della nave con le notizie che li riguardano: genere, età, origine, destinazione, numero di passaporto, condizione professionale, destino successivo all’incidente [1].

130_utopia_cgieI capitoli sono poi intervallati da creazioni letterarie dell’autore, che fa parlare in prima persona donne e uomini coinvolti nel disastro navale: essi prendono la parola per esporre le loro speranze, le loro illusioni, le loro ansie, il loro terrore, i loro dolori, le loro considerazioni ex post. Un mezzo ben riuscito per avvicinare al lettore le vittime del naufragio, farlo riflettere sui diversi aspetti della loro esistenza, facendogli comprendere che si tratta di centinaia di persone che hanno calcato più di un secolo fa le strade dei nostri paesi e delle nostre città. Anche per tale ragione il volume si presta a diventare agile strumento didattico per la conoscenza della vicenda migratoria del passato e per gli opportuni confronti con i fenomeni di mobilità umana dei giorni nostri.

Nei confronti di tali fenomeni epocali si accresce, come sottolinea nella acuta e stimolante prefazione Vincenzo Guarrasi, l’indifferenza di coloro che sono o si credono al sicuro nel Nord del mondo. Ma ormai, afferma lo stesso studioso, non ci si può sentire estranei a quanto accade nei mari e nelle regioni di frontiera: l’umanità è interdipendente e non ha più senso né è possibile distinguere tra «noi» e gli «altri». «Siamo tutti a bordo – sostiene ancora Guarrasi  – e non potremo più assistere al naufragio degli altri». Per concludere: «Si attendono parole della speranza, mentre la profezia di Greta Thunberg non risuona, come dovrebbe, nella nostra mente e nei nostri cuori. Siamo ormai immemori del futuro. Consegnati ad un presente senza tempo […]. In questo tempo, che è il nostro, è sempre più importante, ogni giorno che passa, conservare memoria dell’Utopia». 

Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025
Note
[1] Su Utopia si imbarcarono da Mezzojuso 16 migranti, 13 perirono; da Termini Imerese ne partirono 28, perirono 9 + 1 in dubbio; da Casteltermini  (AG) partì un solo cittadino  che perì; da Lucca Sicula (AG) ne partirono 2, uno si salvò e l’altro morì; da   Marianopoli (CL) ne partirono 11, tutti periti; da Messina ne parti uno, salvatosi. In sintesi: partirono  59 siciliani  e ne morirono  35 (considerando il dubbio di Termini, potrebbero essere 36).

_____________________________________________________________ 

Santo Lombino, ha insegnato lettere nella scuola media e storia e filosofia nei licei statali, si occupa di scritture autobiografiche, storia e letteratura dell’emigrazione, didattica della storia. Ha presentato al “Premio Pieve-Banca Toscana” Tommaso Bordonaro, autore de La spartenza, ha curato la pubblicazione di memorie e diari di autori popolari. Ha scritto I tempi del luogo (1986); Cercare un altro mondo. L’emigrazione bolognettese e la S. Anthony Society di Garfield (2002); Una lunga passione civile (con G. Nalli, 2004); Cinque generazioni. 1882-2007, il cammino di una comunità (2007). Tra le ultime pubblicazioni: Il grano, l’ulivo e l’ogliastro (2015) e Un paese al crocevia. Storia di Bolognetta (2016). Ha curato recentemente il volume Tutti dicono Spartenza. Scritti su Tommaso Bordonaro (2019). È direttore scientifico del Museo delle Spartenze dell’Area di Rocca Busambra.

______________________________________________________________

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Letture. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>