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Miracoli

Incredulità di San Tommaso, Caravaggio, 1601

Incredulità di San Tommaso, Caravaggio, 1601

di Antonio Bica 

Fin dalle sue origini la religione cristiana condivise la propria storia con manifestazioni di eventi miracolistici e prodigiosi; anzi, i miracoli rappresentarono una testimonianza storicamente valida per porre il sigillo alla rivelazione divina. A pensarci bene, la rivelazione stessa costituisce di per sé un fatto miracoloso, e già il credere e di conseguenza la fede possono essere visti da alcuni come una forma di miracolo.

Il miracolo è, per sua stessa definizione, qualcosa di straordinario che suscita meraviglia proprio perché trascende l’ordine naturale delle cose, e la cui spiegazione oltrepassa i confini del pensiero razionale. Gli uomini possono essere testimoni dell’evento miracoloso e, ponendosi in relazione col fenomeno extraordinario, essi mettono a dura prova le conoscenze e i dettami della ragione, ma non sempre possono fornire un’adeguata spiegazione, proprio perché il miracolo è un atto fuori dal comune che ha come soggetto principale la divinità.

L’intervento extraordinario di Dio nell’ordinario umano costituisce pertanto l’essenza stessa del miracolo; se non siamo disposti ad accettare che Dio possa intervenire nella storia dell’uomo, non possiamo nemmeno accettare di credere al miracolo.

Tutto questo è vero se esaminiamo la questione da un punto di vista religioso e, ancor prima, se crediamo che Dio o che ‘un dio’ esista. La  fede, quindi, rappresenta in questo caso un presupposto irrinunciabile. Nella Palestina dei tempi di Gesù, perfino il figlio di Dio non poteva operare miracoli presso i villaggi abitati da gente con poca fede; a tal proposito è chiaro il riferimento dell’evangelista Matteo sulla incredulità degli abitanti di Nazareth nonché paesani di Gesù: «la gente rimaneva stupita e diceva: ‘Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?’. E si scandalizzavano per causa sua. Ma Gesù disse loro: ‘Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua’. E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità» (Mt. 13,54-58).

Questo passo è già di per sé abbastanza significativo e ci fa comprendere il motivo della riluttanza del Nazareno verso i propri concittadini; operare miracoli senza il presupposto della fede è contrario al senso della sua missione. La fede è la condizione primaria per operare il miracolo e perché ciò abbia un senso. La fede è la migliore premessa per accettare e comprendere il miracolo; ma non dimentichiamo che la fede ha qualcosa di prodigioso ed è già un miracolo essa stessa.

61jfbfktw0l-_ac_uf10001000_ql80_La civiltà moderna con i suoi lampi cibernetici, gli scambi e le sue relazioni veloci, il mondo della comunicazione e della rete, il peso sempre più forte dell’invisibilità di Dio, si accordano male con l’accettazione passiva e fideistica degli eventi miracolosi in genere.

Argomentando in termini aristotelici, l’uomo prova stupore e meraviglia dinanzi ad un evento di cui non conosce le cause. Un tempo ci si meravigliava davanti ad un fenomeno atmosferico o all’irrompere di un tuono o di un lampo, tutte cose di cui non si conosceva l’origine e che potevano pertanto essere attribuite all’intervento di forze misteriose ed occulte.

Gli esseri umani sono per loro stessa natura inclini al fascino del sovrannaturale, non fosse altro che per la stessa violazione delle leggi della natura, e spesso dinanzi a ciò che non può essere spiegato si abbandonano ad una sorta di fiduciosa illusione che conduce alla passiva accettazione dell’evento straordinario; altri, invece, nella relazione dialettica fede-ragione, tendono a privilegiare quest’ultima e non cedono alla lusinga della extra-ordinarietà, piuttosto assumono un atteggiamento di motivato scetticismo e cercano col lume della ragione di far luce su tutto ciò che appare inspiegabile e misterioso.

L’evento miracoloso, nella fenomenologia storica, non faceva altro che rinsaldare la fede in coloro che già credevano. Tutto questo non vale solo per il cristianesimo, ma è comune a varie confessioni e appartiene un po’ a tutte le tradizioni religiose. Volendo poi considerare l’attribuzione dei miracoli, questa non era una prerogativa riservata solo alla divinità; maghi e guaritori in grado di operare azioni prodigiose e miracolose abbondavano già nelle società arcaiche.

Nella tradizione biblica del Vecchio Testamento si parla di maghi, sapienti e incantatori che operano meraviglie: «Mosè e Aronne vennero dunque dal faraone ed eseguirono quanto il Signore aveva loro comandato: Aronne gettò il bastone davanti al faraone e davanti ai suoi servi ed esso divenne un serpente. Allora il faraone convocò i sapienti e gli incantatori, e anche i maghi dell’Egitto, con le loro magie, operarono la stessa cosa. Gettarono ciascuno il suo bastone e i bastoni divennero serpenti. Ma il bastone di Aronne inghiottì i loro bastoni» (Esodo 7, 10-12).

0E qualche passo più avanti: «Mosè e Aronne eseguirono quanto aveva ordinato il Signore: Aronne alzò il bastone e percosse le acque che erano nel Nilo sotto gli occhi del faraone e dei suoi servi. Tutte le acque che erano nel Nilo si mutarono in sangue. I pesci che erano nel Nilo morirono e il Nilo ne divenne fetido, così che gli Egiziani non poterono più berne le acque. Vi fu sangue in tutto il paese d’Egitto. Ma i maghi dell’Egitto, con le loro magie, operarono la stessa cosa» (Esodo 7, 20-22).

Tutto questo era talmente normale, anche in epoche successive, che gli stessi autori neotestamentari raccontano di eventi prodigiosi i cui protagonisti erano gente comune. Ci tramanda il vangelo di Marco: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri». Ma Gesù disse: «Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me» (Mc. 9, 38-39).

La gente prestava ascolto allibita dinanzi a chi guariva gli storpi e scacciava i demoni.

Riportano gli Atti degli Apostoli: «E le folle prestavano ascolto unanimi alle parole di Filippo sentendolo parlare e vedendo i miracoli che egli compiva. Da molti indemoniati uscivano spiriti immondi, emettendo alte grida e molti paralitici e storpi furono risanati. E vi fu grande gioia in quella città». E più avanti: «V’era da tempo in città un tale di nome Simone, dedito alla magia, il quale mandava in visibilio la popolazione di Samaria, spacciandosi per un gran personaggio. A lui aderivano tutti, piccoli e grandi, esclamando: ‘Questi è la potenza di Dio, quella che è chiamata Grande’. Gli davano ascolto, perché per molto tempo li aveva fatti strabiliare con le sue magie» (Atti degli Apostoli 8, 6-11). E ancora quando Gesù stesso viene accusato dagli esponenti farisaici di scacciare i demoni in nome di altri demoni: «E se io scaccio i demòni in nome di Beelzebùl, i vostri figli in nome di chi li scacciano?» (Matteo 12, 27).

In tutti questi episodi c’è la folla che accorre; sia che ci si trovi sulla spianata del Tempio o in aperta campagna, la folla circonda il rabbino galileo e lo segue; Matteo parla di “grandi folle” che provengono non solo dalla Galilea, ma anche dalla Giudea, da Gerusalemme, dalla Decapoli e da oltre il Giordano.Ma perché tutta questa gente?

9788822062796_0_200_0_0Allora come oggi, ovunque si verifichino fatti straordinari, la gente accorre; eppure noi siamo i figli moderni dell’Illuminismo, e la nostra è la società della secolarizzazione, non è più la civiltà del pensiero metafisico ma quella del concreto e del produttivo, del tutto e subito, sempre più distante dal fascino del pensiero magico e dalla seduzione dell’emotività. Ma anche noi, alla stessa stregua di quelle folle di duemila anni fa, siamo attratti dalle promesse di guarigione o da chi ci lusinga con il presunto potere di compiere azioni straordinarie o, semplicemente, accorriamo per il piacere di provare ancora stupore dinanzi a qualcosa. Così la parola e l’ascolto passano in secondo piano, si preferisce guardare il dito, poco importa se indica la luna.

La stessa cosa succedeva all’epoca di Gesù in terra d’Israele, le folle andavano in cerca di stupore e non di ascolto, cercavano la guarigione dalle malattie, il prodigio, il miracolo, tutto a discapito della parola che, nei casi più ottimistici, veniva dopo. Ma che tipo di miracoli opera il Gesù della storia, e quali sono le malattie che egli guarisce?

Ebbene, c’è un po’ di tutto, dagli esorcismi alle resurrezioni, dal dominio sulle leggi della natura (come quello della tempesta sedata) alle guarigioni vere e proprie.

Matteo ci tramanda una decina di miracoli fra l’ottavo e il nono capitolo; si tratta di vari interventi taumaturgici, in favore della suocera di Pietro, del servo del centurione che giaceva in casa paralizzato, dei due indemoniati del paese dei Gadareni, dell’emorroissa, di due ciechi, di un muto indemoniato, di un paralitico, un lebbroso, della figlia di un capo che era morta. Interviene il Nazareno su vari tipi di ammalati e di patologie, da quelle psichiche a quelle dell’apparato locomotore, alle febbri, ma vi sono anche le patologie oculari, i disturbi gravi dell’udito e della parola come la sordità e il mutismo. Tutto viene contemplato.

Gli zoppi e gli storpi tornano a camminare, i ciechi riacquistano la vista, i morti resuscitano, e tutto avviene quasi per caso, andando in giro per i villaggi e le campagne, senza uno schema prefissato, senza una volontà preordinata. L’azione taumaturgica non è mirata al fatto ma alle persone, non ha lo scopo di mostrare capacità straordinarie fini a sé stesse, non c’è alcuna volontà di rendere pubbliche delle arti magiche; l’evento prodigioso avviene quasi in punta di piedi (pur realizzandosi alla presenza di folle attonite ed acquistando valenza di popolarità), magari incontrando per caso qualcuno lungo il cammino; ma la magia non c’entra, le finalità sono altre, hanno a che fare con la religione e la fede del popolo ebraico.

Il miracolo, nella sua dimensione più intima, diventa un fatto schietto caratterizzato dalla sobrietà e dalla consegna del silenzio; nessuna retorica, nessun clamore, tutto si svolge all’insegna della semplicità, ben lontano dalle messe in scena delle opere e degli operatori di magia. Subito dopo l’intervento taumaturgico c’è quasi sempre la richiesta di non farne pubblicità fra la gente, come a voler mantenere il miracolo entro i confini della dignità che gli appartiene, la dignità dell’evento divino e delle sue finalità salvifiche. Tale richiesta però, a scapito della sua incisività, verrà puntualmente disattesa.

9788839908070_0_536_0_75Nell’episodio tramandatoci della guarigione dei due ciechi, l’evangelista Matteo precisa: «Quindi Gesù li ammonì dicendo: ‘Badate che nessuno lo sappia!’. Ma essi, appena usciti, ne sparsero la fama in tutta quella regione» (Mt. 9,30-31). Sempre Matteo, a proposito della guarigione del lebbroso: «Poi Gesù gli disse: ‘Guardati dal dirlo a qualcuno, ma va’ a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè, e ciò serva come testimonianza per loro» (Mt. 8, 4).  Addirittura, dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù cerca di allontanarsi dalla folla che voleva farlo re: «ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo» (Gv. 6, 15).

Insomma il rabbino nazareno si adopera in tutti i modi per congedare la folla ed egli stesso si allontana per restare da solo; con questo atteggiamento desidera sottolineare il significato simbolico delle sue azioni affinché il miracolo non possa essere interpretato in chiave sensazionalistica. Il proselitismo non c’entra, la sua azione non deve convincere nessuno, non serve a raccogliere adepti, ma soltanto a dimostrare il manifestarsi della potenza divina; ed è proprio questo il motivo per cui rifiuta di trasformare le pietre in pane o di gettarsi dal pinnacolo del tempio di Gerusalemme secondo le richieste del demonio.

Come già accennato, uno degli elementi basilari perché si attuino le varie forme di miracolo, soprattutto in riferimento alle guarigioni, è l’atto di fede, una fede che deve essere ben salda ed incondizionata. C’è una relazione strettissima fra la manifestazione anche semplice e genuina della fede e l’azione taumaturgica volta al guarire. Chi chiede per se stesso o per altri il miracolo, si pone già in partenza in una prospettiva fideistica. Poco importa che si tratti di un ebreo o di un pagano.

Molte malattie e stati febbrili erano intese, nella cultura ebraica del tempo, come maledizioni divine o addirittura provocate dall’intervento del demonio. In Deuteronomio 28, 15 e segg. si legge: «Ma se non obbedirai alla voce del Signore tuo Dio, se non cercherai di eseguire tutti i suoi comandi e tutte le sue leggi che oggi io ti prescrivo, verranno su di te e ti raggiungeranno tutte queste maledizioni: sarai maledetto nella città e maledetto nella campagna. Maledette saranno la tua cesta e la tua madia. Maledetto sarà il frutto del tuo seno e il frutto del tuo suolo; maledetti i parti delle tue vacche e i nati delle tue pecore. Maledetto sarai quando entri e maledetto quando esci. Il Signore lancerà contro di te la maledizione, la costernazione e la minaccia in ogni lavoro a cui metterai mano, finché tu sia distrutto e perisca rapidamente a causa delle tue azioni malvagie per avermi abbandonato. Il Signore ti farà attaccare la peste, finché essa non ti abbia eliminato dal paese, di cui stai per entrare a prender possesso. Il Signore ti colpirà con la consunzione, con la febbre, con l’infiammazione, con l’arsura, con la siccità, il carbonchio e la ruggine, che ti perseguiteranno finché tu non sia perito».

Il malessere dell’ammalato pertanto non era solo di tipo corporeo, poteva esservi anche un’afflizione di tipo spirituale. Nel caso della suocera di Pietro, lo stato febbrile della donna preoccupa gli amici e i parenti, forse perché non ne conoscevano le cause o ancor più ne temessero l’origine da azioni extraordinarie demoniache o divine (gli evangelisti, pur essendovi un medico fra loro, non ne precisano la natura eziologica, parlano di febbre e basta, e la stessa cosa avviene per il servo del centurione). Gli accompagnatori di Gesù verso la casa di Simone Pietro dov’era la suocera febbricitante, lo pregano allora di intervenire, dimostrando così fiducia verso di lui e creando la condizione necessaria per l’azione di guarigione. Qui, oltre alla prospettiva taumaturgica, v’è da sottolineare l’aspetto ‘umano’ di Gesù che si avvicina alla donna sollevandola e prendendola per mano; la guarigione avviene pertanto in un clima di piena fiducia e rassicurazione nei confronti dell’ammalata.

a1e2oavdyjl-_ac_uf10001000_ql80_Nel caso del centurione, questi mostra un grande rispetto nei confronti di Gesù, rifiutando il suo intervento a casa (sapeva bene infatti che un ebreo si sarebbe contaminato mettendo piede nella casa di un pagano; questa era la Legge). Qui il miracolo si realizza a distanza, pronunziando due semplici parole «va’, e sia fatto secondo la tua fede». Il centurione dimostra una grande fede con le sue parole, «io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola ed il mio servo sarà guarito» (Mt. 8, 8), tanto da indurre Gesù stesso a dire alla folla: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!» (Lc. 7, 9), sottolineando così che il primato della fede non è prerogativa degli ebrei soltanto, visto che anche un pagano poteva averne il dono. È la fiducia che guarisce, trasformandosi in strumento terapeutico.

La fede dunque è il primo passo perché si attui la manifestazione del divino attraverso segni e prodigi. La parola ‘segno’ intesa come dimostrazione dell’autorità di Dio identifica già di per sé la definizione di miracolo; nel linguaggio neotestamentario sono diverse le parole che rendono nella nostra lingua il termine ‘miracolo’, e il sostantivo ‘segno’ (semeion in greco), che compare 77 volte nel Nuovo Testamento, è una di queste. Il miracolo pertanto può essere identificato come un ‘segnale’, cioè un qualcosa che noi non vediamo ma che possiamo interpretare come l’operato di Dio. La corretta interpretazione del segno ci aiuta a svelare la presenza del divino nel creato.

Matteo riporta la richiesta di un segno a Gesù da parte dei Giudei: «Allora alcuni scribi e farisei lo interrogarono: Maestro, vorremmo che tu ci facessi vedere un segno» (Mt. 12, 38); e ancora più avanti nel testo: «I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse loro un segno dal cielo. Ma egli rispose: ‘Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi? Una generazione perversa e adultera cerca un segno, ma nessun segno le sarà dato se non il segno di Giona’. E lasciatili, se ne andò» (Mt. 16, 1-4). Volevano dunque un segno dal cielo, una traccia visibile della capacità divina di manifestarsi.

Anche Giovanni usa diverse volte la parola ‘semeion’; dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, quando i Giudei cercano il Maestro per interrogarlo: «Gesù rispose: ‘In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna’» (Gv. 6, 26-27); e ancora al versetto 30: «Allora gli dissero: ‘Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi?’; ed egli rispose: ‘Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete’» (Gv. 6,35). Il miracolo del pane è dunque un segno che conduce ad un altro segno, quello del pane della vita, trasferendo la sofferenza della fame ad un livello superiore di significazione, dove la fame dell’uomo diventa fame di Dio, fame che si sazia solo col pane della vita.

Andando avanti nell’analisi delle varie forme di miracolo, gli evangelisti usano anche la parola greca ‘teras’, che compare 16 volte nel Nuovo Testamento, arricchendo la terminologia descrittiva del miracolo. ‘Teras’ significa letteralmente ‘prodigio’, nel senso di opera portentosa; basti pensare alle parole di Marco: «perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e portenti per ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti» (Mc. 13, 22); Giovanni scrive: «Gesù gli disse: Se non vedete segni e prodigi, voi non credete» (Gv. 4, 48); e negli Atti degli Apostoli: «Farò prodigi in alto nel cielo e segni in basso sulla terra, sangue, fuoco e nuvole di fumo» (Atti 2, 19).

Altra parola utilizzata nel descrivere i miracoli è ‘dunamis’, sostantivo greco adoperato 119 volte nel Nuovo Testamento; indica la manifestazione della potenza di Dio in Marco: «in quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore e gli astri si metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte» (Mc. 13, 24-25); altro esempio lo troviamo nel rimprovero da parte di Gesù verso le città impenitenti, quelle città che non si erano convertite di fronte alle sue opere straordinarie; riporta Luca: «guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida; perché se in Tiro e in Sidone fossero state fatte le opere potenti compiute tra di voi, già da tempo si sarebbero ravvedute, prendendo il cilicio e sedendo nella cenere» (Lc. 10,13).

Altra parola greca è ‘thaumazi’, usata 43 volte nella Bibbia, identifica la meraviglia e lo stupore che l’evento prodigioso suscita sui testimoni oculari: «egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati» (Mc. 5, 20); ancora Marco nell’altra forma di miracolo sulle forze della natura: «e furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?» (Mc. 4, 41); e poi c’è lo stupore davanti al miracolo in negativo del fico seccato: «vedendo ciò i discepoli rimasero stupiti e dissero: Come mai il fico si è seccato immediatamente?» (Mt. 21, 20).

9788831532693_0_536_0_75A proposito di quest’ultimo esempio, esistono anche forme di miracoli intesi ad esaltare e far trionfare il male, sono azioni prodigiose negative operate dalle forze demoniache. Una delle bestie dell’Apocalisse esercita poteri straordinari: «operava grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. Per mezzo di questi prodigi, che le era permesso di compiere in presenza della bestia, sedusse gli abitanti della terra dicendo loro di erigere una statua alla bestia che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. Le fu anche concesso di animare la statua della bestia sicché quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non adorassero la statua della bestia. Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei» (Apoc. 13, 13-18); e così per il potere degli spiriti immondi: «sono infatti spiriti di demòni che operano prodigi e vanno a radunare tutti i re di tutta la terra per la guerra del gran giorno di Dio onnipotente» (Apoc. 16,14); e sulla bestia e il falso profeta: «ma la bestia fu catturata e con essa il falso profeta che alla sua presenza aveva operato quei portenti con i quali aveva sedotto quanti avevano ricevuto il marchio della bestia e ne avevano adorato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo» (Apoc. 19, 20).

Ciascuno dei fatti esposti, considerati tutti alla stregua di eventi straordinari che possiamo definire miracoli, ha un rapporto di causalità divina ed è certamente manifestazione di Dio sulla natura, sul mondo, sugli uomini, è intervento del divino nella storia. Parlare di miracolo, pertanto, implica l’esplorazione del trascendente, addentrandosi in un campo di ricerca che va oltre la storia e la ragione. Gli strumenti epistemologici della scienza moderna non sono sufficienti ad illuminare qualcosa di così intimamente misterioso ed oscuro, e la stessa speculazione teologica non ha fra i suoi obiettivi principali la necessità del riferimento al miracolo come evento sovrannaturale. Non è l’attendibilità storica o la possibilità della spiegazione scientifica il fine della riflessione, ma piuttosto il senso che il miracolo vuole trasmettere, la sua valenza salvifica nell’ottica della presenza divina nella storia dell’uomo.

Il miracolo va visto e interpretato come ‘segno’ dotato di una propria dimensione ontologica che ne caratterizza il legame col divino. Lo stupore dell’uomo dinanzi all’evento prodigioso sottintende la percezione dell’azione divina in termini di ‘meraviglia’; è in questo meravigliarsi da parte dell’uomo davanti all’irrompere di Dio nella storia che si cela la sublime ‘sostanza’ del miracolo, in questa sintesi tutta umana di riferimento e di collegamento strutturale fra l’umano, il naturale e il divino. È proprio lì la grande e sublime meraviglia del miracolo.

Tutto questo, nella logica della Scrittura, ha un suo preciso fondamento nell’alleanza, nel patto di fede e nella relazione dialogica fra l’uomo e Dio. Ecco perché nel miracolo, inteso nella sua dimensione teologica, assistiamo ad un superamento del piano simbolico-mitologico al pari di quello sensibile-fenomenico, legato, quest’ultimo, alla natura stessa e alle sue manifestazioni. Oltrepassato questo limite, travalicati gli aspetti empirici e fenomenologici della natura, si può aprire davanti a noi un orizzonte trascendentale in cui il Dio invisibile diventa visibile per il tramite della sua opera. Ma perché tutto ciò avvenga, è necessario che vi sia dentro di noi un occhio aperto che guardi ad una mente aperta e con essa si confronti in termini di specularità metafisica. Il miracolo più vero e più grande è quello che realizziamo dentro di noi. 

Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025 
Riferimenti bibliografici 
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Antonio Bica, specializzato in Studi Orientali all’Università di Napoli “L’Orientale”; studioso di cultura e civiltà del Medio Oriente, ha svolto studi antropologici e linguistici nella Valle dell’Eufrate, Sud-est asiatico, Yemen, Nepal, Subcontinente Indiano, Etiopia e Corno d’Africa. Autore di reportages fotografici in zone di guerra, Libano, Siria, Alture del Golan, Valle di Quneitra. Si occupa di studi di fisiopatologia e aspetti medico-legali della morte di Gesù di Nazareth. Premio Speciale per la Cultura 2012 e 2015, Ordine dei Medici-Chirurghi della provincia di Trapani.

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